Proprio Come Pensavo
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Questura di Palermo, 2007

La mosca si posò sulla scrivania di fianco ai fascicoli. Il commissario, pigramente e senza tentare di schiacciarla, si limitò a spostarla con un movimento della mano.

"Almeno qualcuno che mi tiene compagnia c'è" pensò mentre si toglieva gli occhiali.

Visto che non aveva niente di meglio da fare e che iniziava ad avere fame, il commissario estrasse dallo zainetto il suo pranzo: un panino alla cotoletta molto abbondante che trasudava maionese. Lo scartò e, prima di dare il primo morso, si guardò la pancia, che ormai nemmeno la ginnastica riusciva più a tenere a bada. Zittì le voci nella testa che gli dicevano che forse non avrebbe dovuto mangiarlo e iniziò il suo pasto, affiancato dalla mosca che si avventava sulle briciole di pane che cadevano.

Ad interrompere il pranzo fu il rumore di qualcuno che bussava alla porta dell'ufficio. Il commissario, con ancora la bocca impastata dal pollo e dalla maionese, inghiottì velocemente il boccone non ancora masticato a dovere. Il panino gli si fermò in gola bloccandogli temporaneamente il respiro. Una volta ingurgitato, il commissario riuscì a pronunciare "Avanti". La porta si aprì e nella stanza entrò Fanardi, un collega dell'ufficio di fianco al suo. Egli, fastidioso e maleducato come sempre, non si degnò nemmeno di richiudere la porta e si diresse verso la scrivania dell'ufficio con la sua solita andatura bizzarra.

-Scusa il disturbo Giacomo, volevo solo chiederti un consiglio circa queste prat…- si interruppe. Il commissario vide che aveva volto lo sguardo su alcuni appunti poggiati sulla scrivania.

-Ancora con questa storia?- disse. La sua voce era più squillante del solito.

-Non ho nulla da fare al momento- gli rispose il commissario.

-Quindi non hai altro modo di impiegare il tempo che inseguire una chimera?- continuò Fanardi.

-Questo lo dici tu-

-La devi smettere Giacomo, mettiti in testa che noi non siamo dell'Antimafia, è compito di altri indagare su quello su cui ti sei fissato e che probabilmente non esiste. Com'è che avevi chiamato questa fantomatica organizzazione?-

-ALDA, e non è che l'ho inventato io, è il nome ufficiale- gli rispose.

-Che starebbe per?- continuò il collega.

-Associazione per la Libera Distribuzione dell'Anomalo. Mi piace come tu faccia finta di non saperlo-

-Mi piace veder delirare un pazzo- ridacchiò Fanardi. Il commissario iniziava a perdere la pazienza.

-Già abbiamo Cosa Nostra, la Camorra, la 'Ndrangheta, la Sacra Corona Unita e tutte le altre mafie estere, e tu vorresti aggiungerne un'altra alla lista?-

-Non è che lo voglio, ma esiste-

-Ascoltami Giacomo, stasera alla festa non parlare con gli altri di questa storia, chiaro? Ti lascio al panino- disse, camminando verso l'uscita.

-E le pratiche per cui sei entrato?-

-Troverò un modo- disse, chiudendosi la porta alle spalle.

"Stronzetto", pensò il commissario mentre finiva il panino.

Almeno su una cosa Fanardi aveva ragione: loro due non erano dell'Antimafia. Su una cosa però il collega sbagliava sicuramente: l'ALDA esisteva, il commissario ne era certo. Aveva passato tutto il suo tempo libero nei tre anni precedenti a documentarsi, parlare con gli informatori di fiducia e a rischiare la propria vita andando a mettere il naso nei loro affari. Nonostante tutte le prove raccolte nessuno si era degnato di dargli ascolto. Questo per un semplice motivo: l'ALDA non era un'organizzazione mafiosa come le altre, perché sfruttava delle diavolerie, dei macchinari o esseri per portare a termine i propri obiettivi che la mente umana non riesce a comprendere. Durante quegli anni aveva documentato tutto nei minimi dettagli, ma nessuno aveva pensato di sospendere la propria incredulità e ascoltare ciò che aveva da dire. In quel momento un'organizzazione mafiosa stava smerciando droghe, armi e chissà cos'altro in tutto il mondo e lui sembrava essere l'unico a saperlo. Terminò il suo turno arrabbiato e sconsolato. Anche quel giorno non aveva concluso niente.

