Un Compito Difficile
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Il caporale Ferri accostò l'auto al marciapiede, spense il motore e fece un respiro profondo. Aprì la portiera e scese nel buio circostante. La temperatura era bassa, specialmente per quelle parti, ma gli anni passati nella Consequentia Glacialis l'avevano abituata a ben di peggio. La ragazza aprì il portellone posteriore della sua auto e ne tirò fuori uno zaino e un pacchetto ben fasciato. Diede una veloce occhiata al ripiano nascosto sotto cui si trovava il suo fidato fucile di precisione. Averlo con sé le dava sicurezza, ma questa volta nemmeno lui avrebbe potuto aiutarla.

Chiuse bagagliaio e auto ed attraversò la strada per poi imboccare il vialetto di una casa. Si guardò un attimo intorno, le luci nell'edificio erano accese e c'erano due auto parcheggiate davanti, probabilmente una terza nel garage. La giovane sentiva un groppo alla gola. Mai, in nessuna missione svolta per la Fondazione, Sara si era sentita tesa come in quel momento. Era cosciente di ciò che sarebbe successo, ma non poteva tirarsi indietro adesso. Si avvicinò alla porta e suonò il campanello. La luce del portico si accese e la porta si aprì con uno scricchiolio. Una donna si affacciò dall'uscio: "Sara! Finalmente sei arrivata!"

"Ciao, mamma, buon Natale."

La donna l'abbracciò. Sara si ritrovò titubante nel contraccambiare, ma alla fine le strinse le braccia intorno alla schiena a sua volta. Per quanto le scrivesse spesso, era soltanto la seconda volta che tornava a casa da quando aveva iniziato a lavorare per la Fondazione e le mancava sua madre. Varcata la porta sentì subito il profumo del cotechino con le lenticchie provenire dalla cucina, erano anni che non lo mangiava e l'odore le stuzzicò l'appetito. A quel punto si ricordò del regalo che aveva portato, quindi prese il pacchetto che aveva in auto e lo porse alla madre. "Tieni, non è chissà che cosa, ma non volevo venire a mani vuote."

"Oh, grazie mille, tesoro, non dovevi." Le rispose con dolcezza la madre prima di scartare il pacchetto ed estrarre la statuetta che conteneva. "È davvero molto carina, la metteremo da qualche parte in sala, ma ora siediti. Mi spiace che tu ti sia persa il cenone della vigilia e la mattina di Natale, ci siamo divertiti."

Sara rispose in tono un poco sarcastico. "Già, un vero peccato, mi sono persa il classico film natalizio della vigilia. Più che altro mi spiace averti costretto a cucinare anche stasera."

Mara ridacchiò. "Oh, non c'è problema, cara. Chiamo gli altri."

Già, gli altri. Sara fece una smorfia pensando agli sguardi di disapprovazione che le avrebbero lanciato, senza contare le domande. Domande le cui risposte sarebbero state menzogne. Anche sua madre soffriva del modo in cui si erano lasciate l'ultima volta, tre giorni passati a discutere, conclusi con Sara che se ne andava urlando. Lo nascondeva bene, doveva ammetterlo, ma non abbastanza. Mara urlò rivolta al piano superiore che era ora di mangiare e subito si udirono tre serie di passi muoversi al piano di sopra. La ragazza si sentì confusa, non aveva idea di chi potesse essere la terza persona, ma non avrebbe tardato a scoprirlo.

Il primo a scendere fu suo padre, Carlo. Era molto invecchiato rispetto all'ultima volta che l'aveva visto, come se gli anni passati fossero stati il doppio per lui. "Ciao, Sara. È bello vederti." Sembrava sinceramente rallegrato, che era più di quanto Sara si aspettasse, ma si sentiva che qualcosa non andava.

"Ciao, papà. Come stai?"

"Non mi posso lamentare, immagino. E tu? Come va col lavoro al nord?" Non le aveva mai perdonato di essersi trasferita. Di aver abbandonato la sua 'promettente carriera' nell'azienda di famiglia per un lavoro chissà dove, lontano dai propri cari e da quello che suo padre considerava il suo inderogabile dovere di primogenita.

