Sorelle
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OGGI


Sigurrós fronteggiava l’entità senza faccia davanti a lei con curiosità crescente. Trasmise ancora i suoi pensieri e, questa volta, sondò più a fondo, percependo la sua mente che si mescolava con quella del mostro che aveva di fronte; se poteva definirla una mente. Era come guardare in un labirinto eterno di fili che si estendevano in una vasta cornice cosmica posta in troppe dimensioni in una volta. C’era qualcos’altro lì, qualcosa di assente. La sua mente toccò qualcosa che non c’era e il contraccolpo scaraventò il suo corpo all’indietro. SCP-239 cadde sulla schiena, fissando il cielo, troppo stordita per muoversi. La voce senza suono e il canto senza musica le riempirono di nuovo la testa:

Mai mai mai mai mai

Sigurrós si risollevò in piedi con la telecinesi. Era davvero stranissimo usare quel corpo, quel guscio fisico fatto di ossa, muscoli e tendini; no, non doveva distrarsi, non in quel momento. Si concentrò sull’essere senza faccia e dai mille volti davanti a lei, il che era alquanto facile da fare, perché dal suo corpo stavano spuntando degli ammassi di tentacoli. E, con la sua vista spirituale, poteva vedere che stava dispiegando innumerevoli ali.

Come mi chiamo come mi chiamo come mi chiamo?

Il mondo smise di esistere per un secondo. Una mossa maldestra. Sigurrós lo ricreò e disse:

«Non puoi cancellare le cose e basta: sono facilissime da riportare indietro. Tanto tornano da sole dopo un minuto e non se ne accorge nessuno»

La creatura non rispose a parole: aprì la bocca senza aprire la bocca e ne uscì un fiume; no, un alluvione, un alluvione di acqua blu e nera imbevuta di desiderio, brama ed eternità. Sigurrós trasformò l’acqua in uno stormo di uccelli e in uno sciame di farfalle che oscurarono il Sito-17 con le loro ali. Il mostro spiccò il volo e affondò i tentacoli negli edifici intorno a loro. Le strutture si trasformarono in una gigantesca onda di ragni che si abbatté su di loro. La Bambina Strega, a cui erano sempre piaciuti gli insetti, se ne lasciò travolgere. Fu un errore: i ragni non erano solo ragni, erano l’idea dei ragni, le paure e l’aracnofobia genetica di tutto ciò che aveva mai varcato quella Via corrotta. Tutto concentrato in ciascuno di quei miliardi di ragni che formavano l’onda. Sigurrós urlò, mentre l’ammasso la inghiottiva.


Alison stava piantando il suo fiore-fulcro al centro degli uffici del personale del Sito-17, quando fu colpita da un attacco mentale. L’entità la stava attaccando tramite Sigurrós. Col suo occhio mentale, la Regina Nera riusciva a vedere un tentacolo che le si scagliava contro, a cavalluccio sulla mente di Sigurrós per entrare dritto nella sua. Le mancava solo un paio di gesti per finire la piantatura metafisica:

“Gli dei siano dannati, se solo riuscissi a…” pensò Alison.

Mai mai mai mai mai

Alison si rotolò sul pavimento, stringendosi la testa in preda al dolore.

Come mi chiamo come ti chiami come mi chiamo come ti chiami?

La Regina Nera si impose di stare ferma.

“Concentrati!” si disse.

Di colpo, fu costretta a elencare nella sua mente tutti i soprannomi che si era data nel corso della sua vita:

“Alison Chao. Regina Nera. Sorella Minore. Strega Multiversale. Santa Mancata. Solitaria Malfattrice. Sfregiata Malandrina. Sfuggente Maga”

Il dolore diventava sempre più forte.

“Sorella Minore. Sorella Minore. Sorella Minore”

Gli occhi di Alison si rovesciarono all’indietro. La Regina Nera si sforzava di tenersi aggrappata alla sua esistenza.


«Rita» disse Joanna.

Rita non era in buone condizioni. Non stava piangendo, ma era sul punto di farlo. La mano che stringeva la pistola le tremava, ma non al punto di non mirare alla fronte di sua sorella.

«Se mi dicessero che mia sorella lavora per la Fondazione SCP, non ci crederei» affermò Joanna.

“No, sta’ zitta, non è una cosa da dire!” pensò la dottoressa Campbell.

Ma, com’era ovvio, dire a Joanna col pensiero che avrebbe dovuto tacere era persino meno efficace che dirglielo ad alta voce.

«Mia sorella lavora nella Mano del Serpente!» urlò Rita.

Stava per scoppiare in lacrime. Kendra non sapeva come interpretarlo.

«Mia sorella, la terrorista. Mia sorella, la donna che sta provando a distruggere il mondo!»

«Porca puttana, non voglio distruggere il mondo! Lo sto salvando!» sbraitò Joanna.

«Metti giù quel cazzo di fiore!»

Joanna posò lentamente la pianta sul pavimento.

«Rita…»

«Non dire il mio nome!»

