Prigioniere
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«Sai che morirà, vero? Che chiederai a una probabile dea di morire?»

«…»

La donna buttò la sua sigaretta e si alzò:

«Be’, al diavolo. Meglio di un buco a forma di pianeta Terra nell’universo. Diamoci da fare»


OGGI


La donna che si faceva chiamare S.M., una famigerata figura di spicco nella Mano del Serpente nota alla Fondazione come la Regina Nera, stava leggendo un libro al lume di candela nella Biblioteca del Viandante, pensando alla fine del mondo.

Lì, nell’ala di Aera Est (la Biblioteca era così grande da avere ali chiamate così, come nazioni), era notte. Tecnicamente, la Biblioteca del Viandante non aveva il giorno e la notte, ma i cicli giorno-notte erano fondamentali per mantenere in salute le funzioni magiche e psicologiche di ogni sorta di esseri, com’era scritto in moltissimi libri della Biblioteca stessa. E così, molte delle ali della Biblioteca avevano cicli giorno-notte. Luce splendente durante il “giorno”, buio e luci fioche di “notte”. C’erano variazioni sul tema nelle ali più strane ed esterne: illusioni di piogge di meteoriti, di pianeti alieni sospesi, di dei ottusi che sbirciavano attraverso i candelabri.

La “notte”, lì nell’ala di Aera Est, significava costellazioni vorticanti bianche e nere in un cielo viola e dorato sopra la nebbia che mascherava le cime degli scaffali di libri. Era una visione da un altro pianeta: il cielo notturno di Sarra Mello. Una volta S.M. aveva attraversato una Via per Sarra Mello. Era un posto orrendo, con l’aria rovente come magma e sciami di insetti-fata che cercavano di mangiarle gli occhi. Ma aveva sempre adorato quel cielo: sembrava un dipinto di Van Gogh. A volte, andava lì per pensare.

Quella sera, pensava al modo in cui i suoi vecchi nemici, la Fondazione SCP, l’organizzazione segreta che le aveva portato via suo padre, stavano per causare la fine del mondo. Aveva ricevuto un avvertimento in anticipo, per sua fortuna. Uno degli uccelli le aveva sussurrato all’orecchio: un’altra Sorella Minore, un suo doppione da un'altra linea temporale, le aveva mandato un messaggio. S.M. controllò il suo orologio da taschino: mancavano esattamente ventiquattro ore alla fine del mondo. Quando mancavano ventitré ore e cinquantanove secondi, la Regina Nera chiuse il libro e si diresse agli Archivi.


DUE MESI PRIMA


La dottoressa Kendra Campbell fissava la donna intervistata che era seduta e ammanettata all’altro capo del tavolo e la odiava. Non detestava solo la donna, una certa Joanna Cross, ma anche fare parte della SSM Tau-9: odiava farsi chiamare “Bibliofaga”. Odiava investigare sulla magia, cercare una cazzo di biblioteca magica che non aveva mai visto e indagare su un’organizzazione magica composta quasi del tutto da ipocriti magici moralisti. Ma forse, per il momento, odiava solo Joanna Cross.

INTERVISTA t356y-SH-CROSS-CAMPBELL, NUMERO 35

Intervistatrice: La dott.ssa Kendra Campbell, ricercatrice della SSM Tau-9, autorizzazione di Livello 2, accesso speciale generale al programma Tau-9.
Intervistata: Joanna Cross, agente ██████ della Mano del Serpente.
Osservatori: ███████, █████, █████████

[Nota: La dott.ssa Campbell mostra segni di frustrazione. Le ci vuole un tempo dalla lunghezza inutile per iniziare a leggere la lista di domande assegnata.]

Dott.ssa Campbell: È vero che il tuo nome e cognome è Joanna Cross?

Agente Cross: Sì.

[La dott.ssa Campbell indugia ancora. Evidenti segni di frustrazione.]

Dott.ssa Campbell: È vero che…

Agente Cross: È la trentacinquesima volta che mi interroghi, dottoressa. Sai già cosa dirò. Cosa ti fa pensare che stavolta sarà diverso?

[La dott.ssa Campbell indugia per numerosi secondi.]

Dott.ssa Campbell: Intervista conclusa.

[L’agente Cross non parla. La dott.ssa Campbell esce dalla sala interviste.]


«Non capisco perché la stiamo ancora interrogando» disse la dottoressa Campbell.