"Non mi posso lamentare nemmeno io." Rispose lei semplicemente.

Prima che l'uomo potesse aggiungere altro, la seconda e la terza serie di passi scesero le scale. "Sorellona!" Disse ironicamente Emanuele, suo fratello minore, ormai alto un palmo più della sorella.

"Ema, ciao." Rispose Sara lasciandosi scappare una risata. Il fratello le saltò al collo, a quanto pareva almeno a lui non importava quel che era successo. Dopo qualche secondo, il ragazzo si ricompose e si girò ad indicare la persona scesa dalle scale con lui. "Oh, e ti presento Emilia… la mia ragazza." A questo punto Emanuele era rosso quanto un pomodoro. Era sempre stato un ragazzo timido.

"Piacere." Dissero entrambe praticamente all'unisono.

"Bene." Intervenne Carlo dopo un attimo di silenzio. "Ora che ci conosciamo tutti, mettiamoci a tavola."


"… e quindi è lì che ci siamo conosciuti." Emanuele stava raccontando concitato la storia di come l'estate precedente aveva conosciuto Emilia. Sara non potè fare a meno di trovare il tutto molto tenero. Erano questi momenti che le facevano mancare le cene in famiglia e provare rimorso per come erano andate le cose. Per ora tutto stava andando meglio del previsto, forse si sarebbe davvero potuta godere la serata. Un poco rasserenata disse: "Cavolo, dev'essere una cosa seria se l'hai convinta ad aggirare le regole anti Covid per venire qui."

"A dire il vero, l'ha fatto perché sapeva che ci saresti stata anche tu. Sai, le ho parlato molto di te."

"Oh beh, sono lusingata, ma non ho poi molto di interessante da dire." Rispose Sara leggermente imbarazzata. Ovviamente aveva molte cose interessanti da dire, ma era parte del suo lavoro non farlo. "Lavoro, mangio e dormo. Niente di più, niente di meno." Continuò lei con voce monotona.

Fu Emilia a rispondere: "Beh, potresti partire dal motivo che ti ha spinta a tornare a casa quest'anno. Anche tu avrai dovuto aggirare parecchie restrizioni."

Ecco che arrivano le domande scomode. In fondo, questa se l'era cercata. "Il mio lavoro mi dà parecchi vantaggi in questo senso. Sinceramente non so come facciano dai piani alti ad ottenere permessi del genere, ma ci riescono." Il che tecnicamente era vero. Non era di certo una risposta convincente, ma era la sua famiglia, non aveva ragione di pensare che mentisse. Il che rendeva ancora più doloroso farlo. "In ogni caso questo è stato un anno molto pesante. E a dire il vero mi mancava la mia famiglia."

"Questa sì che è una novità." Disse suo padre fissandola. "E dimmi, come va il tuo lavoro fantastico che ti ha convinto ad abbandonare tutto ciò per cui eri destinata?"

Sara rimase impietrita. Non si aspettava un attacco del genere così all'improvviso. "Ehm… va bene. Gli affari vanno bene, fin troppo."

"Anche da noi vanno bene gli affari. Grazie a tuo fratello. Almeno lui ha un po' di sale in zucca."

"Papà!" Disse irritato Emanuele. "Ti sembra il caso di trattarla così? E poi ti chiedi perché non ci viene a trovare."

"E dovrei stare zitto? Dopo che mia figlia ha buttato il futuro che avevo creato per lei? Per voi." A questo punto la rabbia di Carlo era evidente, ma c'era qualcos'altro al di sotto. Tristezza? Delusione? Rimorso? Forse tutte e tre.