«Rita, credo che stia dicendo la verità» intervenne Kendra, titubante.

«E tu? Lavoravi con lei fin dall’inizio? Mi fidavo di te, Kendra!» esclamò Rita.

«Non sapevo niente di tutto questo prima di oggi!»

«Non ti credo»

La dottoressa Campbell scosse la testa:

«Hai visto le registrazioni delle interviste. So che l’hai fatto: ho letto la tua richiesta di requisizione per quelle riprese. Sai benissimo cosa sapevo prima di oggi»

Eccezion fatta per quel singolo messaggio non segnalato, ma Kendra non era così scema da confessarlo a una donna arrabbiata con una pistola in mano.

«Hai letto i verbali delle mie interviste con la dottoressa Campbell? Non pensavo che ne avessi il coraggio» commentò Joanna.

Rita rimase in silenzio.

«Tutto quello che ho detto due mesi fa era vero. Ogni…» cominciò Joanna.

«Sta’ zitta, per l’amor di Dio, sta’ zitta!» esclamò Rita.


Sigurrós si contorse dalla paura per un lungo minuto, in fondo al mare di ragni. Poi qualcosa nei recessi della sua mente le ricordò che la soluzione era ovvia: quella piccola parte distaccata della sua psiche le disse che il modo per non avere paura dei ragni era essere un ragno. Quindi Sigurrós diventò un ragno. Ma non un ragno qualunque: si trasformò nella Regina di Tutti i Ragni. Gli altri ragni intorno a lei chinarono le teste con riverenza. La Bambina Strega stava per ordinare a tutti loro di trasformarsi in qualcosa di più adorabile, quando la mente della Via la colpì, cercando di sottometterla con la forza.

“Questo è in insulto. Per niente furbo” pensò Sigurrós.

Scagliò la sua mente contro il mostro, per tutta risposta. Intanto, trasformò il mondo intorno a loro in zucchero filato. Un soffice paesaggio di zucchero filato al gusto di ragni. La Via non aveva previsto l’attacco simultaneo: il suo corpo fisico si ribaltò e la sua mente si ritrasse lontano da lei, mentre l’entità si contorceva per districare il suo corpo dallo zucchero filato. Sigurrós ne approfittò per sondare ancora la mente aliena e confusa dell’essere. No, non la mente, le menti: lì dentro c’era qualcos’altro, qualcosa che allo stesso tempo non c’era. Un parassita accucciato a cavalluccio sulla Via corrotta, nascosto dietro i suoi numerosi occhi. Sigurrós sapeva il suo nome, il nome della mancanza di un nome: Maistato.

Maistato, Maistante, Maisarà

La ragazzina cercò di pensare a cosa avrebbe dovuto fare, ma scoprì che riusciva a malapena a parlare. Stava iniziando a sentirsi stanchissima. Non si trattava nemmeno della Via corrotta che esercitava il suo volere su di lei, era che non aveva dovuto sforzarsi di proposito così tanto in vita sua. Alison l’aveva avvertita: aveva detto che, appena fosse successo, avrebbe dovuto cercare i suoi fulcri. Avrebbero brillato come stelle splendenti nel suo paesaggio mentale.

«Usali come ancore, così non ti lascerai andare e non andrai alla deriva» le aveva detto.

Ma lì non c’era niente. Nessun fulcro, nessuna stella splendente. Alison e le sue amiche non erano riuscite ad allestire i fulcri? Il suo paesaggio mentale era spoglio. Mentre Sigurrós rifletteva, i tentacoli della Via la avvolsero. Ciascuno di essi aveva un’emozione diversa, una natura seducente diversa. Ogni tentacolo era un sentiero per i mondi del Multiverso. Ognuno poteva soffocare, strozzare e uccidere. Sigurrós faceva sempre più fatica a importarsene. Era sopraffatta da tutte quelle visioni di cose che non aveva mai visto, toccato, assaggiato o vissuto. Si era convinta di essere a posto, vagando in giro e osservando tutto in un corpo astrale, tenendo la sua forma fisica addormentata. Si sbagliava: non aveva sperimentato niente di simile alle visioni che stava avendo in quel momento.

Stava camminando lungo le spiagge di Zebedeo. Stava correndo attraverso le giungle di Albenon. Stava assaggiando i frutti rossi e succosi del Bosco dei Grovigli. Avrebbe potuto morire lì e sarebbe andato bene così. Invece di vivere provando un ventesimo di una vita vera, avrebbe potuto morire scoprendo ciò che quasi nessuno avrebbe vissuto in mille vite. Ma poi ebbe la visione che aveva avuto prima: la visione del futuro, della Via infestata dal Maistato che si autodistruggeva nel buco nella realtà che sarebbe rimasto per sempre, fino alla morte di quell’universo. Una cavità nera dove un tempo c’era un pianeta vivo e promettente. E sarebbe stata colpa sua.

