Salpando per Gallipoli
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Il suo mento sfregiato aveva una linea di saliva che gli colava in basso, appesa sulla carne dentellata, e con il mio fazzoletto l’ho raggiunta per poterla pulire. La cicatrice partiva dal suo zigomo destro verso il basso, a malapena toccando l’angolo della sua bocca. Era avvolto in un lenzuolo in plaid rosso, su ci si era addormentato sopra. Dormiva un sacco, ma alla sua età è più che normale. Potevo vedere le rughe sulla pelle attorno ai suoi occhi tendersi e contrarsi mentre tentava di tenerli chiusi, anche nei suoi sogni.

Lavoro come infermiere per questi vecchi che abbiamo deciso di tenerci ancora attorno.
Di solito è accaduto loro qualcosa di insolito, oppure sono stati parte di qualche evento e hanno conoscenze dirette che vogliamo preservare. Solitamente devono rimanere vicino qualunque cosa possa aver causato questo, a scopo ovviamente di ricerca. Vivo presso il sito di ricerca 21. Ci occupiamo del contenimento di coloro i quali non ne hanno bisogno. É piacevole; deve esserlo.

Sono stato inviato qui dopo aver indispettito qualcuno; il chi non è importante. C’è un bel po’ di terra e un oceano a dividerci adesso. Facevo anche là questo stesso lavoro; le persone disposte a farlo sono poche.

Si svegliò di soprassalto non appena il fazzoletto lo toccò, i suoi occhi si dischiusero in un baleno. Cercò di tirare un pugno, ma gli mancò la forza, rimanendo bloccato dal suo lenzuolo. Ormai mi ci sono abituato.

“Oh…scusami” disse, con vero rammarico “Stavo…stavo facendo un incubo.”

Gli servii per cena una porzione extra di zuppa con del pane morbido, dal momento che aveva saltato il pranzo rimanendo appisolato. Stava man mano peggiorando. Il suo corpo aveva ormai deciso che un secolo era più che sufficiente, e non è qualcosa a cui possiamo porre rimedio. I dottori gli avevano dato sei mesi o un anno di vita. Nessuno di noi glielo ha ancora detto, e non penso che lo faremo.

Accesi la radio, e i Beatles andarono in onda. Un lusso che mi è concesso mentre lo aiuto: Ha un udito molto debole, è quasi sordo, perciò posso ascoltare tutto quello che voglio.

Mangiò in silenzio, perso nei suoi pensieri, finché non ebbe finito. Non appena mi diressi a raccogliere i suoi piatti, disse in ultimo “Mi ricordi…” disse, fermandosi come in preda ad una confusione che durò fino alla fine. “Ricordi…” ripeté, e dopo un’altra pausa rilasciò un sospiro che pareva la brezza all’interno delle vele di un vecchio battello di legno. “MI ricordi la mia infermiera. Il suo nome… non riesco a ricordarmi il suo nome. Era molto… molto bella. Ti assomigliava. Lei…”

Sembrò andare in cerca del nome di questa, forse. O forse no. Abbassai il volume della radio per ascoltarlo. È parte del lavoro, ascoltare. A molti tra i vecchietti piace farsi ascoltare e sentirsi apprezzati, soprattutto quando molti di loro hanno trascorso gran parte del loro tempo qui. Sembrano sempre parlare delle loro famiglie, della loro infanzia; ma mai del perché si trovino qui dentro.

“Era il mio secondo giorno, io, io… sono stato colpito da una scaglia. Una scheggia, intendevo. Sulla gamba, un grosso taglio. Ma non si stava curando come avrebbe dovuto. No… non mi ero mai trovato nelle prime linee; ero stato assegnato alla mansione di fare avanscoperta, per trovare posti che potessimo usare. Posti che potessimo usare vicino la spiaggia.”

Da quanto mi ricordo, era la prima volta che lo vedevo realmente concentrato su qualcosa, con lo sguardo fisso su di me, uno sguardo di ferro e quella enorme cicatrice. Non mi stava dicendo nulla che io non sapessi già, e lo sapeva. Sapeva benissimo che ero a conoscenza del perché la ferita non potesse curarsi, e che cosa significasse.

