[…]
"Abbiamo tante informazioni, abbastanza per far sbucare fuori qualche altra organizzazione alla vostra pari.
E dubito che terranno la bocca chiusa, non lo fanno mai in queste situazioni.
Spero che questo nostro annuncio sia stato abbastanza.
E non proviate a censurarci.
Il danno ormai è fatto.
Arrivederci."
Quella serie di messaggi aveva lasciato tutti spiazzati.
Si erano guardati a vicenda, senza sapere cosa dire o che fare.
Chi aveva parenti a Napoli s'era precipirato a fare chiamate al telefono per capire se i propri cari fossero stati coinvolti in quel macello; altri avevano cercato di accendere una radio in vista di nuovi aggiornamenti e anche per sentire le parole del Governo a riguardo. Altri ancora invece s'avviavano verso casa: come dargli torto, l'orario lavorativo era passato già da un pezzo, e le notizie su Napoli potevano riceverle con tutta calma e tranquillità dai loro comodi divani o dalle loro morbide poltrone la mattina successiva.
In mezzo a questa colorata gamma di reazioni più o meno comprensibili e più o meno umane, solo il giovane Bernardo sembrava essere rimasto in possesso delle proprie capacità razionali. Era un ragazzo sveglio, come gli aveva sempre detto la nonna, laureato in Conservazione e restauro all'Università di Firenze. Era rimasto incantato dalla bellezza della città, l'anno in cui aveva partecipato a uno scambio dal Sud America verso l'Italia, e aveva deciso di proseguire lì i suoi studi.
Non era entrato da molto tempo dentro all'Accademia: qualche mese dopo essersi laureato aveva ricevuto una telefonata anonima. Avevano chiesto di lui, se fosse interessato a un lavoro in prova come restauratore a Palazzo Medici-Riccardi. Piuttosto che continuare a fare il cameriere, anche un tirocinio non pagato sarebbe stato oro colato. Era riuscito a passare la selezione, e con sua somma sorpresa ricevette una telefonata da suo padre, congratulandosi del risultato. Quel vecchio ne sapeva una più del diavolo. Dopo tanti anni passati all'interno dei servizi segreti della Fondazione SCP, qualcosa aveva pur avuto modo di imparare.
Il giovane, in mezzo al girone infernale creatosi, fu l'unico a pensare di verificare che anche il Tutore fosse informato della faccenda. Non solo perché dal primo giorno che era entrato in Accademia aveva provato stima e ammirazione verso di lui, ma anche per sincerarsi stesse bene.
Era da giorni che non lo si vedeva in giro: pareva essersi barricato nel suo studio, per quale ragione nessuno sapeva, e disturbarlo sembrava un atto sacrilego. Era solito fare così a dirla tutta, tant'è che nemmeno la sua segretaria, Mafalda, poteva avvicinarlo quando decideva di rimanere nel suo ufficio, quasi in clausura.
Tuttavia, ci sono momenti nella vita dove un'intera città dal nulla diventa un agente memetico letale, che abbattono qualsiasi remora o tentennamento nell'agire, anche nei più cauti.
Dalla piccola area ristoro in cui tutti gli Assistenti si trovavano a seguito del fattaccio, Bernardo iniziò a dirigersi verso l'ufficio del Tutore Adriano Lenzi. Percorse, senza incontrare anima viva, gli intricati corridoi che portavano alle varie ale d'esposizione, ai laboratori di restauro, agli archivi documentari e delle opere non esposte, raggiungendo infine la zona deputata all'amministrazione. Al desco posto all'ingresso dell'ala non incontrò l'arcigna segretaria che, con i suoi occhi piccoli e neri come la capocchia d'uno spillo, quasi penetravano l'anima del malcapitato di turno che giungeva in area amministrazione.
L'ufficio del Tutore era l'ultimo in fondo ad un piccolo corridoio, sulla parete a destra; davanti al Restauratore stava invece l'ufficio del Curatore, cui nessuno, eccetto il Tutore, aveva il permesso nemmeno di bussare, figuriamoci di entrare. Dirimpetto alla porta del Tutore stava invece una sala riunioni e conferenze, usata per incontri con altri gruppi o per comunicare con membri delle altre sedi in forma ufficiale.
