Il caffè è orribile oggi, in vita mia non ho mai bevuto qualcosa di così disgustoso. Mi farà star male per tutta la giornata, ma almeno mi terrà sveglia. Ho dormito molto male, a causa del litigio con Andrea. Inoltre, con il lavoro enorme che ho da fare…
Un'altra giornata di merda…
— Giorno Maureen!
La faccio entrare. Abituale camice bianco che cade sotto le ginocchia, rossetto impeccabile, capelli perfettamente pettinati.
— Dottoressa Molinari.
Lei sospira.
— Oh, per l'amor di Dio, Maureen, non essere tanto formale!
Arrossisco. Odio arrossire.
— Mi dispiace, Alice. Non prendere il caffè, è orribile.
Ride e si avvicina, aranciata in mano.
— Oh, non hai dormito bene?
— Si vede tanto?
Guardo il mio riflesso nel vetro. I miei occhi sono persi nelle occhiaie nere, e i miei capelli ricci sono pettinati male. Sospiro.
— Dannazione…
Alice sorride.
— Ancora per colpa di Andrea, eh? Bah, lascialo perdere. Ne troverai altri.
Faccio spallucce. Alice si siede di fronte a me e mi dà un bicchiere d'aranciata.
— Ecco, ti darà delle vitamine: oggi c'è molto lavoro da fare, soprattutto per te. La Subterranea Materia deve recuperare un'entità senziente in Molise e hanno bisogno di uno psicologo per poter comunicare con essa. Non ne sappiamo molto, solo che è un bambino in grado di bruciare. Il direttore mi ha dato il rapporto, vuoi leggerlo?
Do una rapida occhiata al dossier. Delle voci da bambino e delle fiamme in fondo a una caverna. Secondo le informazioni, l'entità è un bambino in grado di bruciare, ma nessun membro della SIR-II è andato abbastanza lontano per interagire con il bambino e quindi non si sa se è ostile.
— Sono sicuri che devo farlo io?
Alice mi fissa negli occhi.
— Maureen, hai una laurea in psicologia infantile, sei più capace di me ad occuparti di quest'entità. Dimentica Andrea, dimentica i tuoi problemi con lui, dimentica tutto! E, per l'amor di Dio, inizia ad avere fiducia in te stessa!
— Non so se…
La porta si apre di nuovo e entra un dottore di altezza media, circa 65 anni, capelli bianchi, camice bianco. È il dottore Santandrea, il mio superiore.
— Dottoressa Callassi!
Sobbalzo violentemente.
— Dottor Santandrea, ehm… Buongiorno… ehm… si sieda, prego.
Rifiuta l'offerta e fa spostare Alice per piegarsi in avanti, mettere le mani sul tavolo, e fissarmi direttamente negli occhi.
— Da quanto ho sentito la dottoressa Molinari non è riuscita a convincerla. Quindi, dottoressa Callassi, lasci che le spieghi qualcosa di molto importante: se lei è qui, è perché ha le conoscenze richieste per lavorare con noi, l'abbiamo scelta per questo e ora abbiamo bisogno di lei per il recupero di questa entità. Non potrà mai lavorare bene se pensa che la dottoressa Molinari la aiuterà per sempre, non è il suo supervisore; anzi, non ha più bisogno di un supervisore! Smetta di piangersi addosso come una mocciosa e si metta al lavoro, o si tolga dai piedi e lasci il posto a qualcuno che non mi faccia perdere tempo.
Mi sento come una bambina rimproverata. Non mi piace, ma disobbedire ad un superiore non è possibile. Allora mi alzo e prendo il dossier che mi ha dato Alice.
— Bene, dottor Santandrea. L'ospedale è stato avvertito?
— Sì. Dato che l'entità deve essere recuperata in Molise, è necessario che lei prenda un elicottero. La SSM-VII arriverà fra trenta minuti e la condurrà là insieme alla SSM-VIII, che ha il dossier completo e che ne sa quindi più di me.
