Dolcetti
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Vorrei nuovamente affermare che 106 non è, come comunemente si crede, un basico predatore, alla pari di uno squalo sviluppato. SCP-106 è un essere senziente, sebbene totalmente alieno. SCP-106 sembra essere consapevole di diverse cose al di là dell'ambito del puro istinto e della memoria genetica. SCP-106 fugge solamente nei momenti in cui il recupero e il contenimento sono più difficili. Una volpe può uscire da una trappola, ma solo un uomo aspetterà che i suoi rapitori distolgano lo sguardo per fuggire.

-Dr. Allok
“Sulla senzienza degli umanoidi contenuti”


"Per l'amor di Dio, dove diavolo è?"

L'agente Weng sospirò, massaggiandosi il viso oltre la maschera. La notte era gelida, ma tutti e tre gli uomini stavano sudando copiosamente. Tutt'intorno a loro vagavano obbrobri, mostri, demoni, animali fantastici e oggetti animati, ridacchiando e ruggendo mentre si spostavano. I tre uomini con maschera antigas e tute corazzate sembravano poco vestiti se paragonati a loro. Mentre aspettavano, un uomo si avvicinò improvvisamente, una mano guantata afferrò lo zombi leggermente ubriaco e lo avvicinò per alcuni secondi, prima di rilasciarlo di nuovo nella marea di uomini, la bestia non morta imprecò e traballò mentre si allontanava.

“Cazzo, stronzate di Halloween. Dobbiamo bloccare l'intera area."

L'agente Drak scosse la testa, indicando i branchi di festaioli in costume. “L'automotrice è passata troppo vicino alla città. Non doveva nemmeno trovarsi su questa strada, si pensa che MC&D abbiano incasinato qualcosa. Non si può bloccare l'intera città senza gravi ricadute."

“E che diavolo pensano che accadrà adesso? Il vecchio bastardo è là fuori, e non possiamo nemmeno fottutamente trovarlo!” Weng diede un calcio a una cartaccia lanciando occhiatacce a tutti coloro che non erano costretti a inseguire l'inferno per sopravvivere.

“Tranquillo, omone. Il Comando dice che il vecchio prende solo un paio di persone e poi fa quella cosa da coccodrillo pigro. Sarà più facile da insabbiare rispetto a una grande città messa in quarantena ad Halloween.”

Parks, che fino ad ora era stato poco più che una statua, si introdusse con la sua voce roca e gracchiante. "Quanto è difficile trovare un vecchio decrepito che uccide tutto ciò che tocca?"

Weng scosse la testa, continuando a scrutare la folla. “Appare solo come un vecchio per la maggior parte del tempo. Può apparire come più gli aggrada. Normalmente diciamo alla gente di seguire le urla. Ma ora questo non ci serve a un cazzo di niente. Dove diavolo è il nostro esperto?"

Una risatina fragorosa e cigolante venne trasmessa dalla radio. “Harken afferma di essere un esperto di SCP-106 tanto quanto un sopravvissuto a un incidente aereo è un esperto di aviazione. Non applicheranno le tecniche da laboratorio fino alla nostra valutazione iniziale. Per ora siamo soli."

I tre uomini rimasero in piedi, circondati da creature terrificanti, cercandone una che avrebbe fatto sembrare inappropriate tutte le altre.


L'angelo ubriaco vagò sul bordo del fuoco. Demoni, zombi e icone della cultura pop le ruotavano attorno, muovendosi come una singola massa, prima di sparpagliarsi in piccoli gruppi e coppie, solo per poi riunirsi nuovamente. Il falò sembrava ruggire a tempo con la musica martellante, il campo scelto per l'improvvisa invasione di adolescenti era abbastanza lontano da evitare lamentele dovute al rumore, ma non abbastanza per evitare visite indesiderate da parte degli adulti. L'alcool abbondava, la gente ridacchiava e l'intensità delle inibizioni abbassate e dell'angoscia adolescenziale erano dense nell'aria gelida.

