I Quattro Arcani

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Giaccio in un fosso nevoso. Il cuore mi batte all'impazzata, in quanto tenta disperatamente di ridare vita al mio corpo segnato. Le braci si affievoliscono e la fiamma traballa, e l'oscurità si fa strada per i contorni. Sui miei peccati si staglia un cielo notturno nero e blu, per quanto compiacente, incapace di vedere stelle oltre a quel fumo. I miei polmoni se ne riempiono e collassano, esausti - io non sono da meno, un tempo un uomo, ora mutato in carne morente e vapore.

Madre, vedi ove giaccio? Vedi il sangue che penetra le mie vesti?

Ma le braci cullano il fuoco e quando tossisco sono sangue bile a spargersi per l'aria. I miei polmoni sono colmi di quest'aria gelida e mi sento in vita. Barcollo e striscio e trovo qualcosa su qui poggiarmi, e con forza agonizzante spingo il mio corpo così da alzarmi in piedi, appoggiandomi ad un faggio. I miei occhi si abituano al buio - penetrano nel sudore ed il sangue ed il fumo fuoriuscenti dalla mia stessa carne, me nella calma della notte lo vedo.

A pochi passi da me, anche se riesco a vedere ove ero prima di essere gettato indietro. Un cratere, forse largo come un getto di pietra e profondo quanto una pozzanghera, ora riempito con terriccio e fiamme. Mi ci vicino, il respiro ora si fa più facile, e mi arresto di fronte a ciò che un tempo era un umano. Il suo nome - dov'è il suo nome? Passa un momento, poi la nozione riaffiora - Morehead, un mercenario ingaggiato dal consiglio, ora ridotto a poco più che viscere - un ripugnante sorriso è ora impresso per sempre sul lembo di carne che era la sua faccia.

Cos'è la virtù? Da dove proviene? Questa può essere infranta così facilmente? Le sue fondamenta crollano con tale facilità?

L'uomo ha un padrone e l'uomo esiste per volere del padrone. Un giorno, l'uomo si palesa di fronte al padrone e gli chiede perché gli è schiavo. Il padrone non risponde. Insoddisfatto, l'uomo raggiunge il padrone nel suo sonno e lo frantuma. Se il padrone può essere frantumato, l'uomo è mai stato schiavo?

Oltrepasso i cadaveri, abbrustoliti e fumanti, alcuni di questi si tengono disperati ad una vita che li ha abbandonati. Uno di questi mi si approccia e mi afferra la calza con la mano dilaniata. Il sangue si accumula nella bocca aperta dell'uomo e delle lacrime gli scendono per le guance. Gli occhi sono spalancati.

Per favore, mi implora. Per favore, Dio, per favore non lasciarmi.

Dio? Dov'è Dio? Un cratere fumante e uomini arsi - è questo il Dio che quest'uomo prega? Mi fermo e lo osservo per qualche momento nel mentre è intento ad ancorarsi al mio piede. Tossisce e gorgoglia, soffocato dal sangue e dalle conseguenze di ciò che ha fatto. I suoi occhi terrificati incrociano i miei per un ultima volta, e poi giace immobile. Le sue preghiere non hanno risposta - ma non per indifferenza. Il Dio che pregava è morto.

Non fosse per lo scricchiolio del fuoco e per il vento la notte è silente, ma mi giunge un suono. Lo schiamazzo ruvido di un uomo che abbaia come un cane infuriato. Lo vedo e mi ci avvicino - pende impalato su di albero che lo innalza a dieci piedi dal suolo. Il suo nome mi è familiare - l'Assessore, presunto capo di ciò che un tempo era un circolo occulto. Lui, come gli altri presenti, è già morto - ma la morte gli da uno strano ben venuto. I suoi occhi sono languidi ma mancano della paura che pervade l'uomo a terra.

“Ma salve!” mi urla con fervore. “Salve e buon giorno fratello mio! Vedo che non hai riportato un graffio. Non molti possono dire lo stesso. Tu ed io però, siamo sopravvissuti. Abbiamo fatto il passaggio.”

“A cosa siamo sopravvissuti?” Gli chiedo.

“La fine del mondo, giovanotto!” Schiamazza nuovamente, la mandibola gli trema come un corvo contro al vento. “Abbiamo visto il mondo stesso disfarsi e rifarsi nuovamente - una Nuova Gerusalemme, e tu ne sei ora testimone. Un mondo libero dai miracoli.”

Tremo dal freddo incessante. La sua voce è così allegra e poderosa, pur se il sangue sta colando dal suo corpo trafitto.

