Litania Inarrestabile
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"Dalla calma nasce l'imparzialità.
Dall'imparzialità nasce il giudizio.
Dal giudizio nasce il giusto.
Dal giusto nasce il vero".

Il problema avuto con la signora Giannini era ormai stato liquidato da un po', anche se in realtà è stato un miracolo il fatto che Brief fosse riuscito a seguire la conversazione che la donna stava avendo con quell'essere. Purtroppo non era riuscito a veder nessuno uscire dal condominio; anche se teneva ogni uscita sotto attenta esaminazione grazie a piccoli marchingegni del Vulcano. Le strade poi erano deserte, tranne che per quell'alto vecchio che passeggiava sul marciapiede con una lentezza e una cadenza dei passi tali da renderli paragonabili a quelli d'un essere inquietante. Per tagliar corto, la memoria della vecchiarella è stata cancellata, in modo che non si ricordasse più della conversazione avuta con qualunque cosa fosse entrata in casa sua; adesso, apparentemente, doveva pure investigare su una fuga d'informazioni che poteva mettere a rischio la Fondazione e, di conseguenza, il suo lavoro.
Ora il Brief poteva passeggiare tranquillamente per la mezz'ora libera che si era concesso, sfruttandola principalmente per indirizzarsi verso il luogo dov'era locata la possibile anomalia su cui doveva investigare, il motivo per cui era arrivato in quel paesino in primo luogo. Proprio per questa mezz'ora libera camminava tranquillamente e senza fretta.

Passeggiando così nel bosco, costeggiando il punto dove si stende il dirupo per finire verso il fiume, sente qualcuno sussurrare una lunga frase, come se lo sconosciuto stesse parlando tra sé e sé.
Una sorta di litania, una strofa, un mantra.
Un po' per curiosità e un po' per sicurezza, il Sesto Brief dell'epoca contemporanea si avvicina a controllare, proibito del senso di sicurezza che gli forniva la tuba che aveva lasciata e nascosta in macchina, pian piano si avvicina scostando rami, ciuffi d'erba e rovi che rendevano difficile la discesa, fino a calarsi sulla ripida sponda e ritrovarsi su una risecca che dava sul fiume.
Il fiume è largo e profondo, da questo si può solo vedere la cima di qualche albero sommerso che fa capolino dalle acque, probabilmente strappato più in alto, a monte dall'acqua e lasciato ancorato a marcire in una fossa subacquea.
Poco lontano, seduto su un ceppo d'albero che dava sul bordo fangoso, sta seduto un ragazzotto che per certi versi gli ricorda se stesso. Il volto del giovanotto è riga di lacrime mentre intona quella litania.
Il Brief decide di sedersi anche lui sulla sponda del fiume; leggermente distante dal ragazzo, ma comunque abbastanza vicino per sentirlo.

Il ragazzo finisce di recitare un'ultima volta la sua litania, si rannicchia su se stesso, inarcando la schiena e nascondendo la testa fra le braccia.

"Perché sei qui?" chiede il giovane seduto seduto sul ceppo, "Ti hanno mandato i miei genitori? Vuoi deridermi, oppure vuoi solo ascoltare i vaneggiamenti d'un povero ragazzo?"

"Bella domanda, bella domanda" disce il nuovo ospite della sponda del fiume pensando ad alta voce "Penso di essere venuto qui per via di quella strofa che continuavi ad intonare. Di che canzone è?"

"Non è una canzone, l'ho inventata io".

"È così quindi… beh, non è che ascolto della musica nuova così spesso, peccato". Il Brief strappa una foglia da un albero e inizia a giocherellarci un po' facendola prima rigirare tra le mani, per poi iniziare a spezzettarla e prenderne un'altra dopo aver dilaniato la prima.

"Senti, da quanto sei qui?"

"Da quanto…? Due ore".

"Ci stai pensando molto a fondo allora. Tuffarsi a quest'ora nell'acqua non dev'essere molto piacevole, specie se l'intenzione è quella di non uscirne più".

"Non è… nulla del genere."

"Ah, vorresti spiegarmi allora?"

"Quello che hai appena detto è l'ultimo passo. L'ultimo e il più potente segno di debolezza. Negare tutto ciò che sei stato, che sei e che sarai. Ma devo ammettere che probabilmente non sono così forte come credo."