Kendra rallentò per tenere il passo con la camminata flemmatica del dottor Charles Gears. Sapeva di essere nei guai, ma aveva scoperto che il dottor Gears non si accorgeva nemmeno dell’ironia, figurarsi della petulanza che pervadeva la voce della donna in quel momento.

«Ha detto le stesse identiche cose in tutte le scorse trentaquattro interviste. A che serviva la trentacinquesima?»

Il dottor Gears iniziò a riflettere, prima di rispondere. La dottoressa Campbell resisté alla tentazione di provare a capire cosa stava pensando. Il dottor Gears aveva sempre la stessa espressione facciale: uno sguardo freddo, blando e calcolatore. Del resto, si chiamava “dottor Ingranaggi”. Quel nome era una coincidenza troppo perfetta. Era una battuta? Un nome in codice? Un caso fortuito? Kendra continuò:

«Sono una ricercatrice, non un’agente. Non ho un minimo di addestramento negli interrogatori»

«Ragionare è al di sopra del suo livello di autorizzazione, dottoressa. Il fatto che è una ricercatrice, anziché un'agente, è uno dei motivi per cui ha ricevuto un copione. Sta lavorando con oggetti scoperti dopo la breccia nel contenimento durante la quale il soggetto Cross è stato catturato. Pertanto, lei è un’intervistatrice adatta» rispose il dottor Gears.

«Non posso nemmeno chiederle qualcosa di utile!»

«Ha svolto un lavoro ammirevole nel seguire le regole alla lettera. Come da istruzioni, non ha chiesto niente al di fuori del copione. Come ben sa, per un intervistatore è accettabile concludere in anticipo a causa di uno stato emotivo turbato. Tuttavia, gli altri potrebbero non essere convinti che il suo stato emotivo meritasse l’interruzione dell’intervista dopo aver sentito la risposta a una sola domanda»

«Non c’è davvero nessun altro che possa occuparsene?»

«È disponibile solo un’altra persona ritenuta qualificata per intervistare questo soggetto»

«Chi? Può farle prendere il mio posto?»

«La dottoressa Rita Butler è l’unica altra agente disponibile della SSM Tau-9 reputata adatta dalla direzione del sito per intervistare il soggetto Cross»

La dottoressa Campbell rimase interdetta. C’era quell’altro dettaglio su Joanna Cross: aveva una sorella. Una sorellastra, ma erano cresciute insieme. E quella sorellastra faceva parte a sua volta della SSM Tau-9. Era una donna taciturna, talvolta buffa, oltre che una dottoressa; era un po’ una pagliaresca, ma in senso affettuoso. E si chiamava Rita Butler.

«Ma è sua sorella, dottore» disse, perplessa.

«Ciononostante…»

La dottoressa Campbell fissò la faccia passiva e impassibile del dottor Gears. Sapeva che era una manipolazione. Non pensava che venisse da lui, sempre che fosse capace di essere manipolatorio se non glielo ordinavano i suoi superiori, ma stava comunque funzionando.

«Io… ha ragione. Mi scusi» mormorò.

Il dottor Gears annuì:

«Ho fissato la sua prossima intervista domattina»


ESTRATTO DALL’INTERVISTA t356y-SH-CROSS-CAMPBELL, NUMERO 36

Intervistatrice: La dott.ssa Kendra Campbell, ricercatrice della SSM Tau-9, autorizzazione di Livello 2, accesso speciale generale al programma Tau-9.
Intervistata: Joanna Cross, agente ██████ della Mano del Serpente.
Osservatori: ███████, █████, █████████

Dott.ssa Campbell: È vero che lavori per l’associazione che si fa chiamare “la Mano del Serpente”?

Agente Cross: Sì.

Dott.ssa Campbell: Hai partecipato a un assedio al Sito-17 della Fondazione?

Agente Cross: Sì.

Dott.ssa Campbell: Com’è scappato il resto del tuo gruppo?

Agente Cross: Non te lo dico.

Dott.ssa Campbell: Perché il tuo gruppo ha assediato il Sito-17? Che intenzioni avevate?

Agente Cross: Non te lo dico.

Dott.ssa Campbell: Avevate intenzione di liberare SCP-239, detta “la Bambina Strega”, dalla sua unità di contenimento?

Agente Cross: Non te lo dico.