La notte era ancora giovane, eppure già molte coppie si erano allontanate dalla comodità del fuoco, per cercare altre comodità al buio, molti boschetti isolati ​​circondavano il campo. L'angelo fissò gli alberi silenziosi bevendo una birra quasi vuota. La svuotò, poi la gettò a terra, facendola unire una miriade di altre bottiglie calpestate e impresse nella terra soffice. Anche lei avrebbe voluto essere stretta in un caldo abbraccio, baciando una bocca tiepida… ma no, lei aveva scelto l'unico ragazzo che riteneva l'attimo prima di una festa come il momento migliore per parlare delle sue "preoccupazioni sulla nostra relazione". Bastardo.

L'angelo, ora con le ali sbilenche, cominciò a vagare verso quegli alberi freddi e scuri. Si fotta… se voleva metterla da parte, va bene… ma ciò non significava che non si sarebbe comunque divertita. Ridacchiò un po', finalmente stava sorridendo di nuovo. Perché non divertirsi un po'… fare uno scherzetto e prendersi un dolcetto. Rise, il rossore del divertimento adultero e dell'alcool era evidenziato dalle sue guance. Aveva visto uno dei ragazzi della sua sala studio girovagare qui… forse avrebbe potuto trovarlo e farsi un po'… conoscere meglio.

Entrò nella gelida oscurità con una risatina occasionale, un debole sussurro o un rapido bagliore erano l'unica conferma della presenza di vita. Inciampò su una radice, barcollò in avanti e appoggiò la mano su un tronco d'albero viscido. Allontanò la mano quasi all'istante, quella macchia melmosa e trasudante le bruciò il palmo, la perdita di sostegno fece quasi finire l'angelo a terra. Avvicinò la mano agli occhi, riuscì a scorgere una macchia di gelatina oleosa e spessa che la ricopriva, il bruciore stava aumentando quando notò delle strane rientranze nel tronco dell'albero.

L'angelo rabbrividì, improvvisamente sobrio e pienamente consapevole del fatto che nessuno sapeva dove fosse. Sapeva che non c'era nessuno nelle vicinanze da poter chiamare. Tentò di pulire il palmo della mano sulla sua gonna paffuta, senza notare la macchia rossa e nera che ci aveva lasciato, i suoi occhi erano spalancati e stralunati, una parte profonda e lontana del suo cervello aveva fatto scattare un allarme. Iniziò a camminare, rapidamente, concentrandosi sulle fiamme ondeggianti del falò, cercando di rendere tutto questo una sciocchezza, ignorando l'insensato panico crescente.

Un ramoscello si spezzò dietro di lei.

Si bloccò e sbiancò, la mano grondante di sangue a causa della ferita corrosiva l'avrebbe inorridita se avesse guardato. L'angelo non osò voltarsi indietro, ma aveva troppa paura di correre, di sentire qualcosa che la seguiva, la raggiungeva, l' afferrava. Trascorsero alcuni momenti, pieni di nulla, l'angelo finalmente decise di correre proprio nel momento in cui una mano sottile e ossuta le attraversò il costume e i muscoli della schiena come un bambino cattivo che preme le mani in una torta.

Urlò, o provò a farlo, il suono si ridusse a poco più di un sibilo a causa dell' intensità del dolore, gli arti improvvisamente immobili e rigidi, i nervi non trasmettevano nulla oltre all'agonia. Sentì delle dita toccarle le costole dall'interno, anche mentre venivano lentamente sciolte e corrose, il suo corpo si ruotava lentamente verso il possessore della mano. Lo sfarfallio del fuoco distante rivelò qualcosa di avvizzito, scuro, viscido e melmoso, ma allo stesso tempo robusto e forte. Due occhi neri come la pece la fissavano da una testa troppo grande, congelata in un ghigno inquietante composto da denti magri e scheggiati.