Bernardo si avvicinò alla porta: era in noce, liscissima, con alcuni decori incisi che gli ricordavano i mobili che la nonna aveva in salotto e che lo avevano sempre affascinato, con la loro mole imponente e la loro traboccante gamma di dettagli, eccessivi, quasi barocchi. Quei mobili erano diventati vecchi, ormai. Un giorno si sarebbe preso la briga di restaurarli; glielo aveva sempre promesso, alla sua cara nonnina.
Mentre osservava questi piccoli dettagli, sentì la porta alle sue spalle aprirsi: un tonfo al cuore lo colpì e, girandosi di soprassalto, incrociò lo sguardo della segretaria, Mafalda.
"Che ci fa lei qui?" chiese quella, con fare scorbutico.
Non era la donna più tenera del mondo, e lo si poteva ben capire già dal suo modo di vestire: indossava una camicetta color fumo di Londra, a righe color crema, sopra alla quale teneva appoggiata alle spalle una giacchetta, sempre grigia, ma dal tono ancor più severo. Una stretta ma austera gonna nera le correva le gambe fino a metà stinco, e ai piedi portava delle scarpette verniciate in nero a tacco basso. I capelli, metà mori metà grigi, erano raccolti all'indietro in uno chignon stretto. Sul naso leggermente adunco, quasi dantesco, erano appoggiati un paio d'occhiali dalla montatura in finto avorio, di forma appuntita alle estremità dove le lenti si congiungono con le stanghette. Per certi versi, le ricordava sua zia Dolores, sorella della sua dolce nonna, un'algida e devotissima suora laica impossibilitata a prendere i voti a causa d’un non meglio precisato scandalo. Ecco, forse quell’acredine che zia Dolores aveva sempre manifestato, specie verso i suoi nipotini, poteva essere un altro tratto in comune con l'esemplare femminile a lui dinnanzi.
Aveva un'aria seccata: probabilmente non si aspettava che qualcuno arrivasse così, di punto in bianco, mentre lei stava sbrigando chissà quale faccenda in sala riunioni. E non era niente di nuovo invero: per chi la conosceva era risaputo fosse una persona cattiva, tanto incline alla misantropia quanto estremamente diligente nel proprio lavoro. Era la spalla fidata del Tutore, il quale le aveva persino delegato alcune faccende d'amministrazione interna più delicate, tra cui la gestione del flusso di entrate proveniente dalle visite alle strutture architettoniche, o in gergo ARC, sparse sul territorio italiano.
Questa signora, che aveva ormai già da un po' superato la mezza età, era insomma da guardare con timore e rispetto. Rispetto tutto guadagnato, a detta sua, rispetto a certe "volgari sciacquette" che avevano, sempre a detta sua, l'ardire di considerarsi sue "colleghe".
La durezza del suo sguardo stava lentamente penetrando le carni di Bernardo, che più di tutto temeva di incontrare la "stregaccia", come tutti la chiamavano.
"Ebbene?" incalzò quella.
"I-io… sono venuto a informare il Tutore di…" rispose Bernardo, sempre più messo in soggezione dalla donna.
"Il Tutore non vuole essere disturbato in questo momento. Sarebbe meglio che ritorni più avanti."
"M-ma è im-mportante! Sono giorni che non lo si vede, ed è una cosa che bis-"
"Poche storie, abbiamo tutti il nostro lavoro da fare, e il mio è anche questo. Ora, per cortesia, se ne vada."
"Ma-"
"Ho detto via. Mi sta facendo solo che perdere altro tempo. Non glielo lo ripeterò ancora, se ne vad-"
"Signorina Quirini?" Una voce echeggiò dalla porta alle spalle di Bernardo.
"Sì, signore?" disse quella, con fare ora molto più docile e accomodante.
"Con chi sta parlando?"
"Con… con…" guardò il ragazzo, come per dirgli: spiccica il tuo nome.
"B-bernardo. Bernardo Rodriguez, signore." disse Bernardo, con un filo di voce. Passarono due secondi di silenzio.
"Ah, ma certo. Lasci pure passare il ragazzo, Mafalda, non si preoccupi."
Quella rispose, dopo un secondo di esitazione, solo con "Comandi, signore."
Lanciò poi un'occhiataccia a Bernardo, strizzando leggermente gli angoli della bocca in una smorfia che pareva dire T'è andata bene. Così facendo, si girò e ritornò alla propria scrivania.
