Quindi Lasciati Stare
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Avvertenza: Il seguente racconto comprende contenuti forti sul suicidio e menzioni di tentativi di suicidarsi.

Lasciati stare,

Lasciati stare.

«Hai visto Iris?»

Con fare pigro, il dottor Clef levò lo sguardo sull’agente Adams, in piedi davanti alla sua scrivania con le labbra serrate e le braccia incrociate: gli unici segni della sua agitazione, su un volto impassibile. Disinteressato, Alto borbottò:

«No. Perché?»

«Non ti sembra un tantino preoccupante che sia venuta a chiedere dov’è un’anomalia?»

«Non proprio»

Andrea fece un grugnito rumoroso. Il dottor Clef sollevò a malapena un sopracciglio.

«D’accordo. Non ti sembra un tantino preoccupante che sia venuta a chiedere proprio a te dov’è un’anomalia, perché non ne ho la minima idea?»

Alto fece spallucce:

«Sembra un tuo problema»

«Alto»

Conosceva quel tono. Era il tono da “ehi, brutto bastardo, potresti fregartene di qualcun altro almeno un secondo?”. Non gli importava. Agitò la mano con aria distratta, per poi appoggiarla di nuovo sulla sua tastiera, dove prima era stato molto concentrato sul non fare un bel niente.

«Forse è con Meri»

«Non lo è»

Di colpo, il dottor Clef la guardò negli occhi, dietro la sua maschera di indifferenza.

«Forse, allora, dovresti correre a cercarla, Andrea»

«Gesù Cristo!»

Alto l’avrebbe definita incredulità, ma ormai l’agente Adams avrebbe dovuto esserci abituata. Con uno squittio, i suoi tacchi ruotarono sul pavimento e Andrea uscì dalla stanza, mentre ringhiava altre bestemmie. Il dottor Clef ricominciò a non fare niente. E si stava impegnando molto. Mise i piedi sulla scrivania e iniziò a sfogliare con noncuranza le pagine dell’Intraweb della Fondazione, per vedere se stava succedendo qualcosa di succoso in cui potesse affondare i denti. Non c’era mai. Poi, circa otto minuti dopo, gli venne un sospetto. Borbottò ad alta voce:

«Oh! Questo sì che è preoccupante»

Rifletté ancora per un attimo, poi si decise a muovere le gambe e alzarsi dalla scrivania; indossò il logoro camice da laboratorio appeso allo schienale della sua scadente sedia girevole. Iris, SCP-105, non era il tipo da girovagare. Sparire. Era fedele, come aveva dimostrato numerose volte. E anche se le era concesso un certo livello di autorizzazione per via del suo ruolo nella squadra speciale mobile, di certo era strano che neppure l’agente Adams riuscisse a trovarla. Il dottor Clef ragionò:

“Dunque, se fossi un’anomalia ultraventenne bloccata in contenimento, cosa farei? Forse mi ucciderei, dev’essere una noia pazzesca”

Ridacchiò tra sé e sé; spesso, fare parte del personale del sito sembrava tanto claustrofobico quanto le unità di contenimento. Alto gironzolò ancora un po’, alla svogliata ricerca di Iris. Non poteva essersene andata: non ne aveva modo. Sarà stata in giro da qualche parte, lui o Andrea l’avrebbero trovata presto. Non c’era bisogno di agitarsi. Ma per tagliare la testa al toro…

Non vedi che sei qui solo per farti fare a pezzi?

Per essere usata e nient’altro?

Incontrò un paio di ricercatori iunior carichi di raccoglitori e libri; era palese che stavano facendo del loro meglio per fare bella figura. Un po’ terrorizzati dalla presenza dell’imponente e famigerato dottor Clef, lo informarono in tono agitato che no, non avevano visto Iris, ma ci tenevano molto a sapere se potevano fare qualcosa per lui. Alto li congedò con un cenno infastidito.

Mentre svoltava l’ennesimo angolo nel labirinto di quel dipartimento, con le mani nelle tasche del camice, presunse che ormai l’agente Adams avesse trovato la signorina Thompson e che ora si stessero addestrando. Oppure stavano facendo qualunque fosse la cosa per cui ad Andrea serviva SCP-105. Ogni giorno, il dottor Clef ce la metteva tutta per fare il meno possibile per la Fondazione, mentre spendeva più soldi che poteva. Quindi gironzolare a vuoto, anche se era un po’ più faticoso del previsto, gli andava comunque bene.