L'angelo immobilizzato ansimò e rabbrividì, sentiva una sostanza oleosa e corrosiva filtrare nel suo corpo, cercò di ignorare una sensazione di lenta caduta, si forzò di non notare il terreno sotto di lei diventare sempre più molle mentre ingoiava entrambi i loro corpi centimetro per centimetro. Il mostro si avvicinò, ma nonostante le terribili fattezze di quella faccia, una parte ancora sana della sua mente accolse con piacere quella che sicuramente sarebbe stata la fine del suo dolore. Indugiò, tuttavia, mentre l'altra mano contorta a mo' di artiglio si sollevava e il terreno iniziava a ingoiarle i fianchi.

Questo tocco investì l'angelo con una nuova paura, il suo viso era fisso su quegli occhi marci. Riconobbe la lucentezza dentro di loro e urlò a causa di un nuovo orrore represso, anche mentre il mostro le strappava il vestito e la pelle come se fossero nastri fradici.


Jason correva, i suoi polmoni bruciavano, cercava di gridare aiuto tra una boccata d'aria e l'altra. Il suo costume di Batman sembrava una presa in giro ora, corse tra i lampioni, sentendo quel punto caldo di pipì sui pantaloni. Dov'ERANO tutti? Era stato così stupido, aveva cercato di fare il ragazzone coraggioso ed era uscito da solo… ora era davvero solo, e probabilmente i suoi amici erano già stati mangiati.

Non lo sapeva con certezza, ma quando l'uomo nero comparve da un albero iniziando a trascinare i bambini contro un muro che all'improvviso sembrava fatto di sabbie mobili, ne fu abbastanza sicuro. Non era stato in grado di fare nulla, potè solo guardare mentre quelle lunghe dita ossute afferravano i suoi due migliori amici e… li trascinavano via, come bambole, riuscendo a malapena ad urlare prima che il soffice muro nero li inghiottisse. L'uomo nero mise le dita negli occhi di David proprio come quando papà gli insegnò a tenere in mano una palla da bowling, e…

Jason si sentì improvvisamente male dall'addome in giù, la massa di cioccolato mezzo digerito assomigliava in modo inquietante alla melma che si era sparsa dappertutto quando il vecchio rachitico, alto e nudo era comparso dall'albero. Si fermò, cadendo sulle ginocchia, tossendo e sputando, lanciando un debole grido di aiuto nella notte fioca. Questo svanì, ignorato da tutti, il ragazzo non era neanche in grado di piangere, troppo intorpidito dalla stanchezza e dal terrore. Notò a malapena i passi non appena lo stavano per raggiungere.

Alzò lo sguardo, pronto a chiedere aiuto a qualunque adulto vedesse. Poi vide le gambe. Sottili e nere, i piedi erano carnosi e piatti a causa dell'età, il cemento sotto di loro era crepato e appiccicoso. Jason guardò ancora più in alto, tremando sempre più violentemente. I fianchi secchi, il petto appiccicoso e tonico che non si gonfiava nè sgonfiava… e infine quella testa terrificante che sembrava una specie di zucca marcia, nera e oleosa come un secchio di catrame. Gli occhi erano fissi sui suoi, lucidi e vuoti come una torcia elettrica in un seminterrato. I denti erano separati, una specie di melma viscida si muoveva tra di loro.

Jason inciampò all'indietro, ansimando, cercò di urlare ma non riusciva nemmeno a respirare correttamente. Fissò l'uomo nero mentre faceva rotolare qualcosa nel palmo di quella mano sottile e malridotta, la mise tra due dita ossute e la sollevò fino alla bocca. Il ragazzo pensò che fosse una caramella o qualcosa del genere, ma poi vide il luccichio del metallo.

Era il dente anteriore del suo migliore amico Anthony. Aveva ancora la staffa del suo apparecchio.

