Non Rivedere Mai Più la Luce del Sole
voto: +4+x
blank.png

Non Rivedere Mai Più la Luce del Sole
Il Dipartimento di Anormalità


Prologo

Il cielo era scuro e nuvoloso sopra la riva; la furia di un temporale estivo si avvicinava alla sponda. Nuvole gonfie di pioggia e pronte a scoppiare incombevano a bassa quota e il vento che soffiava dal lago spingeva l’acqua contro le spiagge. La temperatura calò e, in lontananza, un tuono rimbombò attraverso la vasta distesa, quasi con malevolenza. Sotto quel cielo minaccioso, su una strada stretta e tortuosa dall’altra parte della rupe, guidava una macchina lunga e nera. Il rombo del motore si alternava ai tuoni, come se i due rumori stessero esprimendo i loro rancori l’uno all’altro e al mondo, mentre il veicolo viaggiava verso gli ultimi raggi tenui del crepuscolo.

In fondo alla strada c’era una dimora padronale; un’immensa magione circondata da un’alta recinzione di filo spinato e protetta da un solo cancello d’ingresso. I terreni erano semplici e ben curati. La muratura in pietra dell’edificio principale era ricoperta di rampicanti neri e verdi, con fiorellini viola riparati dal diluvio imminente. Nel cielo saettò un fulmine, che illuminò per un attimo la parola incisa su una decorazione di metallo fusa nel cancello: “DARK”. Il cielo si aprì.

La macchina nera accostò al cancello e fece lampeggiare i fanali. Una delle finestre oscurate della magione si illuminò e qualcuno scostò una tenda. La macchina fece lampeggiare ancora i fanali e la persona alla finestra sparì. La luce nella casa si spense. Sopra il lago rimbombarono altri tuoni e, un attimo dopo, il cancello davanti a loro si aprì piano piano, come se lo stessero aprendo con grande sforzo.

La vettura proseguì verso la casa, dove si fermò sotto un vialetto coperto che conduceva al portone d’ingresso. Ad aspettarli c’era un uomo smilzo coi baffetti e i capelli neri laccati all’indietro: il maggiordomo. L’autista scese dalla macchina e ci girò intorno per raggiungere la portiera posteriore; la sua giacchetta lo riparava ben poco dal temporale. Il maggiordomo, impassibile, fece un lieve inchino quando dalla vettura scese un uomo.

Era alto e i suoi lineamenti erano nascosti dal velo di pioggia e crepuscolo. Indossava un paio di guanti neri, i cui dorsi erano marchiati con un simbolo cucito con filo argentato. Indossava un cappotto grigio scuro con bei bottoni decorati in oro satinato. Portava un cappello a cilindro nero, adornato con una “W” viola chiaro dal contorno dorato. Rivolse un rapido cenno al maggiordomo e, appena lo fece, sul suo cappotto caddero pagliuzze di ruggine da dove avrebbe dovuto trovarsi la sua faccia. L’uomo indugiò, si scrollò il metallo di dosso e si strofinò la faccia. Il suo guanto si unse di olio. Il maggiordomo ricambiò il cenno ed entrarono nella magione insieme.

La sala principale era vasta e vuota, persino più grande di quanto sembrasse dall’esterno. Era quasi del tutto buia, a parte una piccola torcia appesa vicino a un camino crepitante che forniva un po’ di conforto dall’oscurità opprimente. Il maggiordomo guidò l’uomo col cilindro verso il camino, dove un altro uomo sedeva su una sedia dallo schienale alto, di fronte a una sedia vuota. Quando si avvicinarono, il maggiordomo indicò la sedia libera. Quando l’uomo col cilindro si voltò, il maggiordomo era sparito.

Prima che l’uomo col cilindro potesse sedersi, l’altro uomo si alzò. Era di statura media, giovane, forse sulla prima quarantina. Era ben rasato. I suoi capelli castani si stavano ingrigendo sui lati e la sua pelle si raggrinziva un po’ sotto gli occhi, ma aveva lo sguardo feroce e il sorriso risoluto. Si avvicinò all’uomo col cilindro e tese la mano. Strizzò gli occhi al buio per guardare oltre il colletto alto dell’uomo e salutò:

«Bertrand, sono così lieto che tu sia riuscito a…»

«Non lo farei se fossi in te, Skitter»

Skitter Marshall si accigliò e arretrò.

