Si Va in Scena
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Sorelle »

OGGI


Erano passati due mesi dalla strana intervista finale a Joanna Cross. Iniziò il giorno in cui l’errore della Fondazione avrebbe distrutto l’universo. Ma Kendra Campbell non lo sapeva.


Col passare della giornata, Kendra diventava sempre più certa di sentire una sorta di “brusio”. Nessun altro poteva sentirlo, il che non era mai un buon segno. La dottoressa Campbell decise che lunedì avrebbe chiamato uno degli psicoterapeuti del Sito-17. Sperava che il dottor Glass fosse tornato: era davvero bravo. Il conto alla rovescia continuava: mancavano trenta minuti alla fine del mondo. La dottoressa Campbell tornò alla sua scrivania dopo una pausa pranzo in ritardo e ci trovò un biglietto per lei:

Dottoressa,

Temo di non essere stata del tutto collaborativa con te.

Sentì dei passi dietro di sé. Kendra si voltò e si ritrovò una pistola puntata contro. Joanna Cross si avvicinò alla scrivania della dottoressa Campbell, con una pistola in una mano e un enorme fiore in vaso che teneva per il gambo nell’altra.

«Ciao, dottoressa Campbell. È passato parecchio» la salutò.


Dopo svariate ore passate salendo scale, nuotando attraverso oceani variopinti e scalando le apparecchiature meccaniche sotto la Biblioteca del Viandante, Alison Chao camminò con prudenza su un intreccio di nodi e una formazione a cuneo di granito lunga e sottile che sporgeva nel vuoto. Pioggia, Septima e Dega la seguivano.

“Manca mezz’ora” pensò Alison.

Le quattro donne si trovavano davanti a un vasto cielo. “Cielo” era una parola un po’ sbagliata per definirlo, ma era l’unica che le veniva in mente. Era blu e luminoso e c’erano molte nuvole dalle forme gradevoli. In alto, in cima al cielo, una sconfinata rete di radici si intrecciava fino all’orizzonte. Fonti di luce amorfe e fluttuanti si muovevano lentamente, attraverso i candelabri appesi alle radici, gli stessi che si trovavano in tutta la Biblioteca del Viandante. Il cielo sotto sembrava infinito. Alison non credeva che ci fosse terreno, laggiù. Certo, tecnicamente quello spazio era tutto contenuto all’interno della Biblioteca, però era suggestivo.

«È un brutto momento per ricordarvi che soffro di vertigini?» chiese Dega, agitando la coda.

«Ho delle rocce che posso buttare di sotto, così possiamo sentire quando toccano il fondo» propose Pioggia.

Septima si inginocchiò e premé un orecchio contro la roccia, iniziando a sussurrare.

«E dai, era solo una battutaccia» sbuffò Pioggia.

«Necessito di silenzio! Sto comunicando con la roccia» disse Septima.

«Non farlo. Dove stiamo per andare, ti servirà tutto il tuo potere» la avvertì Alison.

Septima le lanciò un’occhiataccia e soffiò come una gatta irritata:

«Questo non consuma potere. Sto semplicemente comunicando. Semmai, mi aiuta a recuperare il mio potere. Per favore, mi servirà silenzio, rispettoso silenzio»

E tornò a mormorare. Le altre aspettarono in silenzio per molti lunghi minuti. A un certo punto, videro una sagoma che volava verso di loro. Quando fu abbastanza vicina, si rivelò un umanoide con quattro imponenti ali.

«Bene, è arrivato» disse Alison.

Septima balzò in piedi:

«Ho finito di comunicare con la roccia. È una caduta molto, molto, davvero molto lunga»

«Ma che bello!» mormorò Pioggia.

L’essere a quattro ali si avvicinò e scese, ripiegando le ali quando atterrò e inchinandosi. Alison e le sue compagne ricambiarono l’inchino.

«Salve» disse l’umanoide.

Il suo volto era coperto da un sottile piumino e i suoi capelli erano penne di uccello, ma per il resto sembrava un uomo.

«Io sono Ataxis. Temo che non abbiamo tempo per vere presentazioni, perché dobbiamo sbrigarci. Hai il mio pagamento?» chiese ad Aison.

«Sì» annuì lei.

