Crediti
Una storia in tredici parti. Leggere in ordine.
Ho preso la valigetta e sto scappando, perché è tutto ciò che resta da fare. L’ambasciata è ad una ventina di kilometri ad Est di qui, posso già vedere i lampioni dei sobborghi. Sono fuori forma, ma non importa. Tutto quello che ho è questa valigetta e i pensieri nella mia mente, che porterò all’ambasciata. Poi mi appellerò alla CIA, o magari all’Interpol, per chiedere la custodia cautelare. Lascerò che mi mandino in prigione, mentre verificano tutto quello che gli avrò raccontato. Che diamine, so come funziona la burocrazia: forse mi lasceranno in cella per il resto della mia vita, ma non fa niente, perché avremo tutto il tempo del mondo per scoprire cosa c’è nella valigetta. E sarò al sicuro: se c’è qualcosa che ho imparato, è che nemmeno dei pazzi con dei martelli possono attraversare un metro di cemento.
Soprattutto se non vogliono farlo.
Guardo l’asfalto sotto i miei piedi. La valigetta si agita come un foglio di carta al vento e accelero un po’ il passo.
Prendere la valigetta e scappare? Sì, sto scappando, ma non per codardia: sto facendo quello che nessuno ha ancora avuto il coraggio di fare. Quello che nessuno è nemmeno riuscito a fare, ma non saranno in grado di prendermi. Ho pianificato tutto anni fa. Non ho avuto paura, non ho ceduto, ho saputo e pianificato tutto quanto alla precisione per anni, dalla notte della mia prima promozione.
Dannazione, spero che sbaglino, quando scriveranno il rapporto.
Era la mia promozione all’autorizzazione di Livello 2, quando avevo tre anni e alcune ricerche importanti alle mie spalle, ed era la prima vera promozione che chiunque nella mia unità avesse avuto da un pezzo. Brenda andò fuori di testa: non potevamo lasciare il sito per via di un allarme di sicurezza, ma lei portò da mangiare e da bere nella stanza del personale: in pochi minuti, si fece viva tutta la residenza. Ci fu una festa con della musica e, di lì a poco, tutti quanti erano nei loro alloggi o addormentati sui divani. C’eravamo solo io e un vecchio di Livello 4 con una faccia di merda di nome Howey, che non conoscevo molto bene. E mi disse:
«Vedi, la Fondazione è come uno di quei fiori tropicali giganti accanto a cui puoi passare per trecentosessantacinque giorni all’anno senza notarli; ma, una volta ogni morte di papa, la vedi nel Giorno della Resurrezione, l’unico giorno in cui fiorisce. E ci vuole così tanto! Il primo petalo si dispiega, è a quel punto che la vedi: quelle sono le finte squadre antisommossa, dei ragazzi vestiti da militari che si occupano delle coperture. Poi il secondo petalo si aggiunge al primo e vedi tutto ciò che è stato costruito, tutte le risorse. Come si fa a pagare così tanti soldi per qualcosa che non si può vedere, per dei fantasmi? Senti delle storie, all’inizio è tutto quello che c’è: una storia o un pettegolezzo di passaggio su cosa c’è all’interno del fiore, quella cosa strana che, secondo tutti, è al centro di ogni cosa. La vedi solo una volta ogni dieci anni. Ma ora si dispiega l’ultimo petalo ed eccolo lì, quello che stavi cercando: puzza di carne marcia, non hai idea di cosa sia. Ma è proprio a quel punto che sai che tutto ciò che hai fatto fino a quel momento serviva per far sbocciare quel fiore. Tutto è in funzione di quello, la cosa più importante che ci sia, ed è una schifezza. Arrivano le mosche: adorano la puzza, ronzano intorno alla sua fonte e poi se ne vanno. Allora il fiore si richiude e non si riaprirà per un altro decennio. È un’esistenza di merda, vero? Puzzare come una carcassa tutto il tempo, aspettando per dieci anni solo per attirare le mosche? Se fossi quel fiore, odierei la mia vita. Vorrei fuggire. Non significa che è sbagliato, anche se è stupido»
Ero certo che non ci fossimo mai conosciuti e avevo soltanto una vaga idea di cosa stesse parlando, il che mi spaventava, con tutte le telecamere e i microfoni e chissà cos’altro. Così glielo dissi, ma Howey rise:
«Non ci sono telecamere»
Ma non era vero. A conti fatti, non ci dicono mai niente, specialmente quando siamo nuovi. Ma non si può proprio dire che tutto quanto, ogni cosa che facciamo e per cui altre persone muoiono, tutto l’orrore e il sangue, serve solo ad attirare le mosche. Lo facciamo anche per tutte le persone del mondo. Forse il Comando O5 sapeva di quella conversazione ribelle e non (mi) fecero niente solo perché sapevano che non ci credevo.