Dott.ssa Campbell: Sei stata coinvolta in altri tentativi della Mano del Serpente di fare breccia nel contenimento di SCP-239?

Agente Cross: Non te lo dico.

Dott.ssa Campbell: Quali anomalie contenute dalla Fondazione conosci?

Agente Cross: Non te lo dico.

[Verbale troncato per la durata eccessiva. La dott.ssa Campbell finisce di leggere la lista di domande assegnate; l’agente Cross risponde come prima.]

[La dott.ssa Campbell inizia a uscire dalla stanza.]

Agente Cross: Dottoressa?

[La dott.ssa Campbell si ferma sul posto. Nota: Questa è la prima occasione in cui l’agente Cross prende la parola, invece di rispondere a una domanda.]

Agente Cross: Ti offro un accordo: domani, vieni a trovarmi senza il copione. Chiedimi quello che vuoi sapere con parole tue. Fammi domande vere, non questa stupida tiritera memetica.

Dott.ssa Campbell: [esita prima di rispondere] E se non posso?

Agente Cross: Allora perché prenderti il disturbo di tornare da me? Potresti intervistarmi cento volte, se non cinquecento, tanto sai già ogni singola parola che dirò.

Dott.ssa Campbell: Perché adesso parli con me?

Agente Cross: Perché mi fai pena.

Dott.ssa Campbell: [si schiarisce la voce] Non so se posso avere un’autorizzazione a fare come dici.

Agente Cross: Non voglio farti infrangere le regole. Facciamo così: di’ ai tuoi capi di chiedere ai loro amici della Coalizione Globale dell'Occulto cos’è un geis.

Dott.ssa Campbell: Perché?

Agente Cross: Non te lo dico. [sorride] Salutami mia sorella.


Rita Butler se ne stava per conto suo dalla breccia nel contenimento al Sito-17 di due mesi prima. Comprensibile, visto che aveva appena scoperto che sua sorella era un’agente della Mano del Serpente. Rita si era stupita come tutti gli altri. Aveva visto Joanna a malapena, dopo l’incidente in cui era stata reclutata dalla Fondazione. Quell’incidente? Tra tutte le cose, proprio una breccia nel contenimento di SCP-682. Quello sì che le dava un marchio speciale, nelle conversazioni per rompere il ghiaccio.

SCP-682 era un’anomalia celebre, una di quelle di cui parlavano tutti, tra cui tutte le persone che non avrebbero dovuto farne menzione. La breccia nel contenimento “di Rita” era stata davvero spettacolare: SCP-682 era evaso da un trasporto d’emergenza della Fondazione e aveva fatto una carneficina a New York, come in un film di mostri classico. Aveva persino demolito una palazzina. Rita e Joanna erano state fortunate: erano finite in ospedale con ferite poco gravi, anche se erano sul luogo dell’incidente quando SCP-682 si stava scatenando.

Rischiare di farsi uccidere da SCP-682 era stata un’introduzione all’anomalo piuttosto d’impatto. E così, quando la Fondazione era venuta a chiamarla, Rita aveva detto di sì molto volentieri e non si era mai voltata indietro. Suo marito era morto e i suoi colleghi biologi erano distanti. Aveva scherzato, dicendo che SCP-682 era troppo figo per non voler vedere altro del genere. Ma non era vero: quella era stata l’esperienza più terrificante di tutta la sua vita. Il pensiero che il mondo era pieno zeppo di cose come quel mostro era angosciante; non saperlo, essere ignara e vulnerabile, era la cosa più spaventosa di tutte.

Almeno la Fondazione era brava a gestire la situazione: se uno di loro fosse morto, avrebbe potuto guardare la morte in faccia. I civili non potevano concedersi quel lusso. Ma Joanna non era stata reclutata. Forse alla Fondazione serviva solo un’antropologa con religione come materia complementare, o magari aveva fallito la valutazione della personalità che la Fondazione le aveva fatto dietro le quinte. Fatto stava che Joanna era stata amnestizzata, mentre Rita si era unita alla Fondazione.

Rita pensava che fosse finita lì. In fondo, non parlava quasi mai del suo lavoro con Joanna neanche quando faceva la biologa: si vedevano solo a Natale e a Pasqua. Poi era successo questo. Joanna Cross, membro della Mano del Serpente. Joanna Cross, la terrorista. Era abbastanza per farla rintanare nella sua stanza e non uscirne mai. Ma Rita così stanca di stare da sola. Non solo in quel mese, ma sempre. Quindi quella sera, quando alcuni agenti della SSM Tau-9 uscirono per bere qualcosa, Rita venne con loro.