"Comprendo."
Il Brief cerca di distendersi sull'erba.
"Ti dispiace parlarne? Magari ti farà sentire meglio."
Però scopre troppo tardi che l'erba in realtà era scomoda e quasi bagnata, e onde rovinare la giacca si rimette a sedere e inizia a strappar nuovamente le foglie dall'albero.

"Quello che accade in famiglia rimane in famiglia."

"Come, scusa?"

"È forse l'unico insegnamento che mi ha dato mia madre quand'ero piccolissimo. Non potevo parlare di quello che avevo, di quello che facevo in casa e ancor di meno di quello che facevano i miei genitori."

"Da quant'è che è così?"

"Circa dalle elementari, forse perfino dall'asilo."

"Ah, l'omertà… brutta bestia, specie se presa ad un'età così tenera. Brutto affare questa regola della tua famiglia."

"In un certo senso… sì. Mi ha reso praticamente una sorta di drone senz'anima agli occhi dei miei compagni. Mi faceva sembrare una persona senza troppi obiettivi o interessi. Praticamente agli occhi altrui ero solo uno spettro il cui unico scopo era far presenza."

"E se non rispettavi la regola?"

"Mi urlavano contro. Dio mio, le ferite possono guarire, ma quelle urla… quelle minacce… non farebbero bene a nessun bambino." Il fiume continua a scorrere, trasportando detriti e fango sul suo cammino. "Mi sale ancora l'ansia quando sento qualcuno gridare, qualsiasi persona; non solo i miei genitori mi mettono questa brutta sensazione."
Il ragazzo si mette a fissare un bastone che viene trasportato dalla corrente.

"Poi sono arrivate le medie. Ero grasso all'epoca, e non è che son questo fuscello ora, ma così mi vedevo e così mi vedevano loro. Tutta la classe mi bullizzava, tutti mi deridevano. Quando mi nascondevo nelle stanze degli spogliatoi, laddove dove c'erano le docce, loro cercavano di buttar giù la porta che ci divideva pur di saziar la loro noia con quel nauseante divertimento. Non sono mai stato invitato a una festa o ad un compleanno in sette anni. Un ragazzo alla medie dovrebbe imparare a relazionarsi con le persone, a esprimersi… io ho solo imparato a trovare conforto e protezione nella solitudine e nei libri, e anche se temevo il contatto umano provavo comunque a cercarlo, una situazione vergognosa."

"I professori non facevano nulla? Mi sembra strano."

"Qualcuno? Provava a far qualcosina, per quanto poteva… ma non era molto. Il prof di ginnastica a un certo punto mi aveva permesso di utilizzare uno spogliatoio non utilizzato, anche se non aiutava molto. Ma il resto? Avevano i loro poster del no al bullismo, ma non facevano nulla… assolutamente nulla. Anzi, mi hanno pure mandato da uno psicologo invece di provare a calmare i bulli… come se prendersela con gli indifesi avrebbe mai cambiato qualcosa…"

"Come è andata dallo psicologo?"

"Bene… ma male. Sempre colpa di quella dannatissima regola non riuscivo a dire quello che volevo veramente, non potevo. Gli psicologi continuavano a dire che tutto fosse normale. Mia madre continuava tutto il tempo a guardarmi con sdegno, con odio. Come se io non fossi altro che un pazzo."

"Conosco la sensazione… quel senso di inadeguatezza che ti atterrisce, pensare di fallire le aspettative. Pensar solo che sei uno scarto che non merita nulla… Non deve essere facile."

"Mi ricordo ogni singolo sguardo, ogni insulto e paragone fatto da lei. Non può essere facile sapere che tua madre in fondo ti odia per via del padre da cui sei nato.

"Non ti sorride mai?"

"Solo quanto prendo dei voti eccellenti, oppure quando faccio diversi lavoretti per casa; qualsiasi cosa che vada a ricordare qualsiasi concetto che ricordi se stessa, penso. Ma anche allora utilizza parole smielate e parla con quella cadenza che un fabbro utilizzerebbe per ammirare i suoi strumenti… parole che sanno di falso, parole che l'Antico Rylanor fiuterebbe subito e che sdegnerebbe, stando ai libri. Per il resto non si interessa più di tanto a me; guarda i miei passatempi e sforzi da lontano, con freddezza. Con disgusto… Non è così che dovrebbe sentirsi un figlio."

Il ragazzo si stende per terra, la stessa che il Brief aveva evitato per la sua scomodità, poi emette un sospiro.