«Tutto bene, dottore?»

Quella domanda biascicata interruppe i suoi pensieri su cos’altro poteva fare per fottere la Fondazione. Il dottor Clef alzò lo sguardo e vide un giovane di bassa statura con la schiena appoggiata al muro bianco, intento a sfogliare alcuni documenti di ricerca. Un altro ricercatore iunior. E che diamine.

«Non è che hai visto S…»

Alto indugiò un attimo. Era meglio non fare presente che stava cercando una risorsa smarrita.

«Non è che hai visto una ragazza passare di qui?»

Si sentiva un disco rotto e, se avesse dovuto fare quella domanda ancora una volta, sarebbe impazzito. Il ricercatore iunior guardò il soffitto con aria pensosa, per poi rivolgersi ancora al dottor Clef:

«Uhm… capelli biondo cenere, in divisa da allenamento, alta così?»

Tese la mano a un metro e mezzo dal pavimento. Era ora.

«Sì, è lei»

La voce di Alto emise un lieve ringhio misto a un velato sospiro di sollievo. Il ricercatore iunior fece un sorrisetto sbilenco e indicò il fondo del corridoio:

«Bene, credo che sia andata di là. Ho sentito il rumore di una porta, ma laggiù ci sono solo bagni, quindi magari è giù di corda, capisce?»

Alto chinò il capo e superò il giovane ricercatore, poi si girò mentre camminava:

«Riga dritto, intesi? Va’ a lavorare»

Era sempre un bene tenerli in riga. Il ricercatore iunior sbuffò:

«Gran bell’esempio»

Il dottor Clef lo sentì, ma non gliene importò. Raggiunse l’unica porta, a parte quella degli archivi in fondo al corridoio. Era solo un piccolo bagno, anche se di recente lo usavano in pochi. Senza niente da perdere, Alto bussò alla porta. Niente. Bussò ancora. Nessuna risposta. Poi sentì qualcosa. Era un rumore flebile, ma era qualcosa. Il dottor Clef poggiò l’orecchio alla porta. Si concentrò e udì un rumore che aveva sentito troppe volte, le mattine dopo svariate bevute serali. Qualcuno stava vomitando. Alto corrugò la fronte. Non gli risultava che l’agente Adams avesse portato Iris in altre avventure fuori ed era molto improbabile che fosse incinta, quindi che succedeva? La chiamò attraverso la porta:

«Iris?»

I rigurgiti cessarono di colpo per un istante, seguiti quasi subito da conati e altro vomito. Ma non ci furono altre risposte.

«Sei lì dentro?»

Stavolta la chiamò più forte. Alto non sapeva neanche se Iris gli avrebbe aperto la porta; non era un segreto che non era la persona preferita di Iris, ma gli piaceva credere di conoscerla abbastanza, ormai. Ancora nessuna risposta. Girò la maniglia e la porta si aprì.

«Iris, qual è il…»

Spinse la porta con una spalla ed essa si inceppò: c’era una giacchetta da SSM infilata controvoglia sotto la soglia, nel tentativo di impedire che si aprisse. Il dottor Clef si impietrì.

Di’ al tuo tempo perso

Che sono peggio.

SCP-105 era raggomitolata quasi in posizione fetale; aveva le braccia avvolte intorno al gabinetto e teneva la testa in bilico precario sopra di esso, a un passo dal cedere a un’altra ondata di nausea. Aveva la fronte madida di sudore. Tremava. Ma non era questo a sconvolgere il dottor Clef. Intorno a Iris, erano sparpagliate almeno cinque confezioni di farmaci, tutte vuote. Vicino ai suoi piedi, giaceva un paio di compresse scartate.

«Cazzo»

Iris alzò lo sguardo e incrociò quello sbigottito di Alto; aveva le pupille contratte e il suo corpo fremeva.

«Non…»

Fu interrotta da un rigurgito che la fece tossire.

«Non…»

Farfugliò, man mano che le si accumulavano residui in gola. Aveva la voce rauca; disperata. Il dottor Clef era disorientato.

«Porca troia, Iris, mi sa che è un po’…»

Iris mormorò, impaurita:

«Per favore, non chiami nessuno»

La bocca socchiusa di Alto si serrò. Anche quella scena era troppo familiare. Davvero troppo. Di norma, il dottor Clef sapeva cosa fare. E se non lo sapeva, improvvisava. Sarebbe dovuto bastare. Si accostò a Iris e, quando si accucciò, gli scricchiolarono le ossa. SCP-105 non distoglieva mai lo sguardo. Aveva gli occhi opachi. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì altro che un altro getto di bile acida. Da vicino, Alto notò dei pezzetti duri e rosa nel vomito.