L'uomo nero lo mise tra i denti delicatamente, un dente ancora bianco e pulito in quella bocca sporca e gocciolante. Sembrava che volesse tenerlo lì per un attimo… poi la mascella si chiuse di colpo, e il dente tremò… scoppiando come una spacca-mascella sotto la gomma di un' auto. Lo masticò due volte, poi si fermò, fissando ancora il ragazzo. Il tempo passava, Jason non sapeva più se stesse respirando, sapeva che questa era la fine, questo era ciò che succedeva quando non ascoltavi, quando te ne andavi in giro da solo, l'uomo nero sarebbe arrivato e ti avrebbe preso, sempre e comunque…

Ma non lo fece. Si girò, sembrava pronto a fare un passo… poi cadde in avanti, lentamente, come un vecchio che inciampa su una scarpa. Il mostro nero stava per colpire il suolo… ma ci cadde attraverso, come se fosse fatto d'aria, non restò altro che una macchia nera sul cemento… e la minuscola staffa corrosa del dente.

Quando lo trovarono, ore dopo, l'aveva stretta così forte da conficcarsela nel palmo della mano.


Il ragazzo era seduto, comodo e infelice. Sua madre era stata abbastanza gentile da lasciargli indossare il costume di Mario, ma lui stesso doveva ammettere che probabilmente era troppo malato per girovagare per casa, figuriamoci fuori per ore, al freddo. Si era svegliato vomitando, ed aveva continuato, i suoi genitori sperarono nel meglio, ma alla fine furono costretti a cancellare il dolcetto o scherzetto. Per quanto fosse triste, avevano fatto del loro meglio per farsi perdonare. C'era una piccola ciotola di caramelle per lui, gli promisero che gli avrebbero lasciato gli avanzi, e che avrebbe potuto guardare tutti i film dell'orrore che voleva.

Tok tok

"Dolcetto o scherzetto!"

“Oh, che tartaruga carina! E tu cosa sei, tesoro?"

"Sono Rapunzel!"

"Bene, ecco a te, principessa!"

"Grazie!"

Non volle nemmeno aiutare a passare le cose. Era meglio provare ad ignorare, fingere che anche tutti gli altri fossero dentro casa, questo lo faceva stare un po' meglio. Abbassò un po' il cappello floscio, cercando di convincersi che la pancia non avesse un riccio rotolante al suo interno. Guardò gli zombi barcollanti sullo lo schermo, quasi desiderando che le persone urlanti in cerca di riparo fossero i suoi compagni di scuola.

Tok tok

"Dolcetto o scherzetto!"

"Oh, che bel vampiro!"

“Sono draculaura! Rawr!”

“Che spavento! Ecco qui…"

"Grazie!"

Alzò il volume, i gemiti cupi dei morti soffocavano le grida felici dei vivi. Il peggio sarebbe stato domani, costretto ad ascoltare gli altri, guardarli mentre mangiavano caramelle parlando delle case che avevano visitato e delle varie avventure che avevano vissuto. Sospirò e deglutì a fatica, lo stomaco rumoroso gorgogliò lentamente. Il ragazzo spinse via le caramelle che stava mordicchiando, improvvisamente disgustato persino dal loro odore.

Knock

“…”

“Ciao? …oh…”

“…”

"Uh, sei con-ODDIO!"

Il grido improvviso di sua madre fece immediatamente alzare il ragazzo in posizione eretta, facendo brontolare ancor di più lo stomaco, ma ora questo era irrilevante. Non riuscì a vederla dal divano, ma potè sentire dei rumori, urla martellanti e ovattate… e una specie di fruscio viscido, come liquame su foglie secche. Si alzò in piedi e sbirciò da dietro il muretto che separava l'ingresso, chiamando la madre con voce titubante, spaventato di non ricevere risposta, ma allo stesso tempo anche di riceverne una. Si trovava a pochi metri di distanza quando la mano afferrò il muro, stringendolo con forza.

Era grigia-nera e magra, ossuta come quella di sua nonna, con unghie larghe e piatte che stringevano la vernice con forza. Ovunque toccasse, si diffondeva una macchia nera, come grasso su un sacchetto di carta, le nocche sembravano gonfie e spesse mentre si curvavano. Il ragazzo la fissò indietreggiando lentamente, chiamando di nuovo sua madre con una voce supplichevole. La mano si piegò affondando effettivamente nel muro mentre la macchia si espandeva. Un incubo sbucò da dietro l'angolo.