“Non so se ce la farà, signore,” Gli dico. “Non sono un dottore, sono solo uno scienziato.

Alza un braccio dal ramo su cui era riposto per gesticolare in mia direzione - prima faceva uso di entrambi per reggersi. Facendo ciò, il suo corpo scivola verso il basso producendo un suono simile allo strapparsi di stoffa bagnata. Hai dei gemiti, ma il sorriso non gli si spegne.

“Sciocchezze. Sono già sopravvissuto, Sono qui infatti-” indica i dintorni con entrambe le mani mentre il torso gli si dilania sotto al suo stesso peso. “Ora siamo qui, tu ed io, siamo i primi figli diletti di un mondo rinato. Magnifico. Il solo pensare a quanto in là siamo andati.”

Il fiato gli si tagliò mentre gli occhi gli si alzavano al cielo e per un momento credetti di averlo visto morire. Poi gli fremettero le palpebre e tossì, dalle labbra gli fuoriesce sangue e muco.

“Qual'è il tuo nome, giovanotto?” mi disse. “Con chi eri?”

Esito.

“Robert,” Gli dico. “Ero con gli uomini dell'Assessore.”

Ghigna. “Ah. Eri uno dei miei allora, non è vero?”

“Lo ero, signore.”

Per un istante rimane immobile. “Ricorda, Robert. Ricorda questa sensazione. Oh, questa sensazione. Questa è estasi.”

Si fermò per un altro istante, fece un lieve sospiro e morì. Rimasi accanto al suo cadavere a lungo, finché il freddo non mi spinse a stringermi forte il cappotto. Cercai tra i boschi il sentiero attraverso il quale avevamo raggiunto la vallata, e mi incamminai per fare ritorno al villaggio. A lungo pensai all'Assessore. Pensai al suo volto, illuminato di una divinità autoimpostasi, che urlava e fremeva e rideva come un animale steso su di un fuoco. Pensai alla sue parole, e alla sensazione di quell'istante.

Aveva ragione. Era estasi.


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Durante il lungo cammino, comincia a nevicare.

Illuminato soltanto dalla luna piena al di sopra di me, i fiocchi di neve mi danzano attorno a me al ritmo di un tamburo invisibile di una banda silenziosa. Ciascuno di questi che affiorava sul mio viso era una manna, un leggero sollievo da quell'ardore che avevo impresso in volto. Un leggero sollievo dalla sofferenza del mio esistere. L'uomo nasce nella sofferenza, ipotizzo, e soltanto con l'impegno è capace di opporsi a quelle catene con cui il padrone lo ha relegato e infine ottenere il più minimo conforto.

Mi vedi, madre? Vedi le impronte che ho lasciato nella neve? Senti il gelido inverno sul mio collo?

Ricordo quel giorno come se fosse accaduto pochi momenti fa - una lettera era arrivata da ore al mio ufficio in città ed il carro mi aveva portato con grazia alla casa in cui crescemmo. Rimpiango di essere arrivato per ultimo, essendomi stato concesso tra tutti meno tempo per starti vicino, per sentirti affannare e piangere, per vedere i tuoi ultimi attimi prima di rimanere immobile. Mi hai visto, in quei momenti? Hai sentito il calore della mia mano sulle tue?

Per me, quel ricordo mi è rimasto come se impresso con ferro rovente. I tuoi occhi si sono fissati sui miei, un momento di pace, un ultimo respiro e poi il silenzio. Io, disperato, ho scosso il tuo corpo implorandoti di risvegliarti. L'orrore di quel momento, unito con la malaticcia umidità di una stanza soffocante. Il sale delle mie lacrime, l'ultimo filo d'aria che abbandonava i tuoi polmoni - tutte queste cose ora sono parte di me come lo sono i miei occhi, le mie mani e la mia pelle.

Eppure, nel momento in cui mi sei spirata tra le braccia ho sentito qualcosa ardermi dentro. Questa sensazione, che si alza e discende a si alza di nuovo, colpisce come un fulmine sulla mia anima. Cosa sarà? Il sapere che la vita è fuggevole e che ognuno muore, ora dimostratami di fronte mentre sono a fianco di mia madre? Cos'era che ho provato quando ti sei immersa in quell'oscuro ignoto, il potere e la furia e l'estasi di quel frangente? Una vita andata persa - l'energia dell'anima che si disperde nel etere come l'acqua sul fuoco diventa vapore.