“Loro… i Turchi, ci avevano bloccato. Gettavano bombe e proiettili verso chiunque si avvicinasse, e nessuno sapeva che altro fare se non ritornare il favore, sperando di spuntarla. Cally e Jenkers… erano i ragazzi con i quali ero arrivato. Eravamo nella Sesta Divisione Dublino. Vennero messi nelle trincee, poi vennero spostati sopra. Lo scoprii ovviamente più tardi.”

Non avevamo preso schieramenti in quella battaglia. C’era qualcosa da cui dovevamo tenerli alla larga. Ho appreso che fu un momento caotico per tutti. Le redini ci erano sfuggite di mano, e quegli idioti tolti dal guinzaglio erano adesso molto più difficili da comandare. E dunque, andarono a Gallipoli. Ci andarono perché avrebbero aperto una rotta verso la Russia, e i Turchi che occupavano la penisola erano famelici nel volerla tenere. Fummo presi nel mezzo del conflitto, mentre tentavamo di non farci scoprire nel nostro bunker sotterraneo, là sotto una roccia che chiamavano la “Sfinge”. Era un sito di contenimento per materiale a rischio biologico.

“Dovetti passare là solo un giorno, prima che quella piccola ferita divenisse così grave che dovettero farmi uscire. Sono stato ovviamente fortunato. Non eravamo vicini ai grandi combattimenti. Ecco quando ho incontrato l’infermiera. Ti assomigliava parecchio.”

Non avevamo molto con cui lavorare. Il QG stava tentando di risolvere la questione, ma era zona di guerra. Che dovevamo fare? Avevamo alcune pistole e bombe che avevamo ottenuto da un agente dei turchi. I nostri ordini erano di restare nascosti ad ogni costo. Le cose allora erano davvero folli. Avevamo perso due dei nostri migliori ricercatori quando disertarono in Germania e quando il gas iniziò ad essere spruzzato in nuvole di fumo sulle trincee, era tutto ciò che potevamo fare per mantenerlo spiegato. Un piccolo sito tra molti, ecco cos’eravamo.

“Sembrava essersi accorta di ciò che stava succedendo. O almeno, sembrava… sicura. Mi prese la gamba all’altezza del ginocchio, aprendo la metà inferiore e trovò qualcosa, qualcosa che assomigliava ad un ratto con la pelliccia fatta di fottute vene, vene e piccoli cosi contorti con uncini e, e mi pugnalò con qualcosa mentre cercavo di urlare, e…e… e poi mi svegliai.”

Si fermò, e poi si rilassò nuovamente, con gli occhi non confusi. Presi la sua scodella.

“Un incubo” gli dissi.

“Già” rispose.

Che altro dovevo fare? Al tempo, con granate che cadevano come vetri e chiodi ogni giorno, e persone che morivano sulla tua porta di casa perché è quello che dovevi fare… non importa cosa, era quello che dovevi fare…
Tutto ciò che ci restava era un po’ di cibo, alcune pistole, alcune granate e un piatto di Petri, e quando si ruppe cambiò qualcosa in noi, quindi che altro dovevo fare? Gli altri non vissero come ho vissuto io, come ho poi continuato a vivere. Sapevo che non potevo lasciarlo, non con quella cosa dentro, e il QG non riusciva ancora a raggiungerci con il pick-up, e non poteva… non potevo fargli ricordare anche perché ci avrebbe potuto tradire. Quando ci presero due giorni dopo, era talmente rincretinito nel cervello che non riusciva a ricordare nemmeno chi fosse, e perché era quello che dovevo fare, e quella cicatrice, e… e non importava come….

Dopo che il QG finalmente si riorganizzò e decise chi avrebbe vinto e cosa sarebbe successo a quegli stronzi che provarono a salvarci, provarono a curarlo, ma ero andato troppo oltre. Non riconosceva più cosa fosse reale o meno, e lui non può mentre io sì, e non posso dirglielo perché lui lo sa già, anche se lui…

Non importa cosa.

Sei mesi a un anno.

Sei mesi a un anno.

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