Si mise una mano in tasca, ne tirò fuori una semplice chiave d’argento e la mise nella mano dell’uomo aviano. Ataxis esaminò la chiave da varie angolature, la leccò per assaggiarla e la ingoiò intera. Fece subito un’espressione entusiasta. Sorrise ad Alison e proclamò:

«Eccellente! Soddisfacente, davvero soddisfacente. Sei una donna che tiene fede agli accordi! Dunque, senza ulteriori indugi…»

Ataxis girò un piede, puntandolo verso il cielo, spalancò le sue quattro ali e alzò la mano sinistra. Un istante prima non c’era nient’altro che cielo, oltre la sporgenza di granito, e un attimo dopo quello spazio era occupato da una gigantesca porta cristallina. Alison tese la mano e la toccò, chiudendo gli occhi e concentrandosi per qualche secondo, poi sorrise.

«Andrà più che bene» disse ad Ataxis.

Egli rispose:

«Davvero eccellente. Capirete perché voglio essere lontano da qui, prima che apriate questa porta. E ricordate di chiudervela alle spalle»

Quando Ataxis fu un puntino lontanissimo nel cielo, Alison tirò finalmente un sospiro di sollievo.

«D’accordo, è una porta. Per dove?» chiese Pioggia.

La porta cominciò ad aprirsi. Prima c’era solo una foschia luminosa sulla soglia, poi la nebbia si diradò e rivelò uno spoglio corridoio grigio di metallo.

«Questa è una Via che porta dentro il Sito-17» spiegò Alison.

Mentre Alison e le sue compagne varcavano la porta, un canto indefinito cominciò a echeggiare dappertutto.


Per un lungo istante, la dottoressa Campbell fissò la canna della pistola di Joanna. Poi l’agente Cross abbassò l’arma.

«Se devo, ti sparerò. Ma non voglio farlo, dico davvero» disse.

«Perché?»

Joanna ridacchiò:

«Consideralo affetto»

Kendra guardò la pianta:

«Quello che diavolo è?»

La pianta era difficile da guardare. Era verde e aveva un fiore rosa e rosso, però aveva una lucentezza che dava l’impressione che i colori fossero liquidi che si mescolavano. E la forma della pianta sembrava tutta sbagliata: il verde era troppo chiaro e a tinta unita, il gambo era troppo spesso e troppo liscio. Sembrava un’opera d’arte che imitava una pianta, invece di un organismo vivente.

«È un fulcro. Due mesi fa, quando mi hai chiesto se ero qui per tirare fuori la Bambina Strega… la risposta è sì, ma non è la risposta intera» ammise Joanna.

«Va bene, qual è la risposta intera?» chiese la dottoressa Campbell.

Joanna guardò il suo orologio da polso.

“Strano, non vedevo qualcuno indossare un orologio da un pezzo” pensò Kendra.

«Il mondo finirà tra ventisei minuti» rispose Joanna.

«Cosa?»

«Ora ne mancano venticinque. Vieni con me. Stammi davanti: mi servirà la tua chiave magnetica per aprire le porte»

«Dove stiamo andando?»

«Al bar del Sito-17»

«Vuoi farti una bevuta?!»

Joanna rise:

«Quale momento migliore, se non poco prima della fine del mondo? No, c’è un motivo preciso. Diamoci una mossa. Ormai abbiamo poco tempo, sai?»


Sigurrós Stefánsdóttir stava ancora ascoltando. Mancavano solo venti minuti. Il canto stava cambiando, stava diventando più complesso. Al coro si stavano aggiungendo altre parole e nuovi suoni. Un dolore curioso da tutte le direzioni, un mal di testa esteso a tutto il corpo. Riusciva a malapena a stare ferma. Poi vide la luce aprirsi nel suo occhio mentale. In fondo al corridoio, una donna dal volto familiare si stava avvicinando con tre compagne. SCP-239 si stava ancora sfilando gli aghi delle flebo, quando la donna aprì la porta, ma si ricordò le buone maniere:

«Ciao, mi chiamo Sigurrós. È bello conoscerti, finalmente!» la salutò.

«Altrettanto. Concedimi un attimo per i convenevoli rituali: io, Alison Chao, nota come S.M., nota anche come la Regina Nera, sono qui per incontrarti per conto di tutti gli abitanti di questo pianeta, per conto della Mano del Serpente e per conto di me stessa. Sono venuta da te per chiederti un accordo»

Mancavano quindici minuti. Adesso c’erano parole nuove nel canto, parole che Sigurrós riusciva a distinguere:

Mai mai mai mai mai

Ieri e per sempre

Nei secoli dei secoli e per sempre e in eterno

Mai mai mai mai mai

Mai mai mai mai mai


Joanna Cross guidava la dottoressa Campbell attraverso il labirinto di corridoi del Sito-17.