Mi alzo ed esco dall'ufficio con un cenno di testa per Alice e Santandrea, e cammino nel corridoio leggendo il rapporto. Prima di andare sul tetto, decido di andare alla toilette per sistemarmi e diventare quantomeno presentabile. Non voglio dare a Lucchesi una immagine ancora più brutta degli psicologi di questo Sito. Non so perché a lei non piace Alice.
— Buongiorno, dottoressa Callassi!
Sono appena uscita delle toilette, finalmente decente e pettinata un po' meglio, quando una voce mi chiama.
— Buongiorno.
Nicola Trevisano, lo specialista delle cose che bruciano. Ha lavorato sul caso di SCP-044-IT e lo dimostra la cicatrice che gli copre metà del volto.
— Anche lei va sul tetto? — gli chiedo, intrigata.
— No, ma so che arriverà una nuova anomalia pirocinetica e quindi tocca a me gestirlo. Ho sentito che lei deve andare sul luogo di recupero.
— Sì: da psicologa, devo andarci.
— Le dispiace se la accompagno?
Una brezza gelida ci accoglie sul tetto. Immaginavo che facesse più caldo. D'un tratto, nel cielo mattutino, l'elicottero della SSM-VII, che trasporta anche gli esperti della SSM-VIII diventa visibile.
Il velivolo atterra con un rumore assordante, producendo un vortice di polvere che obbliga me e il dott. Trevisano ad indietreggiare e chiudere gli occhi. Non sono un'esperta nel campo, ma dalle sue enormi dimensioni è facile capire che è adibito al trasporto di molte truppe e anomalie potenzialmente ostili.
Una rossa scende, casco nella mano. Sulla sua tuta ignifuga, il simbolo della Turmae Angelorum; è seguita da un gran bell'uomo con occhi eterocromatici che ha il simbolo della Subterranea Materia sulla sua uniforme.
— Dottore Trevisano, piacere. — gli dice il mio collega.
— Tenente Lucchesi, SSM-VII, il piacere è mio.
Ho già sentito parlare di lei. Non le piace Alice, ma non so perché.
— Le presento la mia collega, la dottoressa Maureen Callassi.
La donna si limita a un cenno con la testa, mentre l'uomo eterocromatico mi sorride.
— Buongiorno, dottoressa, io sono il Capitano Elia Contadi della SSM-VIII e coordinerò l'operazione sul campo. Immagino sia già stata informata della natura dell'intervento e del perché lei sia stata convocata.
— Ero stata avvisata, sì. Un'entità pirocinetica senziente, molto probabilmente un bambino, che si trova in una caverna in Molise. — rispondo.
Non riesco a trattenere un'occhiata preoccupata al velivolo, chiedendomi se sia in grado di reggere le fiamme nel caso io non sia in grado di tenere a bada l'entità; Lucchesi sembra accorgersene, perché dà un colpetto al suo elicottero e sbotta:
— Le pareti sono state rinforzate contro le fiamme, non c'è motivo di preoccuparsi. Ora salga, dobbiamo sbrigarci.
Ci sono dei soldati nell'elicottero. Non ho il tempo di controllare quali siano della SSM-VII e quali della SSM-VIII perché il tenente Lucchesi mi dà un'uniforme militare, forse più adatta ad un viaggio in elicottero. Rapidamente scendo e vado a cambiarmi nella casupola delle scale, mettendo la pesante divisa ignifuga e gli anfibi al posto della camicetta, della gonna e dei tacchi alti che portavo in ufficio. Quando sono pronta, torno al velivolo e Lucchesi mi dà una borsa per riporre i vestiti e mi fa sedere vicino a un colosso con gli occhi azzurri.
— Ha saputo qualcosa di questa missione?
Dico quel che so, quindi non molto. Fortunatamente, il capitano Contadi sembra saperne di più del dottore Santandrea.
— Dunque, le confermo che l'entità è un bambino maschio sui dieci anni. — mi spiega con un forte accento molisano. — Alcuni speleologi l'hanno visto mentre facevano una spedizione, hanno informato la polizia e un nostro infiltrato ci ha passato tutte le informazioni. La SSM-VII ci porterà sul posto, mentre noi della SSM-VIII ci occuperemo di raggiungerlo e recuperarlo; lei, dottoressa Callassi, deve fare in modo che lui stia tranquillo e non ci carbonizzi mentre lo trasportiamo. Se è tutto chiaro, possiamo partire.