«Quanto è grave?»

Bertrand Dupont La Fontaine Morgrave Wondertainment fece un passo verso la luce del camino e si tolse il cappello, a cui rimasero appiccicati spessi filamenti di lubrificante. Si sbottonò la giacchetta con mano tremante e i denti gli striderono. Bertrand si tolse la giacchetta e la appese allo schienale della sua sedia. Fumava e l’interno era incrostato di polvere arancione di ossido di ferro. Non si tolse i guanti.

Bertrand dimostrava una sessantina di anni ed era alto, con una folta barba bianca e i capelli ben pettinati. Indossava un completo su misura di cui ogni pezzo era un completamento degli altri. Pantaloni grigi, una camicia bianca di classe e un panciotto viola con la stessa finitura dorata del suo cappello. Skitter sapeva che il dottor Wondertainment era tra gli individui meglio vestiti che avesse mai conosciuto e quell’incarnazione di lui non faceva eccezione. Tuttavia, al contrario di quelle precedenti, l’abbigliamento di quell’incarnazione era imbrattato di sangue e olio e macchiato di ruggine e ferro.

Il suo corpo era un orrore vivente. Metà della faccia era sfondata quasi del tutto, la pelle era ricoperta di pagliuzze di metallo e grondava di composti chimici. Gli mancava un occhio e, ogni volta che apriva la bocca, altri pezzi della guancia si staccavano e cadevano sul pavimento. I suoi capelli bianchi erano arruffati e aggrovigliati, pregni di sangue. Il collo era cosparso di grosse piaghe arrugginite da cui colavano fluidi industriali, come se fossero pustole meccaniche. Parlava con una voce metallica e distante, come se fosse trasmessa da un megafono rotto. Skitter fece un passo avanti, si sporse verso di lui e mormorò:

«Cristo, sei messo peggio di quanto immaginassi. Lo sai, vediamo cadaveri che ti somigliano. Nelle tue stesse condizioni. Ma non abbiamo mai visto nessuno ancora vivo, tra quelli ridotti così. Dev’essere atroce»

Indietreggiò e osservò lo stato di Bertrand, che grugnì. Skitter annuì con fare empatico.

«So che non vuoi sentirtelo dire, Bertrand, ma ti avevo detto che sarebbe successo. È impossibile entrare nella Fabbrica e uscirne. Non lo fa nessuno. Non è mai successo. È pazzesco che tu abbia pensato di poter essere il primo»

«Avevo faccende lì dentro»

Dalla bocca di Bertrand usciva del fumo. Dietro la sua orbita vuota, ardeva una brace.

«Sì, come ne abbiamo avute tutti, talvolta. Ma noialtri abbiamo avuto il buonsenso di trattenere l’impulso di sbrigare quelle faccende. Una volta che qualcosa entra nella Fabbrica, è perduto»

«Ne sono uscito, quindi si può fare»

«Ne sei uscito, certo, ma non è ancora detto che ne rimarrai fuori»

La voce di Skitter era carica di sarcasmo. L’occhio buono di Bertrand batté la palpebra:

«Puoi aggiustarmi?»

Skitter alzò un sopracciglio:

«Di certo non ho le mani d’oro come il signor Dark, ma la sua assenza ci permette di usare le sue strutture, che potrebbero bastare a compensare la mia manualità carente»

Tese il braccio e prese il suo cappotto e un bicchiere di liquore dal forte aroma di erbe. Quando si incamminarono verso una porta in fondo alla sala principale, Skitter bevve un sorso di liquore e affermò:

«Sai che sarà doloroso, vero?»

Bertrand annuì.

«E per farlo dovrai rinunciare a qualcosa, Bertrand»

«Qualunque cosa»

«Deve essere uno dei tuoi»

Bertrand esitò:

«Perché? Ho risorse. Risorse in abbondanza»

Skitter scosse la testa:

«No, Bertrand, temo che sia inutile. Vedi, io e te viviamo in un mondo in cui i soldi hanno valore. Possiamo comprare una cura per il cancro, perché qui coi patrimoni si comprano i miracoli. Ma alla Fabbrica non importa dei soldi. Il suo pagamento per la tua intrusione eri tu e non accetterà nulla di meno»

Si fermò e si voltò verso Bertrand, che ora sembrava faticare a stare dritto.