Il commissario tornò a casa furioso, era stato umiliato di nuovo. Non voleva andare a quella festa, non voleva entrare in quell'ambiente pseudo-borghese e pieno di esaltati che erano le "feste" della Questura ma, se desiderava mantenere quel briciolo di bene che ancora serbava per alcuni suoi colleghi, sapeva di doversi presentare. Aspettò l'ora dell'evento guardando una replica del Gran Premio di Formula 1 svolto la domenica precedente.
Mezz'ora prima di partire, indossò gli abiti migliori che aveva: un vecchio abito elegante della Hugo Boss che metteva solo per le occasioni cerimoniali. Scese le scale dell'appartamento ed entrò nella sua Alfa Romeo 159 del 2005 rossa. Inserì le chiavi, accese il veicolo e partì.

Mentre guidava nel traffico costipato di Palermo, il commissario ebbe modo di fare mente locale su come procedevano le sue indagini clandestine. Vagliò con la mente tutti i progressi fatti in quei tre anni di sacrifici uno ad uno, concludendo che in quel periodo di tempo lunghissimo era riuscito a fare ben poco. Era riuscito a individuare dei possibili affiliati all'ALDA, ma non era mai stato in grado di raccogliere abbastanza prove da non provocare lo scherno di qualche suo collega. Le sue ricerche in quel momento erano concentrate su un uomo che molto probabilmente si trovava ai piani alti dell'associazione, forse la pista più valida di quei tre anni. Per avere le idee chiare il commissario aveva dovuto spendere le sue ferie girovagando per la Puglia a cercare quell'uomo, senza successo.

"E se avessero ragione loro? Magari sto davvero impazzendo" pensò.

"Che senso ha impegnarmi così tanto se nessuno mi crede? Non sono riuscito a concludere niente. Forse è davvero arrivato il momento di togliersi questa fissazione dalla testa" si disse.

Arrivò al locale: un piccolo ristorante adibito a buffet poco fuori il centro della città. Era lì che venivano organizzate la maggior parte delle "feste" della Questura. Il commissario parcheggiò vicino al locale e spense l'auto. Svogliatamente raggiunse i suoi colleghi.

La festa, come da previsione, fu una noia mortale. Gli invitati passavano tutto il tempo a pavoneggiarsi nei loro abiti costosi e orribili. Appena il commissario varcò la soglia venne accolto da Fanardi, che lo abbracciò. Quel contatto fu abbastanza sgradevole, Fanardi aveva la brutta abitudine di tirare dei colpetti sulle spalle delle persone che abbracciava. Alla festa erano presenti anche dei colleghi che il commissario non vedeva da molto tempo, gli unici a cui davvero voleva bene; forse la serata non era completamente da buttare. Alla festa partecipavano Luca, Donato, Chiara e, soprattutto, Alice, la donna più bella che il commissario avesse mai visto. Il commissario non ebbe il tempo di pensare a quanto il tempo fosse passato in fretta che Luca e Donato lo riconobbero e lo raggiunsero. I tre andarono a salutare le due colleghe; dopo cinque anni, il gruppo era riunito. Dopo i classici convenevoli come i "Come sta andando?" "Come sta tua moglie?" "Cosa hai fatto in tutto questo tempo?" iniziarono a dialogare animatamente come ai vecchi tempi.

-Aspettate un attimo- disse Chiara non appena Donato finì il monologo riguardo la sua vacanza sulle Dolomiti.

-E tu Giacomo? Non ci hai detto che hai fatto in questi anni- continuò.

-Io? Oddio, in verità non…- balbettò lui.

A salvarlo dal dover ammettere di non aver concluso niente fu il suono della campanellina della cameriera, che annunciava l'arrivo delle portate.

-Prima mangiamo, potrebbe volerci un po' a raccontare tutta la mia storia-

"Salvato in corner" pensò.

Da qui in poi i ricordi del commissario si fecero confusi. Quello che ricordava bene era che i crostini, i salumi e la pasta erano davvero ottimi. Ricordava che il primo bicchiere di vino gli aveva solleticato leggermente l'esofago. L'ultimo ricordo che gli rimase in mente era lui che farfugliava qualcosa mentre stringeva con incertezza un bicchiere di champagne con la mano destra; poi il nulla.