In realtà “uscirono” al bar del Sito-17, che in quel momento era quasi vuoto, ma almeno c’era un bar, al contrario che in altri siti della Fondazione. Rita si teneva pronta per tutte le domande su Joanna che le avrebbero fatto. Ma, prima che trovasse il coraggio di rivolgere la parola a qualcuno, John Peters, il capo della sezione locale dei Bibliofagi, stava già blaterando ubriaco e dominava la conversazione.

«È tutta una questione di coraggio. Chiunque può imparare a fare qualsiasi cosa, il talento è una stronzata. La cosa più importante è il coraggio» affermò.

«Amico, stai dicendo un mucchio di cazzate» rispose l’uomo accanto a lui.

Chi era? L’agente Ramesh Patel? Rita si stupì di faticare così tanto a ricordarselo. Aveva davvero bisogno di uscire più spesso. Peters alzò il pugno con fare drammatico, ignorando Patel:

«Il coraggio! Il coraggio di agire quando non vuole farlo nessun altro»

«E l’America? L’America di agire quando nessun’altra America vuole farlo» scherzò Patel.

«Vaffanculo, Ramesh! È un discorso serio, che cazzo! Non è solo retorica da due soldi» sbuffò Peters.
Patel cercò di sottrargli il bicchiere:

«O smetti di bere, o ti fermi al prossimo giro»

Peters lo spinse via:

«No, amico, no. Non sto dicendo stronzate. Cioè, parliamo del mondo reale. Facciamo un esempio dal mondo reale. Ehi! Rita!»

Peters chiamò Rita agitando la mano. Lei sobbalzò sul suo sgabello e mise giù il suo bicchiere di vodka.

«Sì, signore?»

«Ma dai, non siamo in servizio. Rita, Rita, amica, compagna! Facciamo finta che ci sia una bomba, nel Sito-17. Da qualche parte nel Settore 3. Qualcuno ci ha appena avvisati. Non possiamo sapere quando esploderà, sappiamo solo che scoppierà. Fin qui mi segui?»

«Sì, c’è una bomba»

«Vi lascio a voi, io prendo un altro bicchiere» disse Patel.

«Va bene – rispose Peters – Allora, facciamo evacuare la Sezione 3, ma una povera scienziata nonnetta, magari Bart. Sì, facciamo che è un povero scienziato nonnetto. Ecco, è bloccato lì perché, che ne so, si è rotto una gamba»

«D’accordo» annuì Rita.

«Sono tutti impegnati, tranne noi. Che ne so, magari stanno contenendo le anomalie o sono stati mangiati dai folletti, quello che ti pare. E dobbiamo decidere se uno di noi salirà su un furgone e andrà nella sezione 3 per salvare il nonnetto. Non ce l’ha ordinato nessuno, quindi lascia stare quella parte. Dunque?» chiese, dopo aver bevuto un sorso.

«Non capisco dove vuole arrivare» ammise Rita.

«Sto parlando del coraggio. Chi di noi avrebbe le palle di offrirsi di salire sul furgone e guidare fino alla Sezione 3 per salvare un vecchietto?»

Rita lo fissò con un’espressione vuota.

«Tu, dottoressa Butler, avresti le palle di andare a soccorrere il vecchio, anche se potresti saltare per aria con lui? È una domanda essenziale, dobbiamo farcela tutti»

Rita allargò le braccia:

«Non saprei. Non so guidare, quindi non credo di dovermi neanche porre il problema»

Peters sbarrò gli occhi:

«Non sai guidare?!»

«Sono cresciuta a New York, ho usato i mezzi pubblici per tutta la vita»

«E non hai mai fatto la patente?»

«No»

«Be’, cazzo»

Dalla faccia di Peters, sembrava che tutta la sua visione del mondo stesse cambiando. Rita si rese conto che tutte le altre persone nel bar si erano zittite e li stavano ascoltando.

«Ti insegneremo noi a guidare, da subito! Che ne dici?»

Rita guardò il suo bicchiere:

«Non mi è mai servito, non fa davvero per me. E adesso vivo nel sito, quindi…»

Si sentiva strana, a difendere qualcosa di completamente diverso da ciò che si era aspettata di difendere.