Io e Brenda fummo promossi lo stesso giorno, la seconda volta. Ai tempi, lei era specializzata nel contenimento e io stavo migliorando un sacco a giocherellare coi miei farmaci e composti. Ci fu una piccola cerimonia, questa volta più ufficiale. Sghignazzammo e scattammo le foto che finirono sulle nostre nuove tessere di sicurezza.
Verso la fine, un uomo che non conoscevamo apparve sulla soglia. Indossava un abito di seta, una giacca marrone, un cappello grigio, una cravatta decorata con disegni di merli e una spilla a forma di merlo sul cappello. Le tre persone di grado più alto nella stanza sembravano spaventate a morte… ma noi due non ce n’eravamo ancora accorti.
Entrò nella stanza, sorrise, non si presentò e si congratulò per le nostre autorizzazioni di Livello 3. Fece una battuta sull’aumento di salario e tutti risero. Mi si avvicinò, mi mise le mani sulle spalle e mi sussurrò all’orecchio, guardando Brenda con aria cospirativa:
«Fai attenzione a lei»
Poi se ne andò, ridacchiando. Ridemmo anche noi, il che smorzò la tensione. I tre membri del personale di Livello 4 che erano lì con noi sospirarono di sollievo con le fronti imperlate di sudore, come se fossero sfuggiti a un cane rabbioso. Be’, avrebbero dovuto esserne felici, giusto? Io e Brenda eravamo stati promossi. Ma mentre ce ne andavamo, sentii uno di loro dire un nome agli altri due. Solo un nome.
«O5-5»
E poi tornai ad essere contento solo perché ero ancora vivo, come ai tempi in cui ero solo un novellino di Livello 1.
Ebbi un po’ di paura quella notte, ma pensai al bell’ufficio da capo della divisione di Scienza dei Materiali che mi sarebbe spettato a partire dall’indomani. Avrei potuto leggere più contenuti riservati e sembrava che andasse tutto bene. Non c’era paragone coi tempi in cui ero in fondo alla gerarchia della Fondazione: adesso potevo fare dei viaggi, le guardie non mi avrebbero fermato. Potevo finalmente dare un’occhiata da vicino a quello su cui dovevo lavorare e credo che la qualità fosse salita alle stelle: venivo chiamato per un progetto fuori dal sito dopo l’altro.
Poi arrivò il mio primo stipendio e comprai una di quelle poltrone massaggianti per il mio ufficio, di cui avevo davvero bisogno. Passarono due anni.
Il Comando O5 è uno di quei segreti che vengono mantenuti fino alla promozione al Livello 2, il che è proprio inquietante. Gli O5 sono le tredici persone che controllano l’intera Fondazione. Chi sono? No, hanno dei numeri, non dei nomi. Chi erano? Lo sa solo Dio. Ma i segreti mi amareggiano. Ecco come stanno le cose.
Ci furono dati dei campioni e delle istruzioni specifiche. Una formula molecolare: potete inviare. Il composto principale in una sostanza chimica: potete inviare. La Fondazione assume manodopera scientifica da sfruttare anche se, nello sfruttamento, “assumere” è una parola grossa. Ci furono date denominazioni vere e proprie e l’opportunità di studiarle; in un contenimento sorvegliato, come per farci vedere che sì, la Fondazione possiede miracoli.
In queste condizioni, le persone si possono dividere in due categorie: quelle che prendono ordini ed eseguono e quelle che sono, come credo che le chiamino nei riformatori, dei “rischi di fuga”. Com’è ovvio: ci sono ancora delle guardie alle porte dei laboratori, al Livello 2.