«Non so se funzionerà, Bertrand. In questo mondo ci sono luoghi oscuri e ti sei ritrovato a scavare intorno a uno di quelli più oscuri in assoluto. Le loro regole sono diverse, come lo è la loro percezione della vita e della morte. Non si può annullare la cosa che hai fatto, ma la loro magia non è infallibile. Occorrerà convincere quell’essere che ti ha ancora in pugno, Bertrand, e non possiamo farlo senza uno dei tuoi»

Si voltò e continuò a camminare. Dietro di sé, udì l’accenno più tenue di un singhiozzo soffocato, poi il fruscio dei piedi di Bertrand che lo seguiva.


Si aggirarono per i silenziosi corridoi della magione di Dark per una quantità di tempo incerta; a ogni passo, si addentravano sempre di più nel disagio invadente che sembrava quasi manifestarsi intorno a loro, che li opprimeva. Alla fine, entrarono in una stanza appena illuminata da plafoniere, con al centro un tavolo di pietra nera ancorato al pavimento. Sul pavimento erano incise delle rune; le incisioni erano così profonde che sembravano senza fondo. Lungo tutte le pareti c’erano alte vetrate che raffiguravano scene di orrore, stupri, massacri, genocidi e blasfemie; al centro di ogni immagine, spiccava la figura dello stesso uomo basso con una bombetta nera e troppi occhi. Skitter indicò il tavolo e Bertrand ci si sdraiò sopra. La sua pelle sgretolata si sparse sulla pietra fredda sotto di lui. Skitter si rimboccò le maniche e batté le mani due volte. Dal buio apparve il maggiordomo.

«Deeds, portami la scatola in legno di pino nella mia macchina. Dentro c’è un uomo di cui avremo bisogno per l’operazione. E già che ci sei, gradirei che mi riempissi questo»

Porse il bicchiere vuoto al maggiordomo, che annuì in fretta e scomparve di nuovo.

«Quale dei miei…»

Bertrand tossì. Faticava a comporre le parole, con la gola che si riempiva di fluido.

«Quale dei miei sarà? Redd

Skitter andò a un lavandino di pietra in un angolo della stanza, iniziò a lavarsi le mani sotto il rubinetto e rise:

«No, Bertrand. Anche se trovassimo Redd, abbiamo già reso conto di lui. Ecco cosa succede quando provi a creare la vita: gran parte di te si riversa nelle tue creazioni. Sono come un distillato di te. Le tue ambizioni, le tue brame. Le tue manchevolezze. I tuoi difetti. Per quanto debba sacrificare molto per compensare ai loro sbagli, a volte sono loro che devono compiere il sacrificio per te. Che lo vogliano o no»

Fece spallucce e finì di lavarsi le mani, per poi continuare:

«Non intendo sembrarti rozzo, Bertrand. Mi dispiace davvero per te. So quanto è stato orribile, dopo che hai perso Redd, e ti garantisco che questo sarà altrettanto orribile»

Skitter spinse un carrellino di metallo verso il tavolo; su di esso c’erano strumenti affilati, siringhe e svariate figurine di pietra e ornamenti che erano dei pugni nell’occhio. Skitter si infilò un guanto di gomma lungo quasi fino al gomito e prese una siringa. Si avvicinò a Bertrand e fece per iniziare, ma poi esitò.

«Sei un brav’uomo, Bertrand. Non meriti ciò che sta per subire. Anzi, considerato l’effetto che avrà sul signor Smiles, penso che forse te lo meriti»

L’ago affondò nell’occhio di Bertrand e l’uomo sul tavolo gridò.


Era alla deriva nelle tenebre, ruzzolava attraverso un oceano di fumo e olio che si estendeva all’infinito. Non poteva risalire né affondare, non poteva muovere le braccia. Gli bruciavano gli occhi e i suoi polmoni imploravano una misera boccata d’aria. Ogni movimento era impedito dal mare, che lo imprigionava come un insetto nell’ambra e penetrava a forza in tutti i suoi orifizi.