“No”

C’erano ancora cose che doveva fare lì, sulla Terra. La Bambina Strega non era mai andata al liceo, non aveva mai giocato ai videogiochi, non era mai andata al cinema, non aveva mai fatto la spesa, non era mai stata a Disneyland. Erano sciocche piccolezze, ma a volte erano le piccolezze a contare di più.

“Non ancora”

Si ritrasse dalla soglia della morte e gettò lontano i tentacoli della Via, uno alla volta. La Via corrotta oppose resistenza. Le scagliò ancora contro la sua mente, ma stavolta la psiche della creatura era come un universo in sé per sé, una travolgente forza piena di emozioni. Sigurrós non riuscì a contrastarla in modo diretto: visualizzò l’attacco mentale del mostro come un’enorme coda di scorpione metallica e lo parò a malapena creando uno scudo-specchio. La coda-spada rimbalzò contro lo specchio e volò in alto verso il cielo, colpendolo come se fosse una cupola, incrinandolo al centro. Il mondo intorno a loro si trasformò in ghiaccio e rovi. La Bambina Strega lo trasfigurò in foglie autunnali e fiocchi di neve. Il mondo mutò in sangue e cenere. Sigurrós lo trasformò in marmellata di fragole e polvere di diamante. Il mondo diventò il vuoto nero dello spazio. Lei lo decorò con un firmamento di stelle e lune piene. Poi, finalmente, riuscì a riportare l’ambiente che la circondava alla normalità. Purtroppo, il tempo stava ancora per scadere e, per usare una metafora sportiva da alcuni giochi che Sigurrós capiva solo a metà, lei giocava solo in difesa. Mancavano due minuti alla fine del mondo.


Rita si stabilizzò le braccia e affermò:

«Ci ho pensato per molto tempo. È una questione di coraggio: il coraggio di fare la cosa giusta, anche se tutti gli altri mi dicono di non farla»

«Hai intenzione di uccidermi, Rita? Se prendo questa pianta per salvare il mondo, mi ucciderai?»

«Lo farò, se devo. È questo il coraggio» rispose Rita.

«Il coraggio di uccidere la tua stessa sorella? Ti rendi conto di quello che dici?»

In lontananza, risuonò il rombo di un tuono. Dall’esterno provennero lampi di luce. La dottoressa Campbell diede un’occhiata alle telecamere: si erano spente quasi tutte. Le poche rimaste accese mostravano posti proteiformi simili ad altri mondi, in costante cambiamento. Inquadravano da lontano una resa dei conti come il mondo non ne aveva viste quasi mai, tra dei antichi dal mondo primordiale. Kendra tese i muscoli; non sapeva cosa doveva fare, ma era pronta. Joanna riprese a parlare:

«Forse è davvero una questione di coraggio. Certo, il coraggio di fare la cosa giusta. Ma quale cazzo è la cosa giusta, in questo caso?»

«Si tratta di avere il coraggio di rispettare le regole, anche quando è la cosa più difficile da fare» replicò Rita.

«E se le regole fossero sbagliate? E se la Fondazione avesse torto?»

Le pareti tremarono. Sulle finestre si formò del ghiaccio nero, il quale poi svanì. L’area influenzata dal combattimento fra i due manipola-realtà si stava espandendo in fretta. Rita scosse la testa e rispose, pur con una nota di esitazione:

«Non siamo nel torto. La Fondazione protegge la realtà. Siamo l’ultima linea di difesa tra l’umanità e…»

Joanna la interruppe e sbraitò:

«Il mondo potrebbe finire da un momento all’altro! Letteralmente, cazzo! Ci sono due manipola-realtà che si scontrano, là fuori. Sigurrós ci sta proteggendo, l’altro vuole spazzarci via dall’esistenza. Voglio aiutare Sigurrós. È l’unico motivo per cui sono qui, è tutto ciò che fa questa pianta magica. E tu mi stai impedendo di aiutarla. Che razza di difesa dell’umanità sarebbe?»

Le due sorelle si fissarono. All’improvviso, negli angoli della stanza si scatenò una tempesta, sostituita subito da una calorosa luce dorata, rimpiazzata poi da un groviglio di serpenti iridescenti che infine scomparvero tutti insieme. Joanna chinò il capo e sospirò:

«Scusa, Rita. Non sono mai stata una brava sorella. Né quando eravamo piccole e nascondevo le tue bambole tutti i giorni, né dopo. Perdonami se ti ho sempre sopraffatta, se non mi importava abbastanza di come ti sentivi. Ma per favore, aiutami a salvare il mondo»

Rita rispose in tono quieto:

«Anche se avessi ragione, non avrebbe importanza. Non capisci la portata della Fondazione: anche se il mondo finisse in questo preciso istante, potrebbero ricrearlo tre volte migliore. Non si può lasciare qualcosa così, come se niente fosse, non si può!»

«Per favore, ascoltami e basta»

«Non posso»

Furono circondate da neve e grandine per un secondo, poi le intemperie svanirono e una moltitudine di rane blu fluttuò sopra le loro teste.

«Per favore, non dovrai più stare da sola, Rita. Vieni con me, torna a casa» la invitò Joanna.