Suo fratello stava per parlare, ma Sara gli fece segno di star zitto. Forse sarebbe finita come l'ultima volta, a grida, insulti e lei che se ne andava sbattendo la porta per poi non tornare se non adesso, quattro anni dopo, ma se ne sarebbe occupata lei. "Senti, tu non hai il diritto di dirmi cosa dovevo e non dovevo fare. Ho fatto la mia scelta e la rifarei se mi ricapitasse." Lo sguardo di Sara era determinato, gelido, come i suoi non l'avevano mai vista, ma quegli anni l'avevano cambiata, e non in meglio.

Carlo ne rimase decisamente impressionato, ma non voleva demordere. La tensione nella bella sala da pranzo addobbata era palpabile. "No, non posso obbbligarti a fare un bel nulla e nemmeno ci ho provato, ma tu te ne sei andata, senza una spiegazione, cercando una nuova vita, un nuovo posto nel mondo, ignorando quello che ti avevamo preparato e che fino a pochi mesi prima eri fiera di ricevere. Eri fiera di portare avanti l'attività di famiglia e invece poi hai deciso di abbandonarla, di abbandonare tutti noi. Perché, Sara? Cosa ti ha convinto che noi non eravamo abbastanza per te? Non siamo mai stati ricchi, ma abbiamo lavorato tanto per arrivare dove siamo, io, tua madre, tuo nonno." Le ultime frasi non suonavano come un rimprovero, ma come la disperazione di un padre che ha deluso sua figlia. La rabbia era completamente sparita e Carlo aveva gli occhi lucidi.

Sara aveva un groppo alla gola. "Papà… non è colpa vostra."

"Come fai a dire così, Sara?"

Dannazione, avrebbe voluto dire così tanto, ma poteva dire così poco. "Ho scoperto una parte della vita che non conoscevo e una strada che ho creduto sinceramente che mi avrebbe fatto sentire realizzata."

"E l'azienda di famiglia per cui ho versato sangue e sudore non ti avrebbe fatto sentire realizzata? Cosa ti mancava qui? Cosa non abbiamo fatto per te; per voi? Cosa vale più dello stare con la tua famiglia?"

"Io…"

A quel punto Emanuele decise di intervenire comunque. "Papà! Lasciala un po' stare. L'azienda va bene. Io lavoro sodo e mi piace quel che faccio. Lascia che anche Sara faccia quel che le piace!" Poi si rivolse alla sorella. "Sara, parlaci della tua vita, della strada che hai scelto. Sono sicuro che la tua scelta abbia senso, come ogni scelta che hai fatto da che ti conosco."

Sara prese un respiro profondo. "È una strada che sto ancora percorrendo oggi e che richiede molti sacrifici personali. Una strada ingrata, difficile e complessa da seguire, ma credo che sia importante, per me e per gli altri, che io la segua. Il mio lavoro mi fa sentire completa e piena di vita. Credo sinceramente di aver trovato il mio posto nel mondo." Queste ultime parole uscirono dalla sua bocca con convinzione e fierezza. Carlo non potè fare a meno di riconoscervi lo stesso orgoglio che provava lui per ciò che aveva costruito. "Sara… non sappiamo niente di quel che fai e di come vivi la tua vita. Sei nostra figlia, teniamo a te. Per favore, devi dirci di più, come possiamo vivere così?" Il padre di Sara parlò con calma, senza rabbia, senza dolore, ma con apprensione.

"Non posso scendere nei dettagli, papà… diciamo che è un segreto aziendale."

Carlo ridacchiò nel riconoscere una delle scappatoie che usava con sua figlia da piccola, quando voleva tirarsi fuori da un discorso scomodo. "Capisco… credo. Tu sei felice?"

"Sì."

"E allora che si fotta tutto il resto."

"Carlo! Il linguaggio, siamo a tavola." Lo riprese immediatamente sua moglie, cercando di nascondere un sorriso. Aveva già capito che la situazione si era finalmente risolta.

"Scusa, Mara. E scusa anche a te, Emilia, se ti abbiamo trascinato in tutto questo."

La giovane rispose con aria allegra, l'atmosfera non era più incandescente. "Oh, figurati. Adoro i lieto fine." Tutti i commensali sorrisero, ripensando al fuoco che tra la brace aveva atteso per anni di divampare e creare un incendio, ma che adesso si era spento. Per sempre.