La testa era larga, deforme e grumosa, come uno spaventapasseri mal fatto, la pelle era sottile e gelatinosa. Due occhi solidi e luccicanti dello stesso colore delle larve lo fissavano da sopra uno squarcio sottile e largo, la bocca. I loro occhi si incontrarono e il ragazzo sentì la paura scorrergli dalla testa ai piedi, lo stomaco ribolliva come una teiera dimenticata su un fornello. I nervi gli intimavano di correre, di scappare, ma non riusciva a smettere di guardare quegli occhi, i suoi piedi si muovevano lentamente all'indietro come quelli di un sonnambulo. La mano e il viso si mossero un po' seguiti da un forte rumore di trascinamento mentre sua madre compariva da dietro il muretto.

Era morta, o quasi, avanzava grazie alla mano nel petto come un burattino da calzino, alcuni pezzi del suo corpo erano neri e pastosi, macchie nere le divoravano il viso, il collo, le braccia. Il suo petto era un buco nero, ricoperto di gelatina, l'altra mano di quella cosa lo attraversava fino al polso, i resti esangue e sfigurati di sua madre pendevano da essa come una bambola di pezza. Gridò, poi vomitò poco più di una massa di liquidi gastrici e spuntini mezzi digeriti, poi corse, urlando mentre saliva le scale, chiamando sua madre, suo padre, qualcuno, chiunque.

Si lanciò in bagno sbattendo la porta, tremò e pianse. Suo padre era andato a fare un giro, sarebbe tornato a casa da un momento all'altro e in qualche modo avrebbe risolto questa situazione. Avrebbe chiamato gli sbirri o qualcosa del genere, lo avrebbe fatto uscire di casa, avrebbe allontanato quella cosa nera il più possibile. Forse la mamma era solo ferita, la gente si riprende anche da traumi molto gravi, l'aveva vista solo per pochi secondi. Quel tizio era solo uno psicopatico in costume, probabilmente sarebbe scappato sentendo qualcuno arrivare, e poi sarebbe stato tutto a posto, sarebbe andato tutto bene. Continuava a sussurrarlo tra sé e sé con i piedi appoggiati sul lavandino e la schiena contro la porta.

Lo stava ancora ripetendo quando la faccia attraversò il legno sopra di lui.

Udì un crepitio e guardò in alto, vide quella faccia infernale che guardava in basso, a pochi centimetri dalla sua testa. All'improvviso il pavimento sotto i suoi piedi divenne fangoso e morbido mentre il mostro lo fissava con la bocca spalancata, lasciando che la lingua marcia e gonfia come un pesce morto rotolasse libera… giù… e giù, scivolava come sciroppo sulla sua faccia inorridita, lo bruciava mentre sentiva le gambe affondare sempre più, incapace di muoversi con quella sostanza morbida e viscida che gli bruciava il viso come acido, sentendo il suo naso ardere come una gomma usata troppo, urlò abbastanza a lungo da far entrare qualche metro di quella lingua senza fine nella sua bocca, vomitò violentemente prima che i nervi morissero, iniziò a svenire mentre l'incubo assaporava i suoi occhi.


Drak si svegliò sentendosi come se avesse dormito su una pila di pezzi di macchine arrugginite. Si sedette, torcendosi e cercando di localizzare la fonte del dolore pulsante nella sua gamba, che… la memoria lo inondò colpendolo come un treno merci. Corse per la città. Si fece strada tra la folla, vide il braccio avvizzito e malridotto che giaceva a terra. Urla. Gente che fugge. Quell'orribile faccia nera che emerge dal terreno, gli occhi fissi sui suoi. Parks spara. Altre urla. Una mano decrepita lo raggiunge, lo afferra, lo trascina…

Oh dio no.

