Un cinquantenne, vestito di beige e con la pipa in bocca passeggia sotto la pioggia. Si fa chiamare “Forestiero”, prima di qualche settimana addietro nessuno lo aveva mai visto in città.
Anche da bagnato fradicio riesce a mantenere un sorriso costante, senza dubbio si tratta di un uomo da stimare. Ormai sono pochi coloro che riescono ad essere così felici.
Il motivo della sua felicità è la pioggia stessa, con il suo dolce cadere sui ciottoli che pavimentano le strade di fronte alle sfarzose case e il suo battere contro gli ombrelli degli stranieri. Che meraviglia.
Il suo orecchio sopraffino non poteva smettere di ascoltare tale bellezza.
Questi soavi suoni riescono a spazzare via tutti i problemi dalla città, tutti i peccati scorrono nei tombini, per essere dimenticati.
La pioggia copre ogni cosa, copre l’omicidio nel Distretto del Sud, copre lo scambio di mazzette nell’ufficio del Distretto del Nord, copre la Fae drogata di amnestici nel Distretto dell’Est e copre…
No, questo non lo copre. La pioggia non riesce a coprire una discussione nel distretto dell’Ovest.
Il Forestiero comincia ad origliare alla finestra di un grande palazzo. Lui non riconosce il palazzo e non riconosce neanche la musica che si può udire nei momenti di silenzio durante la discussione.
— Ascolta! Se vuoi metterti ad ascoltare quella merda di Kavov qua dentro sappi che ti staccherò la testa! — dice un vecchio con pochi capelli in testa e con spessi occhiali.
— Sì sì, parla quanto vuoi. Intanto Kavov è il miglior artista di Gorična, mentre tu sei qui a marcire. — dice un giovane con una sciarpa rossa al collo.
— Un mostriciattolo jugoslavo che è stato probabilmente lanciato da qualche mafioso lo trovi un grande artista? —
— Mafia? Sai anche te che quei coglioni del giornale tirano su un polverone per qualsiasi cosa. —
— Ma taci, va’. Questi nuovi musicisti, non capiscono un bel niente di musica. La mia famiglia ha da sempre suonato meglio di Kavov e chiunque altro. — dice il vecchio infuriato.
— Ma lo vuoi capire che voi vecchi del Cenacolo ormai siete morti? Siamo fortunati che qui a Gorična siamo rimasti in tanti, però non lasciate spazio a noi giovani. Non accettate che noi siamo il futuro. —
— Lo so bene. Ma non capite niente lo stesso. Voi e quei compositori da due soldi del Deer College Gorična. Mi ricordo quando sono venuto a vedervi ai corsi pomeridiani, una cosa indecorosa. —
— Ma perché a te non piace nulla. Non sei aperto mentalmente, tu e tutta la tua famiglia. Non ho mai capito perché mio padre andava tanto d’accordo con te. — dice il giovane, il quale ormai non ne poteva più di discutere con quell’uomo dalla mente chiusa. Si vedeva che avrebbe preferito fumarsi una sigaretta.
— Perché tuo padre non era come te. Pur avendo dei gusti musicali abbastanza discutibili era abbastanza accorto da sapere quando smettere di discutere, tu invece prendi il tuo stereo e ti metti ad ascoltare la tua musica da quattro soldi. Che disonore per la Famiglia Amaderi, e sapessi che disonore per il teatro. Sei già fortunato che noi del Cenacolo non vi abbiamo cacciato. —
— Ti va bene che sono l’unico della mia famiglia rimasto qui. E poi Il Teatro Gran Ballo non andrebbe avanti senza di me, lo sai bene. Tre quarti degli attori e dell’orchestra te li procuro io. —
— E infatti fanno tutti schifo. —
— E allora… —
Si sente una persona bussare dal portone d’ingresso.
— Ragazzo, vai ad aprire. —
Il giovane Amaderi si dirige verso il portone.
— Oh, Forestiero. Come sta? —
— Buongiorno signore, sono passato di qui perché ho sentito un certo vociare. Sembra proprio un bel teatro. —
Lo stanza è poco illuminata, se non per una luce calda gialla che proviene dove i due musicisti stavano discutendo. Le pareti, i pavimenti, sono tutti tappezzati di rosso carminio. Ci sono alcuni oggetti di scena sparsi qua e là, tra cui maschere e lenzuola bianche. Una bellezza per l’occhio.
Si riesce persino a sentire la pioggia che ticchetta sulle finestre, quel suono è molto meglio della discussione.
Ci sono diversi quadri, tutti raffiguranti strumenti e scene legate alla musica. C’è una donna che suona un mandolino sul soffitto, un uomo che raccoglie i fiori con una chitarra sotto braccio.
Che posto meraviglioso, se a rovinarlo non vi fossero quelle così tediose conversazioni.