Ora sono riportato al momento in cui è accaduto, vago in questa scura foresta al di fuori di un villaggio con nulla se non la luna al di sopra di me ed il suono del vento che muove i rami. Cerchi concentrici scavati nella terra innevata, arsa dal fuoco di un'incantazione e traboccante del sangue di un sacrificio. Una lama di metallo ricurva in mano all'Assessore, il suo passo è esitante ma i suoi occhi sono ricolmi di goduria. Lì, confinato nel centro e a pochi momenti dalla morte, un potere - maledetto e maledicente - ma trattenuto da questi quattro arcani - sangue, ghiaccio, luna e acciaio.

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Con l'abbassarsi della lama, vedo i tuoi occhi insanguinati che mi osservano, madre. Vedo le tue mani contorte e sento il sudore della tua caduca salute. Sento il potere, che si alza e discende a si alza di nuovo - questo grande e terribile momento accumulatosi con l'oscillare disordinato del pendolo. Oh, frantumare un corpo - è una sensazione senza né controllo né considerazione; una sensazione orrida, meravigliosa e assuefacente. Potere - il potere di frantumare, ed il potere di essere frantumati. Quel dio al di sopra della pira, che arde nelle fiamme della blasfemia e del desiderio, che urla mentre è reso manifesto soltanto per il momento nel momento in cui viene disfatto e frantumato e poi sì . quella sensazione. Oh, quella sensazione, la sinergia della morte e dell'anima. Tutto quanto in un solo istante, una valanga vampiresca di calore che infiamma lo spirito.

Attraverso gli alberi ed ora vedo da vicino le luci del villaggio, e marciando sulla strada vi vedo pienamente illuminata una giovane donna, è avvolta in abiti per proteggersi dal freddo e passeggia con grazia. I suoi occhi incontrano i miei e poi agisco - come un animale, reso incontrollabile da desiderio primitivo. Al di sotto della luna, risaltato dalla neve, uso il suo sangue come cerchio ed il mio coltello come chiave per frantumare il suo corpo. Affondo il coltello in lei, ancora e ancora, macchio la sangue e la mia carne del suo fluido vitale e completo l'incantazione. Sì - madre, i momenti precedenti alla tua morte ed i momenti al cerchio nella foresta. Sono tutti connessi. Questi momenti sono uno solo.

E poi - l'incertezza. Il potere è qua, il calore per la pelle e per il respiro mischiato al suo sangue e alle sue viscere, il potere di uno spazzino - ma mi è sufficiente per un mero secondo. È debole e tremante, ed in pochi istanti il desiderio primordiale si fa terrore incredulo. Questo potere, questo meccanismo ticchettante in cui sono caduto e stato plasmato dai suoi ingranaggi non è niente in confronto al ferro stridente e l'acciaio scintillante di quel macchinario della creazione e della distruzione che abbiamo obliterato nella foresta. È poco più di un soffio tra dei giunchi, che si aggrappa ad un ramoscello nella tempesta. Affogherò nella paura se non riuscirò a provare nuovamente l'estasi di di quella lapidazione.

Ma io sono minuto e debole e non possiedo la conoscenza dell'autorità prima in possesso dell'Assessore e dei suoi occultisti. Non vi è alcun dio che ascolti le mie implorazioni di liberazione, non vi è alcuna divinità primordiale che io possa legare a me. Sono solo, e sono spaventato.

Oh, madre. Sapevi tu, in quegli ultimi momenti? Hai osservato i miei occhi mentre il tuo corpo decadeva, così vedendo la pila di cadaveri al di sotto del mulino di mio padre? Hai udito le grida di madri e le suppliche di padri mentre i loro figli erano trascinati da quei vicoli fino al mio orribile dominio, e hai conosciuto il silenzio che vi sarebbe seguito una volta che quelle madri e quei padri vi sono portati a loro volta? Non posso uccidere un dio, madre - non posso come non ho potuto salvare la tua vita mentre mi sfuggiva tra le mani. Ma posso rimediare.

La porta si apre e le grida cominciano. Uno ad uno vengono estratti dalla fossa in cui li tengo e li trascino nella stanza a fianco. Legato a questo altare sotto la luce della luna e per l'aria frigida vi sono io, nuovo emissario, avendo sostituito il coltello con la grande macina d'acciaio del mulino di mio padre. Implorano e singhiozzano e stridono, ma la macina ruota e la macina discende. La guardo entrare in contatto con i loro corpi, mentre la carne è strappata dal muscolo ed il muscolo dall'osso. L'uomo è ridotto in carne. la carne è ridotta in foschia rossa.

