Un urgente bisogno di parlare
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Serge entrò nel suo ufficio e si lasciò cadere sulla sua sedia. Sentendo una presenza dietro di lui, si girò e riconobbe il suo vecchio amico che lo osservava.

— Ciao Manuel. Ancora una giornata faticosa, eh?

Prese del caffè e una caffettiera. Non chiese al suo amico se ne voleva: sapeva che Manuel non beveva il caffè.

— Non facciamo un mestiere facile, eh, Manu? Ogni maledetto giorno, dobbiamo analizzare, ricercare, verificare, studiare roba sulle quali non abbiamo nessuna informazione perché quelle non si concedono di esistere. E certo, non ci possiamo basare su dei libri di biologia, perché gli autori non conoscono nulla del nostro lavoro.

Sospirò, osservando Manuel che mangiava una barretta di cereali, il suo pasto preferito.

— Tu non sai che cos’è che vedo, mio piccolo. Per te, la vita è semplice e gioiosa.

Un piccolo grido di protesta giunse alle sue orecchie, come per dire “Tu sei un bastardo, Serge !”. E dopo alcuni secondi, si sentì in vergogna riguardo al suo migliore amico.

— Mi dispiace, Manuel, non avrei dovuto dirlo.

Bevve un sorso di caffè. Bruciava allora gli aggiunse dell’acqua.

— Sono stanco, Manuel. Così stanco…

Sospirò di nuovo. Fuori, il vento faceva tremare i muri.

— Tu ti chiedi di sicuro perché torno solo adesso. Spero che hai visto qualcuno durante la mia assenza.

Serge si grattò il viso. La bruciatura gli fece ritirare immediatamente la sua mano.

— Maledetto animale, avrei preferito non venire a questa dannata spedizione !

Manuel sembrava inquieto, e Sergio provò a sorridere per rassicurarlo. Il suo migliore amico, forse l’unico, doveva restarne all’oscuro.

— Tu vuoi sentire la storia, Manuel ? Tu vuoi sapere perché ero assente?

Sospirò ancora.

— Ho veramente bisogno di parlare, mio piccolo, mi dispiace. Tu sei il solo che mi ascolti.

Si allungò sul suo materasso. Amava dormire nel suo ufficio, almeno non arrivava mai in ritardo al lavoro.

–- Ero all’ospedale. Come puoi vedere, la mia faccia è… danneggiata. Sono contento che mi hai riconosciuto lo stesso, avevo paura che nessuno mi riconoscesse.

Serge si infilò sotto le coperte. Aveva veramente bisogno di scaldarsi. Non sapeva se era psicologico, o perché faceva realmente freddo fuori, o perché era ancora troppo debole.

— La FIM "Brise-Glace"1 è stata inviata in Terre Adélie perché dei ricercatori della base Dumont d’Urville sentivano dei rumori bizzarri durante la notte e vedevano dei getti di acido sul suolo e i muri. Ma gli serviva uno zoologo se c’era un animale, allora sono venuto con loro. Forse non avrei dovuto.

Per un momento, guarda Manuel mangiare. Il suo amico adorava sgranocchiare.

— L’inverno polare è pericoloso. All’esterno ci sono -40 gradi, non so come la FIM Brise Glace riesce a reggere. Il loro addestramento, senza dubbio.

Rabbrividì, ricordandosi quella lunga marcia nel nero, il vento, la neve e quella paura costante di scivolare sul ghiaccio. Era geloso della fiducia dei tre soldati con cui era. Soprattutto di Rochat, il capitano. Serge non dimenticherà mai la sua maniera di marciare in 30 centimetri di neve, come se lo avesse fatto per tutta la sua vita.

— Più marciavamo, più pensavo che sarei dovuto restare a casa. Sarebbe stata la miglior decisione della mia vita.

Non era mai stato così contento come quando Rochat aveva detto “Non possiamo andare più lontano, la tempesta è troppo violenta! Ci rifugiamo in quella grotta!”. Almeno erano protetti dal vento.