«È ovvio che non dovresti essere qui. Ti salteranno addosso appena incontreremo la sicurezza» disse Kendra.

«Ho lanciato un incantesimo su me stessa, ma non credo proprio che sarà un problema. Dubito che qualcuno farà tanto caso a noi» rispose Joanna.

Dal fondo del corridoio provennero delle grida. Kendra ascoltò i codici della sicurezza che rimbombavano dal megafono e impallidì:

«Merda! Una breccia nel contenimento? SCP-239!»

«Puntuale come un orologio svizzero» sorrise Joanna.

«Siete voi che state distruggendo il mondo» mormorò Kendra.

«Cosa?» chiese Joanna, con una nota di stupore nella voce.

La dottoressa Campbell scoppiò a ridere:

«Sul serio? Dopo quei discorsi profondi, si riduce tutto a questo? Voi che liberate una manipola-realtà e causate la fine del mondo? E pensare che mi ero quasi bevuta tutte le stronzate che avevi detto!»

Joanna sospirò:

«Non stiamo distruggendo il mondo, lo stiamo salvando»

«Certo»

Joanna indugiò, andò davanti alla dottoressa Campbell, sbirciò con prudenza oltre un angolo e proseguì:

«Hai presente la breccia di due mesi fa, quando i tuoi amici mi hanno catturata? Non l’avevamo causata noi, eravamo venuti qui per fermarla»

«La Mano del Serpente voleva aiutarci a fermare una breccia nel contenimento?» chiese Kendra, incredula.

«Avevamo saputo in anticipo che ci sarebbe stata. Un buco nella realtà che cancella un intero pianeta? Sì, è decisamente qualcosa che lascia il segno. Sia nel futuro che nel passato, per nostra fortuna»

Arrivarono davanti al bar del Sito-17. Una dozzina di agenti del distaccamento di una squadra speciale mobile le incrociarono di corsa; nessuno le prese in considerazione. Joanna commentò:

«Vedo che l’incantesimo sta funzionando piuttosto bene. Devo ringraziare Rita per questo, anche se non lo sa: i parenti sono legati da una connessione mistica. L’incantesimo fa in modo che tutti credano che questo sia il mio posto, perché è il posto di mia sorella»

«Quindi…» iniziò Kendra.

Un istante dopo, vide un’enorme esplosione sopra una delle strutture di detenzione, a un blocco di distanza. Non era un’esplosione normale: era un lampo di buio, non di luce. Un secondo dopo, fu scaraventata sul pavimento dall’onda d’urto. Anche Joanna fu scagliata a terra. Si mise seduta, continuando a stringere la sua grossa pianta in vaso. Fissò le fiamme nere e imprecò a gran voce. Kendra scattò in piedi, corse alla porta, passò la chiave magnetica nella fessura e varcò la soglia in tutta fretta. Adesso il canto risuonava dappertutto.


Rita Butler stava bevendo da sola nella sala registrazioni del Sito-17. Le regole lì erano permissive; era facile spacciare la vodka per acqua nelle bottigliette di plastica. C’erano sempre persone nella sala registrazioni, ma facevano tutte i comodi loro: giocavano a ping-pong, picchiavano sacche da pugilato e sollevavano pesi. Nessuno parlava con lei. In un certo senso, era un’esistenza perfettamente accettabile.

Quando suonò l’allarme, Rita non si decise a correre verso l’uscita abbastanza in fretta e, quando si diede una mossa, si ritrovò la strada sbarrata da una folla nel panico. Poi un’esplosione di luce verde sfondò le porte. Entrarono quattro intruse: una donna-lucertola, una donna in abiti stravaganti con un bastone e una terza donna con la pelle che cambiava colore di continuo. La donna al comando del quartetto indossava normalissimi vestiti borghesi, imbracciava un fucile a pompa strambo e un fiore gigante; la sua espressione era così seria da essere minacciosa.

«Uscite da qui, se non volete morire» disse.

E, per rafforzare le sue parole, puntò il fucile a pompa in alto e sparò una vampata di luce verde al soffitto. La folla scappò e si disperse. La capa indicò alle sue scagnozze di andare in direzioni diverse e le intruse si sparpagliarono assieme alla folla. Ma lei avanzava dritta e scandagliava la folla con gli occhi; finché il suo sguardo non si fermò su Rita. L’agente si impietrì dalla paura, come un cervo in mezzo alla strada che si immobilizza davanti ai fanali.

“Merda, devo scappare!” pensò.