"Venga pure avanti, giovanotto." ripetè la voce.
E Bernardo entrò.
Si guardò intorno con circospezione: era la prima volta che entrava in quella stanza. L'atmosfera che disvelava era particolare, per così dire.
Dentro all’ufficio del Tutore Lenzi regnava la calma. L'unico rumore che si percepiva al suo interno era il leggero graffiare d'una stilografica.
Le pareti dell’ufficio erano bianche, d'un marmo tanto lucido alla vista quanto liscio al tatto, solcato un po' ovunque da piccole venature sanguigne. La luce emanata dal minuscolo eppur squisito lampadario in cristallo di Boemia appeso al soffitto cambiava il colore del marmo, rendendolo simile al pallido incarnato dei ritratti di fanciulle che accoglievano i visitatori. Erano nove in tutto, vestite e agghindate in stile neoclassico, dipinte in ambiente arcadico: le Muse dell'Elicona. Non rimanevano ferme e ieratiche come ci si sarebbe aspettato da opere di tale fattura, ma danzavano e vagavano di dipinto in dipinto, silenziosissime, ma con fare allegro e sorridente. Il loro volto mutò in sorpresa, quando videro Bernardo, e la loro danza ricominciò, con più allegria di prima.
Il resto dell'arredamento era assai semplice quanto ricercato: tre poltroncine color crema in stile Luigi Filippo, di cui due poste di fronte a una scrivania in rovere stile Secondo Impero, e alcune mensole a parete dietro quest'ultima, ricolme di libri e tomi tutti dalla copertina color noce. Di fronte all'esistante Assistente, tra gli scaffali umbertini alle spalle del Tutore, completava l’arredo della stanza un gigantesco paio d'ali, nere come la pece. Quel macabro trofeo non apparteneva di certo ad animale esistente, no, ma a chissà quale insolita creatura.
Erano state ritrovate anni or sono nelle cantine di Palazzo Pitti, durante un sopralluogo dell'Accademia. Alcune voci sostenevano fossero antiche ali di un qualche lepidottero, portate in Italia come dono per il Granduca dopo la spedizione Thornton, altre affermavano fossero state donate all'Accademia, quando ancora risiedeva presso il palazzo dei principi di Toscana, da parte di un misterioso chierico giunto dalle Indie. Benché la storia attorno ad esse fosse così fumosa, è certo che la loro presenza incuteva nei visitatori reverenza e timore, che ben si confacevano agli umori del Tutore e al suo carattere; dopotutto, era stato lui stesso a insistere affinché venissero tolte dalle esposizioni e ricollocate nel suo ufficio.
“Signor Tutore, è permesso?”
“Certo che si.” rispose quello, calmo.
Bernardo rimase immobile, al centro della stanza. Il Tutore, senza degnarlo di uno sguardo, intento com'era a scrivere, quasi non si accorse di ciò.
"La prego, Bernardo, si sieda. Non vorrà rimanere lì come uno stoccafisso, immagino, avanti."
"Oh, sì… la ringrazio." rispose, e si sedette.
"Allora, Ro… driguez, giusto? Qual buon vento la porta qui? Stanno chiedendo di me?"
"A dire il vero no…"
"Che peccato. Ci speravo un po', ahah."
"No, non mi fraintenda, è che…"
"Che?"
“Signor Tutore, vede, è successo qualcosa di molto grave e di molto importante."
"Oh, che cosa? Mi faccia indovinare: un nuovo battibecco tra Servolini e Fasolis, sfociato in botte, stavolta?"
"No, no niente di questo…"
"E allora cosa?" chiese, quasi sospirando.
"C'è stato un… fenomeno, a Napoli. Non penso sappiate…”
" A dirla tutta ne sono al corrente." rispose quello, sempre in tono pacato.
"C-come fate a sap-"
"Essere ai piani alti ha i suoi vantaggi" asserì, senza levare lo sguardo dal foglio che stava scrivendo.
"A-allora avete anche sentito della Mano…"
"Ovviamente. So che hanno messo di mezzo la Fondazione."
"Sì, sì lo hanno fatto."
"Prevedibili come pochi. Non c’è da stupirsi, quando si ha a che fare con una manica di idealisti completamente allo sbaraglio, le loro mosse sono sempre dare la colpa agli altri. Oh beh, mal gliene incoglierà."