«Iris…»

Il suo sguardo lo zittì. Era una combinazione distorta di terrore e angoscia. Sospirò.

«Non… non chiamerò nessuno, se non vuoi»

Doveva fare una scelta. Poteva fare lo stronzo o essere lo stronzo che avrebbe aiutato Iris.

«Ma ho intenzione di stare qui e darti man forte»

Sapeva com’era. Sapeva com’era in solitudine. Aveva un nodo alla gola, che si stringeva quando provava a parlare e confortarla. Cosa poteva mai dire? Niente che avesse importanza.

E vorrei che tutti loro

Gli dessero una possibilità.

Devo delle scuse.

Le nocche di Iris erano bianche come il gabinetto di porcellana che stringevano. Fremevano col resto del corpo, mentre i suoi addominali avevano gli spasmi e Iris sussultava sopra la tazza, nauseata dalla puzza.

«Ho…»

«Non provare a parlare. Sarà dura»

Il dottor Clef si inginocchiò e le avvicinò una mano all’avambraccio, senza osare toccarla. SCP-105 sbuffò e sputò nel gabinetto; la sua nausea si acquietò per qualche istante.

«Perché è qui?»

Alto fece spallucce e scandagliò il pavimento, in cerca di altre confezioni ancora chiusi.

«Perché ti serve aiuto, bimba»

Con le lacrime agli occhi già arrossati, Iris sibilò:

«No. Perché è venuto da me?»

Alla fine, il dottor Clef adagiò la mano sul suo avambraccio. Iris si tese.

«L’agente Adams ti stava cercando»

«Cazzo. Merda»

Iris rantolava, ancora aggrappata al cerchio del gabinetto. Le colò della bava dalle labbra socchiuse.

«Proprio così» mormorò Alto.

Gettò via un paio di pillole cadute con l’indice, anche se dubitava che le interessassero ancora.

«Che cazzo hai preso?»

Le mani di SCP-105 si torsero. Era chiaro che non si aspettava di essere interrogata sui suoi metodi nel corso di un tentato suicidio.

«Credo… forse era…»

Sussultò ancora e vomitò nel gabinetto un’altra ondata di acido gastrico, cibo mezzo digerito e pillole. Sputò fuori quel che rimaneva. Il dottor Clef si rigirò una confezione vuota fra le dita e la buttò contro il muro.

«Propranololo? Non ne basterebbero due confezioni ad ammazzarti»

«Buono a sapersi»

Iris riuscì a borbottare in tono amareggiato, tra la tosse e gli sputi. Alto tacque per un attimo e si sedé sul pavimento. E rimase lì, come aveva detto che avrebbe fatto. SCP-105 continuò a vomitare; i residui diminuivano di volta in volta e gli intervalli tra i rigurgiti diventavano sempre più lunghi, man mano che il suo stomaco espelleva la maggior parte del veleno che aveva ingoiato. Iris continuò a sussultare a secco e si sforzava di costringere i suoi addominali a rilassarsi, perché non restava più niente.

Alla fina, dopo quella che sembrò un’eternità, si allontanò dal gabinetto e poggiò la schiena al freddo muro dietro di lei. Il dottor Clef si spostò accanto a lei e adagiò la testa sullo stesso muro. La fronte e le labbra di Iris erano madide di sudore, che si mescolava con la bile e la saliva appiccicate al suo mento. Regnò il silenzio per un minuto.

Devi ammettere

Che sei tu l’istigatore

Che si aggrappa ai litigi.

Dopo parecchio tempo, SCP-105 sussurrò:

«Cosa?»

Il dottor Clef si sentì esasperato:

«In che senso “cosa”? Porca puttana, bimba, che ti è venuto in mente?»

Iris tacque. Non era lì che voleva trovarsi. Non era lì che immaginava di essere ora. Invece eccola lì, bloccata col suo disgustoso capo in quello che era forse il momento peggiore della sua vita; al meno finora.

«Non… non lo so»

Il dottor Clef sospirò, il suo torace a botte si alzava e abbassava a ritmo lento.

«Non serve che ti spieghi, ma…»

Si interruppe. Cosa serviva? Cosa serviva a lei?