"Potrebbe anche essere esagerato per via della mia prospettiva, certo. Non posso assolutamente negarlo. Ma questo è quello che sento. Freddezza e false promesse."

Il Brief finisce di spezzettare una foglia, stacca una drupa da un albero e la rilancia per terra. Poi prende un'altra foglia, leggermente più spessa delle altre.

"Ritornando all'argomento di prima… alla fine, come è finita tutta la storia delle medie?"

"Non è ancora finita, in un certo senso. La mia mente è ancora in quel luogo, a passarsi in rassegna tutti gli insulti e i torti subiti. Alla fine, arrivò la fine del terzo anno. L'era degli esami. Non avevo la più pallida idea di cosa fare, ma volevo lasciarmi indietro quegli idioti ed andarmene di lì. Iniziai a fare una tesi sulla prima guerra mondiale, e iniziai a studiare e a studiare, tanto che pensai addirittura di non aver studiato abbastanza e che di conseguenza dovevo ripartire da capo. Per far ciò iniziai a bere caffé dopo caffé rimanendo notti intere alzato. Caffettiera dopo caffettiera… fino a che non si ruppe il manico."

"Come sei andato avanti senza il caffè?"

"Ho preso una caffettiera più grande. C'è un sacco di roba in garage."

"Touché."

"Alla fine comunque ce l'ho fatta. Male, ma ce l'ho fatta."

"Oh, una buona notizia almeno. Un buon risvolto alla storia."

"Sì, verso la fine le cose iniziano a diventare leggermente migliori, ma al contempo peggiori sotto alcuni aspetti. Mi sono iscritto a un istituto alberghiero sotto un piccolissimo sollecito degli insegnanti delle medie. Lì le cose sono andate meglio sotto i punti di vista dei voti, della classe e anche degli insegnanti. Mi sono innamorato una volta, ma alla fine questa ragazza si è fidanzata con un compagno di classe; li vedo felici, e questo basta a rendermi contento. Mi sono innamorato una seconda volta, e probabilmente lo sono tutt'ora, ma ogni giorno che passa mi convinco pian piano che probabilmente non le interesso, ma non ho nemmeno il coraggio per andarle a chiedere se è così, in modo che io possa rimuovere questo tarlo il prima possibile."

"Ti sei mai proclamato? Le hai chiesto di uscire? O cose del genere?"

"In un certo senso, penso di sì."

"Come è andata?"

"Era sempre occupata apparentemente. E quindi mi sono chiesto se ero effettivamente una persona interessante agli occhi altrui, o comunque degna di fiducia… o di qualsiasi altro buon talento e roba del genere. E così si torna molto velocemente nel mulinello delle insicurezze."

"Arrivati a questo punto, immagino anche che tu non ne abbia mai parlato con nessuno dei tuoi amici. Se questo fosse il caso, potrei chiederti il perché?"

"Rispondo alla tua domanda… con un altra domanda. Cos'è un amico?"

"Ah, vuoi entrare nei campi filosofici a quanto pare."

"Se vuoi metterla così, possiamo dire di sì."

"Non ti voglio seguire in questo campo, dato che non è esattamente il mio forte e dato che non gioverebbe a nessuno dei due, posso però darti la definizione, se preferisci. Almeno, quella che mi ricordo."

"Anche la definizione può andare bene."

"Se non sbaglio, l'amicizia viene definita come un mutuo rispetto tra due o più individui che spesso trascorrono il tempo insieme, sia questo a scopo ricreativo o negli ambiti lavorativi."

"Francamente, suona più come tolleranza."

"Dipende dai punti di vista probabilmente, ma anche dal carattere stesso della persona."

"Una definizione dovrebbe essere imparziale e comprensibile da tutti, non c'è posto per i punti di vista e per il carattere degli individui."

"Come la definiresti allora?"

"È complicato. Da quello che ho avuto modo di osservare fin'ora tutti i rapporti hanno sfumature estremamente diverse tra di loro, non penso che una definizione perfetta si possa applicare in maniera assoluta."

"Permettimi di rifrasare: Come la definiresti tu, come individuo?"

Il ragazzo si ferma un attimo, come incantato a osservare il fiume. Fa per aprir bocca, ma scuote la testa e si zittisce subito, come avesse realizzato che stava per dire una cosa stupida. Dopo un'altra manciata di lunghissimi e indefinibili secondi, diede la sua risposta.