"Immagino allora che si sarà messo in contatto con la Fondazione… dopotutto, sono nostri alleati…"
Il Tutore alzò leggermente la testa, ma non lo sguardo. Il suo sopracciglio sinistro si alzò di un centimetro sulla fronte, in un espressione che quanto di più dubitante non poteva esserci.
"Direi proprio di no. Sarebbe assai imprudente."
"Come prego?"
"Dico, imprudente. Conosce questa parola?"
"Ovviamente, che domande! Non sarò madrelingua ma capisco l’italiano!"
"Ma non il sarcasmo, evidentemente."
Silenzio.
"Ebbene, come stavo dicendo, non mi arrischio a chiamare o a rispondere a eventuali chiamate della Fondazione per non compromettere la nostra posizione."
"Che posizione?"
"Quella dello status quo. La faccenda non ci riguarda direttamente."
Un altro silenzio.
"Sono circondati: il SISMA ha già ottenuto supporto dal governo italiano a indagare sulla faccenda, garantendogli pieni poteri, mentre la Coalizione Globale dell'Occulto sta usando i fatti di Napoli come pretesto per aizzare il mondo contro la Fondazione. Poco importa siano stati loro o quelli della Mano, ora hanno una scusa per sbarazzarsi sia dell'uno che dell'altro, volendo."
Dopo l'ennesima breve pausa, ridacchiando, sibilò:
"Dio solo sa cosa accadrà a quei poveri idioti."
"Ma… sono nostri alleati."
La famiglia di Bernardo, ad eccezione sua, era sempre stata legata alla Fondazione. Suo padre, sua madre, i suoi nonni. Provava una grande stima per l’etica e la morale della Fondazione, e quelle parole così taglienti lo ferirono nel profondo.
"Alleati, ah! Ci avessero mai offerto un soldo, o un aiuto concreto per parte del lavoro che abbiamo fatto, aiutandoli a mantenere “il Velo” intatto. Puah, imbecilli. La verità è che siamo stati costretti a collaborare, non c’è stata mai alcuna alternativa. Si veda un po' la storia di questa tanto rinomata istituzione che è la Fondazione: troverà che ogni loro atto per proteggere l'umanità è stato un continuo sopruso della libertà di istituzioni come la nostra. Mi creda, sarà tutto molto più semplice senza di loro."
Calò un silenzio tombale. Bernardo non sapeva che altro rispondere. Gli sembrava di aver perso contatto con la seduta, il pavimento pareva scivolare via.
Il Tutore, che ancora stava scrivendo, con un gesto fermo e deciso staccò la stilografica dal documento che aveva sotto mano. Fece gesto all’assistente di avvicinarsi, e lo guardò negli occhi con sguardo penetrante.
"Ora" proferì "non rimane altro che smarcarci dalla loro parte. Il Curatore è già d’accordo con quanto ho scritto qui” indicò il foglio “ e non c’è motivo di aspettare oltre. Visto che è già qui Rodriguez, sia gentile e ne faccia una scansione, così che la signora Quirini la possa poi inviare a tutte le nostre sedi nel mondo."
"Ma…"
"Non faccia domande, il tempo stringe e ho già parlato abbastanza. Buona giornata, e… mi raccomando, si sciolga un po', intesi?"
Il gelo provocato da quel sorriso Bernardo non se lo dimenticò mai.
Bernardo, uscendo, chiuse la porta dell'ufficio. Ancora non poteva credere a quanto aveva appena sentito. Lo lasciarono spiazzato non solo un'onestà così brutale per una persona di cui tutti lodavano il fare diplomatico, ma anche e soprattutto la completa disintegrazione di qualsiasi rapporto avesse con quelli della Fondazione.
Si chiese se anche altri la pensassero come il Tutore. A casa gli era sempre stato insegnato che la Fondazione era fredda, ma non crudele, che agiva per il bene dell'umanità, e che i loro alleati lo sapevano benissimo e contribuivano a quel bene, perché guidate da uomini retti e saggi. Il Tutore Lenzi gli era sempre parso appartenere a questa categoria, e così pure l'Accademia… ma adesso?