Non sono un grande studioso del misticismo e non possiedo il loro potenti incantesimi - ma possiedo la macina di questa macchina infernale e la macchina mi nutre. Ogni nuovo corpo frantumato dalla macchina è come una scossa nel mio sangue, ma ciononostante non è nulla in confronto. Navigo in alto mare, vero, ma la mia sopportazione ha dei limiti e la costa è tanto lontana. Le grida diventano vaghe e silenti. L'odore del sangue diventa abituale. la paura nei loro occhi non ha significato. Nulla di tutto questo è comparabile al potere di quel momento nei boschi.

Mi ritrovo da solo nell'oscurità. Io corpi hanno un numero finito ed io ho quasi portato al limite questo villaggio. Potrei continuare, ma per cosa? Sto creando cumuli di terra e li sto implorando di diventare montagne. Piango, non solo per me stesso - ma per te, madre. Piango poiché non ho appreso le tue lezioni. Ci sedevamo in chiesa e tu prendevi la mia mano con le tue, forti e calde, e mi dicevi di confidare in Dio. Persino ora, freddo e vacuo, sento la tua mano morta sulla mia. Confida in Dio.

Osservo la macina, il grande ingranaggio rotante del mulino di mio padre. Il suo ultimo e maledetto dono. Ricoperta di sangue e viscere, risplende alla luce della luna. La macina. Confida in Dio.

Vi è rimasto una bambina in questo gruppo, prega ogni notte e chiede a Dio di salvarla. Lei è minuta, e qualunque sollievo proverei dalla sua agonia mettendola sotto alla macina sarebbe effimero, ma ho udito le tue parole nel mio orecchio, madre. Confida in Dio. Che lei possa essere la mia salvezza? L'ho tenuta da parte per tutti questi mesi così che tremasse nel freddo e potessi vedere la sua fede infranta - vederla rovinata.

La tengo legata ed imbavagliata in un angolo della fossa sperando che la sua fede sia forte abbastanza. Forte abbastanza per ciò che le accadrà dopo. Ci ho riflettuto per molto e non riesco a togliermi questa immagine di testa. Mi sono concentrato così tanto con il piacere effimero del frantumare una persona che non ho considerato il mio abbandono. Qui nell'oscurità della mia macelleria si sviluppa un'ossessione, aggrappata alla mia mente come un parassita.

Dopo tutto, se l'estasi del frantumare un corpo è così forte, e appaga il mio animo così intensamente, allora quale sarà la gioia di frantumare un corpo due volte?

Estrapolo quel che posso dal libro dell'Assessore e piano piano comincio a riassemblare queste persone infrante. Il braccio del macellaio. La mano del fabbro. Gli occhi della bibliotecaria, Gli occhi della conestabile. Pezzo dopo pezzo, fino a che non sono divenuti un singolo. L'odore, madre - non crederesti mai a quell'odore! Mi da quasi il voltastomaco, ma ora sono troppo indurito per poter soffrire qualunque disagio. Questo essere che ho costruito, questa massa informe di uomini, questa è la mia salvezza. Quanti corpi vi ci sono ammassati? Quanti volti tagliati e sparsi mi stanno osservando con quegli orribili ghigni? A sufficienza, credo. Credo che ce ne siano a sufficienza.

La mia fede da sola non basterà, oh no. Non sono il pilastro di virtù che eri tu, madre. Non riesco a porgere le mani e dare a questo essere nuova vita. Ma il credo di una bambina - tanto pura e intonsa, forse il suo credo può dare vita al mio miracolo.

La conduco nella stanza, sotto alla luce della luna e con il gelo dell'inverno. Lei prega, come tu facesti - e il suo volto non è di paura che è colmo, ma di determinazione. Crede più di ogni cosa nel mondo che verrà liberata. La distendo sul tavolo, al di sotto del mio tetro macchinario, e per un istante trabocco della sua serenità. Poi, col passaggio di una nuvola e l'illuminazione della stanza, lei apre gli occhi. Per un momento, mi guarda e ci osserviamo a vicenda - la mia mano sulla leva è incapace di spingerla. Poi osserva l'angolo, ove la massa contorta del mio nuovo messia giace contro al muro, e vedo un singolo frangente di panico.

Tiro la leva e lei viene frantumata dalla mia orrenda macina.

La terra trema ed il mulino stride, nuovamente ti sono accanto, madre, nel mentre che l'universo si sfalda. Vedo gli ingranaggi stridenti e le schegge arroventate del metallo infiammato - pistoni e pulegge che danzano infinitamente per il tempo e lo spazio. Il fumo ed il fuoco mi riempiono i polmoni, e io mi immergo in un mare di olio nero che mi riempie fino a traboccare. Vedo la pianura, e l'Assessore ridacchiante, e al centro del cratere vedo la mia macina, conficcata nel corpo sfigurato di una ragazzina. Il corpo sfigurato di mia madre. Il corpo sfigurato di Dio.

