La Dismissione di Bowe - Parte 1
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Dan sembrava diverso. La direttrice Light lo notò appena lo vide scendere dall’elicottero. Teneva la schiena più dritta e la testa più alta, le sue movenze erano più svelte e disinvolte. Inoltre, non indossava più la divisa da detenuto; i rotori facevano sventolare come una bandiera il suo camice fresco di lavanderia. Mentre l’elicottero decollava, pensò:

“Ora sì che lo riconosco. Il dottor Dan… qualunque cognome abbia”

«Bella, la vacanza?» gli chiese.

Dan attraversò l’eliporto di corsa per venirle incontro e Sophia si disse:

“Sì. Chi è depresso non corre, con o senza camice”

Andarono alle scale insieme e Dan alzò un sopracciglio:

«Vacanza? Viaggio di ricerca. E sì, è andato bene»

Dan si massaggiò la spalla; nonostante gli avessero sparato qualche giorno prima, il suo passo era bello scattante. Si trovavano al Sito-01, la base del Comando O5: il centro che doveva reggere a qualunque costo.

«Cos’hai preso al Sito-11 e al Sito-15 che non potevi trovare qui?»

«Ho fatto un corso accelerato su tutto. Avevo dieci anni di compiti da recuperare, come mi hai ricordato con tanta cortesia»

Si precipitò all’ottavo sottolivello e Sophia lo seguì a ruota.

“Ha tracannato bevande energetiche mentre studiava?”

All’improvviso, la direttrice Light si accorse che Dan aveva qualcosa di pesante in una tasca del camice.

«Spero che abbia davvero letto cinquemila fascicoli SCP in un giorno»

«No, li hanno letti cinque IA diverse che mi hanno insegnato tutto quello che dovevo sapere; a parte dove sto andando in questo momento»

Sophia gli passò davanti e Dan tenne il passo.

«Iniziavo a chiedermelo: ne sembravi così sicuro. Sono comunque tantissime informazioni, Dan»

Dan svoltò l’angolo di colpo:

«Facevo il drammatico. Non abbiamo ripassato tutto, solo le anomalie al Sito-19. Soprattutto gli umanoidi e gli armamenti»

«Ha senso»

«Sì, ho preso appunti sul nostro amico, il generale George. Quel cadavere radioattivo mancato non ha un pizzico di creatività. Considera le anomalie due cose: soldati e armi. Ha intenzione di “schierare” qualunque anomalia pensante incontri come Insorti, armare i suoi uomini di qualunque cosa sembri un fucile o una lama e sguinzagliare i non umanoidi come mastini. Dubito che tenterà una guerra chimica: sa che possiamo fronteggiare quasi tutto ciò che ha e presumo che, quando saremo tutti morti, voglia raccogliere i cocci senza squagliarsi»

Si fermarono davanti a una fila di doppie porte in metallo satinato. Sophia domandò:

«Hai chiamato qualcuno per aiutarti? Sai che non posso rimanere. Che ne dici del dottor Gears? O del dottor Sokolsky?»

Dan le rivolse un’occhiata strana:

«No. Non voglio una riduzione delle perdite efficiente. Non voglio… ah… morti inutili»

Sophia ricambiò l’occhiata strana:

«Nessun neonato»

«Giusto, nessun fottuto neonato. Voglio compiere un miracolo: creare un mondo migliore con gesta supereroiche mentali efficaci. Contribuisci pure, quando avrai finito coi tuoi veri e propri supereroi»

Dan afferrò una maniglia, lei afferrò l’altra e aprirono le porte insieme.

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Si trovavano in quella che, in passato, era stata la sala del Controllo delle Missioni della Fondazione. I terminali erano stati rinnovati ed era stata tentata una sostituzione completa, ma i quadri di comando erano ancora fatti di acciaio inossidabile turchese e, sulle pareti, c’erano ancora spazi per schermi di proiezione e lavagne. Anzi, proprio mentre la squadra di ricercatori del dottor Dan si radunava nella stanza e chiacchierava a bassa voce, due tecnici stavano installando una lavagna magnetica. Quando sembrò abbastanza stabile, Dan scacciò i tecnici in malo modo, stappò uno dei numerosi pennarelli cancellabili e disse:

«Questa è mia, non deve scriverci nessun altro»

La direttrice Light, intenta a osservare adagiata sulla soglia, lo apostrofò:

«Ehi»

Dan mentì:

«Mi piacciono le lavagne: mi aiutano a concentrarmi sulle cose importanti»

Iniziò a scrivere in blu, a caratteri cubitali:

LA DISMISSIONE DI BOWE

Ciò suscitò alcune risatine di apprezzamento. Dan si rivolse agli agenti in borghese ai lati della porta e indicò la lavagna:

«Se qualcuno la tocca, sparategli»

Entrambi gli agenti guardarono la direttrice Light, che incrociò le braccia e sospirò:

«Solo la scossa»

«No» ribatté Dan.

Schioccò le dita e i ricercatori, con molta diligenza, smisero di ridacchiare. Il dottor Dan li scrutò: undici donne e nove uomini, nessuno dei quali era speciale, a parte le loro autorizzazioni di sicurezza alte. Aveva fatto convocare ciascuno di loro nello specifico e si era accertato che le persone giuste avessero visto le sue richieste.

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«Ciao, sono il dottor Dan, e questa è una mia giunta. Siete qui per fare come vi dico quando lo dico e per farmi sapere quando dovrei dire o fare qualcosa che non sto dicendo o facendo. A partire da ora, sono il direttore dell’Autorità di Risposta Tattica alle Minacce Emergenti della Fondazione SCP, composta soltanto da me e voi. Quella signora spaventosa alla porta è la dottoressa Sophia Light, la direttrice della SSM Alfa-9 e la nostra capa. Tra qualche ora dovrà andare via, quindi nel futuro fruibile sarete costretti a subire le mie delicatissime attenzioni»

Sghignazzò. La direttrice Light sorrise e scosse la testa. Dan indicò metà del gruppo e proseguì:

«Voi dieci siete il Turno A, diretto dalla dottoressa Safiro»

Kelly Safiro, una giovane donna dai capelli neri, annuì.

«Gli altri dieci sono il Turno B, la squadra del dottor Frewer. Faremo turni da dodici ore, quindi fate il pieno di calorie»

Dan premé un interruttore sul muro e tutti i quadri di comando si accesero con un ronzio.

«Quando non abbiamo a che fare con un’emergenza, tutto il turno attivo deve raccogliere dati: ispezionate le nostre SSM e i direttori dei siti, trovate anomalie che non vengono affrontate subito e lo fate presente ai vostri capisquadra. In questa iniziativa, disponiamo di satelliti, spie e bot di ricerca, quindi ci sarà parecchio da fare! Se non siete il capo del turno, non voglio sentirvi parlare, voglio sentirvi digitare»

Schiacciò con forza la barra spaziatrice della tastiera più vicina per enfatizzare la richiesta.

«I capi dei turni mi segnalano le cose: mi informano dei problemi in ordine di gravità»

Indicò i grandi monitor di cui era piena la stanza:

«Vi dirò io cosa scrivere sul tabellone, chi chiamare e cosa fare. Il Sito-19 è pieno di nequizie esilaranti e il generale Bowe ha un impressionante catalogo di anomalie che può scagliarci contro, prima che diventi vulnerabile ai nostri attacchi»

«Quindi faremo così? Lo indeboliamo per una squadra d’assalto?» domandò un ricercatore.

«Forse. Al momento le nostre squadre d’assalto, compresi tutti i potenziali agenti della SSM Alfa-9, sono legate con assurdità da GdI o peggio. Stiamo solo segnando il passo finché qualcun altro non escogita una soluzione permanente? Può darsi. In questa stanza, ci concentriamo sul controllo dei danni. Rifilate i casini tosti a me e, se non so come uscirne, accetterò suggerimenti»

«È probabile che non sappia come uscirne?» chiese la dottoressa Safiro.

«E chi prenderà le redini mentre dormi?» chiese il dottor Frewer.

Dan infilò la mano nella tasca colma del suo camice e ne tirò fuori una bevanda energetica ancora fredda. Aprì la lattina, bevve un grande sorso e rispose:

«No, non lo è. E non dormirò. Ora andate a prendere del cibo spazzatura, Turno A, e voialtri rimboccatevi le maniche. Sarà una giornata impegnativa»

La direttrice Light se ne andò con loro, ancora sorridente; scuoteva ancora la testa.