Con passo lento, giunse nella piccola stamperia accanto al cubicolo di Mafalda. Per sua fortuna, lei non c'era. Mise il documento sullo scanner e iniziò a scansionarlo… il computer della segretaria era aperto, e quindi gli fu facile salvare il file sul desktop. Seduto al posto della stregaccia, la ruota dei suoi pensieri continuava intanto a girare. L'incredulità a poco a poco lasciò il posto allo sconcerto e alla rabbia. Non avrebbe di certo tradito quegli ideali che fin da piccolo aveva appreso, specie dalla sua famiglia, e non avrebbe tradito loro. Lui era salvo, forse. Ma loro? Erano tutti ritirati dal servizio, suo padre e sua madre erano andati giusto in pensione l'anno prima che entrasse in università. Però i loro nomi sarebbero pur lo stesso comparsi nei database della Fondazione. Che disastro, pensò. Si aspettava che, almeno da parte degli alleati più stretti, ci fosse una risposta ferma e decisa a condannare quanto accaduto. E invece eccola, la risposta, tutto il contrario.
Aveva finito ormai da qualche minuto di riordinare i file. Rimaneva seduto lì, senza sapere cosa fare. Si guardò un po' attorno: tutto era deserto. Mafalda era scomparsa, e lui lì al suo posto. Non gli importava più molto, aveva ben altri problemi a cui pensare.
Eppure, immerso nei suoi pensieri, riuscì ad accorgersi dei passi di qualcuno arrivare in direzione sua. Istintivamente si alzò, come di soprassalto. Non c'era molto tempo, se lo avessero trovato lì a cincischiare con materiale sensibile a sua disposizione, altro che reprimenda. Decise di nascondersi dietro a un porta documenti non del tutto attaccato alla parete. Era uno smilzo, e ci si infilò rapidamente. Sentì voci indistinte avvicinarsi, e a poco a poco riuscì a distinguerle meglio: erano Mafalda e il Tutore.
"Comunque, è tutto pronto in sala riunioni?" domandò, con voce affrettata, il Tutore.
"Pronto è pronto, signore." rispose gracchiando la segretaria.
"Bene, bene, l'altoparlante funziona?"
"Sì ho fatto alcune prove, dovrebbe andare."
"Il microfono?"
"Pure quello penso…"
"L'ha provato?" chiese sempre con più ansia il Tutore.
"Sì, sì, l'ho provato! Si sente, per sentirsi, ma non benissimo…"
"Dannazione, vada a prenderne un altro per cortesia, si sbrighi!"
"Sì, ma, le pratiche…"
"Non c'è tempo per le pratiche. L'incontro inizia tra poco, e devo ancora darmi una sistemata ai capelli. La burocrazia la lasci per dopo."
"Sissignore, corro!"
Di cosa stavano parlando quei due? Un incontro? Bernardo non capì. Sentì solo il piombare di un plico di carte sulla scrivania, un uomo di mezz'età correre verso il bagno e i tacchi della segretaria percuotere il pavimento. Uscì, con circospezione, dal suo nascondiglio. Buttò un occhio sui documenti. Non sembravano essere niente di nuovo… se non che, un dettagliò attirò la sua attenzione, sul fondo della pagina…
Avrebbe riconosciuto quel simbolo tra mille: la Mano. Che cosa voleva dire però? Il Tutore ne aveva appena parlato con lo stesso tono sprezzante che aveva usato per la Fondazione. Che cosa stava succedendo?
Non aveva il tempo materiale di mettersi a leggere tutto quel documento. Ebbe un'idea malsana, forse folle; tuttavia, doveva sapere cosa stesse succedendo. Con rapidità felina, percorse a ritroso la strada che aveva compiuto poco prima, trovandosi di fronte alla triade di porte alla fine dell'area Amministrazione. Senza indugiare, aprì la porta alla sua sinistra. Entrò nella sala riunioni: era ampia, con un enorme tavolo a ferro di cavallo voltato verso la parete che dalla porta stava in fondo a destra. Un mega schermo, spento, occupava quest'ultima. Sulla parete opposta, a sinistra rispetto all'ingresso, stavano degli arazzi a parete, piuttosto spessi e pesanti, che arrivavano fino al pavimento. Delle poltroncine nere a forma cubica erano collocate proprio al di sotto degli arazzi. Perfetto, pensò. Senza pensarci troppo, si infilò prima sotto e poi dietro ad uno degli arazzi, di modo comunque da poter sbirciare fuori nello spazio che separava un pezzo l'uno dall'altro. Trascinò una delle poltroncine davanti a lui, di modo che non gli si notassero i piedi, e aspettò.