«Forse possono ricreare anche te»

La dottoressa Campbell lesse la decisione di Rita nella sua faccia, una frazione di secondo prima che premesse il grilletto, e si buttò su di lei. Placcò Rita proprio mentre la pistola sparava. La stanza si riempì d’acqua. Acqua densa che sospese le tre donne al rallentatore solo per un secondo. In quell’istante, Kendra vide Joanna cadere all’indietro, con uno zampillo di sangue.


Visto che non c’era niente ad ancorarla, Sigurrós vacillava. La Via posseduta dal Maistato cantava nella sua mente:

Come mi chiamo come ti chiami come mi chiamo?

SCP-239 pensò:

“Mi chiamo Sigurrós Stefánsdóttir. È un bel nome, ma potrei non averlo ancora per molto”

Si sentiva come se stesse fluttuando in cima a un pozzo, sopra l’acqua profondissima. Sarebbe stato così facile lasciarsi andare e affondare per sempre nell’abisso beato; la Bambina Strega non si lasciò andare, ma affondava lo stesso. Si sentiva diventare mezza reale e addormentarsi. Mancava un minuto alla fine del mondo.

Mai… mai… mai… mai… mai


Joanna giaceva immobile sul pavimento. Rita tossì, sputò l’acqua aliena e si alzò a fatica. La dottoressa Campbell era stupita che fosse riuscita a tenere stretta la pistola. Per un secondo, Kendra e Rita rimasero ferme, nessuna delle due sapeva che fare. Poi Rita sbarrò gli occhi e il suo corpo si afflosciò. L’agente della SSM Tau-9 si accasciò a terra e le sue dita intorpidite lasciarono cadere la pistola. Kendra si voltò verso Joanna: si teneva premuto il fianco destro con la mano sinistra, mentre con la destra impugnava un pezzo di metallo seghettato che stava puntando verso Rita.

“Una bacchetta?” si chiese Kendra.

Un istante dopo, Joanna lasciò cadere il pezzo di metallo, prese la strana pianta e ricominciò a disegnare motivi nell’aria con fare determinato. Di colpo, una rete di luci spuntò dal fondo del vaso e mise radici nel pavimento. Il fiore rosa e rosso si illuminò.


Il Maistato allentò la presa sulla mente di Alison, percependo che Sigurrós stava diventando (paradossalmente) una preda più facile e, di certo, più stuzzicante. La Regina Nera si impose di agire. Si alzò dal pavimento, strinse il gambo del suo fiore-fulcro sapendo che ne andava della sua vita e, con grande difficoltà, eseguì gli ultimi due gesti. Si concesse un sorriso vittorioso, mentre il fiore sbocciava davanti ai suoi occhi, illuminando la stanza.


“Mancano trenta secondi alla fine del mondo”

Sigurrós aveva quasi perso di vista la superficie, quando vide all’improvviso due luci accendersi nel suo occhio mentale. La chiamavano, attiravano la sua mente a loro. Le sue ancore erano arrivate. Con una scarica improvvisa di adrenalina metafisica e l’appiglio dei fulcri, la Bambina Strega si impose di uscire dal pozzo pieno d’acqua pesante e di tornare nella propria mente.

“Mancano quindici secondi alla fine del mondo”

Fu abbracciata dai tentacoli della Via corrotta, sia nella dimensione fisica che in quella spirituale. Invece di andare nel panico, Sigurrós ebbe un’illuminazione improvvisa. Aveva sbagliato l’approccio: non si poteva uccidere una Via, era una Via. E non si poteva uccidere un Maistato: non si poteva far cessare di esistere qualcosa di già inesistente.

“Mancano cinque secondi alla fine del mondo”

Sigurrós sentì l’angoscia della creatura raggiungere il suo picco febbrile, in risposta al contatto con la sua mente.

“Tempo scaduto”

Ma la Bambina Strega non aveva più paura, perché sapeva la soluzione. Non aveva bisogno di altro tempo per impedire la fine del mondo. Non poteva uccidere quella creatura, ma poteva guarirla. Percepì il nucleo della Via che iniziava a collassare su e stesso. Sentì l’inizio della fine del mondo; vide tutta la scena nella sua mente: il buco che si apriva nel mezzo della realtà, l’intero pianeta Terra che cadeva nel buco al centro del Sito-17. Ebbe quella visione di lei alla deriva nello spazio e disse:

«No»

Ficcò le mani nel buco nel mondo in formazione, nel cuore della Via guasta e sofferente, e tirò fuori il parassita. Sfilò il Maistato dal buco nella realtà: lo portò nell’essenza, nell’esistenza. Intorno al Sito-17, il cielo e la terra tremarono per un minuto. E poi tutti e tre, Sigurrós, la Via e il Maistato, scomparvero nel nulla, lasciandosi dietro solo polvere e silenzio.