Le piccole dimostrazioni fanno qualcosa per i rischi di fuga; ed è sicuro, nessuno ha davvero bisogno di sapere perché una piccola lumaca secerne un acido chimicamente improbabile. A chi interessa? Perché a qualcuno dovrebbe importare? Perché? Perché? Perché?
Non so perché SCP-001 attirò la mia attenzione, successe e basta. La prima volta che mi resi anche solo conto di cose fosse un’anomalia fu prima che i cinque livelli di autorizzazione entrassero in ballo, quando c’eravamo solo io e un dottore anonimo o qualche altra figura, in una struttura ausiliaria. Tra l’altro, avevo appena ricevuto il mio opuscoletto di assunzione pieno di stronzate, come:
Perché la Fondazione contiene?
Perché le alternative sono peggiori.
Qual è lo scopo della Fondazione?
Proteggere e migliorare l’umanità. Ma di quello non mi importava ancora.
«Allora, questo è SCP-876»
«Un campione, sì»
«L’ottocentosettantaseiesima anomalia»
«Sì»
«E al mondo ce n'è più di settemila»
«Allucinante, vero?» ghignò il ricercatore, un uomo smilzo coi capelli biondi.
«Qual è la prima?»
«Accidenti, neanch’io saprei dirtelo»
«Qual è la seconda?»
«Qualcosa di informatico, mi pare? Controlla il campione, credo che stia cercando di scappare»
Dopodiché, fui reclutato per davvero e vendetti la mia anima alla Fondazione, imparando a tenere la bocca chiusa. Ma non smisi di farmi domande al riguardo.
E non smisi di farmi domande nemmeno quando rischiai di farmi uccidere. Un giorno la dottoressa Sophia Light, la direttrice delle ricerche (nonché la mia capa), mi chiamò. Mi fece sedere nel suo ufficio e mi squadrò da capo a piedi. Com’era solita fare, venne subito al punto:
«Dai registri, ci risulta che sei molto interessato a SCP-001»
Merda, avevo provato a mantenere un basso profilo mentre facevo la mia ricerca.
«Cosa ve lo fa pensare?» domandai.
Lei fece un sorriso placido, scostò i suoi capelli castani con una mano e mise in mostra la cicatrice sulla sua guancia, lo sfregio riguardo al quale il mio predecessore mi aveva intimato di non fare mai domande.
«Lo sappiamo. Hai qualcosa da dire a tal proposito?»
Non dissi niente. La direttrice Light non era affatto di buon umore, mentre sfogliava alcune scartoffie.
«Be’, il Comando O5 non è molto contento. Sappi che non sei il primo»
«Eh?»
«Il primo che indaga. Ma, come ho detto, questo fa innervosire il Comando O5: a loro non piace avere intrusi nel loro territorio. Per farla breve, sarai trasferito»
«Trasferito? Dove?»
«Nel Ghana»
«Cosa?!»
La direttrice Light chiuse la sua cartelletta.
«Non è permanente. A me dispiace perderti, dico sul serio. Stanno costruendo un nuovo sito nel Ghana, vogliono esperti: tu fai al caso loro. Fai i bagagli, per piacere»
«Ma vaffanculo!»
«Non mi è mai capitata questa reazione prima d’ora» rise lei, come una cagna.
Era un progetto per cui volevano coordinazione, un nuovo sito e un nuovo contenimento nell’Africa occidentale. Così ci andai. Era stato costruito vicino a una piccola pista di atterraggio e ad alcune fattorie abbandonate: alcuni architetti stavano ancora rimuginando su come convertirle negli alloggi e nelle unità di contenimento, mentre il resto di noi stava migliorando le poche unità già costruite.
C’erano quattro file di silo che stavamo convertendo; ecco a cosa stavamo lavorando. Nel Silo-A, dove mi trovavo io, installammo un impianto per processare i composti chimici e un sistema di raffreddamento sottozero per i composti volatili, sotto un telo all’aperto, con pentole e stoviglie da campo e una manica di ragazzoni che non parlavano inglese. In breve, era come un campeggio estivo. Rotolandomi su una branda calda e consunta, sotto metri quadrati di zanzariere, cominciavo a considerare l’idea di chiedere il trasferimento a tempo pieno. Poi le sirene del Silo-B suonarono.