«Oh, porca troia. Senti, ho bisogno di un altro bicchiere. Ne riparleremo, Butler, dammi solo un secondo!»

E poi Peters e Patel iniziarono un altro litigio perché il capo voleva bere ancora e l’altro cercava di impedirglielo. Quando gli altri li divisero, Peters aveva già dimenticato l’argomento. Nessuno chiese nulla a Rita di Joanna, o dello stato della sua lealtà alla Fondazione. La donna finì la sua vodka in silenzio.


Dodici ore dopo l’intervista, la dottoressa Campbell era seduta nel suo laboratorio di ricerca, esaminando un origami azzurro a forma di fiore che era stato trovato in possesso dell’agente Cross quando era stata catturata. Sull’etichetta c’era scritto “Catenine di gigli blu/catenine fatate”. I rapporti dagli agenti sul campo della SSM Tau-9 confermavano che le ghirlande di fiori erano popolari tra i membri più giovani della Mano del Serpente e che avevano numerosi effetti anomali.

Quali fossero per l’esattezza quegli effetti era censurato nei rapporti: era riservato a livelli di autorizzazione più alti. Ma Kendra voleva sapere e al dottor Gears non dispiaceva quando sperimentava. La dottoressa Campbell aveva trascorso le ultime settimane conducendo due volte ogni esperimento che le veniva in mente sulle catenine di fiori. Quegli origami sembravano anomali come polvere dall’aria sospetta. Alla fine, Kendra cominciò a radunare i fogli sparpagliati per la sua scrivania.

«Per stasera basta» disse ad alta voce.

«Basta cosa?» chiese qualcuno dietro di lei.

Spaventata, la dottoressa Campbell si voltò e vide un uomo pallido come un cadavere in camice da laboratorio che si stava avvicinando alla scrivania.

«Buonasera, dottoressa Campbell» la salutò.

La dottoressa Campbell strizzò gli occhi nella penombra. Non si era mai accorta che l’illuminazione nel suo ufficio fosse diventata così fioca. Anzi, sperava che fosse l’illuminazione, invece di qualche orribile effetto anomalo collaterale e subdolo di quelle stupide catenine di fiori. In ogni caso, quell’uomo non aveva una targhetta col nome.

«Mi scusi, ci conosciamo?»

Poi vide che indossava quell’inconfondibile collana con l’amuleto decorato: un rubino che luccicava al centro di un anello d’oro bianco. Quello era l’indossatore di SCP-963: il dottor Jack Bright. Anzi, il direttore del personale Jack Bright. La dottoressa Campbell sentì i documenti scivolarle dalle dita. Aveva incontrato il dottor Bright di persona solo una volta, durante il caos al Sito-17 in cui Joanna Cross era stata catturata.

Kendra aveva visto un’anomalia evasa, un umanoide dalla faccia priva di lineamenti e la pelle nera e a scaglie, trasformare la sua mano in una lunga spada affilata (uno spadone tedesco, con tanto di piccole punte sul lato della lama, vicino all’elsa) e trafiggere il petto del dottor Bright con un movimento rapido. Quando aveva ritratto la spada, SCP-963 si era impigliato nelle piccole punte e l’amuleto si era staccato. Dopodiché, l’orrore senza volto era diventato docile all’improvviso, perché era diventato il dottor Bright.

«Si rilassi, le porto buone notizie» annunciò il ricercatore senior.

Le porse una cartelletta sottile e Kendra la prese.

«Non sapevo che i direttori consegnano le buone notizie a mano» disse lei, con la gola secca.

Il dottor Bright ridacchiò:

«Abbiamo cambiato i suoi ordini. Dia un’occhiata»

La dottoressa Campbell aprì la cartelletta e lesse le istruzioni. La loro cortezza era notevole. Si schiarì la voce.

«Mi scusi, ho letto bene? Posso davvero chiedere all’agente Cross qualunque cosa, finché sono domande che ho pensato io?»

Il dottor Bright le rispose in tono aperto e amichevole:

«Non si preoccupi, se il soggetto le dice qualcosa che non dovrebbe sentire, la amnestizzeremo e basta. Niente di grave»

Kendra si lasciò sfuggire la risposta prima di riuscire a fermarsi:

«Niente di grave?»

Il dottor Bright sorrise e se ne andò.


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