Crediti
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Ricerca di "Raminghi e fuggiaschi" e "Nuova venuta"…
3 testi trovati.
Atti di Paolo in Iconio, Capitolo 3;
Cronaca dell'Esodo Mekhanita, Capitolo 17;
Epistolario di Sant'Ambrogio, libro 11, Epistola 114.
Predicazione di Paolo ai Mekhaniti
3 Passati tre giorni da quando aveva lasciato la città dove abitano gli adoratori della carne e cinque giorni da quando aveva lasciato Nissa, 2 Paolo giunse in una città dove albergavano alcuni Mekhaniti. 3 Tra le schiere dei Gentili costoro sono senza fallo tra i più eretici e folli, poiché pongono la sapienza del mondo prima di quella divina, che le è superiore. 4 Essi dicono infatti “Noi abbiamo un dio, che è potente e ci dà potenza, poiché usiamo la mente e il sapere come egli ha inteso lo usassimo. 5 Egli non cammina più tra di noi, ma ha promesso di ritornare, per mezzo della sua infinita potenza, o per mezzo di quella che ci ha donato.”
6 Paolo iniziò a predicare al popolo la parola di Gesù, i miracoli e la salvezza da lui promessa. 7 I Mekhaniti, adirati, risposero: “Quale salvezza promessa? Vi è un solo destino ovvero la realtà, come promesso dal nostro dio. 9 Le menzogne che vai spargendo sono prive di senso, il tuo Dio è debole, poiché la carne è debole, e quando essa muore, con essa si spegne tutto.” 10 Paolo allora parlò del miracolo della resurrezione, e di come i fedeli la consacrassero con la comunione dell’ostia. 11 I Mekhaniti, adirati, risposero “La resurrezione non può essere, poiché la carne è materia debole. 12 Il tuo Dio si è fatto carne ed è perito, come quello degli abitanti di Adytum. 13 Il nostro dio è pura sapienza, ha camminato tra di noi mostrandoci la vera potenza della tecnica. 14 La nuova venuta è già stata predetta da lui, 15 egli ci parla ancora, al contrario del tuo dio, che tu pretendi di far parlare con la tua bocca di falso profeta.”
16 Alcuni uomini portarono allora nella piazza un idolo di ferro e bronzo fusi, dalle fattezze di uomo e donna insieme, trainato su un carro da buoi ed elevarono la loro preghiera a quell’empia figura. 17 Paolo allora capì che non era ancora venuto il momento di salvare costoro: come potevano essere così pazzi da adorare il frutto della loro opera ma consegnarlo alla volontà di un demone? 18 Tuttavia alcuni tra i Mekhaniti si avvicinarono a lui, e riconobbero la bontà delle sue parole. 19 “Noi abbiamo sentito la potenza delle parole del tuo Dio, noi crediamo che le parole dei nostri preti siano false, poiché promettono grazie al nostro lavoro che il nostro dio giungerà di nuovo. 20 Eppure i nostri sforzi non vengono pagati; non lasceremo che anche i tuoi lo siano. 21 Diventeremo raminghi e fuggiaschi, ma un giorno lo saranno anche costoro, poiché si illudono di trovare su questa terra la salvezza." 22 E Paolo allora raccolse a sé quei Gentili e li istruì nel Verbo di Gesù, poiché nemmeno tra i più ciechi può perdersi la luce di Dio.
Sulla Sorte della Tribù di Egeo
17 Dopo la caduta della grande città sacra a MEKHANE, molti tra i suoi adoratori iniziarono vita da raminghi e fuggiaschi. 2 Delle 11 tribù che componevano la città, l'ultima tra queste era quella di Egeo. 3 Costoro si dice discendessero dalle genti di Argo e Micene, giunte in terra d'Arabia dopo eventi catastrofici che ne distrussero le città. 5 Alcuni emigrarono nelle terre di Cappadocia, mentre altri rimasero presso la madre genitrice di tutti i fedeli Mekhaniti. 6 Gli uomini della tribù di Egeo si dice fossero orefici e che lavorassero le pietre con strumenti inimmaginabili, e così facevano anche le loro donne, fatto inusuale tra le genti della città. 7 Erano invisi a molte altre tribù della città a causa delle loro convinzioni circa la natura del ritorno di MEKHANE: 8 essi ritenevano infatti che la nuova venuta sarebbe giunta dopo un lungo periodo di oppressione, 9 e che sarebbe stato un costrutto di loro invenzione e creazione a guidarli verso la libertà.