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Sulla schermata video, Everett Mann sospirò:

«Non ce l’ho»

«In che senso, non ce l’hai?»

Dan era contento che ora la stanza fosse vuota. Il dottor Mann fremé:

«L’ho persa molto tempo fa. Poco prima che smettessimo tutti di cazzeggiare così tanto, capisci? Prima che Kondraki morisse»

«Chi l’ha presa, Ev? Ne ho davvero bisogno, per un’eventualità»

«Tilda»

Dan rimase interdetto:

«Tilda?»

«Sì, Tilda Moose. Perché ghigni?»

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Il generale George Bowe fece l’inventario del suo nuovo ufficio. C’era un armadio, il che era un bene: gli piaceva avere un’uniforme pulita. C’era una scrivania con un computer, il che era meglio: gli piaceva tenersi informato, anche nei drammatici momenti in cui non era al centro dell’attenzione. Sulla scrivania c’era una statuetta che era…

«Odiosa» sibilò.

Era una scimmia da suonatore di organetto che leggeva un libro, pitturata a colori vivaci, alta una trentina di centimetri. Bowe scosse la testa, poi prese la statuetta e la capovolse. Sul fondo era incisa una scritta in corsivo: “Al Più Intelligente”. Il generale sbuffò:

«Proprio per niente»

Così era con questo che passavano il tempo: trofei di partecipazione e auto-soddisfazione insopportabile. Per forza conquistare il Sito-19 era stato così facile. Rimise a posto la statuetta e la osservò per un attimo; poi la buttò giù dalla scrivania col dorso della mano, come un gatto. La statuetta cadde sul tappeto con un tonfo pesante.

«Questa caduta è solo la prima» annunciò tra sé e sé.

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Kelly Safiro fu la prima a tornare nella sala del Controllo delle Missioni. Il dottor Dan stava in piedi davanti alla sua lavagna magnetica, con gli occhi chiusi, intento a sfiorarsi le labbra con un pennarello verde coperto. Aveva scritto una seconda riga:

LA CHIAVE È L’AREA-81

Si voltò, aprì gli occhi, la vide e annuì:

«Siediti»

Prese un cancellino e tolse la nuova riga, per poi guardare lo spazio vuoto con un’espressione pensosa. La dottoressa Safiro si stava connettendo a SCiP.net, quando entrò il secondo ricercatore; Dan aveva già scritto una nuova seconda riga e, quando il nuovo arrivato si sedé, la stava già cancellando. Il dottor Dan sembrava preoccupato. Quando tutti i membri del turno furono tornati, buttò il pennarello sul bordo della lavagna e sospirò. Gli erano venute tre idee e le aveva scartate tutte. Prese la parola:

«Dunque, riceveremo segnalazioni a mo…»

«Ne ho una» lo interruppe Kelly.

Il ricercatore accanto a lei guardò il suo schermo e le annuì con ammirazione:

«Bel colpo»

«C’è un raduno al Cairo, nel parco di Al Azhar. Qualcuno sta facendo un discorso in inglese col megafono e sembra che stia attirando una folla. Potrebbe essere un GdI»

«Spostalo sullo schermo centrale»

Dan si tolse di mezzo e adagiò la schiena sul lato di un terminale. Ora tutti gli schermi nella stanza trasmettevano le riprese delle telecamere da spalla di una squadra speciale mobile. In effetti, si stava formando una calca in un boschetto ombreggiato; si sentivano vaghi frammenti di conversazione.

«Qui è il dottor Dan. Aumentate la portata del microfono»

«Ricevuto»

La voce diventò chiara:

«Quello che dobbiamo lasciarci alle spalle, quello che dobbiamo abbandonare davvero, è l’idea che ci sia un’agenzia non governativa onnipotente dedita alla sicurezza, al contenimento e alla protezione…»

«Spegnetelo!» urlò Dan.

Si precipitò dall’altro lato della stanza. Per poco non inciampò per la fretta, mentre si fiondava sulla lavagna.

«Spegnetelo!»

«…minacce ridicole. È solo un meccanismo di dife…»

«Spegnete quella merda!»