Quando si svegliò il commissario accusò i postumi della sbornia: nausea, mal di testa, stanchezza e un forte ronzio nelle orecchie. Era talmente stordito che inizialmente non si rese neanche conto di non essere nel suo letto, né tantomeno in casa sua. Si alzò dolorante, cercando di capire dove si trovasse e cosa gli fosse successo. Si guardò: aveva ancora indosso l'abito della sera prima; notò una macchia di vino sulla manica destra e una di pomodoro sul colletto. La casa in cui si trovava non gli era familiare, non l'aveva mai vista: era piccola e moderna, molto moderna a giudicare dall'odore di mobile appena comprato che aleggiava nella stanza. Il commissario controllò il proprio alito: vomitevole, come se gli fosse marcita la gola. Non aveva uno specchio per confermarlo, ma tutti gli indizi raccolti lasciavano pensare che avesse un aspetto orribile e impresentabile. Dopo aver passato due minuti fermo immobile a controllarsi, decise di rompere il silenzio della stanza.

-C'è nessuno?- chiese con un filo di incertezza nella voce; nessuna risposta.

-C'è nessuno qui?- chiese alzando un po' il tono. In quel momento udì il suono di uno scarico del bagno. La porta si aprì. Era Alice, si stava ancora lavando i denti.

-Ben svegliato Giacomo- disse lei sputando un po' di dentifricio dalle gengive.

-Oh… ehm… ci-ciao Alice, b-buongiorno- il commissario non riusciva più a collegare il cervello con la bocca. Diventò rosso. La vergogna di essersi ritrovato in casa della sua vecchia collega era tale che gli fece passare di colpo i sintomi del risveglio.

-Dormito bene?- chiese lei ridacchiando. Il commissario non poté non notare la perfezione dei suoi denti, ancora immersi nell'impasto verde del dentifricio.

-Eh, insomma- sembrava la risposta più corretta e imparziale, non sapeva dire come aveva dormito non avendo sognato niente.

-Aspetta un attimo, finisco di lavarmi i denti e arrivo- Alice rientrò dentro al bagno.

Pochi minuti dopo l'amica uscì e porse un flacone di collutorio al suo ospite, anche lei doveva aver sentito il suo alito. Il commissario, sempre più rosso e imbarazzato, accettò.

-Cosa ho fatto ieri?- chiese infine.

-Diciamo solo che eri in delle brutte condizioni e sarebbe stato impossibile per te guidare fino a casa- gli rispose lei.

I due parlarono poco per tutto il tempo che restarono nella casa. Il commissario fu costretto a rinunciare a fare colazione da Alice perché così volevano l'educazione e i convenevoli sociali, ma avrebbe davvero voluto mangiare qualcosa. Si accordarono che Alice lo avrebbe accompagnato fino all'Alfa Romeo vicino al locale, in modo da permettere al commissario di tornare a casa autonomamente. Alice tornò nella sua camera e indossò i vestiti per il lavoro: erano pronti a partire. Scesero nel garage, dove era parcheggiata la macchina di Alice: un'Opel Corsa nera nuova di zecca. Prima di partire, l'amica, senza chiedere niente al suo vecchio collega riguardo ai gusti musicali, inserì un CD che raccoglieva alcuni brani di Rino Gaetano, che furono la colonna sonora del loro viaggio.

Il commissario non era ancora riuscito a farsi passare l'imbarazzo: era di fianco alla collega alla quale voleva più bene in assoluto e con la quale aveva trascorso più tempo, e si sentì insignificante vedendola con quel suo portamento elegante e raffinato, mentre lui aveva passato la serata a ubriacarsi. La curiosità, nonostante tutto, era troppa, e quindi chiese cosa avesse combinato la sera prima.

-Hai preso una bella sbronza, te l'ho detto; hai alzato parecchio il gomito- gli disse lei.

-D'accordo, ma nello specifico che cosa ho fatto?- continuò lui.

-All'inizio hai iniziato a parlare ad alta voce, a tratti urlavi…- disse ridendo. Il commissario non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, era ipnotizzato.

-Lo trovi divertente?- disse, anche lui stava ridendo.

-Molto, si…-

-Sarà, peccato che non mi ricordi niente-

-E lo credo bene, eri prossimo al coma etilico Giacomo. Hai corso un bel rischio, non bere mai più così tanto, davvero. Sai, è bello che ci siamo rivisti dopo tanti anni, ma vederti in quelle condizioni mi ha un po' sconvolta- il suo sorriso era sparito.

-Scusami- disse lui, l'imbarazzo era sempre più forte; Gaetano era arrivato alla seconda strofa de "Ma il cielo è sempre più blu".

-È solo che in questo periodo sono stato parecchio impegnato e volevo svagarmi…-

-Hai detto anche questo a cena, volevo arrivarci per gradi… ma ieri sera hai iniziato a parlare di un'associazione mafiosa segreta ancora più potente di Cosa Nostra… l'hai chiamata ALDA-

-Oddio, lasc-lascia perdere Alice, erano i deliri di un ubriaco, nulla di più…- tagliò corto lui.

