Timing
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Mr. Moon sapeva di essere decisamente bravo quando si trattava di contare questo genere di cose. Uno nella sua condizione non poteva permettersi di non essere bravo. Aveva provato ad utilizzare degli orologi prima di allora, ma gli orologi funzionano solo se hai occhi per guardarli. La stessa cosa vale per i metronomi. Quindi Moon contava per conto proprio.

Uno… Due, Tre…

Trentaduemilaquattrocento e sessanta secondi. Quello era il tempo per cui era riuscito a vedere. Moon sentì le sue ossa gemere e lamentarsi in risposta non appena si alzò per avviarsi verso la porta della stanza. In approssimativamente trecentoventiquattro secondi un Agente della Sicurezza avrebbe aperto quella porta e l’avrebbe fatto uscire. Metti o togli ventinove secondi, se l’Agente era lento.

Trenta… Trentuno… Trentadue.

La faccia di Moon si era rabbuiata, in parte per la preoccupazione e in parte perché era una notte nuvolosa. Questo Agente era un novellino, e aveva scombinato la tabella di marcia. Reputando di essere in grado di arrangiarsi fino al reset, approssimò che due secondi e un quarto gli sarebbero bastati a fare un passo aiutandosi con il suo bastone.

Quattro e mezzo… Sei e tre quarti… Nove…

Il condizionatore aveva raggiunto i suoi cinquecentosessanta secondi consecutivi di attività quando Moon si mise a sedere. Aspettare lì era la parte più difficile. Tra cinquecento secondi le porte si sarebbero aperte e loro l’avrebbero visto. E lui avrebbe visto quei centoventi sguardi impietositi posarsi su di lui.

Cinquemilaseicentosettantatré…. Cinquemilaseicentosettantaquattro… Cinquemilaseicentosettantacinque…

Erano più vecchi. Quattromilatrecento e ottantadue settimane avevano il loro peso, dopotutto. La chiacchierata era dolorosamente sottotono. Lei gli sorrise mentre gli raccontava di tutte le cose che stavano fuori di lì. Di Jim, e di quanto fosse fantastico, e di quanto fosse felice per lei. Mr. Moon le aveva mentito tremilacinquecento volte. Almeno Jim non era venuto con lei, questa volta.

Dieci… Nove… Otto… Sette…

Lei terminò la visita con dieci minuti d’anticipo. A quanto pare era in ritardo di cinque minuti per un qualche evento sociale, e questa sua visita a lui era di cortesia. Cinquanta secondi più tardi l’aveva lasciato di nuovo. Stava diventando man mano più veloce.

Cinquemilanovecento secondi dopo l’orecchio di Moon cominciò a perdere il suo udito. Fece avanti e indietro per la sua cella, contando i passi che compiva. Undici passi e mezzo da nord a sud, quindici e un quarto da est a ovest. Un passeggiare in attesa che il conteggio ricominciasse, portandogli conforto.

Uno… Due… Tre…

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