Si siede. Le pale dell’elicottero iniziano a girare; Lucchesi grida qualcosa ai piloti e il velivolo decolla. Noto che qualcuno dei soldati sembra agitarsi ma penso siano quelli della SSM-VIII, abituati ad essere sottoterra e non sopra le nuvole.
— Andiamo in Molise, — mi spiega il capitano Iadanza. — l’entità si trova là.
Annuisco senza dire niente. Vorrei approfittare dello spettacolo delle nuvole ma l’elicottero non ha finestre, tranne quella per i piloti. Non posso alzarmi senza motivo, rischierei di cadere o darei semplicemente fastidio a tutti; quindi rimango seduta ad aspettare. Non so quanto tempo impiegheremo per arrivare in Molise.
Sospiro. Era il mio sogno fare un volo in elicottero, ma oggi darei tutto per essere a casa. Non sono mai andata sul campo, è la prima volta.
So che ci vuole una prima volta per tutto; ma doveva davvero cadere su di me questa missione?
Sembra di sì…
Quindi sono una psicologa, portata in un elicottero della SSM-VII, che deve aiutare la SSM-VIII a recuperare una entità.
Perché ho accettato? Cosa potrei dire all'entità quando la troveremo, perché hanno bisogno di me e non di un altro più competente e sicuro di sé?
Che diamine dovrei dirgli quando sarò là sotto? "Sono una psicologa, sono qui per aiutarti"?
Ma per favore.
"Ti troveremo un posto dove stare"?
Non se ne parla.
"Faremo qualcosa"?
Meh.
Guardo le pareti. Non so quanto tempo ci vuole per andare in Molise, ma non dovrebbe volerci molto, l'Umbria non è così lontana; magari avremmo fatto meglio ad andare via terra con un camion o qualcosa del genere. Chiudo gli occhi. Sono stanca, ho passato una notte bruttissima a litigare con Andrea, non so nemmeno se sono pronta per questa missione.
Alice, perché non l’hai fatto tu?
Non so quanto tempo ho dormito quando qualcuno mi sveglia. Apro gli occhi e vedo il capitano Contadi che prova a mettere un tipo d’imbracatura. L’elicottero è in volo stazionario.
— Dottoressa Callassi?
Sbadiglio.
— Siamo arrivati?
— Sì. Siamo pronti ad atterrare, la miniera è a circa 50 metri.
Annuisco per mostrare che ho capito. Il tenente Lucchesi mi dà un’imbracatura.
— Oh, a proposito, ha già fatto paracadutismo?
Scusi?
Tocco il suolo senza problemi e il paracadute cade dietro di me. Non ho sentito niente, e sono stupita che tutto sia andato così bene: avevo paura di svenire o di avere male alle orecchie. Guardo intorno a me e vedo la psicologa del Sito Iride che sta in piedi, non capendo cosa succede ma sembra contenta. Forse anche per lei è il suo primo salto in paracadute.
— Vi aspettiamo qui, non vi preoccupate! — grida il capitano Iadanza, che ha fatto scendere uno dei miei compagni con lei. — Prepariamo il trasporto nel frattempo!
— Va bene! — risponde il mio superiore, il capitano Contadi, che visibilmente non ha sopportato bene la caduta.
Ringrazio l’agente che mi ha fatto saltare con lui. La SSM-VII Turmae Angelorum ha accettato di collaborare con noi, e ci ha trasportati e fatto saltare in paracadute fino a quest'entrata di una cava vicino a un lago. È l'alba, luci arancioni si fanno timidamente vedere nel buio e il paesaggio è magnifico. Intorno a me, sento le voci del tenente Santilli e di Mario, il mio partner, che prendono Contadi in giro perché siamo in Molise e lui parla con un forte accento molisano.
— Oh mio Dio, quanto è campagnolo 'sto posto! Elia, sei davvero nato qui?
— Eh, Elia, come ti senti a venire da un paese che non esiste?