Ma, prima che potesse reagire, la capa delle intruse la raggiunse, le afferrò il braccio, si chinò verso di lei e le sibilò all’orecchio:

«Tua sorella è qui e sta cercando di salvare il mondo. Aiutala, per l’amor degli dei! La troverai nel bar. Ora vai!»

E poi corse via, lasciando Rita scossa e sola nell’edificio che si svuotava. Un minuto dopo, Rita si precipitò alla porta. Prese una pistola abbandonata da terra e corse fuori.


Sigurrós Stefánsdóttir sentì le parole del canto raggiungere il culmine che stava aspettando e di cui aveva paura da mesi. Stavano correndo attraverso i corridoi, Alison stava davanti a lei e le altre le seguivano a ruota, ma non sarebbero arrivate in superficie in tempo. Da qualche parte sopra le loro teste, SCP-239 sentiva il battito di innumerevoli ali. Avrebbe potuto teletrasportarsi lassù; ma percepiva la realtà che si plasmava in superficie ed era sempre una pessima idea essere maldestri contro un altro manipola-realtà. Aveva sentito dire che potevano sbatterti dritto da dove eri venuto. Sigurrós guardò il soffitto; i suoi piedi si sollevarono dal pavimento e la Bambina Strega levitò nell’aria.

Mai mai mai mai mai mai mai mai mai mai


La cosa bella del bar del Sito-17 era che una delle sue stanze principali aveva un muro pieno di schermi della videosorveglianza. La Fondazione conosceva il suo personale, almeno in tal senso; se avveniva una breccia nel contenimento una sera in cui molte persone erano quasi tutte fuori servizio per bere, era vantaggioso per tutti avvertire più persone possibile della situazione. Anche se alcune di loro erano ubriache. Tra il personale, si scherzava dicendo che le brecce nel contenimento erano gli sport della Fondazione.

In quel momento, le telecamere inquadravano SCP-239 in fuga. La Bambina Strega passava da uno schermo all’altro molto in fretta. Stava volando in verticale, verso la superficie del Sito-17, per la strada più diretta possibile: non faceva altro che spazzare via i pavimenti e i soffitti che le intralciavano la strada e rimetterli a posto una volta passata oltre. Faceva impressione e dava uno strano senso di conforto allo stesso tempo. La dottoressa Campbell non aveva mai visto un manipola-realtà in azione prima, ma le venne da pensare:

“Di certo sa pulire dove ha sporcato”

Dietro di lei, Joanna stava facendo qualcosa con la sua pianta in vaso. La tirò fuori dal vaso, tenendola sopra il centro della stanza con una mano, e disegnò strane figure nell’aria con l’altra mano.

«Spero davvero che stia dicendo la verità, sul fatto che state provando a salvare il mondo» disse Kendra.

«Merda! Non sta funzionando!» imprecò Joanna.

La dottoressa Campbell fu paralizzata dal terrore, quando nelle riprese della sorveglianza vide qualcosa di familiare: una creatura che, l’ultima volta che l’aveva vista, indossava SCP-963. Un umanoide dalla faccia priva di lineamenti e la pelle nera e a scaglie.


Sigurrós sfondò l’ultimo soffitto e uscì in superficie, atterrando dolcemente sul cemento, e richiuse il passaggio che aveva creato dietro di sé. Fu sensazionale respirare di nuovo l’aria fresca col suo vero corpo, invece che nella sua forma onirica. Non si aspettava che ci fosse così tanta differenza. A dirla tutta, si accorse che era molto strano respirare così. Doveva tornare nella sua stanza. Le serviva solo qualche altro minuto di sonno; si svegliò di soprassalto, prima di cadere a peso morto. La scarica di adrenalina contrastò l’effetto soporifero e la Bambina Strega si accorse che dietro di lei c’era qualcosa. Si voltò e vide una faccia vuota e a scaglie che la osservava con una miriade di occhi invisibili. Occhi dentro occhi dentro occhi. Non aveva la bocca, ma aveva una voce: quell’eterno mormorio.

Mai mai mai mai mai mai mai mai mai mai mai

Quel mormorio le trasmetteva sonnolenza, le dava l’impulso di dormire e non svegliarsi mai più. Una sensazione impercettibile finché non ci si avvicinava, finché non era troppo tardi. SCP-239 chiese all’essere:

«Mi chiamo Sigurrós. Chi sei?»