— Il comandante aveva paura che ci perdessimo. Ma avevamo delle bussole e apparentemente, quello bastava. Credo che non avrò mai attrezzatura decente, qui. CI si guadagna qualcosa a posizionare delle installazioni al Polo Sud, Manuel? Nulla. Nulla. Ma Rochat, Mirabelle e i Brise Glace hanno imparato a trattarci.

Serge era nato nel centro della Francia. Clermont-Ferrand era una città piuttosto fredda, ma lontana dall’aria glaciale dell’Antartico. Aveva undici anni durante il terribile inverno del 1962-1963, ma non era stato nulla, comparato alla Terre Adélie in maggio.

— Credo che sia una regola implicita, laggiù: arrangiati. Arrangiati e spera che funzioni, perché nessuno verrà ad aiutarti. Il sito Chevat è fatto di materiali di recupero, non so come regga ancora né come la gente faccia a viverci.

“Lo si fa”, diceva Mirabelle. “È una questione di volontà”, diceva Rochat. Ma Serge sapeva che non si abituerebbe mai a quelle condizioni. Lui non era come i suoi antenati, che affrontavano la neve e il ghiaccio del Québec senza lamentarsi.

— Comunque. Siamo in questa caverna e cerchiamo di scaldarci un po’. Il capitano Rochat voleva attendere la fine della tempesta per uscire e continuare. “L’anomalia passa il suo tempo a urlare, può urlare ancora per un altro giorno”, diceva. Allora noi eravamo là, aspettiamo. C’era Rochat, il luogotentente Mirabelle, e quell’idiota dell’agente Jean-Michel Castan, il bifolco perfetto. Lo detesto.

Il sangue di Serge bruciava al solo pensarci. Quella che era una semplice indifferenza all’inizio era finito per diventare un odio viscerale, essendo Castan responsabile di tutto quel disastro e di quello che Serge era divenuto.

— Avevo il mio Walkman con la mia cassetta di Cyndi Lauper. Era molto utile all’inizio, per evitare di ascoltare quell’imbecille. Non ho né la pazienza degli altri, né la loro socialità. Sarei dovuto restare nel mio ufficio, almeno non avrei rischiato la mia vita!

Come per confermare le sue parole, un pezzo di neve cade a terra, con fracasso.

— Dunque, io provavo ad ascoltare Cyndi Lauper, ma la cassetta si era gelata. E anche le altre! La mia cassetta di Somewhere in Time! Adoravo ascoltare Alexander the Great! Spero che riuscirò a farla riparare.

Da quello che ne sapeva, qualcuno era riuscito a farlo. Ma lui non le aveva ancora recuperate.

— Quello stronzo mi prendeva in giro! Diceva che puzzavo, mi trattava come un bambino, e sia Rochat che Mirabelle non lo potevano fermare. Loro dicevano “amico, smettila, non sei divertente”. Una volta, Mirabelle gli ha detto una cosa come “Jean-Mi, ci rifai ancora una cavolata come questa e ti spacco la testa!”. E ovviamente, Castan non ha smesso, lui detesta Mirabelle. Le avrebbe risposto con uns cosa del genere “Non ricevo ordini da un rosso", o "da un mongoloide", lo sai, Mirabelle è metà vietnamita, ma lo sguardo che Rochat gli ha lanciato lo ha dissuaso dal replicare.

A Serge sarebbe piaciuto che Rochat sgridasse Castan, quello lo avrebbe potuto calmare.

— A un certo punto, Rochat e Mirabelle hanno notato che ascoltavo della musica. Hanno cominciato a innervosirsi, ma una volta di più, Castan ha fatto prova della sua grande intelligenza.

Ridacchiò.

— Ho detto “Se devo passare la notte con voi, lasciatemi ascoltare la mia musica!”. Castan ha risposto “Eh, va bene, non ci toglieremo i nostri vestiti e non ci toccheremo il cazzo” e Mirabelle gli ha detto di fermarsi prima di dire che “non siamo dei froci”.

Serge sbadigliò.