10 Fidandosi nei loro saggi, gli uomini e le donne della tribù decisero per questo di consegnarsi alle truppe di Cesare1 senza opporre resistenza, come le altre tribù, dopo che questi ebbe espugnato la città. 11 Cesare dispose allora la loro esecuzione, poiché non vedeva differenza tra loro e gli altri abitanti della città che aveva appena conquistato, in quanto tutti loro erano nemici di Roma ai suoi occhi; 12 tuttavia il figlio2, presente alla cattura della città, intercesse per la loro salvezza. 13 Il padre chiese al figlio il motivo di questo gesto, ed egli rispose che desiderava risparmiare chi si consegnava a Roma con così tanta facilità. 14 Tito promise che avrebbe trovato loro occupazione come propri schiavi, e che desiderava molto questa cosa, 15 per raccogliere ulteriore sapere utile agli scopi dello stato. 16 Cesare allora acconsentì alle richieste del figlio, poiché mosse da grande rettitudine e intelligenza, come si confà ad un futuro principe.
17 Tito dispose allora l'invio della tribù oltre il mare, presso le sue proprietà in Campania e nelle Puglie. 18 Ivi la tribù rimase per gran tempo a servire con la loro conoscenza il principe e i suoi successori, ma non si conosce il fato di queste genti, poiché si mescolarono con altre che i romani avevano portato in quella stessa terra. 19 Alcuni dicono che perirono tutti dopo che il monte che chiamano Vesuvio eruttò, 20 altri affermano che siano rimasti schiavi per molto tempo e vennero liberati solo con la fine del dominio dei Flavi, 21 altri ancora dicono che abbiano fatto ritorno presso le terre dove, ancora oggi, stanno le rovine della città sacra distrutta da Roma.
Lettera da San Severo vescovo di Napoli, A.D. 393
114 Vi saluto stimato amico, e vi scrivo questa lettera per parlarvi delle difficoltà incontrate nell'evangelizzazione delle terre di cui servo come pastore. Come ben sapete, le disposizioni di Cesare3 ci impongono di salvaguardare le anime di coloro i quali, ancora, camminano persi tra le nebbie dell'errore. Io stesso mi sono prodigato, tanto quanto voi, affinché questa piaga venisse estirpata dalle terre di Roma, ma continuiamo a ricevere grande disappunto per quanto riguarda i seguaci di quell'empia setta di eretici, che si chiamano Mekhaniti. Nelle vostre zone questa piaga non si è potuta diffondere come qui, dove perdura da gran tempo. Tra tutti i Gentili che ancora oggi vivono nelle campagne delle diocesi più isolate dell'Italia, loro sono senza dubbio tra i più ostili e tenaci. Dimorano come bestie nelle zone di montagna, lontano dalla civiltà. Rifuggono il contatto umano e costruiscono demi che rassomigliano più a villaggi rurali che a vere città, fatte con scarti di pietra e metallo, mentre altri ancora vagano come raminghi e fuggiaschi, spostandosi di continuo come fanno i barbari delle steppe. Le loro capacità e la loro tenacia nell'errore comportano una continua lotta per i nostri sacerdoti. Ogni qual volta che li approcciamo, essi deridono la parola del Signore, e mostrano continuamente i loro idoli, dicendo che un giorno, dal metallo fuso e dalle scintille della forgia, da un idolo come quelli avverrà la nuova venuta del Demone che chiamano dio, e che questa resurrezione avverrà non per grazia di Gesù nostro Signore, ma per mezzo delle azioni d'un greco, quali loro affermano di essere, pur rassomigliando per abitudini e aspetto più ai Sarmati. Pongono una seria minaccia al nostro gregge, e dunque vi chiedo, stimato amico, oltre alle vostre preghiere, di fornire a noi nuovi uomini di fede che possano aiutarci in questo arduo compito. Statemi bene.