"Aiuto reciproco, in ogni situazione."

"Aiuto reciproco, eh? Non suona come qualcosa di così facile, ma non sembra nemmeno così complicato, dopotutto. Terminiamo qui questa discussione sull'amicizia e torniamo alla domanda che ti avevo posto prima."

"Perché non ne ho mai parlato con un amico?"

Il Brief annuisce lentamente, continuando a spezzettare le sue foglie.

"Ti ricordi quando avevo accennato alla spirale di insicurezza?"

"Quella nella questione lì dei tuoi fallimenti amorosi, sì. Me la ricordo. L'avevi definito come mulinello, per l'esattezza."

"Sono sinonimi. Comunque, per farla breve temo che nessuno voglia effettivamente essere mio amico."

"Uh, questa sembra un'insicurezza bella grossa."

"In realtà, ormai non ci faccio nemmeno caso. Lo guardo più come un dato di fatto."

"Perché lo dai per scontato?"

"Mah, non mi trattengo mai in città in primo luogo, prendo sempre l'autobus perché l'unica coincidenza che mi porta a casa arriva una volta a ogni morte di papa. Rifiuto spesso piccoli aiuti e regali, sia per una questione d'orgoglio e perché non voglio approfittarmi delle gentilezze altrui sia perché ho paura che possa compromettere un giudizio imparziale quando necessario."

"Ora che ci penso, ti ho già sentito invocare diverse volte questo valore dell'imparzialità, posso chiederti perché sei fissato così tanto con quel termine?"

"È una cosa che ho capito e su cui mi ci sono fissato sopra di recente. Io voglio conoscere la verità, e per ottenerla, tra mille altri fattori, bisogna innanzitutto essere imparziali e giusti nelle proprie decisioni."

Il Brief rimane fermo per un attimo a osservare anche lui il fiume, cercando di spremere del significato vero e proprio da quelle parole.

"Solo per la verità? Nient'altro? Non desideri ottenere qualcosa di più… tangibile?

"No, non riuscirei ad ottenerne nulla, e comunque penso che preferirei la verità."

"Ma la verità su cosa?"

"Diciamo solo… in generale."

"Quindi. Mi hai praticamente raccontato la storia della tua vita. Non voglio sembrare troppo indiscreto ora, ma perché piangevi?"

"Piangevo per tutto quello che era successo e che ti ho raccontato, e poi piangevo per molto altro ancora; quello che sta accadendo e quello che deve succedere. Per esempio, in casa i miei genitori non fanno null'altro che urlare. Si gridano addosso a vicenda, si insultano. Urlano a pieni polmoni, tanto che li riusciresti a sentire dall'altro lato del paese, probabilmente. Si lanciano le prime cose che trovano a tiro mentre continuano a urlare e a urlare. Hanno perfino rotto il mio set preferito di bicchieri. Dovrebbero essere divorziati, ma continuano a vivere insieme per… bah, forse lo saprà un santo o qualcosa del genere?"

"Non vogliono vivere in case separate?"

"Vorrebbero, ma non hanno i soldi in primo luogo, senza contare la voglia e la capacità di essere responsabili da soli per un'abitazione. Quando urlano io mi rifugio in camera mia e cerco di fare qualcosa che mi distragga, prendo un quaderno dove disegno qualche scarabocchio e mi metto ad abbozzare qualcosina. Il problema è che un giorno io dovrò decidere da che parte stare. Sarò costretto. Nessuno dovrebbe fare una decisione del genere. Nessuno dovrebbe essere costretto."

"Ed immagino che tu voglia essere imparziale anche per questo."

"Esattamente."

"Purtroppo è nella natura dell'uomo scegliere una strada piuttosto che un'altra."

"Ed è questa stessa natura dell'uomo che creerà inevitabilmente disastri."

"Eh, non proprio. C'è tanto nel mondo che richiede l'avere un punto di vista più soggettivo, ma non sono qui per giudicare o per annoiarti. C'è altro che ti tormenta?"

"In realtà, vorrei essere una persona più stoica. Ma poi finisco solo per accumulare tutto dentro di me, fino a che queste non escono da me come farebbe l'aria con un palloncino che si sgonfia lentamente."

In lontananza, dietro alle spalle dei due osservatori del fiume si sentono delle grida feroci ed indistinte. Due persone distinte, all'apparenza.

"Stanno litigando di nuovo. Prevedibile."