«Voglio aiutarti»

SCP-105 latrò una risata e soffocò un po’.

«Vuole aiutare? Ha fatto abbastanza, dottore»

Fece un saluto sarcastico con due dita, mentre faceva ciondolare la testa per non guardarlo. Per quanto volesse farlo, non poteva neanche alzarsi, per paura che le sue gambe cedessero sotto il suo peso. Alto la fissò un attimo:

«Ascolta. A un certo punto, dovremo fare i conti con questa cosa. Ma per ora, stiamo solo seduti»

Iris taceva ancora ma, piano piano, girò la testa e lo guardò, con le mani sul grembo, e spinse i piedi contro la base del gabinetto. Non gli aveva detto di fottersi o di uscire, quindi, date le circostanze, il dottor Clef pensò di starsela cavando piuttosto bene.

«Iris, vuoi…»

«No, stia zitto. Non è bravo a confortare»

Iris fissava il pavimento, incapace di guardarlo. Quell’uomo era così meschino da averla bullizzata per mesi, durante le riunioni. Era così protettivo con sua figlia che le aveva mostrato la sua collezione di armi solo per terrorizzarla. Eppure, eccolo lì. Si era fatto vivo per sostenerla. Le labbra serrate di Alto si contorsero in un lieve sorriso. Non era né malizioso né viscido, né qualunque altro aggettivo si fosse usato nel corso degli anni per descrivere quel ghigno. Era solo un sorriso di sollievo.

«Va bene»

E, seduto in silenzio, il dottor Clef pensò. Pensò a se stesso e Meri; SCP-166, la figlia che non meritava. Meri meritava di meglio. Meglio di un padre assente che l’aveva lasciata a vivere con le suore e poi l’aveva intrappolata in un posto infernale per il resto dei suoi giorni. Se quel meglio era Iris, allora le avrebbe lasciate fare. Pensò anche a Iris. Una semplice ragazzina a cui avevano sottratto la sua vita normale. Una vita felice, tutto sommato: genitori, amici, parenti. Ora chi aveva? Seduto lì, Alto si mosse in silenzio.

«Fammi spazio»

Le spalle di SCP-105 si tesero d’istinto. Il braccio spesso come un tronco del dottor Clef si avvolse intorno alle sue spalle e la sua mano contorta si adagiò sul suo braccio. Quella vicinanza era estranea, soprattutto da parte di lui. Voleva toglierselo di dosso, tenere alte le barriere, ma ormai era troppo tardi. Fece scivolare la testa contro il muro, fino ad adagiarla nella sua presa. E rimasero seduti lì, nel limbo di un bagno illuminato da lampade al neon, mentre la sera diventava notte. Alla fine, Alto ruppe il silenzio:

«Iris, dove hai preso le pillole?»

Le sue dita calde tamburellavano in silenzio sulla pelle sudata di Iris.

«Nello studio medico»

«Quando?»

SCP-105 fece una smorfia per un istante:

«L’altroieri, quando ci sono andata per la visita di controllo»

Il dottor Clef grugnì. Passò un attimo di silenzio teso.

«Posso chiederti perché?»

«Ha detto che non serviva che mi spiegassi»

«Mentivo. Coraggio, bimba, dovrai dirlo a qualcuno, in un modo o nell’altro. E “alcuni” dottori sono meno inclini a sezionarti»

Così vicina, Iris udiva il suo respiro affannoso, percepiva il suo alito stantio sulla sua faccia. Sospirò. Era finita sia nella presa emotiva di Alto sia da quella fisica.

«Ero… sa com’è. La… la squadra speciale, ma… ma in realtà proprio tutto»

SCP-105, che nell’ultima dozzina di minuti aveva quasi ritrovato la sua compostezza, stava crollando di nuovo. Non trovava le parole. Era facile fingere di stare bene, quando non si tiravano in ballo le sue emozioni. Alto le diede solo una rozza strizzata. Iris presunse che volesse confortarla. Ci stava riuscendo, a modo suo.