Visibilmente il mio superiore non li trova divertenti. Mario è sempre stato il tipo che scherza senza tenere conto della situazione, e nemmeno vedere il capitano aver bisogno di sedersi per riprendersi dal salto sembra essere in grado di impedirgli di sparare le sue solite battutacce.
— Smettetela di fare i coglioni e venite qua.
Ci raggruppiamo intorno a lui, seguiti dalla psicologa, mentre apre una cartina e la mette su un ripiano.
— Secondo questa mappa, fatta dagli speleologi già passati qui, — dice, con il suo forte accento molisano, — la miniera è un corridoio continuo. Si presume che l'entità sia in fondo, ma non escludo che si sia spostata.
È esattamente ciò che è scritto nei documenti dati dalla SIR-II. Il capitano Contadi, Mario e il tenente Santilli indossano occhiali ad infrarossi. Contadi me ne offre una, ma cambia subito idea.
— Ah, sì, avevo dimenticato, a te non servono.
Al loro posto, mi passa una maschera per proteggere i miei occhi da eventuali bagliori o detriti. Una precauzione forse eccessiva, ma che non mi dispiace affatto. La indosso rapidamente, e scorgo il tenente Santilli che mi fa un segno.
— Lisa, devo dirti qualcosa.
Lo seguo un po' a distanza. Abbastanza lontano, affinché Contadi, Mario e la psicologa non possano sentirci.
— So che questa missione è la prima per te, ma non essere sconvolta da ciò che potrebbe succedere. Siamo qui per recuperare un'entità in un ambiente sotterraneo, e so che preferisci lavorare nelle foreste, ma abbiamo bisogno di te. Non importa ciò che dovremo fare per recuperarla. Se devi aprire il fuoco, apri il fuoco. Se devi batterti fino alla morte, battiti fino alla morte. Se devi ucciderlo… beh, uccidilo. Fa ciò che io e la Fondazione ci aspettiamo da te. È la tua prima volta ma ci vuole una prima volta per tutto.
— Sissignore.
Ripenso a ciò che ho imparato nell'esercito e durante gli ultimi mesi d'addestramento teorico all'interno della Fondazione. Se sono stata accettata nella Subterranea Materia, significa che ho le capacità richieste per farne parte, sia sul piano mentale che fisico. Non devo avere paura, devo fare ciò che mi hanno detto da fare, con ciò che mi hanno insegnato. Ho fatto diversi anni di lotta libera, e durante il mio periodo nell'esercito, sono stato addestrata al combattimento.
— Tutto bene? Siamo pronti? — ci chiede Contadi.
— Sì, capitano,— rispondo timidamente.
— Sì, Elia, — rispondono Santilli e Mario.
Contadi fissa Santilli.
— Arturo, vieni con noi o preferisci coordinare dall'esterno come al solito? So che le spedizioni nelle caverne non sono la tua specialità e capirei se tu volessi restare fuori.
— No no, vengo, — risponde Santilli con aria determinata.
— Va bene, ma fa attenzione a non farti uccidere, i Sovrintendenti hanno già rinnovato il comando l'anno scorso. Dubito la prenderebbero bene se ci lasciassi le penne.
Santilli scuote la testa.
— Faccio sempre attenzione, sei tu il pazzo che rischia sempre la morte senza alcun ritegno.
— Touché. — risponde Contadi mentre Mario scoppia a ridere.
Come diamine fanno a cazzeggiare prima di una missione?
Mi sento come una straniera in questa squadra. Sono tutti e tre amici di lunga data, so perfettamente che anche se Contadi è il loro capitano e che gli obbediscono, Mario e Santilli lo considerano il loro amico: prima di diventare il loro superiore, faceva parte della loro stessa squadra. E poi ci sono io che arrivo e che sconvolgo l'ordine e la gerarchia. L'unico che conosco e a cui posso dare del tu è Mario: in quanto migliore amico di mio padre, lo conosco sin da quando sono piccola.
— Dottoressa Callassi, rimanga dietro di noi, non ha delle armi.
— Va bene, capitano.