Ciascuno di noi scattò in piedi e si vestì in fretta, fiondandosi nella dispensa-sotterranea-convertita-in-rifugio-anti-bomba all’esterno. Dalla finestra, si vedevano numerosi fasci di luce che uscivano da buchi nel silo. Afferrai uno dei ragazzi che indugiava alla finestra e lo trascinai via. Di fuori, il rifugio anti-bomba era a distanza di una lunga corsa e non esitammo a scattare, ma non prima che tutto il terreno si illuminasse. Era coperto di luce che veniva emanata dal nulla. Uno dei ragazzi mise un piede dove il suolo era luminoso e si trasformò in fumo.
In mezzo alle rovine del Silo-B, c’era una persona fatta di pura luce stellare e di aurora. Teneva le braccia in alto, con un’espressione meravigliata, come se fosse uscito dalla caverna di Platone. Sentii delle persone gridare dietro di me. Almeno quattro di loro erano già morte; eravamo rimasti in tre, nell’ultimo angolo al buio. Finché non arrivarono i riflettori, come una lenta alba in anticipo: furono abbastanza per respingere la creatura e farla tornare in gabbia, per poi illuminare le rovine di quasi tutto il sito. Tutti gli edifici erano in fiamme, non c’era più niente rimasto in piedi che fosse più alto di me. Erano morte trenta persone.
Nel giro di mezz’ora, un elicottero ronzò sopra l’area e atterrò sui resti carbonizzati di un edificio. Ci muovevamo lentamente, cercando di spegnere gli incendi o trovare quello che potevamo, o mantenere una serie di comunicazioni radio per chiedere aiuto. Due guardie scesero dall’elicottero e aprirono le porte, mi stupivo che non avessero disteso un tappeto rosso. Dall’elicottero uscì O5-3. Inutile dire che ci fermammo tutti. Ognuno di noi, persino alcuni dei poveri ragazzi di Livello 1 che non sapevano l’inglese, si alzò e non disse una parola. Quasi senza respirare. Il tizio che, in teoria, aveva preso il comando e tre uomini con un passato da militari fecero scena muta. O5-3 si guardò intorno.
«Di chi è la colpa?» chiese.
Ebbi come l’impressione che pure il vento stesse trattenendo il respiro. Diversi edifici si sgretolarono, ormai inceneriti. Il militare “al comando” si fece avanti, come se si stesse aspettando di essere licenziato in qualsiasi momento. O5-3 gli si avvicinò. Si parlarono. O5-3 annuì, poi guardò tutti noi, uno alla volta.
«Mi aspetto che ripuliate tutto» affermò.
Risalì sull’elicottero e se ne andò. Una volta che fu sparito dietro una nuvola, l’incantesimo si spezzò e io accorsi per chiedere al militare cosa aveva detto. Ci volle qualche minuto per avere la sua attenzione, poi mi fissò con un’espressione vacua, come se avesse visto la morte in faccia.
«Ha detto di fare pulizia»
Brenda era entusiasta di rivedermi: disse che sapeva che non sarei rimasto nel Ghana per sempre e mi trascinò in giro per mostrarmi tutti i progetti su cui aveva lavorato in mia assenza. Il suo dipartimento aveva avuto da fare.
Mi fece soffermare su una delle celle. Lì dentro c’era un ragazzo che poteva incendiare tutto con le mani; era stato arrestato più di quindici volte per piromania. La stanza principale era esagonale e a cupola, con una telecamera sigillata dal vetro sul soffitto. Il pavimento era coperto di tappetini (Brenda mi disse che erano a prova di fuoco) e l’arredamento consisteva in una sedia, un televisore e un lettore DVD. Salimmo al piano di sopra; nella cella, una scala a pioli portava ad una piccola camera da letto, separata da una porta scorrevole.
«Sul serio?» chiesi.
«Fattene una ragione» rispose Brenda.
C’erano un letto, uno specchio e un comò. Non c’erano finestre o schermi diretti; stavamo guardando dalle telecamere che, stando alle parole di Brenda, erano nascoste nei pannelli del soffitto. C’era un piccolo bagno al primo piano, separato da un divisorio. Brenda mi sorrise, raggiante:
«Capisci?»