Nel giro di un minuto, ricomparvero i due di prima. Il Tutore, con fare affrettato, si sedette sulla sua poltrona, proprio di fronte al mega schermo. Mafalda, ad un gesto del Tutore, lo accese per poi uscire dalla stanza immediatamente. Sullo schermo, comparve, dopo una frazione di secondo, lui: Ala ad-Dunya, il rappresentante della Mano.
Era vestito in maniera completamente diversa rispetto al video che l'Italia e il mondo avevano appena visto: le vistose vesti purpuree, che gli conferivano un aspetto così regale, erano ora state sostituite da un completo grigio scuro, di cui si intravedeva solo la parte superiore dell'addome. La cravatta era rimasta la stessa, verde pistacchio. Sul petto, proprio là dove sta il cuore, una piccola spilla con il simbolo della Mano. Il fondale era rimasto il medesimo rispetto a quello del video: assi bianche installate alla bell'e meglio. L'uomo inforcava un paio di occhiali tondi, dalla montatura molto sottile. Sembrava una persona completamente diversa rispetto a quella apparsa nel video.
"Buonasera, signor…" disse esistando il Tutore.
"Ala ad-Dunya. Buonasera a lei signor Tutore" esordì l'ospite. "Le comunico che non ho molto tempo. Stiamo cercando di organizzarci al meglio per la nuova era che è alle porte. Confido-" e si fermò per un istante, aggiustandosi gli occhiali che evidentemente gli stavano scivolando dal naso "-che la vostra istituzione voglia prendere parte a questa"
"Assolutamente sì. Accettiamo di buon grado una simile offerta." risposte Lenzi.
"Lo credo bene. Avrete di certo visionato i nostri documenti, o almeno, è quanto mi auguro."
Bernardo sentì un leggero fruscio provenire da destra. Non poteva essere Mafalda, l'aveva vista uscire, ne era più che certo.
"Ovviamente. Parlo a nome di tutta la Medicea Accademia delle Arti Occulte quando dico che saremo pronti a seguirvi in questa nuova… era."
"Le condizioni le sa. Qualsiasi anomalia senziente, sapiente o comunque in grado di parlare che voi tenete esibita o che faccia parte del vostro personale, senza che le sia stata lasciata scelta, si intende, dovrà essere liberata. In cambio, vi offriamo, oltre alla possibilità di accedere alla Biblioteca del Viandante, di poter fondare nuove sedi anche nei nexus controllati dalla Mano o da altri gruppi affiliati. O, e non dimentichiamo le sovvenzioni: con il nuovo ordine alle porte, la vostra istituzione avrà da essere il faro nel mondo dell'arte per diffondere i nostri ideali."
Il fruscio continuava, anzi, pareva si stesse facendo sempre più insistente.
"Sono pronto ad accettare quanto qui riportato." disse il Tutore, indicando un foglio sul tavolo.
"Molto, molto bene. Direi che non abbiamo altro da dirci. Un corriere dei nostri verrà a prendere il contratto tra non molto. La ringrazio, signor Tutore. Il suo contributo non verrà di certo scordato, ha fatto la cosa giusta abbandonando la Fondazione al suo destino. Grazie a lei, l'Accademia avrà il posto che le spetta, nel nuovo mondo!"
"Certamente, la ringrazio…"
Bernardo faceva fatica a seguire il discorso, con quel dannato fruscio che lo stava tormentando.
"Oh, e un'ultima cosa…"
"Sì?"
"C'è qualcuno che forse vuole la sua attenzione, dietro di lei…"
A Bernardo si raggelò il sangue. Lo schermo si spense. Il Tutore si voltò, e vide gli arazzi muoversi. Si muovevano al ritmo di danza delle muse che, dalle loro cornici là, nel suo ufficio, erano venute a fargli una visitina. Le ridenti figure, con fare lezioso, indicarono una poltroncina, proprio sotto di loro. Il Tutore, esistante, si avvicinò, e notò un bozzo al di sotto dell'arazzo. Alzò dunque il drappo. Fu allora che entrambi capirono:
Erano appena stati smascherati.