Entriamo nella miniere. Presto le luci si fanno sempre più soffuse fino a sparire ma, fortunatamente per me, posso perfettamente vedere nel buio. Camminiamo, provando a non fare rumore, seguendo un fiume sotterraneo e cercando l'entità e la luce che emette. Secondo le informazioni fornite dalla SIR-II, alcuni speleologi hanno segnalato alla polizia delle voci, grida e urla provenienti da questa miniera, e un bambino che produce fuoco; questo è bastato ad attirare l'attenzione di un agente della SIR II sotto copertura nell'area, il quale ha insabbiato il caso e informato la Fondazione. E quindi, come mia prima missione, devo recuperare quest'entità che potrebbe benissimo essere molto aggressiva.
Secondo Mario, fa sempre impressione non sapere ciò che incontreremo: le anomalie possono essere imprevedibili, possono collaborare o combattere, essere amichevoli o distruttive. Gli umanoidi sono ancora più complicati da contenere dato che sono senzienti; sono in grado di inventare piani per scappare o uccidere, o per attirare delle vittime nelle loro tane. Sono tesa come una corda di violino, respiro a fatica e ho la vista annebbiata dallo stress; d'un tratto qualcosa mi sfiora il braccio, mi volto e vedo Mario rivolgermi un sorriso incoraggiante.
— Tranquilla, Lisa, va tutto bene. Saremo fuori in un batter d'occhio.
Non c'è luce nella cava. La SIR-II ha ipotizzato che l'anomalia sia stata condotta nella cava da dei rapitori, e difficilmente loro la lasceranno andare. Siamo in quattro, contro un numero sconosciuto di persone e un'anomalia di cui sappiamo poco. Posso sentire le pulsazioni del mio cuore e respiro profondamente per calmarmi. Fa freddo, anche se sono ben coperta. Provando a non fare rumore, ci avviciniamo al fondo della miniera.
E sta succedendo ciò che temevo.
Schiamazzi e risate.
Sono qui, dunque.
Contadi fa un cenno con la mano per farci fermare, poi mi fa segno di avvicinarmi. Anche senza gli occhiali che indossano gli altri, non ho alcuna difficoltà a raggiungerlo.
— Vedi qualcosa? — mi chiede a voce bassa.
— Solo un po' di luce nella distanza, ma è molto soffusa; quello che mi preoccupa è quello che sento.
Lui annuisce, e ci fa segno di ripartire. Ancora venti metri da percorrere e la luce si fa sempre più intensa. Ho così tanta paura da riuscire appena a respirare. Il rumore che fanno le nostre scarpe sui sassi sembra risuonare e provocare un orribile frastuono, non so come fanno a non sentirci camminare. Ho smesso di contare i miei passi quando il capitano Contadi ci fa segno di fermarci. Ci siamo. Lievi ombre sono visibili sulle pareti rocciose. Questa volta, posso sentire chiaramente qualcuno lamentarsi, sotto le voci di almeno altre tre persone; sento anche una lieve puzza di bruciato, probabilmente a causa dell'entità.
— Preparate le armi — dice Contadi.
Mettiamo in moto i meccanismi. Preparata a fare fuoco, ispiro profondamente. Il capitano salta nella caverna, e noi lo seguiamo.
— Non vi muovete!
Gli occupanti della cavità si voltano di scatto, fissandoci scioccati: tre adulti armati e, in un angolino, un bambino dagli occhi pieni di lacrime; sparpagliati in giro vi sono degli attrezzi, un'incudine e dei lingotti d'oro e altri metalli, e una specie di contenitore in pietra a sinistra. Sembra essere una fucina clandestina.
— Lasciate cadere le armi!
I tre uomini restano sulla difensiva, puntando le armi contro di noi, senza mostrare nemmeno un briciolo di timore o esitazione. Solo fastidio e disprezzo.
— Lasciate andare il bambino, subito!
Quello al centro impreca qualcosa e spara. Il proiettile centra la spalla di Santilli, che urla, si piega a metà e indietreggia di un passo per mettersi dietro di me.
— Cazzo, mi hanno colpito! Dannati bastardi!
— Fate fuoco! — urla Contadi mentre si avvicina al tenente.