Il silenzio venne rotto dalla madre di Sara. "Forza, preparatevi che adesso arriva il dolce."


Sara si svegliò tra le morbide coperte del suo letto, nella sua vecchia camera. Erano mesi che non dormiva così bene, e ciò non dipendeva dalla scomodità delle brande alla 33. Si era tolta un peso che si portava dietro da anni, quello di aver spezzato il cuore a suo padre; solo ora capiva quanto ne fosse affranta. Si guardò attorno e si alzò. Arrivata alla finestra scostò le tende ed aprì le imposte. La luce del mattino la investì, rimase un attimo accecata prima di riuscire ad ammirare la tranquilla via in cui si trovava la casa dei suoi genitori. Le mancava davvero quel posto. Appoggiò le mani sul termosifone per scaldarsi un poco, poi si cambiò e scese al piano inferiore.

Di sotto si trovava suo padre, seduto sulla sua poltrona a guardare l'albero di Natale vicino al camino. "Ciao, Sara. Mi spiace che tu non ci sia stata ieri mattina all'apertura dei regali."

"Spiace anche a me, ma non potevo tornare prima." Il rammarico questa volta era reale.

"Lo so. Comunque c'è qualcosa per te."

Sara notò allora il pacchetto rosso ancora presente alla base dell'albero. "Oh."

"Non eccitarti, è solo un pensierino. Non volevamo rischiare di farti un regalo che non ti piacesse. Se ci dai qualche indizio su cosa prendere, ci organizzeremo per trovare qualcosa di meglio in tempo per il tuo compleanno."

"Grazie, papà." Quindi anche lui sperava che quest'anno avrebbero risolto il loro diverbio, sotto sotto.

"Forza, aprilo."

Sara si inginocchiò di fronte al camino e raccolse il pacchetto. All'interno vi erano una sciarpa, una bottiglia di rum e uno scatolino. Carlo riprese a parlare. "La sciarpa l'ha cucita tua madre, si preoccupa sempre che tu ti vesta abbastanza pesante. Il rum è da parte di Emanuele ed Emilia, immagino che anche quello possa contribuire a tenerti calda."

"E quindi immagino il pacchettino sia da parte tua?"

Suo padre annuì col capo.

La giovane aprì lo scatolino e al suo interno trovò un braccialetto, probabilmente d'oro. "Wow… è bellissimo."

"Mi fa piacere che ti piaccia, so che non sei una da gioielli, ma ho pensato che potrebbe servirti qualcosa prima o poi. Ho ovviamente evitato una collana, mi avresti ucciso, penso."

Sara si mise a ridacchiare, poi notò un simbolo sulla parte inferiore del braccialetto. Il logo dell'azienda di famiglia. Guardò suo padre. "Sei incorreggibile."

"Già. Volevo che ti ricordassi, non importa cosa succeda, che noi per te ci siamo."

La ragazza aveva le lacrime agli occhi. Si alzò e lo abbracciò. "Grazie."

"Prego, tesoro."

Dopo un attimo di dolce silenzio, Sara si ricompose. "Dov'è Emanuele? Volevo salutarlo."

"Si è alzato presto ed è andato in ufficio a mettere a posto alcune cose."

"Il 26 Dicembre?"

"Non siete poi troppo differenti, dopotutto. Però dovrebbe esserci a pranzo se ti volessi fermare."

Sara si mise a ragionare. Un ritardo sarebbe stato davvero scomodo per il viaggio di ritorno, senza contare il traffico che avrebbe trovato. Inoltre aveva un sacco di cose da fare, una volta tornata a casa, e ancora più cose da fare all'Area-33. La fine dell'anno portava con sé una matassa burocratica non da poco, e Roberto finiva sempre con lo sbattere la testa contro il muro dalla frustrazione se ci si metteva da solo. Però…

"Sì, mi fermo volentieri."


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