-Invece no Giacomo, invece no. Io ti credo. Ascolta, mi sono accordata con i miei superiori e ho ottenuto il permesso di dirtelo. Il mio lavoro alla Questura di Palermo è soltanto una copertura. So che ti sembrerà una scena da film Giacomo, e ti capisco se lo penserai, ma io lavoro per un'organizzazione segreta. Sono anni che cerchiamo di scovare chi manovra i fili dietro all'ALDA. Tu da solo sei riuscito a scoprire cose a cui noi non avevamo nemmeno pensato. Ieri ero venuta solo per la festa, ma mentre deliravi mi hai aperto gli occhi: hai elencato nomi, fatti, luoghi e date. Non ci potevo credere che una persona, da sola, potesse aver scoperto tutte quelle cose. Tutti i presenti alla festa hanno subito un trattamento, che noi chiamiamo "trattamento con amnestici", che gli ha fatto dimenticare per sempre le tue uscite. Detto questo, voglio proporti di lavorare con noi e cambiare vita; ci farebbe comodo uno come te. Se non accetti, tranquillo non succederà niente, sappi solo che dimenticherai tutto quello che sai sull'ALDA- gli disse Alice. Era seria, glielo si leggeva negli occhi. Gli porse uno strano tesserino, nella parte superiore c'era scritto a caratteri molto grandi "SCP" e "SIR-I"; nella parte bassa erano riportati nome e cognome della donna con una sua fototessera.

-Ti credo Alice, in questi anni ho visto tante di quelle cose assurde che questa non è poi così difficile da accettare. Ti credo e accetto la proposta- disse il commissario dopo averci ragionato su per una ventina di secondi.

-Ottimo; allora facciamo così: io ti lascio alla tua macchina e stasera ci incontriamo alle diciotto. Prendi la E90 e incontriamoci a Punta Raisi, davanti all'aeroporto. Lì conoscerai alcuni miei colleghi e alcuni miei superiori, almeno avrai un'idea più chiara di quello che ti aspetta e avrai modo di capire cosa vuol dire lavorare con noi. Non preoccuparti per la tua presenza a lavoro, a quello ci pensiamo noi- gli disse lei mentre guardava la strada e la canzone andava concludendosi.

I due continuarono il viaggio per dieci minuti, poi Alice lo fece scendere davanti al locale della sera prima, lì si salutarono; in quel momento il commissario venne come attraversato dagli occhi neri dell'amica. Riusciva ancora a distinguere i suoi lunghi capelli mori mentre si allontanava seguendo la strada.

"Finalmente, avevo ragione" si disse pieno di orgoglio mentre puliva gli occhiali.

Raggiunse l'auto, la chioma del tiglio sotto cui l'aveva parcheggiata la sera prima aveva impedito agli interni di scaldarsi troppo sotto la calura estiva del mattino inoltrato. Quando riprese la marcia per tornare a casa nella sua testa risuonava ancora la voce graffiata e ruvida di Gaetano.

Mentre l'ora fatidica si avvicinava, il commissario riprese l'auto e si diresse verso la strada europea E90. Vedendola vuota non si trattenne e cercò di lanciare la macchina al limite. Adorava quella strada, soprattutto d'estate, perché gli permetteva di evadere dal grigiore della città e di ammirare le scogliere e il mare di Sicilia, accompagnato dall'odore della salsedine e lo sferzare del vento. Con la sua auto sfrecciava molto oltre il limite di velocità, superando le poche vetture che incontrava sulla sua via. Finalmente poteva lasciarsi alle spalle il suo lavoro e tutti i colleghi insopportabili (specialmente Fanardi), poteva ricominciare una nuova vita, dedicandosi a quello che più aveva occupato le sue giornate assieme ad Alice.

I pensieri e i sogni del commissario vennero interrotti quando udì in lontananza i rombi di un motore molto potente, che presto si mescolarono al rumore prodotto dallo sferragliamento dei componenti metallici. Guardò nello specchietto sinistro: era una moto, una BMW GS gialla. Sopra c'erano seduti due uomini in tuta nera di pelle e casco integrale che si avvicinavano rapidamente. La moto si portò alla sua sinistra. L'ultima cosa che il commissario sentì fu il suono secco di uno sparo. L'ultima cosa che vide fu il mare azzurro che si stagliava sotto il cielo blu fino all'orizzonte.

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