Quell'ordine spazza via la confusione e la paura che regnano nella mia testa: è come se il mio corpo agisse in automatico mentre prendo un respiro profondo, prendo la mira e colpisco l'uomo che ha sparato dritto nell'addome. Lui non sembra neanche accorgersene finché non è troppo tardi; semplicemente, egli cade e non si rialza. Se non sapessi che la mia è un'arma stordente, penserei di averlo ucciso.
— Tenente Santilli?
La voce di Contadi mi richiama fuori dalla mia trance, e lo vedo mentre si assicura che il nostro collega stia bene, prima di tornare a dare ordini con una furia prima assente dalla sua voce.
— Lisa, non ti preoccupare, continua come se non… Granata!
Il ticchettio di qualcosa che cade sulla roccia a forse un metro da me mi fa rifugiare dietro una colonna di roccia e coprire le orecchie; neanche un secondo dopo, un tremendo boato echeggia nella caverna e un fumo denso e bianchiccio inonda l'ambiente. Lacrimogeni. La mia maschera mi protegge, ma i miei compagni potrebbero essere colti di sorpresa, assordati dall'esplosione e confusi dal caos che l'ha seguita.
— Mettete le maschere! — urlo.
Mi rispondono imprecazioni, colpi di tosse e, improvvisamente, un secondo scoppio seguito da una vampata e da un grido di terrore.
— Porca merda, l'ho mancato! — Grida Mario.
— Mario, brutto coglione, cosa cazzo hai fatto? — Urla Contadi.
Sento la psicologa protestare, ma le ordino immediatamente di arretrare, per poi tornare a concentrarmi sullo scontro. Il fumo rende tutto difficile, posso mirare solo a sagome evanescenti e a ombre proiettate dalle fiamme del bambino urlante, chiaramente sofferente a causa del frastuono e dei lacrimogeni.
— Copritemi!
La voce di Santilli echeggia sui suoni dello scontro mentre si lancia a capofitto nella nube sotto i nostri sguardi inorriditi.
— Arturo, ma che cazzo fai! — urla Contadi, ma viene completamente ignorato.
Mario impreca, abbassando l'arma e stringendo i denti. Il lacrimogeno si è quasi diradato ma al suo posto si sta diffondendo il fumo generato dall'anomalia, che riempie l'ambiente del fetore della carne bruciata; respirare è impossibile e la visibilità sta calando di nuovo, per cui approfittiamo di questi preziosi istanti per aprire il fuoco sulle sagome dei sequestratori.
— Elia! — Grida Santilli. — L'ho trovato, è qui! Non sparate in questa direzione!
— Perfetto! — Replica il capitano. — Attenti a dove sparate!
Il caos regna ancora per qualche minuto, poi finalmente cala il silenzio. L'anomalia sembra essersi calmata, perché ha smesso di emettere le sue fiamme; finalmente, il fumo si dirada e rivela Santilli, appoggiato sulla parete e quasi facendo scudo al bambino ai suoi piedi, che ci guarda in preda al terrore. Oltre a loro, alcune persone che non ho voglia di contare sono a terra, in stato di incoscienza a feriti abbastanza da non rappresentare una minaccia.
— Arturo, stai bene? — chiede Contadi dietro di me, avvicinandosi a Santilli e mettendogli una mano sul braccio,
— Si, si, sto bene — risponde Santilli provando a respingerlo. — Elia, lasciami, non sono ferito.
— Piantala di fare la testa di cazzo, razza d'imbecille. Stai sanguinando, e anche tanto. Adesso spostati e fammi vedere, è un ordine.
Sospiro, un po' sollevata. Se Santilli minimizza, vuol dire che non è in pericolo immediato. Certo però che è stato un grande incosciente, e pensare che prima ha criticato il capitano!
— L'entità è ferita? — Chiede la dottoressa, facendomi abbassare lo sguardo sull'anomalia.