Nell’oscurità davanti a lui, vide la sagoma di qualcun altro. Lo riconosceva, ma non a vista o dai suoni, ma dalla sensazione nel suo cuore, man mano che gli si avvicinava. La sagoma lo studiò per un attimo, poi avanzò verso di lui; la sua vicinanza era dolorosa. La sagoma gli mise le mani sulla faccia, per poi avvicinare la propria alla sua. Lo tirò a sé e la sua bocca si chiuse intorno alla sua testa; lo cullava nell’oceano buio e stagnante della morte.

E poi, un attimo dopo, aria. Il fluido nei suoi polmoni non c’era più, aveva la pelle pulita e gli occhi aperti. Fece un respiro, poi un altro, e avvertì un calore riempire il suo corpo, che gli sembrava freddo da un’eternità. Gridò, ma non di dolore o rabbia, bensì per sentire la propria voce. Sorrise, poi si voltò verso la sagoma davanti a lui, col cuore colmo di gratitudine.

Ma la sagoma che aveva conosciuto era sparita. Al suo posto ce n’era un’altra, che stava soffocando nell’olio e la cui pelle si stava sfogliando. La sagoma si graffiò la faccia, si artigliò gli occhi e aprì la bocca per urlare. Non uscì alcun suono; nient’altro che un flebile ronzio metallico e il rumore di ferro che strideva. Quando Bertrand iniziò a fluttuare verso l’alto e allontanarsi dalla sagoma, quella si voltò e lo guardò dal basso; aveva gli occhi colmi di lacrime insanguinate e strisce di ruggine che scorrevano lungo tutto il corpo. Bertrand si tirò indietro per riflesso, quando la sagoma tese il braccio verso di lui e, quando sparì nell’oscurità, pronunciò una singola parola col labiale:

«Papà»


Bertrand si svegliò in una stanza scaldata da un fuocherello a pochi metri dalla sua faccia. Era sdraiato su uno spesso tappeto morbido, coperto da un lenzuolo caldo. Sentiva odore di alcol e menta vicino a sé. Si rigirò sul fianco, stando attento a non smuovere le bende che lo avvolgevano. Seduto dietro di lui, intento a far oscillare avanti e indietro un bicchiere su un tavolino con un dito, c’era Skitter, che gli sorrise:

«Sei sveglio. Che sollievo: sono passate ore»

Bertrand provò a mettersi seduto, ma il suo corpo si rifiutò e, con un sussulto, ricadde sulla schiena. Skitter rise:

«Non potrai alzarti per un pezzo. Rilassati e basta, goditi il fuoco»

Da una finestra vicina, Bertrand poté vedere un fulmine serpeggiare in cielo, seguito dall’eco smorzata di un tuono. La pioggia batteva contro la finestra incassata e Bertrand sentiva la vetrata scossa in parte dal vento fortissimo. La voce gli tornò piano piano:

«Dimmi cos’è successo. Dimmi com’è stato»

Skitter strinse la mandibola e il suo sguardo si rabbuiò.

«Ha preso, se è quello che vuoi sapere»

Bertrand scosse la testa:

«No. Dimmi cos’hai visto»

Skitter sospirò e indugiò:

«Ho capito perché sei entrato nella Fabbrica. Quanto tempo fa è scomparsa

Bertrand non rispose. Skitter tamburellò il dito sull’orlo del bicchiere e sospirò:

«Me l’ero chiesto, sai? Ho conosciuto quasi cento incarnazioni di te, ma prima di te non se n’è ripetuta nessuna. Sai perché se n’è andata?»

«No»

Skitter annuì:

«Stai mentendo»

Da qualche parte sotto di loro, qualcosa di metallico strillò e squittì. Oltre al rumore di acciaio che strideva, si distingueva una voce umana, qualcosa di tormentato e ululante. L’occhio buono di Bertrand si spalancò. Skitter tossì e continuò:

«So che stai mentendo perché la ruggine mi ha mostrato anche quello. Sono stizziti per quello, sai? Vogliono ciò che è loro dovuto. Che siano prestati loro dei servizi. Un altro tentativo fallito di giocare al dio, Bertrand. Pensavi che l’avessi dimenticato? Ammetto che i teatrini con Redd erano più drammatici, ma non potrei mai dimenticare il tuo primogenito»

Bertrand distolse lo sguardo. Skitter si stravaccò sulla sedia:

«Mi aspetto che a lei non l’abbia detto. Sei stato anche tu, vero? Non una delle altre incarnazioni?»