«Tutto, dottor Clef. Proprio tutto»

Alto la guardò con la coda dell’occhio, attento a non spingerla al punto di ricostruire le sue barriere mentali. A quel punto, Iris lasciò scorrere le parole come un torrente:

«La SSM Alfa-9, vivere in questo posto di merda, non avere nessun cazzo di amico, essere intrappolata qui perché posso ficcare le mani nelle foto, vedere altre anomalie che vengono terminate, sapere che starò qui per sempre. Tutto»

Le lacrime iniziarono a rigare le guance di Iris tanto in fretta quanto le parole che buttava fuori. Il dottor Clef si sforzava più che poteva di non farsi coinvolgere dallo stato d’animo altrui, lo riservava a poche, preziose persone. Forse poteva fare un po’ di spazio nel suo cuore per un’altra inquilina. Iris era ligia al dovere, leale e zelante. Vederla così era snervante. E terrificante. Alto si chiese com’era possibile che nessuno si fosse accorto dei segnali. Come aveva fatto a non notarli neanche lui?

L’istinto paterno ebbe la meglio. La sua presa si strinse sulla spalla di Iris e il dottor Clef avvolse l’altro braccio intorno alla sua schiena, quindi la tirò a sé con delicatezza. Iris premé la faccia contro i bottoni slacciati di quella maglia odiosa; era a disagio, eppure a suo agio nel modo che poteva verificarsi solo nei momenti di disperazione. Si rilassò in quell’intreccio di arti, adagiò la testa sotto il mento trasandato di Alto; i suoi capelli si impigliarono un po’ nella sua barbetta ruvida.

I suoi sensi erano sovraccarichi. La puzza e il sapore del vomito e della bile si mischiavano col tanfo di una maglia che, dall’odore, sembrava essere rimasta nell’armadio per otto anni, e col suo sudore freddo. In tutto questo, Iris piangeva. Sentì un borbottio vibrare nel petto del dottor Clef e nel suo orecchio:

«Lo so»

Le si annodò la gola:

«Non che non lo sa! Nessuno di voi lo sa»

Sputava le parole, ma a malapena sibilava. Singhiozzava con la faccia premuta contro la vecchia maglia. Il dottor Clef lo sapeva. E sapeva di averlo fatto di nuovo. Aveva già rovinato la vita di una ragazza, per giunta sua figlia. E ora si stava rendendo conto di averlo fatto ancora. Era tutta colpa sua. Deglutì e soffocò le sue emozioni. Senza dire una parola, spostò la mano sulla nuca di Iris e le passò le dita tra i capelli. Avrebbe rimediato.

Messo all’angolo da te stesso,

Messo all’angolo da te stesso.

Alto non sapeva che ora era, quando si svegliò. E fu svegliato male. Da uno stivale che gli pestava la coscia. Ancora una volta, l’agente Adams gli stava davanti; torreggiava su di lui, quando alzò lo sguardo su di lei e grugnì di dolore: le sue vertebre erano tutte indolenzite per essere state premute contro un muro per chissà quanto. Andrea teneva le labbra serrate, mentre cercava le parole:

«Alto, potresti spiegarmi che succede qui?»

Il dottor Clef guardò giù; Iris era ancora abbracciata a lui, con la testa sepolta sotto il suo mento e le braccia allargate. Stava dormendo. Rialzò lo sguardo e fece un sorriso amareggiato:

«Perché non aguzzi la vista e ti guardi intorno?»

E per la prima volta, l’agente Adams vide. Vide tutto ciò che il dottor Clef aveva visto e unì i puntini.

«Cazzo»

«Esatto»

«Alto, ma che cazzo!»

Non aveva più le labbra serrate: aveva un’espressione inorridita. Fece per mugolare, ma poi sussurrò per fare scena:

«Sta bene?»

Il dottor Clef si mosse un po’ e riposizionò Iris, come per dire “secondo te?”.

«Starà bene»

Andrea stava già pensando troppo:

«Dovrò fare rapporto. Cazzo. Sai perché è successo? La sezioneranno di sicuro. Merda. Merda! La SSM Alfa-9 andrà in fumo. Bastardo. Cazzo»

«Andrea»

Alto grugnì di colpo e il flusso di ragionamenti dell’agente Adams si fermò di colpo.

«Sì?»

«Chiudi quella cazzo di bocca»

«Forse non hai capito: questo manderà tutto a putt…»

«Sì, lo so, dalle solo qualche minuto. Prima che inizi tutta la merda»

Fece un sospiro profondo, quando Iris iniziò a svegliarsi. Andrea guardò l’anomalia, la ragazza tra le braccia di Alto, poi guardò ancora lui.

«Va bene»

Il dottor Clef accarezzò la nuca di Iris e ripeté:

«Va bene. Andrà tutto bene»

È una tortura,

Rinchiusi nella camera.

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