Prese un pennarello rosso e scrisse alla lavagna:

LA FONDAZIONE SCP ESISTE

Dopodiché picchiettò il dito in modo frenetico su uno degli schermi col video in pausa:

«Leggete questa. Per la prossima ora, prima e dopo qualunque cosa facciate, leggete questa frase! Interiorizzatela. E portate qui qualcuno della Divisione di Antimemetica che ci controlli»

Tutti i ricercatori sembravano turbati e confusi.

«Ma che diavolo era?» chiese Kelly.

Madido di sudore, il dottor Dan si asciugò la fronte e borbottò:

«La folla era una messinscena. Quello era un manipola-realtà, un rischio cognitivo. Uno qualsiasi delle decine contenute al Sito-19. Il generale Bowe sa che sorvegliamo il mondo in cerca di eventi anomali, così ci ha teso una trappola con tanto di esca. Dunque… ehm… gassate il parco»

«È un parco grande»

«Allora usate tanto gas. Tramortite tutti, date la colpa alla canicola o quel che volete. Accertatevi che tutti gli agenti della Fondazione sul campo indossino i paraorecchie»

La dottoressa Safiro impallidì:

«Ci siamo quasi fatti fottere le menti dal nostro primo caso?!»

Dan si massaggiò le tempie e provò a forzare un sorriso:

«Ehi, da qui sarà tutto in salita»

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«Tre segnalazioni distinte di uomini armati di spada che attaccano postazioni di ascolto a Calcutta. È alla portata di una sola SSM dal Sito-36»

«Dunque, ci sono solo tre spade anomale al Sito-19. Quegli uomini si vantano?»

«Uno di loro non smette di ribadire quanto è grande la sua spada»

«Priorità più bassa, quella spada è inutile. Alcuni degli uomini sono scoordinati?»

«Le spie sul campo dicono che uno di loro barcolla, come se fosse ubriaco»

«Priorità due, anche quella è inutile. Però sbrigatevi a prendere la terza: rende senzienti gli arti mozzati»

La dottoressa Safiro fissò Dan.

«Sì, dico sul serio. Avanti, mandate il messaggio»

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Il proprietario della galleria d’arte implorò in francese:

«Vous devez comprendre!»

La tenente Joly gli diede una pacca sulla spalla:

«Je comprends, calmez-vous. Prenez un bol d’air frais, nous allons les sauver. Je vous promets»

Gli diede una lieve spinta verso l’uscita; mentre il proprietario non la guardava, reclinò il collo e mimò il gesto di iniettarsi una dose. L’agente alla porta tirò fuori un iniettore di amnestici e seguì il proprietario di fuori. La voce del dottor Dan le risuonò nell’auricolare:

«A rapporto»

«Il soggetto è in una sezione chiusa della galleria. Ci sono nove paesaggisti, a quanto pare tutti famosi, ma non ne ho mai sentito parlare»

«Tutti ancora vivi?»

«L’ultima volta che ne abbiamo sentito parlare, sì. Nick?»

Il suo altro agente stava in equilibrio su una scaletta e stava trapanando il soffitto.

«Avremo novità a momenti, dottore»

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L’uomo dai folti baffi fece scorrere il pennello attraverso la parete di carta intelata e supplicò le sue mani di non tremare. Finì la pennellata, alzò il braccio, si pulì il collo dal sangue e mugolò. La catena stringeva con forza: la sentiva piegarsi contro la sua pelle, gliela raschiava via ogni volta che faceva un respiro troppo profondo. Iniziò un’altra pennellata. L’uomo dai capelli rossi sussurrò:

«Ho… ho finito»

Deglutì e fece un grido soffocato, quando il suo pomo d’Adamo premé contro la catena intorno al suo collo. Un agglomerato senziente di anelli metallici, il Forgiatore di Catene, si voltò per esaminare la nuova opera. Era una scena pastorale, resa di fretta con sfumature di verde e giallo. Il Forgiatore alzò la sua testa luccicante dall’approssimativa forma umana e contemplò il dipinto. Alla fine, sospirò, come vento che soffiava attraverso una serratura, e disse:

«No. È troppo vostro. È pieno del vostro lerciume. Manca l’ordine, l’ordine del vento e della pioggia. Siete privi di significato e immondi. Raschiatelo via e ricominciate»

Strinse la presa su tutti e nove gli artisti.