"Si può sapere perché diavolo litigano? Penso anche d'averli già sentiti stamattina."

"Che dovrei dire? La prima causa di litigio nell'uomo è solitamente una: il denaro."

"Davvero? Il vil denaro è la causa di tutta questa sofferenza?"

"Ci potrebbero essere mille altri fattori che non sto a spiegare ora, non me la sento."

"Comprensibile. Prenditi il tuo tempo."

Sarà già passata mezz'ora da quando il Brief aveva iniziato ad ascoltare il ragazo; aveva già procrastinato abbastanza e doveva assolutamente tornare alle sue investigazioni, avrebbe fatto meglio a darsi una mossa.
Ma comunque, non voleva abbandonarlo. Ci si era stranamente affezionato dopo aver ascoltato la storia della sua vita, anche se era meglio definirlo rispetto più che vero e proprio affetto.

"Hai qualche desiderio?"

"Qualche desiderio?"

"Non so… lavoro che vuoi fare da grande, obiettivi personali, oggetti…?"

"Uhm…"

"Pensaci pure."

"No, direi di no."

"…"
"Seriamente? Nulla?"

"Nulla."

"Ci dev'essere pur qualcosa."

"Uhm… forse c'è qualcosa, sì."

"Dimmi tutto allora, sono qui per ascoltarti"

"È… strano?"

"Nulla diventa troppo strano in questi giorni, fidati."

"C'è un qualcosa di strano e interessante nel vedere le persone felici, sorridere. Cosa che non riesco a fare solitamente. Finché ci sarà almeno una persona davvero felice, io sarò contento per ciò, malinconico per le mie condizioni, ma comunque contento. C'è quindi un modo per rendere tutti felici?"

"Il mio sogno sarebbe questo; un'umanità unita in quasi tutto, nessuna frammentazione di stati che si combattono tra di loro… L'uomo dovrebbe unirsi per combattere ai veri problemi di questo tempo. Noi stiamo vivendo sui polmoni di un pianeta moribondo. Solo nell'unità si potrà trovare una vera soluzione, una vera salvezza. Bisogna abbattere le pareti della paura del diverso, la paura e il disgusto che alcuni provano per coloro che ritengono strani, perché in fondo siamo tutte persone nate come esseri umani, e moriremo come eroi, persone o semplicemente mostri. Dici che è troppo?"

"Decisamente. Sembra surreale e irrealizzabile per quanto nobile possa essere il pensiero. Ci sarà sempre qualcuno che vuole dominare un altro e avere molti stati in un mondo permette che queste persone realizzino i propri desideri. Non si può creare semplicemente un Impero dell'Uomo solo perché le persone lo vogliono. Alcuni troveranno sempre il modo di distaccarsi e far quel diavolo che vogliono. O almeno, questa è come la vedo io."

"Visione pessimistica, ma la più realistica. Non posso controbattere il tuo ragionamento."

Improvvisamente, il ragazzo si rialza in piedi con uno slancio che gli fa quasi perdere l'equilibrio. Dopo aver rischiato di cadere con la faccia nel fango riesce a bilanciarsi nuovamente e s'appoggia con la schiena su un alberello poco vicino, come se niente fosse accaduto.

"Secondo te, esiste un'arma per uccidere il passato?"

Un'arma per uccidere il passato.
Una domanda interessante, senza dubbio.
Quale poteva essere la risposta più corretta?
L'alienazione del lavoro?
La morte?
L'eterno inseguimento della conoscenza?
Un'anomalia?
O forse la risposta era qualcosa di più filosofico?

"Direi raccontare, probabilmente."

"Raccontare… è una risposta interessante."

"Cosa ti aspettavi? La Lancia di San Giorgio?"

"No, nulla di tutto ciò."

Il ragazzo cerca di pulirsi i pantaloni passandoci sopra le mani, si dà un occhiata intorno e poi si rivolge nuovamente al suo ascoltatore.

"Tornerò a passeggiare un po', grazie per avermi ascoltato. Addio."

Così il ragazzo comincia a scalare l'argine per tornare nel bosco e continure la sua meditazione. Si sentivano i suoi passi farsi via via più distanti insieme agli scricchiolii delle foglie autunnali.
E il Brief, rimuginando su un'arma per uccidere il passato, si alza lentamente e sparge tutte le foglie spezzettate nelle acque del fiume.

E infine, riprese a camminare.



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