«Non proprio»
Brenda spende lo schermo e mi guardò:
«Va bene, fammi spiegare. Può chiudere la camera da letto, se vuole. Non entreremo, a meno che non rompa le telecamere. Abbiamo il permesso di ritardare le sperimentazioni per un massimo di ventiquattro ore, se non esce»
«Mi prendi in giro»
Brenda sospirò:
«Abbiamo dovuto litigare col Comitato Etico per tutto il tempo ma, in tutta onestà, non ci costringerà mai. Abbiamo chiesto a uno psicologo di esaminare la sua biografia, i suoi registri medici, psichiatrici e criminali, ed è saltato fuori che ha il ricorrente desiderio di farsi riconoscere come un adulto. Così gli abbiamo dato una responsabilità. Se brucia un oggetto qualsiasi, non lo sostituiremo per almeno un mese. La sua cella di contenimento è stata progettata da un architetto: non avere finestre nella camera da letto e nessuna telecamera visibile, ma solo quelle incassate, gli dà un senso di intimità. Ha voluto il televisore, ma finora abbiamo negato la maggior parte delle sue richieste. Non abbiamo avuto problemi. Questa soluzione è facile da applicare su vasta scala. Lui è solo un’anomalia di classe Safe, ma abbiamo piani molto simili per delle anomalie di classe Euclid, persino Keter, in attesa di approvazione. Vedi… d’accordo, sei ancora confuso. Non è difficile progettare le celle. Il problema è che, una volta fatto quello, si deve convertire tutti i corridoi fuori dalle celle in prigioni. Ogni laboratorio o struttura che toccano deve essere una prigione. Il che costa un occhio della testa: chiunque venga qui deve essere una guardia. Presto o tardi, smettono di importarsene o provano a suicidarsi. E con questo, il contenimento diventa una bazzecola: basta avere un tizio armato da qualche parte, ma la maggior parte di questa gente non prova mai a fare nulla. Il problema più grosso con le celle è che si ha a che fare coi nostri ragazzi: c’è sempre il rischio che facciano qualcosa di cui non si sa nulla e poi evadano. Adesso capisci dove sto andando a parare?»
«Più o meno»
«Molti dei nostri soggetti dicono di non essersi mai sentiti al sicuro per tutta la vita. Abbiamo progettato la miglior prigione al mondo, così che i detenuti non vogliano andarsene»
C’era qualcosa di molto losco sotto, ma non sapevo ancora di cosa si trattasse. Andò così: qualcuno nel Comando O5 mi prese in simpatia. All’inizio non lo sapevo, ma mi sentivo come Pip a Londra, sapendo che qualche forza misteriosa mi stava spingendo verso l’alto, ma non avendo idea di chi ci fosse dietro. Ottenni l’autorizzazione di Livello 4 (Brenda iniziò a odiarmi), diventai il direttore dell’Analisi di Ricerca e presi a ricevere rapporti favorevoli da tutte le parti. Piccoli aumenti, favori, privilegi, cose che non fanno per il personale di Livello 2. Questo mi fece capire che, là fuori, qualcuno mi osservava.
Esposi una presentazione su una casa a O5-7 e al suo corteo. Lei mi fece domande intelligenti. Era tutta una prova, ovviamente, ma a quale scopo? Poi arrivò O5-5, il quale annunciò che stavano considerando l’idea di farmi diventare uno di loro. La nomina di un nuovo O5, a quanto pareva, era un evento così raro da rasentare il leggendario (c’era qualcosa di immortale in loro), ma persino i tredici capi supremi della Fondazione hanno bisogno di personale.
Ma questo diede loro un sacco di tempo per pensare, il che voleva dire che avevo tutto il tempo per preoccuparmi del mio misterioso benefattore. O5-5, aggiustando la sua cravatta nera e gialla coi disegni dei merli come se fosse la cosa più importante che aveva da fare, disse ben poco:
«Ci farebbero comodo più ricercatori come te, a tutti i livelli – sorrise – Sei stato bravo con le promozioni finora. Perché sei così riluttante?»
Mi sentii libero di parlare: non mi sembrava che mi avrebbero buttato sotto un treno, se l’avessi fatto.
«Tanto per cominciare, signore, non ho ancora idea di cosa facciate»
O5-5 mi sorrise, ma non rispose. Cercai di incalzarlo:
«Voglio dire, ho conosciuto lei e O5-7 e, in un certo senso, O5-3. È come se mi steste preparando a qualcosa. All’inferno, al destino, quello che volete, ma non ho idea di cosa sia»
«Sì» annuì O5-5.
