Pax Anartistica
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La storia dell'Accademia nelle Americhe è pregna di conflitti e violenze.
Prima tra le sue nemesi è, senza ombra di dubbio, il gruppo di anartisti "Are We Cool Yet?", che perseguitava l'Accademia da più di un secolo. Furti, sabotaggi, ma anche veri e propri attentati: questo era il clima che caratterizzava gli anartisti del Nuovo Mondo.
Questo conflitto, che pareva destinato a durare in eterno, sembrò invece ottenere una risoluzione:
a partire dagli Anni '30 le due organizzazioni smisero, gradualmente, di combattere, a causa tanto della difficile situazione economica di quanto dell'isolamento della Sede Principale dell'Accademia, in una Firenze stretta nella morsa del regime fascista, portando a un inaspettato cessate il fuoco.

Questo diede speranza a molti anartisti. La speranza di una pace siglata, una pace duratura al posto del caos precedente. Centinaia di manifestanti fecero una proposta ai vertici delle due organizzazioni:
Pax Anartistica, così chiamavano questo trattato di non aggressione, un nome che rimase solo quello con cui tanti nostalgici chiamano quel periodo di quiete.
La proposta fu accettata. La Pace tra Accademia e AWCY? era stata raggiunta, un evento epocale che fino a pochi decenni prima sarebbe parso ridicolo solo a pensarci.
Tra i festeggiamenti nacque il progetto di un'opera, destinata a celebrare questo grande traguardo, creata da due scultori provenienti da entrambe le organizzazioni: Jonathan McKay da parte degli AWCY?, rinomato esponente delle più disparate correnti artistiche, membro rispettato dell'intero mondo anartista americano, e Abraham Lamberti, uno dei gioielli dell'Accademia, acclamato critico d'arte, abile scultore, nonché figlio del Tutore Americano dell'epoca. L'opera sarebbe stata rivelata al pubblico il primo Gennaio del 1949, una data simbolica scelta dall'Accademia.


"Daccapo."
"C-cosa?"
"È da rifare. Non possiamo presentare 'sto… coso all'esposizione."
Con le ultime luci del giorno che facevano capolino dalla finestra, la Pace rimaneva immobile al centro della stanza, sotto gli occhi critici dei due uomini che l'avevano creata.
Pensandoci bene, era ovvio che Lamberti sarebbe stato il primo a cedere. Sin dall'inizio quel suo collaboratore squilibrato e le sue strambe tecniche lo avevano stranito, se non direttamente disgustato.
"Morta sul nascere." Pensava in quel momento "Che razza di artista utilizzerebbe un materiale così volgare come base scultorea?"
Ma aveva ingoiato il rospo. I grandi artisti del passato si arrangiavano con quello che trovavano e lui si doveva arrangiare con… un membro di AWCY? .
Che idea atroce, qualsiasi persona con un minimo di raziocinio avrebbe aborrito una simile proposta.
"La consegna è domani. L'avete scelta voi dell'Accademia e ora non volete rispettarla?" Sbottò l'altro, gesticolando verso l'opera. Aveva ragione, sì, ma questo non negava il fatto che la statua fosse impresentabile ridotta così. Non poteva semplicemente dargli ancora retta, lo aveva già fatto fin troppe volte.
"Conosci la mia posizione" Rispose Lamberti, "posso convincere l'Accademia a ritardare la celebrazione di un mese, anche di un intero anno volendo. La data è solo simbolica, l'avranno scelta soltanto perché a mio padre piacciono questo genere di coincidenze."
"Perché dargli questo dispiacere allora?"
Lamberti si zittì per un secondo. L'anartista aveva capito le sue intenzioni e ora doveva ponderare bene le sue parole per risolvere la questione nella maniera più diplomatica possibile.
L'artista fece due passi indietro e squadrò il risultato di ben nove mesi di duro lavoro, commenti internalizzati e pentiti compromessi.
"Dimmi Johnathan, rispondi sinceramente. Sei contento di Pace?"
"O-ovviament-"
"Guardala allora. Guardala bene per, chessò, una decina di secondi, senza distogliere lo sguardo."
McKay si girò di scatto, quasi offeso per questa innocua sfida.
"Cosa vuole insinuare?"
"È una bruttura. Pure per i tuoi standard."

McKay passò immediatamente da sospettoso a stizzito. Ancora una volta, quegli snob con una laurea alle Belle Arti dell'Accademia si ponevano come metro unico di visione suprema ed assoluta della bellezza. Neanche lui era contento del risultato finale, ma dare ragione a Lamberti? Mai, mai lo avrebbe fatto.
"Ecco." Pensò l'altro "Ho parlato troppo." Così si avvicinò di nuovo all'opera.
"Lasciami spiegare. Io sono un artista. Le mie opere rimangono appese ai muri, esposte nelle gallerie d'arte, a volte comprate da intenditori, e così rimangono. Non c'è nessun doppio fine, nessun giochetto dietro. All'Accademia rimango nel mio angolino di appartenenza, l'Arte."
"Va bene, bella tiritera, dove vuole arrivare?"
"Voglio dire, da Artista, questa non è Arte. E non per l'aspetto, o meglio, non solo, ma per quello che c'è dietro. Io vedo questa statua e non provo niente. Non ci vedo nulla. Non noto nulla di particolare che mi faccia dire che uno specifico uomo l'abbia creata con un pensiero creativo. Non fosse così grande, potrei dire che è un ciottolo levigato dal fiume, un prodotto accidentale. Io qua non vedo nulla di artistico."
Tra i due calò un silenzio tombale, interrotto solamente dal flebile suono delle automobili che passavano in lontananza.
"Ora," Riprese Lamberti, "chiedo a te, Johnathan. Tu riesci a vederci, com'è che la chiamate, dell'Anarte?"
"Sì."
"No. Non è vero-"
"E basta! Ha detto lei stesso di non essere nel settore, cosa potra mai saperne?" Sbraitò McKay, stanco delle supposizioni del suo "collega".
"Scusami, scusami, volevo solo dire che… non ti vedo contento del risultato."
"Ha torto. La trovo adeguata. Non vedo perché farci tutti questi problemi."
McKay provò così a terminare la discussione e quasi pensò di esserci riuscito, da quanto Lamberti ci impiegò a rispondere.