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Dan si massaggiò il collo con fare distratto:

«Non credo che oggi vogliamo insabbiare la morte di nove artisti, come se non bastasse tutto il resto. È già tanto se non li ha assimilati. D’accordo, fate partire l’aereo più veloce che abbiamo. Odio combattere il boweismo col boweismo, ma qui c’è un limite di tempo. Quella mostra dovrebbe aprire domani»

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Il Forgiatore di Catene non si accorse del frammento di intonaco che cadde da un angolo del soffitto e infarinò di polvere bianca il pavimento di doghe marroni. Non si accorse neanche del sottile rotolo di carta che si srotolò giù per il buco appena trapanato, come un piccolo cavo per calarsi. Ma se ne accorse quando, con un lievissimo fruscio, la carta si ritrasse nel buco. Il Forgiatore si girò sul posto e nove voci diverse urlarono di dolore. Gli artisti barcollarono e caddero, alcuni sul pavimento, altri contro i rigidi anelli del corpo del loro aguzzino, altri ancora si avvinghiarono al muro decorato col paesaggio.

C’era lo schizzo di un boschetto con un ruscello, vicino alla porta. Il Forgiatore ne era stato piuttosto commosso, tanto che aveva concesso agli artisti qualche attimo di vita in più, grazie al breve intervallo dai loro gemiti che gli aveva fornito. Ma ora era rovinato, del tutto e in modo assoluto: il disegno di una ragazzina in uniforme da agente della Fondazione stava rivolgendo un odioso sorriso raggiante al Forgiatore, con gli stivali immersi nel ruscello. Con una mano lo salutava, nell’altra teneva una lavagnetta cancellabile. Sulla lavagnetta erano scritte delle parole e il Forgiatore trascinò controvoglia le sue maglie attraverso la stanza per leggerle.

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«Cosa sei?» tintinnò.

La ragazza aveva già cancellato il primo messaggio e si affrettò a scriverne un altro col pennarello.

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Se il Forgiatore avesse avuto la saliva, avrebbe sputato:

«Ti considero un’infezione»

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La ragazza passeggiò dal ruscello immobile e silenzioso allo spazio bianco che vi confinava.

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Raggiunse la montagna astratta in stile fumettistico che il Forgiatore aveva deciso di distruggere dieci volte nell’ultima ora, senza riuscire mai a spingersi a farlo davvero. La ragazza si ingrandì in modo drammatico e strizzò l’occhio con un’espressione civettuola. Sopra la sua testa, apparve una nuvoletta di dialogo:

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«No. Questa è la loro penitenza. Stanno espiando la loro natura. Stanno creando bellezza. La sto ritagliando dalla loro carne, finché la carne non sarà tutta sparita per misericordia»

La ragazza annuì con gli occhi sgranati, mentre si addentrava nel paesaggio astratto dipinto da una donna che ora era distesa sul pavimento, svenuta e rantolante. L’uniforme della ragazza si trasformò in due rettangoli sovrapposti e il suo viso fine si poteva a malapena definire tale. Scrisse qualcosa sulla lavagnetta, ma il Forgiatore non seppe distinguere le parole. Ringhiò, come uno scafo arrugginito sferzato da un vento burrascoso:

«Strisci nell’artifizio, corrompi le linee»

La ragazza attraversò lo spazio tra gli spazi e si recò su una serie di colline rese nei minimi dettagli. Con la lingua fuori da un lato della bocca, iniziò a scrivere col bordo largo del suo pennarello, che all’improvviso era diventato viola.

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Il Forgiatore allentò le sue molte prese appena appena. Per la stanza risuonò una cacofonia di colpi di tosse. Sussurrò:

«Non vi è una bellezza che tu non possa guastare? Sei un anatema»

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Ora l’agente dipinta si appoggiava su un granaio rosso brillante.

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Il Forgiatore cadde in ginocchio, sconfitto, e le assi del pavimento si ammaccarono.

«È la fine. Tutto… tutto è desolazione»

La ragazza fece un broncio empatico.

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La porta si spalancò e tre agenti di carne e sangue avanzarono nella stanza con cautela. Il Forgiatore rimase eretto, in ginocchio e immobile, finché gli artisti non furono soccorsi. Dopodiché, piano piano, si raggomitolò in un ammasso di metallo annodato.