«Cosa?»
«Be’, non hai tutti i torti. Come già sai, abbiamo un ruolo importantissimo nello schema delle cose. Comandiamo le operazioni, gestiamo le cose di cui un sito o due siti non possono occuparsi da soli, facciamo sì che la Fondazione faccia le cose giuste e vada nelle direzioni giuste. Ci servono le persone giuste per i nostri progetti» fece un altro sorriso placido e lisciò i suoi baffi brizzolati.
«Progetti che non mi avete ancora spiegato»
«Certo che no. Dovresti essere uno di noi per capire»
Ero un po’infastidito.
«Abbiamo finito?»
«Assolutamente sì. Ci terremo in contatto»
Sembrava che gli O5 volessero davvero che ci riflettessi, il che era piacevolmente cordiale e terrificante allo stesso tempo. Senti delle storie: persone a cui quelli dei piani alti si attaccano e che fanno salire di rango solo per giocarci, bambini che hanno a che fare con cose a cui non sono affatto preparati: i suicidi, i rinnegati e i congedati con disonore. Tutti credono che sappiano gestire tutto. Be’, ero curioso, ma non fino a quel punto. Qualunque cosa avesse quell’effetto su una persona, non volevo scoprirla. Non volevo sapere chi ne fosse in grado.
«Dovresti avere paura» mi disse Brenda, al telefono.
«Quanta paura?»
«Ho sentito che hanno scoperto che un membro del personale era un traditore, una talpa che vendeva informazioni all’Insorgenza del Caos. Non l’hanno detto a nessuno, né hanno agito secondo il protocollo. Hanno solo scritto un e-mail ai direttori, poi uno di loro è entrato nella caffetteria e gli ha sparato!»
«Cosa devo fare?»
«In tutta onestà? Se li ignori, è probabile che continuino a starti addosso. Forse potresti anche accettare la loro offerta, ma devi promettermi che starai attentissimo»
«Giusto. Se senti dire che il mio corpo è stato ritrovato in un fosso, o se tra qualche giorno sparisco dalla faccia della Terra, di’ ai miei genitori che gli volevo bene»
Per qualche motivo, Brenda non lo trovò molto divertente.
Sei mesi dopo, sulla mia scrivania apparve un foglio. C’era scritto: “Accetti?”, col bozzetto di uno stormo di cinque merli, il che non lasciava dubbi su chi mi avesse mandato quel messaggio. Quando l’elicottero nero atterrò e salii finalmente a bordo, mi stavano aspettando. Fui portato a un bunker sconosciuto. Nella Colombia Britannica, tra tutti i posti, e i Sovrintendenti mi aspettavano ad un tavolo. Tutti e tredici.
«Siamo contenti di vederti» disse O5-5.
Guardò la persona seduta accanto a lui, una donna paffuta che poteva essere indiana o tailandese (a giudicare dai lineamenti e dalla carnagione) vestita di verde:
«Sembra che il tuo lavoro abbia dato i suoi frutti, O5-7»
E così, il mio misterioso mecenate era O5-7. Ma certo. Avrei dovuto immaginarlo.
«Però ci è voluto tempo. Hai lo spirito giusto – sorrise lei – Sei pronto ad unirti al lato oscuro?»
Non dissi nulla.
«Parla, ragazzo» mi spronò una vecchia.
Mi imposi di rispondere:
«Immagino di sì. Ma voi mi spaventate a morte»
I tredici O5 risero, compiaciuti. O5-7 mi chiese:
«Non l’hai ancora capito? Ma se hai passato così tanto tempo a indagare! Be’, scoprirai che non c’è nessun indovinello segreto al centro di tutto. Ci sono i nostri affari privati che non hanno grandi conseguenze sul resto del mondo, poi ci siamo solo noi. Che ne pensi?»