Per tutta risposta, la creatura tese una mano invisibile con la sua mente e la toccò. Cercava e sondava la psiche di SCP-239. Sigurrós ne fu talmente sbalordita che non la fermò subito. Poi reagì ed entrò nella mente del mostro. La strana creatura sembrò aprirsi a sua volta alla sonda della Bambina Strega. E continuò ad aprirsi sempre di più, ramificando dei filamenti nell’eternità, sporgendosi all’orizzonte per sempre:

«Sei una Via!» mormorò Sigurrós.

Mancavano cinque minuti alla fine del mondo.


Il modo in cui Joanna guardava la sua strana pianta in vaso con palese frustrazione era quasi comico.

«D’accordo. Respira, ricomincia» si disse ad alta voce.

Ricominciò a muovere le mani, disegnando un nuovo motivo nell’aria. La dottoressa Campbell, intanto, guardava lo schermo:

«Cos’è quell’essere?»

«Tu c’eri, quando mi hanno catturata. Hai visto il dottor Bright morire e resuscitare» rispose Joanna.

«Sì»

Kendra ripensò a quel giorno, ricordando l’amuleto che si impigliava nello spadone del mostro. Joanna la esortò:

«Continua a farmi domande. Non sto scherzando: mi viene l’ansia. Parlare mi aiuta a smorzarla»

«Non mi dire! Allora, ho visto SCP-963, il dottor Bright, impossessarsi di quel mostro. Credevo che l’avesse ucciso»

Joanna rise un po’:

«Quel “mostro” è l’incarnazione di una Via danneggiata, costretta a trasformarsi in un umanoide per guarire»

«Una Via?! Uno dei portali magici per il Multiverso?»

Joanna cominciò a muovere le dita più in fretta, continuando a creare sagome nell’aria.

«Almeno voi Bibliofagi lo sapete. Questa trasformazione non avviene quasi mai, soprattutto non così. Per la sfortuna di tutti noi, la Fondazione l’ha trovato per prima mentre vagava in giro, devastava strade di campagna e spaventava contadini»

«Perché SCP-963 non l’ha ucciso?»

«Perché è impossibile uccidere una Via. Però la si può danneggiare, renderla vulnerabile. E nelle Vie vivono delle creature, esseri che danno la caccia alle cose vulnerabili. Alcune sono entità che non sono mai esistite, non esisteranno mai e non esistono, ma hanno un disperato desiderio di esistere»

«E sono pericolose?»

Joanna fece una smorfia, interruppe la sua tessitura di motivi invisibili, scosse una mano e riprese:

«Più di qualunque altra cosa. Noi della Mano del Serpente li chiamiamo “Maistati”. Li si può considerare dei parassiti dell’anima»

«Oh!»

«Sono molto infelici e molto affamati. Questo Maistato si è attaccato all’ospite più potente che ci sia: sta cercando di diventare una Via, di impossessarsi dell’ospite»

«Capito»

«Ha ottenuto questo punto di appoggio solo a causa dei danni fatti da quel medaglione mieti-anime, SCP-963. E ha funzionato solo perché la Via è in questa forma, quindi la sua anima è diventata qualcosa che un Maistato può capire. È come se la realtà stesse cospirando contro di noi» rise Joanna.

«Perché è un problema?»

«Perché non funzionerà. Il Maistato non è in grado di diventare una Via. E nelle condizioni in cui si trova ora, non riuscirà a mantenersi stabile. Tra poco diventerà una bomba nucleare»

«Cosa succederà dopo?»

Joanna fece un sorriso lugubre:

«Ci sarà un buco nell’universo dove prima c’era la Terra»

Kendra deglutì:

«Come fermiamo il Maistato?»

«La Bambina Strega deve ucciderlo» rispose Joanna.

«A che serve la pianta?»

Joanna sistemò l’angolo del gambo della pianta e spiegò:

«È un fulcro. Sigurrós è giovane, inesperta e l’unica persona su questo pianeta che può aiutarci. Questi fiori sono progettati per aiutarla»

«Capito»

«Dobbiamo piantarli con una procedura metafisica in aree “chiave” per magia del Sito-17. Nel nostro caso, il bar è una confluenza di energia umana, ma è un’energia così ebbra che sto faticando a…»

Joanna si zittì. La dottoressa Campbell stava ancora guardando SCP-239 e l’umanoide senza volto che stavano fermi l’una davanti all’altro, come se stessero facendo una gara di sguardi. Confusa dal silenzio, si voltò per vedere che stava succedendo. Vide Rita Butler sull’uscio della stanza; stava puntando una pistola alla testa di Joanna.


Sorelle »

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