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«SCP-1770 è in custodia. Bella pensata, dottore» commentò Kelly.

Il dottor Dan si sedé a un terminale libero e si stirò, ma sminuì il complimento:

«Sistemare un’anomalia con un’anomalia significa giocare sporco: posso fare di meglio. Recuperate Cassy e accertatevi che qualcuno parli con lei: quel portachiavi misantropo è grottesco e deprimente»

«Subito»

La dottoressa Safiro diede una gomitata al ricercatore accanto a lei, che iniziò a premere i tasti necessari. Poi rimase interdetta:

«Oh, abbiamo… ci segnalano un furto con scasso all’Area-81»

Dan sobbalzò:

«Merda! Mandate la cavalleria!»

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«Colpo di Martello a rapporto, come da ordini. La zona operativa sembra libera, signore»

Dan fece una smorfia allo schermo. Le riprese mostravano una fredda distesa deserta al tramonto che si stagliava tra la SSM Nu-7 e la piccola struttura di contenimento davanti a essa.

«Ecco, questo è un problema»

«Signore?»

«Il generale Bowe sa che ci serve il contenuto dell’Area-81 e sa che non sappiamo se l’ha preso, quindi sapeva che avremmo mandato il Colpo di Martello a scoprirlo. Non è un genio, ma non è neanche un idiota: è una trappola. Sta provando a uccidere la nostra SSM migliore»

Dan si recò al centro della sala di controllo e infilò le mani nelle tasche del camice, pronto a scervellarsi.

“Come facevo a pensare senza camice?” si chiese.

«Bowe è un teorico, gli piace documentarsi su battaglie e tattiche. Su quali battaglie e tattiche si sarà documentato di recente, per mettersi in pari? Presumendo che sia stato davvero fuori servizio per tutto questo tempo?»

Uno dei ricercatori gli fece subito un suggerimento:

«La guerra in Iraq»

Dan riguardò il deserto filmato sullo schermo e ripeté:

«La guerra in Iraq. Sì, va bene. Compagnie militari private, ordigni esplosivi improvvisati, mine antiuomo… mine antiuomo? Ah. Merda»

Rise e stirò le braccia, sempre con le mani in tasca. Fu una bella sensazione.

«D’accordo, magnifico. Ascoltate bene, Colpo di Martello: qualunque cosa accada dopo, non raccogliete niente. Ricevuto?

«Agli ordini, signore»

«Mettetemi in vivavoce»

«Ricevuto, sta trasmettendo»

Il dottor Dan si schiarì la voce:

«Mi sentite?»

«Sì, signore, sta trasme…»

«Non voi»

Dal buio della notte, non giunse alcuna risposta.

«Vi darò una scelta: vi metteremo dell’erba e qualche fiore in camera, vi daremo un autentico giardino, oppure potremmo farvi fare un giro della struttura. Ho sentito dire che ad alcuni di voi piace viaggiare, di questi tempi»

Ancora nessuna risposta dalle tenebre.

«In alternativa, i miei agenti possono calpestarvi la testa e voi potete sbucare fuori urlando e attaccarli, con buone probabilità di esplodere. Insomma, a voi la scelta, ma so cosa sceglierei io»

La sabbia si agitò e, nel deserto buio, Dan intravide il blu sbiadito di un cappello a punta che spuntava da sottoterra. Uno gnomo da giardino ben vestito dalla lunga barba bianca e le guance rosee si alzò in piedi, si scrollò la sabbia di dosso e sputò polvere. Tossì e borbottò:

«Smalto»

Dan si accigliò:

«Cosa?»

«Smalto, babbeo! Guardami bene: la mia finitura è quasi saltata, la vernice mi si stacca a fiocchi e questa sabbia ruvida non è d’aiuto. Vogliamo rivestimenti di vernice fresca e smalto, altrimenti non vale la pena vivere. O ci date il nostro smalto e il resto o perdete gli arti e le falangi, signore e signori»

Il dottor Dan ghignò:

«Affare fatto, a una condizione»

Lo gnomo sputò ancora:

«Quale?»