— Forestiero! Mi vuoi ascoltare o no? —
— Scusa… noi due ci conosciamo? —
— Ti sei fatto di amnestici? —
Il Forestiero guardò il giovane.
— A proposito, so che vi hanno fatto chiudere la produzione. Se te ne servono ho amici al College che ne hanno ancora. —
— Hm… come sai il mio nome? —
— E andiamo, anche se hai cambiato nome per i problemi con la legge non credo tu abbia perso anche la memoria. Sei conosciuto qua in zona. Comunque hanno fatto un bel lavoro con la chirurgia. Sei proprio cambiato dopo quel fattaccio. —
Il silenzio riempie la stanza. La pioggia è l’unica cosa udibile. Il Forestiero non ha idea di cosa il giovane stia dicendo.
— Sei strano. Comunque, che ne dici di dare la tua opinione su una cosa? —
— Vuoi la mia opinione sulla discussione? —
— Esatto. Seguimi. —
Forestiero, tanto preso com'è dalla pioggia, non si era accorto di un altro suono. Una chitarra, dalla calma melodia.
Per qualche ragione questo lo porta a ritornare sui propri ricordi; forse non era mai successo prima, forse non succederà più. I suoi ricordi gli sono sempre stati preclusi.
Una spiaggia, un molo, la calda pioggia che cade; quella non riusciva a coprire il profumo di sigaro cubano nell’aria. Qualche faccia nota, qualcuna no.
Che strano, non gli era mai successo prima.
Che sia l’energia del luogo? Probabile, già da quando era entrato si era sentito come in un’altra dimensione, cullato dalle stelle.
— Vecchio, questo è il Forestiero che avevo sognato, te ne avevo già parlato. — dice il ragazzo.
È il vecchio uomo a suonare la chitarra; ora che il giovane lo aveva interpellato, si è fermato come di colpo.
— Alberto, per l’amore degli dei, ti avevo detto di non far entrare questa gente nel mio teatro. —
— Come sei paranoico, i giornali hanno raccontato un sacco di cazzate sul suo conto. —
— Bene. Comunque, Forestiero, chiama questo uomo Roberto Baldini, puoi chiamarlo Roberto e basta. — dice il ragazzo.
— No. Sono il Signor Baldini. — dice il vecchio interrompendo il ragazzo, visibilmente infastidito.
— È un piacere, Signor Baldini. — risponde il Forestiero, anch’esso abbastanza infastidito dall'atteggiamento del vecchio.
Il giovane si volta, prende un CD. La copertina reca una via malandata, piena di sporcizia. Il titolo recita: “I Ragazzi di Strada”, sotto ci sono scritte le varie traduzioni del titolo, per farlo comprendere a tutti. In basso a destra c’è una firma: Kavov.
— Bene. Forestiero, sarai tu a decidere chi ha i gusti musicali migliori. Vecchio, vuoi cominciare tu? —
— La mia musica l’ha già sentita. Si farà bastare quell’ascolto. —
— Sì sì, mi è bastato quello. Oh, e complimenti. —
— Va bene, vado io allora. —
Il giovane infila il disco nello stereo.
— Ascolta questa bomba. Così a naso direi che la canzone che più ti si addice è “Il Vagabondo”. —
Una musica forte, dissonante, innovativa.
Anche questa era in grado di far riaffiorare dei ricordi.
Un’ufficio, degli uomini vicino. Soldi sul tavolo, una luce fioca. Ancora profumo di sigaro cubano.
Uno degli uomini alza leggermente la veneziana delle finestre; l’unica cosa visibile è la pioggia che cade.
Perché tutto questo? Perché al Forestiero gli vengono in mente queste cose? Com’è possibile? È certo di non aver visto film come Il Padrino o Sin City o qualcosa del genere, quindi queste non possono essere scene inventate.
No, questi sono ricordi.
Degli spari. L’uomo che stava scrutando dalla tendina si avvicina il posacenere per spegnere la sigaretta.
Quello che sembrava un uomo, alto e peloso, spalanca la bocca.
— Qua c’è ne sono quindici mila. Mancan mille. Gli vado a fare visita o lascio correre? —
Silenzio.
Nessuno risponde per qualche secondo. Poi un uomo, dal volto molto familiare, fa cenno con la mano di lasciar stare.
Quell’uomo, dall’abito beige e con la pipa in bocca.
Quello era il Forestiero.
— Boss, qui ci sono tutti. —
Silenzio.
L’uomo che stava parlando con il forestiero si alza.
— Bene, io vado, a domani, “Nessuno”. —
La musica si ferma.
— Allora, che te ne pare, ti è piaciuta? Dimmi, chi ha vinto secondo te? — chiede il giovane
Il Forestiero, con voce flebile, riesce solo a pronunciare una parola.
— Nessuno… Nessuno. —