Si guardò attorno inorridito, supplicando il proprio cervello di stargli mentendo. La stanza era buia, sporca e col soffitto basso, c'erano molti mucchi di terra e detriti negli angoli, la vernice grigiastra si staccava come stelle filanti sfilacciate, il soffitto e il pavimento erano macchiati e si deformavano. Una porta si aprì nell'oscurità, un rumore vago e insistente proveniva da molto lontano. La luce era fioca, ma non sembrava provenire da nessuna parte, sembrava solo un debole bagliore onnipresente con una tonalità leggermente verde, come l'acqua dell'oceano profondo.

Drak conosceva questa stanza, anche se non ci era mai stato. O almeno era molto simile a quelle che conosceva. Al vecchio piaceva scaricare qui le sue nuove prede prima di… trovarle. Drak si alzò rapidamente, chinandosi per evitare un rigonfiamento del soffitto. Non voleva che nemmeno le sue scarpe toccassero questo posto, figuriamoci tutto il resto. Fece una smorfia, avvertendo un dolore intenso e profondo alla gamba, nel polpaccio. Probabilmente dove era stato afferrato… e col cavolo che avrebbe controllato. Zoppicò un po', per assicurarsi di poter sopportare il peso, gli occhi studiavano ogni superficie.

Respirò lentamente, profondamente, ricordò il dossier, il brief. Il tempo era soggettivo, sarebbe potuto essere svenuto per secondi o settimane. Al coso piaceva giocare a gatto e topo, rintracciando le prede in giro per la sua… casa, o sala giochi, o qualunque cazzo di cosa fosse. Lo spazio era infinito, ma a volte le persone uscivano o venivano rilasciate. Bisognava continuare a muoversi, non nascondersi, perché lui era Dio qui e lo avrebbe saputo. Sentì il panico strusciare sulle pareti del suo cervello e lo respinse, violentemente, con la faccia assorta e cupa. Varcò la porta ed entrò nell'oscurità.

La sala era lunga e dissestata come un corridoio d'ospedale dopo un terremoto. Non c'erano grandi buche, era solo contorto e inclinato in modo strano. Si spostò con passo felpato, il più vicino possibile al muro, ma senza toccarlo, sentì uno scricchiolio di gesso sotto i suoi piedi. Il rumore era più forte, il suono di un acuto pianto monotono. La tensione era al massimo, ma avevano detto che sarebbe stato così. La chiave era continuare a muoversi, continuare a cercare. Sì, era infinito, ma se continuavi a muoverti, sembrava che 106 sarebbe andato in confusione o avrebbe perso la cognizione delle cose, e avresti potuto accidentalmente tornare nel mondo esterno. Continuava a ripetere questi passi nella sua testa come una preghiera, ignorando la parte in cui 106 di solito cacciava le prede per sempre.

Girò a destra alla fine della sala, ne passò un'altra, poi girò a sinistra, iniziando a muoversi più velocemente, ignorando gli strani tubi e cavi contorti e corrosi in alcune delle stanze che aveva attraversato, o i suggestivi tumuli mollicci di… qualcosa. Il pianto continuava a diventare più forte, il gemito acuto e gorgogliante di un bambino. Ignoralo, continua a muoverti. Confidò nella sua fortuna, avrebbe potuto far risuonare l'intero posto come il trapano di un dentista se avesse voluto. Drak si precipitò in un corridoio, quasi in un vicolo cieco, cercando di non notare la crescente umidità delle pareti, la trama mutevole delle cose. Intonaco sgretolato su vecchi mattoni verdastri, il pavimento passava dalla ceramica rotta, al cemento, allo sporco.

Svoltò ad un angolo, troppo in fretta, una chiazza nera e appiccicosa gli fece scivolare il piede, facendolo quasi cadere in ginocchio. Si resse allo spoglio muro di mattoni umidi. Guardò nella stanza buia e muscosa, il suono del pianto impotente, arrabbiato, era più forte che mai. Si bloccò, osservando da mezzo accovacciato e aggrappato al muro. Era in piedi nel mezzo della stanza, ai suoi piedi c'era una grande pozza di gelatina nera che gli arrivava fino alla caviglia. Il vecchio girava, lentamente, dondolando da un lato all'altro. Il pianto proveniva dalla cosa tra le sue braccia.