«Se anche solo uno di voi esplode, vi spediamo tutti da Travelocity»

Dall’intera duna si levò un coro di voci offese. La sabbia si agitava come le onde del mare. L’unico gnomo allo scoperto sibilò:

«Non osare!»

Dan sbuffò:

«Sono stufo. Sono stato recluso per dieci anni, non ho paura del gioco duro e ho sempre voluto far esplodere qualcosa che vedevo in televisione»

Lo gnomo scoppiò a ridere:

«Non sei affatto male, capo. Va bene, ragazzi? Venite fuori ad abbronzarvi»

In effetti, il sole aveva appena iniziato a sorgere, quando l’esercito di gnomi esplosivi iniziò a emergere nel gelo del deserto.

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Dan aveva il cancellino in mano, quando il dottor Frewer e il resto del Turno B arrivarono. Coprì la lavagna magnetica col suo corpo e finì di cancellare l’ultima scritta:

BOWE HA IL MANUFATTO

Il dottor Frewer non vide la frase, ma vide la faccia di Dan: il dottore sembrava affaticato e sconfitto. Si stava strofinando gli occhi:

«Eh, porca troia. Vabbè, cominciamo il turno risolvendo alcuni dei casi di basso profilo»

Il dottor Frewer aprì le schermate video:

«Occupazioni di massa in negozi di alimentari a Mosca. I poliziotti sono più indaffarati che mai per arrestarli tutti»

Dan era perplesso:

«Deve… dev’esserci sotto più di… un attimo. Per caso sono fruttivendoli?»

«Uhm… sì»

Il dottor Dan tracannò mezza bevanda energetica, schiacciò la bottiglietta e la buttò nel cestino.

«SCP-5084, pomodori che si presentano come umani. Preparate delle credenziali false, portate un cesto e organizzate un trasferimento di prigionieri»

«Caspita, d’accordo. Ah! Venti persone che fissano una statua a Budapest. Sono come incantate»

«Dannazione, sarà SCP-2274. In pratica, sono morte. Mettetevi l’equipaggiamento SCRAMBLE, trovate la statua e portatela via. Prendete tutti in custodia, immagino che ora abbiamo un campione abbastanza corposo da riprendere quello studio»

Fece un sospiro sconsolato:

«Cazzo. Che altro c’è?»

«Un altro campo minato di gnomi da giardino, in Turchia»

«Macché, davvero? Quanti ne abbiamo recuperati la volta scorsa?»

«Tutte le istanze note»

«Ah! Bene. Dissotterrate quegli stronzetti e portateli a casa. A quanto pare, Bowe non sa distinguere gnomi che esplodono da gnomi che ti lasciano bigliettini romantici. Il prossimo?»

«Un grande concerto rock allo stadio di Wembley. La prima banda non è arrivata sul palco, perché tutti gli spettatori si sono voltati e tuffati sotto le sedie dopo che sono partiti i nastri del pre-concerto»

«Ammazza! Questo sarebbe di basso profilo? Uhm… pfffff. D’accordo. Sarà SCP-3481, la musica dell’agorafobia. Servirà la storia di copertura di una minaccia batteriologica per insabbiarlo. Qual è la capacità di Wembley?»

«Ehm… circa centomila posti. Però occupano solo una sedia ogni quattro: distanziamento sociale per il Covid»

«Grandioso. Fantastico. Dovremo amnestizzare venticinquemila persone. Passate il caso al Sito-91 e dite loro di piangere pure. Nient’altro?»

«Molti impiegati di un’azienda di facciata della Fondazione non riescono ad alzarsi, non riescono a svegliarsi e hanno un colorito preoccupante»

«Mettetemi in collegamento con la squadra sul campo»

«In diretta, capo»

«Qui è il dottor Dan. Controllate l’atrio e le sale pausa. Dovete cercare una scodella di lecca-lecca vampirici e no, non voglio sentire la vostra reazione»

Si sedé a peso morto. Il dottor Frewer rise e Dan gli rivolse un flebile sorriso:

«Non è una brutta giornata lavorativa, per ora»

Detto ciò, sbadigliò e richiuse la bocca con uno schiocco di denti.

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Dan si stava quasi appisolando, quando arrivò la chiamata successiva. Il dottor Frewer urlò a pieni polmoni:

«Dottore! Abbiamo un problema!»