"Sai, prima di questo progetto mi sono informato sulle tue opere."
"Ci mancherebbe altro, ho fatto altrettanto." Rispose, mentendo spudoratamente.
"Ecco, ho notato qualcosa. Tutti i tuoi lavori, di qualsivoglia fattura, sembrano vivi. Dotati di anima propria."
"Esatto. Potremmo dire che è il mio marchio di fabbrica, volendo."
"Sì, mi hanno detto che è qualcosa che chiami… Sentimento?"
"Diciamo che è una mezza metafora che uso per discutere delle mie tecniche con gli altri anartisti. Non mi fiderei mai a svelare il mio segreto."
"Capisco, immagino che quindi non vorrai dirmi in cosa consiste."
"Esatto. Diciamo che è semplicemente il tocco finale che do ad un'opera conclusa, di cui sono soddisfatt-" E in quel momento realizzò di aver detto troppo.
"Bene, proprio come pensavo! Allora dimmi, come mai Pace è lì, ferma, come una qualsiasi altra statua?"
Aveva fatto centro. Dolorosamente centro.

"È fatta." Si diceva così Lamberti "Ora posso andarmene e sistemare questo casino."
"È così perché non ho ancora dato il tocco finale. Non ho ancora effettuato la procedura."
Questa era una risposta che nessuno si sarebbe mai aspettato, probabilmente nemmeno McKay. Stava palesemente bluffando, ma tanta era la tentazione di vedere fino a dove si sarebbe spinto pur di essere il vincitore di questa diatriba.
"Bene allora, cosa stai aspettando?"
"Beh, non posso certo farlo e basta con lei qua. Esiste il segreto professionale, ma non mi fido comunque."
"Questo non è assolutamente un problema!" Lamberti indicò una porta, "Tra questo laboratorio improvvisato e le strade di Philadelphia c'è un piccolo andito. Posso benissimo stare là fin quando non avrai finito. Ho sentito dire che sei riuscito a completare opere nel giro di poche ore, quindi non dovresti impiegarci troppo." Continuò, con tono beffardo.
Sconfitto nell'animo, McKay accettò questa richiesta e si mise a fissare la statua non appena l'altro ebbe chiuso la porta alle sue spalle.

E ora? Si era incastrato da solo in quella trappola.
Osservò di nuovo la statua. No, c'era ancora chiaramente qualcosa che non andava. Lamberti aveva ragione, ma aprire quella porta e dichiarare sconfitta? Avrebbe preferito morire.
McKay si scrocchiò le dita e quasi posò la sua mano sulla testa di Pace, solo per ritrarla quasi istantaneamente: non lo aveva mai fatto controvoglia. Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere.
Alla fine, la tecnica del "Sentimento" era una baggianata inventata per depistare i rivali anartisti che aveva avuto in passato. Non era tanto una tecnica, quanto più un "dono" che aveva avuto fin da quando era piccolo.
Non lo aveva mai esplorato appieno, lo aveva usato professionalmente solo nell'ultimo periodo. Insomma, se i grandi artisti del passato erano nati col dono dell'arte, perché non usare il proprio, anche se col rischio di finire nella lista nera di chissà quale organizzazione?
Ma in quel momento McKay ebbe paura. I risultati erano sempre stati buoni, ma mai consistenti, sempre leggermente diversi tra loro. Aveva teorizzato che ciò potesse essere collegato al suo stato d'animo, ma era sempre stato solamente un istinto, una sensazione di pancia.
Definirlo calmo sarebbe stata una spudorata bugia ora come ora, e se aveva ragione, chissà cosa sarebbe successo.
Guardò di nuovo la porta. Lamberti era dall'altra parte, con tutta probabilità sghignazzante, pensando di aver vinto, pensando di averlo battuto.
Nove mesi. Nove lunghi mesi aveva passato, ricevendo occhiatacce e commenti velati. Non intendeva ricevere un'ultima umiliazione.
Sempre guardando la sua unica uscita, pose la mano sulla statua.

Lamberti sentì uno schiocco secco provenire dalla stanza, come se qualcosa si fosse appena spezzato.
Cosa aveva fatto quel disgraziato? Era riuscito a rompere qualcosa con la sua "tecnica"?
"Ehi Johnathan, nulla di rotto?" Disse, sarcasticamente.
Nessuna risposta. Silenzio assoluto, se non per un lieve stridere, come se un qualcosa stesse lentamente raschiando il suolo.
"McKay?" Continuò, bussando. Ancora niente. Decise allora di aprire leggermente la porta.
McKay era disteso a terra, con la Pace accanto, rivolta verso di lui.
Lamberti non riusciva a credere a quello che stava vedendo. La statua… per qualche motivo non riusciva a distogliere lo sguardo da essa. Un istinto, quasi una paura, gli rese difficile farlo.
Si abbassò verso McKay, ignorando la loro opera. Niente battito. Morto.
Lamberti non fece nemmeno in tempo a chiedersi cosa lo avesse ucciso: ancora prima che potesse reagire, sentì due fredde braccia di cemento cingergli il collo.
Crunch.

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