La dottoressa Campbell si alzò in piedi una volta che fu certa che il terremoto era finito. Lanciò un’occhiata interrogativa a Joanna, che la rassicurò:

«Sto bene: è solo un graffio, come dicono nei film. Per ora, l’ho sigillato: mi resterà una brutta cicatrice»

«Immagino»

Joanna rise:

«Ora capisco perché dovevi essere tu»

«Cosa?»

«Rita avrebbe sparato a vista a tutti i miei compagni. Qualunque tuo collega mi avrebbe sparato prima di lei»

«Continuo a non capire» ammise Kendra.

Joanna si guardò il fianco e spiegò:

«Gli auguri avevano detto che dovevo avvicinarmi a te. Ecco perché mi sforzavo così tanto di convertirti e perché oggi sono venuta da te. Non era solo per affetto: gli auguri avevano detto che, se tu fossi stata qui, avrei potuto sopravvivere, mentre se fossi stata altrove, sarei morta. Questo proiettile mi avrebbe presa in testa, se non fossi venuta con me. Grazie»

«Degli auguri hanno detto di avvicinarti a me? Non credevo che il destino esistesse. Nessun dio, nessun disegno, giusto?»

Joanna ridacchiò:

«Giusto: niente è destinato a succedere. Ci sono solo le previsioni matematiche e la conoscenza dei futuri possibili. Si tratta solo di sfidare la sorte. È andata di lusso, non trovi?»

Joanna chinò lo sguardo e si avvicinò a Rita. Guardò sua sorella nei suoi occhi sbarrati e fissi per un lungo istante. Spiegò:

«Un incantesimo paralizzante. L’effetto svanirà tra un paio d’ore e lei starà bene. Ecco, almeno fisicamente»

Si accucciò e, con delicatezza, chiuse le palpebre di sua sorella. Kendra disse:

«Ora che i manipola-realtà sono spariti, ripristineremo la sicurezza piuttosto in fretta. Se vuoi scappare, ti conviene andartene subito»

«E tu?»

«Cosa?»

Joanna le mise un oggetto in mano. Kendra lo esaminò: era una piccola tessera verde, con una piccola freccia olografica che si muoveva sulla sua superficie. Joanna spiegò:

«È una Tessera della Biblioteca provvisoria. Il Cancello Est del Sito-17 è sfondato. Quel mostro ci ha lasciato un buco quando è evaso. C’è una Via nella foresta di fuori»

«Sono un’impiegata della Fondazione, la Biblioteca del Viandante non ci lascia usare le Vie per entrarci. Anche se potessi usare una Via, il personale della sicurezza mi seguirebbe»

Di norma, gli impiegati della Fondazione potevano provare a entrare nella Biblioteca del Viandante, ma quel posto non faceva che reindirizzarli verso luoghi molto sgradevoli. Joanna rispose:

«È una Via speciale. S.M. l’ha ordinata dalla Biblioteca, come ricompensa. Per il personale della Fondazione, è fisicamente impossibile entrare. Tranne che per te, perché avrai questa Tessera»

«Ma tu come farai?»

«Ho le mie vie d’uscita personali, posso prenderle solo io. Quindi anche tu devi andare da sola. La freccia sulla Tessera ti guiderà: vedrai un albero diviso in due, segnato con della vernice blu. La Via si aprirà in automatico per te»

Kendra si sentì nei guai. Siccome stava in silenzio, Joanna aggiunse:

«Senti, questa potrebbe essere la tua unica opportunità. Se hai mai voluto fare un salto della fede… questo è il momento»

Joanna fissò Kendra per un lungo attimo. Dopodiché, con grande sorpresa della dottoressa Campbell, senza aggiungere altro, si voltò e corse alla porta più vicina. Kendra rimase dov’era per qualche minuto. Poi prese la sua decisione e si diresse al Cancello Est.


La Regina Nera prese la strada panoramica fuori dall’edificio degli uffici del personale del Sito-17. Le ci vollero venti minuti in più; venti minuti pericolosi, durante i quali il Sito-17 risolse a poco a poco le numerose brecce nel contenimento. Ma S.M. pensò che ne era valsa la pena, quando trovò finalmente l’ufficio giusto: l’ufficio la cui placca in ottone diceva “DOTT. GEARS”. La Regina Nera aprì la porta, col cuore a mille. Si aspettava che l’ufficio fosse vuoto, ma non lo era. Alison guardò suo padre negli occhi per degli interminabili secondi, prima che uno dei due parlasse.

«Alison» disse il dottor Gears.

La sua voce non tradiva alcuna emozione.

«Sì» rispose lei, serrando le labbra.

Nessuno dei due riuscì a dire una parola per una manciata di istanti. Alla fine, Alison decise di smorzare la tensione con una domanda che non c’entrava niente:

«Ufficio provvisorio, giusto?» gli chiese.

«Sì: sono stato assegnato qui, in attesa di gestire una breccia nel contenimento. La tua, presumo»

«Sto per andarmene, a meno che non abbia un modo per tenermi qui» rispose Alison.

«Non ce l’ho» le concesse il dottor Gears.