Lo schermo principale si accese con uno sfarfallio e mostrò una strada newyorkese.

«È a Manhattan, qualcosa si sta avvicinando all’Area-198. Li ho già allertati, ma…»

Dan stava per chiedere cosa doveva guardare per l’esattezza, quando un grosso veicolo rosso con una sirena sfrecciò in fondo alla strada, attraversò un incrocio e andò a sbattere contro il muro di un anonimo edificio di pietra. Era un’autopompa.

«Oh, eddai!» esclamò Dan.

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«Acqua alle polveri!»

L’autopompa emise un ruggito profondo e rauco, le sue abbaglianti sirene lampeggiavano. Con un rombo di motore, iniziò a inondare l’atrio impolverato con un costante getto d’acqua. Una mezza dozzina di dipendenti della Fondazione scivolò e cadde nella fanghiglia unta.

«Arrendetevi, invertebrati incendiari! So che siete lì dentro e vi sciacquerò fuori, anche a costo di svuotare la cisterna!»

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Dan si sfregò la faccia con le mani e si tirò le palpebre, frustrato ed esausto:

«Allora, potete chiamare l’agente Rodney…»

«Ne abbiamo un altro!» esclamò il dottor Frewer.

«In quale strada?»

«Eh? Nessuna, dottore»

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Ci fu un’esplosione tremenda fuori dal cornicione crollato e l’autopompa si affrettò a fare retromarcia, sotto una pioggia di muratura polverosa.

«Avete scoperto la furtività, eh? Credevo che voi piccole braci foste troppo fioche per le manovre tattiche!»

Al centro della strada, o meglio, in un cratere profondo mezzo metro in mezzo alla strada, c’era una tuta da astronauta bianca e lucida. Salutò l’autopompa:

«Buongiornissimo, popolo della Terra! Siete diventati grossi, rossi e squadrati in mia assenza! Sarà la vostra dieta, se vossi in voi andrei dal nutrizionista»

Le ruote dell’autopompa iniziarono a girare a tutta velocità; buttarono in giro frammenti di asfalto e la gomma che si consumava stridé.

«Non prenderai mai la Minaccia Rossa viva, uomo di fuoco! Consegnami il razzo e cessa i tuoi crimini infernali, o affronterai la collera dell’estintore di madre natura; cioè l’acqua»

In qualche modo, il ringhio dell’autompompa diventò più grave. Il Campione della Luna saltò fuori dal cratere e atterrò a pochi centimetri dal paraurti dell’autopompa.

«Se questo è un rituale di corteggiamento di voi umani, sono spiacente, ma il mio cuore appartiene a una donna con occhi lontanissimi, un lignaggio stellare, un lavoro stabile, un’orbita stabile e milioni di miliardi di tonnellate di… quelli che potrebbero essere capelli»

Sussurrò l’ultima frase nel radiatore. Le luci della Minaccia Rossa lampeggiarono e la sirena ululò come un pagliaccio sulle montagne russe. Strillò:

«Ti sei appena guadagnato l’annegamento del secolo, figliolo!»

E lo travolse con la piena potenza della sua pompa.

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Il dottor Dan si sforzò di non gridare, ce la mise tutta per non ridere.

«Allora, ecco… ecco cosa faremo»

«Dottore, perché quel terminale lampeggia?» chiese il dottor Frewer.

Dan esitò, poi guardò dove stava guardando Frewer. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse, infine disse qualcos’altro:

«Controllo delle Missioni»

«Cosa?»

Dan andò al quadro di comando e si accigliò:

«Questa era la sala del Controllo delle Missioni della Fondazione. Si sono trasferiti anni fa, ma i sistemi di supporto ci sono ancora. Stiamo ricevendo un segnale da XCPOA-19, una sonda vicino a… alla fotosfera meridionale»

«La fotosfera? Cioè, nel sole?» chiese un ricercatore.

All’improvviso, Dan si ritrovò col cuore in gola e disse:

«Sì, nel sole»

Accese il sistema che sapeva trovarsi lì, incrociò le dita e, con voce tremante, chiamò:

«Pronto? Chi va là?»

Gli rispose una voce monotona:

«Ciao, sono Sauelsuesor. Avete ricevuto la cosa che vi ho mandato?»

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