— C’è stato un lungo silenzio. Poi ho sentito Rochat e Mirabelle canticchiare Girls just wanna have fun. La fatica, credo. Io, ero innervosito. Ho camminato un po’ e mi sono reso conto che la caverna si prolungava in un tunnel. Ho chiesto a Rochat se dovevamo esplorarla, lui ha acconsentito. Puoi pensare che è pericoloso, e sono completamente d’accordo, ma i Brise Glace sono degli agenti della FIM, rischiano la loro vita tutti i giorni, sono abituati.

Per un momento, Serge si era sentito come un nano in un libro di Tolkien. Camminando in una miniera, rischiarata solamente da una torcia. Il rumore dei loro passi risuonava sulle pietre e a ogni momento si aspettavano che l’anomalia o un balrog spuntasse per attaccarli. Era incapace di difendersi da solo e lo diceva senza vergogna. Contava sui Brise Glace per difendersi, sapeva che erano addestrati per questo.

— C’era un silenzio perfetto. Mirabelle sapeva che era meglio non fare rumore, Rochat aveva detto a Castan che gli avrebbe spaccata la testa se avesse parlato e per una volta, quello stupido aveva compreso che era meglio tenerla chiusa.

Serge non aveva mai avuto così tanta paura per la sua vita. L’oscurità, il silenzio, la minaccia di un’anomalia invisibile e sconosciuta. Lui respirava a fatica a causa della sua paura e le sue orecchie cominciavano a gelare.

— Ma non è durato a lungo. Sfortunatamente. Incontrammo una biforcazione quando Castan disse “puzza, qui, Serge, non vuoi arretrare di due tre metri?”. Ho sentito Rochat sospirare rumorosamente, come per dire “amico, per favore, puzza di morte di pesce marcio, non d’acqua di Colonia!”.

Poi, si chiese se puzzava e qual’era il suo odore corporeo. Sudore? Feci? Alcool? Fumo? E questo divenne quasi un’ossessione.

— Ma Castan non si è fermato. Mi ha chiesto se il mio shampoo conteneva del pesce marcio, prima di aggiungere “ah ma no, tu non ti lavi mai i capelli”. Allora, io sono scoppiato. Gli ho spaccato la sua faccia maledetta.

Fu una grossa soddisfazione. Una liberazione, una vendetta.

— Ho sfogato la mia rabbia su di lui. Era troppo. Lo so che non avrei dovuto fare rumore, Manuel, lo so. Ma in quel momento, il rumore non era più un mio problema.

Serge aveva agito sotto l’effetto della rabbia. Lo voleva uccidere, ma non perché era fondamentalmente cattivo: voleva solo che Castan smettesse di essere così crudele e di raccontare delle idiozie. Serge non gli aveva fatto niente, era là solo per aiutare gli esploratori.

— Rochat e Mirabelle hanno provato a fermarci? Forse sì, forse no, non so più nulla. Non mi ricordo, pensavo solamente a vendicarmi. È folle, non so molto cosa mi è passato per la testa in quel momento. Non avevo nessuna chance contro un militare addestrato, ma era troppo.

Perché sentiva il bisogno di giustificarsi? Manuel non l’aveva mai giudicato e Serge sapeva che non lo avrebbe fatto mai.

— Poi, a forza di combattere, siamo caduti nel fondo del tunnel. Mi sono rinsavito in quel momento, quando la mia testa ha battuto contro i sassi.

L’odore era nauseante e il suolo era coperto d’acqua, di cadaveri di pesci e da una sorta di spesso succo brunastro simile a delle feci, come la Marmite, così apprezzata dagli Inglesi. Era difficile da distinguere, l’unica fonte di luce erano le torce di Rochat e Mirabelle.

— E l’anomalia è arrivata. L’abbiamo allertata combattendo. E sai che cos’era? Sai che cos’era che urlava e terrificava tutta la base Dumont d’Urville?

Rideva ancora, nervosamente. Era così stupido, con il senno di poi!

Un maledetto pinguino! Un pinguino molto brutto. I pinguini normali sono neri e bianchi, con delle piume gialle o arancioni sulla testa. Quello era… grigio e bianco. Le piume sulla sua testa erano quasi bianche. I suoi occhi erano quasi rosa, come se fosse cieco. E sbavava. Sbavava quello strano liquido marrone.