Alison gli offrì un fiore nero dal gambo lungo e sorrise:

«È una rosa anice: in questo universo non esiste. Dovrebbe fornirti degli ottimi dati, dovresti prenderla»

Il dottor Gears la guardò, prima di prenderla.

«Non perderla: è costosissima» ammiccò Alison.

Il dottor Gears contemplò il fiore in silenzio.

«Allora ci vediamo, papà» si congedò Alison.

«Arrivederci, Alison» la salutò suo padre.


La dottoressa Campbell incespicava attraverso il bosco a Est del Sito-17, seguendo la freccetta sulla tessera. Non sapeva nemmeno che lì ci fosse un bosco, prima di quel giorno. Aveva visto solo l’esterno del cancello frontale, circondato da cemento e ferro, e per quei pochi secondi in cui ci passava, durante le sue partenze e i suoi arrivi. Kendra si sentiva nauseata e pazza. Credeva solo a metà di starlo facendo sul serio.

“Diserzione. Disertare”

Non era in forma come avrebbe potuto essere. I suoi arti le gridavano come per protesta, dicendole di smettere di correre. A quel punto, l’unica cosa che la spingeva a proseguire era la paura.

“Forse non è troppo tardi” pensò.

Invece sì. Aveva appena visto la Mano del Serpente salvare il mondo. Adesso come poteva tornare dalla Fondazione? Una piccola mappa le mostrava che l’ingresso della Via era proprio davanti a lei. Non le mostrava l’improvviso pendio ripido che c’era prima. Kendra inciampò e rotolò giù dalla scarpata. Riuscì a fermarsi a metà della discesa. Prese la Tessera della Biblioteca che le era caduta: si era piegata. Kendra la lisciò, ma ormai era tutta raggrinzita: era preoccupante. Kendra scese il resto del pendio con più attenzione, coperta di fango e ramoscelli. Pensò che adesso aveva l’aspetto giusto per il ruolo della fuggitiva.

Raggiunse il fondo della scarpata e trovò gli alberi con la vernice spray blu. Li fissò colma di aspettativa, sentendosi un po’ sciocca. Non successe niente. Si avvicinò all’albero. Sentendosi ancora più stolta, mise la mano sullo spruzzo sbiadito di vernice. Poi entrambe le mani, aspettando ancora un po’. Non successe ancora nulla. Kendra tirò fuori la Tessera della Biblioteca dalla sua tasca e la agitò, su e giù, a destra e a sinistra, sentendosi sempre più stupida. Esaminò la tessera: la piccola freccia era sparita, ma questo non la stupì. La grinza era uguale a prima. Allora girò la tessera dall’altro lato.

«Oh» mormorò.

Sul lato posteriore della tessera erano apparse piccole lettere olografiche, a caratteri ordinatissimi. La scritta diceva:

La vostra Tessera della Biblioteca è danneggiata e illeggibile. Siete pregati di restituirla alla Biblioteca del Viandante per una sostituzione. Grazie per il vostro patrocinio.

La dottoressa Campbell rise, poi rise di nuovo e continuò a ridere. Si voltò e si sedé, appoggiando la schiena al tronco dell’albero verniciato, ridendo a crepapelle.

«Ahahahahaha! Cristo! Dopo tutto questo, un bel niente! Ahahahahaha!»

«Peccato» disse una voce in mezzo agli alberi.

Dal sottobosco spuntò un uomo: John Peters, il capo della sezione locale della SSM Tau-9.

«Speravo davvero che funzionasse, per il tuo bene» affermò.

Kendra lo fissò in silenzio.

«Allora? Non hai niente da dire in tua difesa?»

«Sapevate che avrei disertato» rispose Kendra.

Peters ridacchiò:

«Mi fa piacere che non provi a nasconderlo. Come dico sempre a tutti, è una questione di coraggio. Peccato che sia tu quella coraggiosa»

«Da quanto lo sapevate?»

Peters distolse lo sguardo per un attimo:

«Sapevamo che Joanna Cross avrebbe preso di mira te dal momento in cui si è fatta viva. Sapevamo che non sarebbe mai stata la povera Rita»

«Eh?»

«Purtroppo, non sapevamo perché stava prendendo di mira te. Anzi, non lo sappiamo ancora. Abbiamo provato un mucchio di cianfrusaglie che non hanno funzionato. Ti ricordi quei questionari? Credo che dovessero indurre una sorta di innesco memetico. Non ha funzionato un granché. Scherzo, non ha funzionato affatto. La memetica è una grandissima stronzata»

La dottoressa Campbell si ritrovò a desiderare una bella bevuta. Se tanto stava per morire, preferiva essere ubriaca fradicia. Peters sospirò e ammise:

«Visto che avremmo dovuto darti in pasto ai leoni a prescindere, ecco, speravamo solo che non cascassi in tutte quelle stronzate ideologiche»

«Dove sarebbero le stronzate? A me sembra che la Mano del Serpente abbia appena salvato il mondo, letteralmente. È stato piuttosto convincente»

Peters alzò gli occhi al cielo:

«Ma fammi il piacere, Kendra! Il mondo non è così fragile da avere bisogno di una manica di svitati venera-serpenti che gli salvi il culo ogni settimana. Ti garantisco che se quelle pazze non fossero state qui, ce la saremmo cavata lo stesso. La Fondazione scova sempre una via d’uscita, ecco perché siamo ancora qui»

La dottoressa Campbell scosse la testa:

«È un principio antropico debole. Le condizioni osservate nell’universo devono permettere all’osservatore di esistere»

Peters scoppiò a ridere:

«Accidenti, quella Joanna Cross ti ha proprio lasciato il segno, vero?»