La prima volta che la vidi, la valigetta era su un tavolo in una stanza chiusa a chiave. Era in pelle di coccodrillo e luccicava, come se non fosse stata aperta spesso, e aveva delle decorazioni in metallo che riuscivo a malapena a distinguere. Stavamo guardando attraverso una finestra. O5-7 mi disse:
«Se leggessi cosa c’è scritto lì, avresti la spiegazione di tutto. Ma così sarebbe troppo facile, quindi non te lo concedo. È tutto. Quaggiù ci sono i tuoi alloggi, per le prossime settimane»
Mentre ci passavamo accanto, mi resi conto che quel vetro era laminato e che la stanza con la valigetta era identica ad una cella di contenimento. Come, del resto, tutte le stanze che c’erano lì.
Allora, questa piccola struttura era il grande Edificio Segreto? Quello era il punto di tutto? Tutto ciò che avevo cercato era lì? Mi chiesi chi avesse fondato la Fondazione e a cosa avessero pensato. Osai chiedere a O5-7 di SCP-001.
«Non sei molto sveglio, vero? Be’, resta con noi in questa piccola fortezza per un altro po’, alla fine ci arriverai»
Ma la Fondazione, come ormai sapevo, non era una fortezza, ma un acchiappamosche. Era enorme, esotica, invisibile e marcia fino al midollo. Tutti quei misteri erano solo petali, distrazioni. Una volta che si è al centro, è tutto chiaro come il sole.
Pensandoci bene, i Sovrintendenti non sembrano invecchiare. Non si feriscono. Possono passare attraverso un incendio, una zona di guerra e non si farebbero niente, il che li rende le persone più fortunate del mondo. Non è forse la cosa più pericolosa di cui si abbia mai sentito parlare? Dannazione, come vorrei incontrare il genio che ideò questa unità di contenimento. SCP-001 era rinchiuso e non sarebbe mai uscito. Brenda non avrebbe avuto alcuna possibilità.
O5-7 mi mentì spudoratamente per tutta la serata… era forse la donna più potente che ci fosse, indossava un tailleur pantalone verde menta e mi stava mentendo spudoratamente. Mi disse che quella era la posizione più necessaria del mondo, che adesso avrebbe capito la mia riluttanza, ma si aspettava che mi ci adattassi (aveva scambiato il mio silenzio per confusione), voleva che capissi cosa stavano progettando per il futuro della Fondazione. Disse che i loro piani erano incompleti.
Ma quella donna era una bugiarda. Forse è più facile da capire, se lo pongo come un indovinello. Perché la Fondazione contiene? Per creare un diversivo. Qual è lo scopo della Fondazione? Contenere il Comando O5. Era la miglior acchiappamosche mai esistita.
Ma era un’ingiustizia. La Fondazione teneva intere nazioni in ostaggio per chiedere un riscatto, letteralmente. Avevamo una manodopera che rivaleggiava con le più grandi aziende al mondo. Un governo democratico potrebbe saper fare di meglio. Era ingiusto che mettessimo a rischio tutti gli esseri umani senza nemmeno dirgli qual era il pericolo. E in quanto agli O5, la corte suprema con l’esercito magico? Be’, avevo un piano. Sarei uscito allo scoperto con così tanti dei loro segreti che avrebbero dovuto inseguirmi alla luce del sole per riprenderseli. Sapevo abbastanza da seminare le squadre di copertura e nascondermi dai cecchini, e se mi avessero cercato di persona; forse si sarebbero fritti al sole, come vampiri.
Non lo feci quella notte, bensì due settimane dopo: non andai a dormire. O5-7 mi aveva insegnato i codici di sicurezza; il primo che provai apriva la porta di quella stanza. Il secondo trucco di cui si servono per fare in modo che nessuno faccia quello che sto facendo io è la sicurezza: quando un membro del personale raggiunge il Livello 3 o il Livello 4, quando lo stipendio sale alle stelle e la sicurezza scompare. All’improvviso la musica cambia: non andartene, ci stai facendo un servizio, ci servi, te lo dobbiamo. Tuttavia, in questo contesto, l’unica cosa che significava era che la porta che mi intralciava la strada non era bloccata.
La valigetta è fredda e pesante nella mia mano, si agita mentre corro verso l’ambasciata. Sono già stanco, ma non mi rimane altro da fare, i miei piedi si muovono come se avessero una volontà propria, invisibile e perpetua. Le prime sagome dei grattacieli iniziano a brillare all’orizzonte. Li vedo bene. Sì, posso vederli bene.