Era un busto, avvolto in quello che sembrava filo spinato. Il filo si infilava dentro e fuori dalla carne, in alcuni punti sembrava che il sangue scorresse su di esso come il ripieno di una caramella. I resti frastagliati degli arti si contorcevano e si allungavano, ogni movimento faceva conficcare e recidere di più i fili. Era pelato, la pelle della testa e del collo sembrava escoriata e marcia, il viso era una maschera di dolore. La gola era stata… aperta, attentamente, attorcigliata e trattenuta dai fili. Il pianto di bambino in realtà proveniva da questo grosso torso, mutilato appositamente per produrre quel lamento pietoso e indifeso.

Il vecchio lo stava guardando. Aveva girato il volto, con gli occhi fissi sull'uomo mentre questo cercava lentamente di alzarsi in piedi, ignorando il sibilo dei suoi stivali, cercando di non pensare a cosa avesse fatto a quella gola, per farla sembrare quella di un bambino agonizzante… o dove fossero finiti gli arti di quel pietoso tronco. Lo fissava, i suoi denti incrinati erano leggermente separati. Lentamente interruppe il suo dondolio. Lasciò cadere il fagotto intrecciato, le braccia gli si avvicinarono esanimi ai fianchi mentre la massa di carne dolorante rimbalzava sul pavimento per poi cadere di faccia nel sudiciume muschioso, protestando con vari respiri nervosi e gorgoglii. Il vecchio si voltò verso di lui con le braccia penzolanti, il suo corpo era avvolto in quella che sembrava una specie di tessuto tagliuzzato, nero e trasudante.

Drak corse, scappando come un cervo spaventato, lasciando perdere del tutto l'addestramento e la ventilazione nel cieco panico animalesco. Urlò, ansimò, parlò, rise, qualsiasi cosa per attutire il suono dei passi lenti e risonanti che si avvicinavano alle sue spalle. Corse, corse e corse, cadendo e colpendo il terreno come se fosse stato colpito da un'auto, ansimò aspettando la fine, i suoi muscoli pulsavano… prima o poi sarebbero ricominciati, quei passi leggeri e fruscianti che lo avrebbero costretto a fuggire ancora e ancora.

Non lo sapeva, ma avrebbe corso per quattro giorni prima che il vecchio iniziasse a togliergli pezzi di corpo.


Il recupero avvenne nelle ore prima dell'alba in assenza di sole o luna e proseguì sorprendentemente bene, tutto sommato. SCP-106 venne trovato nel mezzo di un campo, mentre danneggiava e rompeva delle zucche schiacciandole o calpestandole. La squadra, con un uomo in meno, fu infine rinforzata un'ora prima della cattura, spinsero il vecchio nella camera di recupero con le grandi "armi solari" alogene quasi accecando due membri dell'equipaggio di recupero nello zelo di riaverlo sotto chiave.

Si sedette nella cella, non tentò di fuggire neanche per un momento. Sedeva senza fare nulla, con la testa inclinata, le braccia e le gambe inerte. Un membro della MTF dichiarò che sembrava sazio; gli venne conseguentemente detto di stare in silenzio in veste ufficiale. Le sparizioni furono insabbiate, gli omicidi smorzati e resi insignificanti, le leggende urbane invalidate ed eliminate. Tutto sommato è andata bene, dopo la fine dell'inferno.

Settimane dopo, una I.A. di osservazione scrisse nota nel diario di bordo. SCP-106 è osservato produrre improvvisamente una grande manciata di piccoli oggetti bianchi, successivamente identificati come ossa di dita e denti, per poi riporli sul pavimento. Successivamente ordinò gli oggetti in quelle che sembravano pile casuali, in seguito rivelate essere classificate in base all'età della vittima. Ha quindi fissato questi oggetti per diverse ore prima di raccoglierli nuovamente.

Il significato di questo gesto non venne considerato necessitante di contemplazione.

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