Serge rabbrividì di nuovo. Sopra di lui, Manuel lo osservava. Vide una punta di inquietudine nei piccoli occhi neri del suo amico. Aveva anche smesso di mangiare.

— Allora abbiamo compreso che cos’era l’anomalia.

A quel semplice ricordo, il suo viso ricominciò a bruciargli.

— Tutto perché quel figlio di puttana mi ha spinto di sotto, e ora dice che è colpa mia se sono in questo stato.

Aveva voglia di piangere.

— Quel pinguino mi ha sputato addosso. Era dell’acido corrosivo! Dell’acido corrosivo sul viso! Ti immagini il dolore? Ti immagini cosa sia, sentire la tua pelle bruciare, come se ti avessero dato fuoco? Non l’avevo immaginato fino ad allora. E maledizione, avrei preferito semplicemente immaginarlo! Era insopportabile!

Di nuovo, aveva dimenticato il resto. Non sentiva altro il bruciore e il dolore. Non sapeva cosa stava facendo, non si ricordava che di Rochat che urlava a Castan, insultandolo: “io ti butto fuori, maledetto stronzo di merda, tu sei il più grande incompetente che ho mai visto!”
E improvvisamente, la liberazione. Del freddo. Era riuscito ad appoggiare la sua testa in dell’acqua ghiacciata, forse in un lago o in un fiume sotterraneo. Non si ricordava più.

— Ho sentito un colpo, come se sparassero con un fucile. Poi Mirabelle ha gridato “Maledizione, non ha funzionato, la pelle è troppo spessa!”. Poi ho visto il pinguino fuggire nel fiume in cui avevo la testa. Era un fiume, non un lago. Ho visto quella bocca, piena di… spine e quegli occhi furiosi… È ovvio che l’abbiamo spaventato, è per questo che ha attaccato. Ha pensato che noi fossimo un pericolo e si è difeso, come farebbe qualsiasi animale. E poi…

E non si ricordava di nulla. Solamente della voce di Mirabelle che gli chiedeva “Dottor Renault, come vi sentite?” e Rochat dire “Dobbiamo portarlo via, dimenticate il pinguino!”.
E si era risvegliato ai pronti soccorsi, ricoverato per “gravi bruciature corrosive”.

— In effetti, non sono nemmeno arrabbiato contro il pinguino. Ha solo provato a difendersi ed è normale. Sono solo arrabbiato con quel codardo di Castan, lo detesto! Lo detesto!

Scoppiò a piangere. Era troppo. Aveva bisogno di esteriorizzare le sue emozioni e Manuel era il miglior compagno d’ascolto. Non aveva mai ripetuto nulla agli altri.

— Spero che si farà licenziare e che non troverà mai lavoro! Non merita di meglio!

— Ehi, che cosa succede?

La porta s’aprì e due uomini entrarono nell’ufficio. Entrambi alti e muscolosi, vestiti con l’uniforme della FIM Brise Glace, e un po’ più giovani di lui. Il primo aveva i capelli bruni, con delle meches grigie come i suoi occhi, un barba corta e gli occhiali. Il secondo era più piccolo è più tozzo, con i capelli rossi ondulati, lentiggini e gli occhi marroni.
Il capitano Daniel Rochat, conosciuto per la sua disinvoltura e il suo accento tipicamente svizzero, e il suo subordinato, il luogotenente Laurent Mirabelle, conosciuto per imprecare in vietnamita quando si arrabbiava. Due tizi bizzarri, ma erano piuttosto simpatici.

— Serge? Come va?

Sorrise. Rochat li diede una bottiglia che posò sulla sua scrivania. Dell’alcool svizzero, certamente.

— Sto bene, grazie, rispose Serge.
— A chi parlavi?

Rochat guardò attorno alla scrivania e vide Manuel, che stava continuando a mangiare nella sua gabbia. Serge sorrise al suo migliore amico, l’unico che lo ascoltava ogni volta.

— Serge, stavi veramente parlando al tuo topo?

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