Bertrand tacque.

«Come pensavo. A modo tuo, sei sempre stato il più ambizioso. Alle altre personcine che hai creato mancava il brio, ma tu? Tu sì che sai rubare la scena. Hai puntato in alto. Questo mi piace, Bertrand. Ti ammiro per il punto a cui sei stato disposto a spingerti. Hai avuto fegato. Vedi, immagino che, quando la Fabbrica è venuta a chiamarla, lei non abbia esitato a rispondere. È così orgogliosa, capisci? Non vuole mai dovere niente a nessuno. Ed è pure testarda: scommetto che è entrata nella Fabbrica a testa alta, come hai fatto tu. Ma non gliel’hai mai detto, com’è ovvio. Non le hai detto cosa si annida nei loro ventri bui, nelle tenebre»

«No»

Bertrand si tirò su. Si sorresse su un gomito e, con uno sforzo erculeo, si spinse verso il camino e guardò Skitter in faccia.

«Non l’ho detto né a lei, né a nessun altro. Gli unici che lo sanno sono quelli che ci sono stati: io e te»

Skitter scoppiò a ridere:

«Sì. Ai tempi eravamo uomini più giovani che facevano patti col diavolo. Tu col tuo e io col mio»

Si sentì un altro grido, seguito da un altro tuono. La casa tremò. Bertrand si guardò le mani, ciascuna avvolta in spesse fasce di lino.

«Me lo devo riprendere, Skitter. Lo rivogliono e non mi daranno Isabel finché non lo riavranno»

Skitter fece una smorfia.

«Isabel non c’è più, Bertrand. Sei stato nella Fabbrica per tre giorni, Isabel è scomparsa da… quanto? Tre mesi? E guarda come ti sei ridotto. Mezzo vivo, senza diverse parti importanti. Di lei non è rimasta più traccia lì dentro, Bertrand»

L’uomo più anziano strinse la mandibola così forte che avrebbe potuto slogarsi.

«No. No, non sarà stata in grado di uscire, ma era ancora lì dentro. Me lo sentivo. Se solo riuscissi a ottenere…»

Skitter lo interruppe con un gesto della mano:

«I sentimenti non tireranno un’altra persona fuori dalla Fabbrica, Bertrand. Inoltre, ciò che vuoi non si può restituire. Vuoi parlare di patti con diavoli? Il patto che abbiamo fatto con esso era semplice, Bertrand: non rivedere mai più la luce del sole. Questi sono vincoli indissolubili. Non li si può annullare»

I due si fissarono in silenzio.

«Mi dispiace. Oggi è stata una giornata abbastanza dura di suo per te. Ma quando me l’hai consegnato, eravamo d’accordo che l’avrei nascosto dove non lo si sarebbe potuto trovare. Dove non lo si sarebbe trovato mai. Te l’ho promesso»

Bertrand grugnì e provò ad alzarsi, ma il suo corpo cedé ancora e cadde come un sacco di patate.

«Dimmi dove l’hai messo. Non mi importa se è in capo al mondo, me lo devo riprendere»

Skitter si alzò in fretta. Aveva gli occhi feroci, ma nel suo sguardo si intravedeva una vaga nota di terrore.

«Non si può fare. Te l’ho detto, Bertrand; non ti stavo mentendo. Non si può fare»

Si strofinò la faccia e, come lo fece, Bertrand intravide qualcosa che si muoveva appena sotto la pelle.

«Non è l’unica cosa che ho sepolto, sai? Ce n’erano altre tre che mi erano molto care. Cose a cui tenevo più che alla vita, ma una parte innata di me riconosceva che non potevo permettere loro di essere libere. Così le ho sepolte e, da allora, le bramo. Se fosse possibile, l’avrei già fatto. Ma non è possibile. Né per te, né per me, né per nessun altro»

Bertrand crollò, sfinito.