«Immagino di sì. Comunque, perché sei da solo?»

«Qui era appostata un’intera sezione della nostra SSM, ma poi c’è stata la breccia nel contenimento. Vedi, io non ero nemmeno qui, però ho pensato: se fossi un disertore, quando scapperei? Ed eccoti»

«Sapevi che mi avrebbero lasciata entrare nella Biblioteca del Viandante»

«Sì. Avevamo un piano per usarti come aggancio. Almeno metterti una cimice addosso. Allestire un eventuale ingresso. Eh, com’è ovvio, è tutto andato in fumo. In nome dei bei vecchi tempi, ti farò il favore di non riportarti al Sito-17. Non hai protezioni anomale e detesto torturare dei vecchi amici»

Peters puntò la pistola e chiese:

«Hai delle ultime parole che vorresti farmi tramandare?»

Kendra annuì:

«Sì, ho una confessione da fare»

Peters alzò un sopracciglio:

«Vale a dire?»

Kendra alzò il dito medio di entrambe le mani, con una smorfia:

«Penso che la Fondazione possa andare dritta all’inferno. Niente di personale, ti chiedo solo di tramandare quello che ho appena detto»

Peters ridacchiò:

«Immagino che ci siano ultime parole peggiori»

Detto questo, premé il grilletto. La dottoressa Campbell aspettò, guardando il proiettile uscire dalla canna. Stranamente, lo sparo le sembrò avvenire al rallentatore. Tutto il mondo aveva rallentato tantissimo. Meravigliata, si domandò:

“È così, quando si muore? Sembra figo, immagino. Tutto sommato”

Ma poi si accorse di una luce che scintillava dietro di lei: la luce di una Via che si apriva. Kendra si voltò. Oltre la luce della Via, poteva vedere tavoli e libri. Scaffali su scaffali di libri. Libri impilati fino al cielo. La Via si era aperta per salvarla. E Kendra Campbell capì di non essere più una ricercatrice della Fondazione SCP. Allora si disse:

“D’accordo, immagino che non sia ancora il momento di morire”

Si alzò, varcò la Via ed entrò nella Biblioteca del Viandante. La Via si chiuse alle sue spalle. Nella foresta, il proiettile scavò un buco nell’albero diviso in due, perforando tutto il tronco, per poi sprofondare in un mucchio di fango poco più in là. Peters guardò la foresta davanti a sé e commentò:

«Bene. Meglio così»


Alison raggiunse il nascondiglio della Mano del Serpente con mezz’ora di ritardo. Entrò e vide Joanna Cross mentre si faceva fasciare l’addome da una Septima infastidita.

«Hai fatto tardi» le disse Joanna.

«Chi ti ha sparato? La dottoressa Campbell?» le chiese Alison.

Joanna gemé, quando Septima strinse troppo un’altra benda.

«No. In realtà, mi ha salvato la vita. Mi ha sparato mia sorella Rita»

«Cazzo! Mi dispiace. Le ho detto di aiutarti» confessò la Regina Nera.

«Sospettavo che l’avessi fatto. Non preoccuparti. Forse c’è ancora speranza per lei. Insomma, non è riuscita a uccidermi. È un inizio»

«Non ti arrendi con lei, eh?»

Joanna fece un sorrisetto:

«Proprio come tu non ti arrendi con tuo padre»

«Mi sembra giusto. Che ne è stato della dottoressa Campbell?»

«È riuscita a raggiungere la Biblioteca. Andremo là tra poco, le faremo una festa di benvenuto. Sai, quando il fianco non mi farà più un male cane. E tu che hai fatto alla Bambina Strega?»

Alison sorrise.


Rita Butler si svegliò nell’infermeria. La paralisi ci avrebbe messo ancora un po’ a passare, ma la donna riuscì a mettersi seduta e guardarsi intorno. L’infermeria era in fermento. Lei era stata relegata a una barella in un angolo, forse perché i medici non sapevano cos’aveva che non andava. In fondo, la Fondazione non aveva a che fare con la magia. Non al livello di autorizzazione che avevano i medici. Forse, con uno sforzo sufficiente, avrebbe potuto chiamare qualcuno. Ma non era certa che avesse senso.