Madre, vedi ove giaccio? Vedi il sangue che penetra le mie vesti?

Rimango, e non sono più solo. La mia creazione - questa figlia della mia eresia, emette un gemito penoso. Si contorce in cerca di risposte che non potrebbe mai capire: in cerca di una via di fuga da ciò che è diventata. Bocce spalancate con delle lingue che vi fuoriescono, gli occhi si agitano da una parte all'altra. Oh, mia creatura. Mia dolce e preziosa creatura.

Vi ci abbatto la mia macina. ed è nuovamente frantumata.

Sì, madre. Sì, ho sentito il sentimento. Oh, ed era forte - più forte delle volte precedenti e anche di più di quanto avessi mai sognato. Ma maggiore del potere e della meraviglia del momento era l'ossessione che si era annidata nel retro della mia mente, questa annidatasi sin da quando ho immaginato la mia creatura riformata e ho cominciato ad assemblarla. Il parassita si accresce e ruggisce. e questo sogno - questa realtà avveratasi - è ora l'unica verità che importi. L'unica verità che fosse mai importata.

Ciò che è infranto può essere ricostruito, e ciò che è infranto può essere infranto nuovamente.

I pochi rimasti sono i discepoli della mia nuova chiesa - gli apostoli di una fede di ferro. Erano gli spettatori, convertiti dall'autorità della macina ed intossicati dalla deificazione del dominio dell'uomo sull'uomo. Lasciano il mulino per diffondere il nuovo vangelo, ed in poco tempo altri si sono aggiunti al gregge. Si uniscono a me nel mulino, pregando ed invocando nel mentre che nuovi sacrifici sono condotti al di sotto dei denti splendenti della macina e dilaniati. Percepiscono il potere, e nei loro occhi vedo gli occhi dell'Assessore, vivo e vegeto.

Dopo di che - con grande stupore - uno di loro presenta un miracolo tutto suo. Un giovane uomo presenta un pistone che si muove da sé, un macchinario autonomo, privo dell'intervento umano. Lo ha trovato in un campo vicino a casa sua, e non sa spiegare da dove provenga o come si muova indipendentemente. La congrega vede uno strano pistone, ma la loro vista è limitata. Osservo il pistone, il quale avanza e arretreggia meticolosamente, e vedo il fremere di un dito reciso - una piccola parte di un intero, il pezzo di qualcosa di frammentato. Lo veneriamo.

Decreto dunque, che ci avventureremo per il mondo alla ricerca di questi pezzi sparsi per portarli a me. Senza dubbio sono in molti e necessiteremo di molte più mani per portarne il peso. La congrega è entusiasta e il suo zelo è assoluto. Fanno ritorno con altri prodigi meccanici - macchinari che non dovrebbero funzionare, ingranaggi che non dovrebbero ruotare, eppure sono tutti comandati dalla stessa forza inesorabile. Mi ci circondo, mi ci immergo, e la musica dei loro meccanismi accompagna il mio sonno.




























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Galleggio su di un oceano di petrolio e fiamme, e sopra di me pende un ingranaggio rotante.
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Mi ritrovo in una stanza nel mulino di mio padre. Quando morì, lo seppellì sotto alla cantina così che la sua tomba non vedesse mai la luce del giorno. In braccio tengo mio figlio - nato dalla mia unione con una degli apostoli - una cultista di nome Hedwig. Nostro figlio non porterà il nome di mio padre. Il suo nome è sepolto al di sotto della cantina.

Mio figlio porterà il tuo nome, madre. Bumaro. Avrà figli suoi, e i suoi figli avranno figli, ed un giorno la mia stirpe produrrà un erede di pura e autentica fede in questo nuovo dio, questo dio meccanico, non avrà rivali in nessun angolo della terra. Di ciò, i miei profeti mi rassicurano.

Quel giorno, quando quel erede compirà a pieno il suo credo, la mia chiesa infrangerà il suo corpo con la macina e lo resusciterà qui, con me. Quel giorno, diseppelliremo l'erede frantumato e lo frantumeremo nuovamente sotto la macina, e consumando la sua fede perfetta avremo il catalizzatore necessario a rimediare all'operato dell'Assessore e dei suoi occultisti. Quel giorno, con la luce della luna ed il freddo dell'inverno, all'interno di un cerchio di sangue su di un altare d'acciaio, ricostruiremo il Dio Frantumato.

E poi permeato dalla luce di quei quattro arcani io, Robert Bumaro, lo frantumerò nuovamente.

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