«Allora sono perduto»

«Sì. Ora torna a dormire. Domattina, Deeds ti riporterà alla tua macchina e potrai riprenderti per bene a casa. Parlerò di Isabel col signor Dark. Non ti prometto nulla, Bertrand, ma il signor Dark ha trascorsi con la Fabbrica. Se lì dentro è rimasta una piccola parte di lei, potremmo riuscire a recuperarla»

Skitter si alzò, si strofinò i pantaloni e si raddrizzò la cravatta.

«Però tuo figlio, il signor Smiles? Vuoi portarti a casa anche lui?»

Bertrand iniziò ad avvertire un formicolio. Nel suo cuore si risvegliò qualcosa di primordiale e fu pervaso dalla paura.

«No. No, non posso. Non posso rivederlo, scusa»

Skitter fece spallucce:

«Non chiedermi scusa. Conosco un posto dove possiamo tenerlo, per ora. Un posto dove la Fabbrica non potrà trovarlo. Dormi bene»

Bertrand annuì e si accasciò sul tappeto spesso; si addormentò ancora prima che la sua testa urtasse il pavimento. Skitter rimase immobile per un altro istante, finì di bere e guardò fuori dalla finestra: il temporale infuriava ancora.


1967

Pioveva, ma non forte. Il cielo era coperto e il rombo grave dei tuoni echeggiava da qualche parte in lontananza. Una lunga vettura nera stava ferma sul lato di una lunga strada stretta che si estendeva in entrambe le direzioni, senza tracce di altri veicoli. Ma il motore era acceso e uno degli occupanti stava fumando una sigaretta.

Dopo un po’ di tempo, una macchina blindata si fermò accanto ad essa. Rimasero una accanto all’altra per un attimo, finché la portiera della vettura blindata si aprì e ne uscì un giovane uomo. Indossava un cappotto pesante coi bottoni di ottone e aveva capelli biondo sabbia scarmigliati. Aveva gli occhi verdi e un paio di occhiali bordati e spessi. Fece un mezzo sorriso, quando un altro uomo scese dalla macchina nera. Sembrava giovane, forse sui vent’anni, ma i suoi occhi tradivano la sua vera età. Aveva uno sguardo feroce e un sorriso risoluto. Il giovane tese la mano:

«Skitter Marshall. È un piacere, ne sono certo»

Il biondo gli strinse la mano.

«Lo è. Ce l’hai?»

Skitter annuì. Si avvicinarono al retro della sua macchina e aprirono il bagagliaio. All’interno, appena visibile alla luce fioca di una lampadina apposta sul lato inferiore del portabagagli, c’era una lunga scatola nera legata con catene. Sul lato anteriore, dipinta con inchiostro viola e decorata finiture dorate, c’era una lettera "W" splendente. Skitter fece una smorfia quando lo guardò e chiese:

«Cos’hai intenzione di farci?»

L’altro uomo lo guardò. Skitter non riusciva a vedere i suoi occhi, ma capì che lo stava scrutando in modo intenso. Gli rispose con cautela:

«Per queste cose abbiamo un posto da cui nessuno sarà mai in grado di recuperarle. Ci pensiamo noi»

Skitter fece un passo indietro e domandò:

«Sai cos’è, vero?»

«Sì»

Il biondo fece un cenno e altri tre uomini uscirono dalle portiere posteriori del veicolo blindato. Tirarono fuori con cura la scatola dal bagagliaio della vettura di Skitter e, con mani abili, la spostarono nel portabagagli della loro. Il biondo si voltò per seguirli, ma Skitter lo richiamò:

«Dimmi un po’, non credo di aver colto il tuo nome»

L’uomo sorrise di nuovo, si mise la mano in tasca, ne sfilò un semplice biglietto da visita bianco e lo porse a Skitter, che lo prese con una mezza accettazione confusa. Mentre la macchina blindata si allontanava, Skitter guardò il biglietto e vide che era apparsa una scritta.

Dott. Ansel Shaw
Dipartimento di Anormalità

Salvo diversa indicazione, il contenuto di questa pagina è sotto licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 License