Passò una donna dal volto amichevole che Rita riconobbe dalla SSM Tau-9. Per un attimo, pensò di chiamarla, solo per avere compagnia. Solo che non si ricordava più il nome. Adele? Lily? Jill? Tanto non aveva importanza: la donna stava andando a un altro lettino, dove prese con gioia la mano di un’altra donna che la aspettava, sdraiata ed entusiasta di vederla. Rita si chiese se sua sorella era sopravvissuta. Ricordava quegli ultimi attimi, prima che prendesse la decisione finale di premere il grilletto; no, non c’era una decisione finale. Doveva andare così fin dal principio. Era così che le cose dovevano andare. Era certa che, in fondo in fondo, anche Joanna lo sapeva.

“Saper accettare è avere coraggio” si disse.

Si sentì vuota. Rita Butler restò sdraiata lì per tutta la notte, sul suo lettino nell’angolo, in solitudine.


In un reparto maternità non molto lontano dal Sito-17, in un normalissimo ospedale, un neonato esalò il suo primissimo respiro. Ovvero il momento in cui, dal punto di vista metafisico, l’anima entra nel corpo. Il neonato aveva i capelli neri e gli occhi marroni. Aveva le guance arrossate, le dita paffute e la pelle soffice. Aveva la cartilagine, i tendini, le ossa, il sangue e una mente. Adesso il Maistato era reale. Esisteva. Era felice.


EPILOGO

«Devo ammetterlo, non mi aspettavo quell’esito» disse Alison Chao, osservando la folla che andava e veniva.

Accanto a lei, Sigurrós Stefánsdóttir diede un calcio al suo piede:

«Non potevo ucciderlo. Dovevo renderlo reale»

«Ti rendi conto che non è mai stato fatto prima, vero? I Maistati non possono essere davvero reali. È il fattore che li definisce. Soltanto dire altrimenti infrange le leggi dell’universo»

«Forse, allora, sono le leggi dell’universo che hanno un problema»

Alison rise:

«Sei davvero troppo precoce per il tuo stesso bene, lo sai? Magari, un giorno, sarai una dea che mi chiederà di portare offerte bruciate al tuo altare»

Sigurrós si accigliò:

«No, non voglio diventare una dea. Sono solo io»

«Forse è così. Né una dea, né un demone. Una ragazza strega? Lo approvo. Il che mi ricorda che Septima ti ha composto un poemetto»

«Davvero?! Sentiamo!»

La bocca di Sigurrós formò un cerchio perfetto. A volte, quella ragazzina era davvero troppo adorabile per il suo stesso bene. Alison sorrise, prese un foglio piegato dalla tasca della sua giacca e iniziò a leggere i versi:

La Bambina Strega e le sue figlie erano a casa dei Carcerieri.
 
Erano lì per sfidare i nemici, i Maistati.
 
Perché la Bambina Strega è la sola cosa che può impedire al disfatto di disfare.
 
Ed ecco, Sigur il disfatto rese fatto.
 
Ed ecco, quelli divennero definiti e reali.
 
Il loro tormento di mezze verità e cose effimere cessò,
 
Ché la sola cosa che può cessare la tortura della mezza esistenza è l’esistenza.
 
- Septima Varan, Somma Incantatrice e Seguace Sempre Fedele della Donna con le Stelle negli Occhi.

«L’ultima parte si riferisce sempre a te: Septima si ostina a chiamarti con quel titolo» concluse Alison.

Sigurrós sorrise e applaudì, prima di notare:

«Però il Maistato era solo uno»

Alison fece spallucce:

«Licenza poetica. Sai, potresti essere davvero una dea, se volessi»

«No e poi no» replicò Sigurrós.

«Dunque, sei proprio sicura di voler tornare alla Fondazione, dopo? Vuoi tornare nel tuo coma mezzo vero?»

«Sì. Ho alcune faccende in sospeso. Non sono ancora pronta ad andarmene. E poi ho ancora amici lì»

«Amici»

«Sì»

«Come ti pare. Se cambi idea, fammi sapere»

«Va bene»

«Dunque, abbiamo fatto un patto, ricordi? Tu mi hai reso un servizio, io devo renderti un servizio. Sono queste le regole dei patti magici. Anche dello scambio. Tiene in equilibrio l’intero universo. E mi dicono che sono una donna che tiene fede agli accordi presi»

Sigurrós fece un ghigno:

«Sì»

La Regina Nera e la Bambina Strega erano sedute a una panchina vicino all’arco di ingresso di Disneyland e Alison guardò il parco:

«Quale giostra vuoi provare per prima?»

«Ho sempre voluto vedere i Pirati dei Caraibi» disse Sigurrós.

«Quelli sono fighi, ma Jungle Cruise è meglio»

«È quella con gli animali della giungla, vero?»

«Sì»

«Solo se mi lasci trasformare tutte le giostre in animali veri per un minuto»

«No. Decisamente no»

«Solo per un secondo! Promesso!»

«E va bene, ma solo per un secondo. Non uno di più. Affare fatto?»

«Affare fatto» sorrise Sigurrós.

Alison si alzò:

«D’accordo. Andiamo a Disneyland»

E così fecero.


FINE

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