Per la prima volta mi rendo conto di quanto piccolo e macilento sia il bambino che giace rannicchiato per terra, dai capelli neri e dagli occhi scuri che contrastano nettamente con la sua carnagione malaticcia sporca di cenere e fuliggine. È nudo, ha i polsi incatenati dietro la schiena, trema e singhiozza disperato. La scena è atroce e non riesco a trattenere un sospiro rotto; lentamente, così da non spaventarlo, estraggo una coperta ignifuga dallo zaino e gliela metto addosso. È così magro, chissà da quanto non gli davano da mangiare…
— Non voglio più bruciare, lasciatemi andare, vi prego! Lasciatemi stare, voglio tornare a casa…
Dio, perché non potevamo ammazzare questi bastardi senz'anima? Cerco di sorridere per rassicurare il bambino, ma troppo tardi mi ricordo di avere ancora addosso la maschera. Dannazione.
— Ehi, tranquillo! Siamo qui per salvarti, non c'è bisogno di avere paura!
Lui non risponde, e si limita a fissarci con gli occhi sgranati. Sento Contadi chiamare la SIR-III con la radio. Probabilmente per Santilli, la cui spalla è ferita; nel frattempo, faccio entrare la psicologa, che si era nascosta fuori dalla cavità, e faccio un passo indietro. Lei si avvicina e si piega di fronte all'entità.
— Nessuno ti farà male, — dice lei con una voce tranquilla, calma, quasi materna. — Mi chiamo Maureen, e loro sono i miei colleghi, gli agenti Iriarte e Ballesta. Siamo venuti a salvarti e a portati via da queste persone orribili. Presto sarai fuori da qui, te lo prometto.
Noto ferite sul volto dell’entità e immagino che dovesse essere costretto a bruciare in tal modo. Prova a resistere, a dibattersi, ma è troppo debole. La psicologa, Maureen, se ho capito bene, gli mette una mano sulla spalla.
— Cosa volete da me? — Bisbiglia, incapace di parlare più forte.
Io e Contadi ci scambiamo un'occhiata. Non si fida, è sicuro che vogliamo utilizzarlo. Servirci di lui. L'unico punto positivo è che può capirci e che possiamo comunicare con lui.
— Niente. — risponde la psicologa. — Hai bisogno di essere curato, perciò appena usciamo da qui ti portiamo all'ospedale per farti curare.
Lo guarda con un sorrido rassicurante.
— Non posso camminare… — Il bambino inizia a piangere e lei lo abbraccia, accarezzandogli i capelli con dolcezza.
— Tranquillo, ti portiamo noi. Hai combattuto anche troppo, sei stato forte e coraggioso. Adesso ci siamo noi qui e ti proteggeremo. Te lo prometto, nessuno ti farà alcun male o ti costringerà più a bruciare.
Con attenzione, la dottoressa gli inietta un sedativo e lui si limita a un piagnucolio ma non reagisce in altro modo. Il farmaco fa effetto rapidamente e, quando Contadi si china per sollevarlo, il bambino non protesta e si lascia portare; Santilli sospira sollevato, stringendosi la spalla con aria sofferente.
— È sicuro che tutto va bene, tenente Santilli?
— Non ti preoccupare, Lisa, ho visto di peggio.
Non riesco a mettere la maschera, quindi ho indossato la torcia frontale. Non mi sono mai piaciuti gli occhiali a infrarossi. Inoltre, so che fa paura al ragazzino che porto; il poveretto ne ha già passate troppe, non serve che lo spaventi. Non gli ho ancora liberato le mani, non ho avuto il tempo. Alla fine della fila, seguo i miei agenti e la psicologa visibilmente sollevata di uscire di questa miniera. Nelle mie braccia, l’entità non si muove, sicuramente stordita dai sedativi. Ho preso il suo peluche, che ha chiesto prima di uscire della miniera. Un panno rovinato di cui rimane un orecchio, forse era un coniglio - l'unico compagno che aveva in quell'inferno.
Non so quanti anni abbia, è così piccolo e magro che non gli darei più di dieci anni; ma, d'altro canto, per come lo trattavano non sarei sorpreso se la sua crescita sia stata rallentata. Per dire, a dieci anni ero ormai alto un metro e sessantacinque, lui non sembra raggiungere il metro e cinquanta.
— Elia, siamo quasi arrivati all'uscita.
Sorrido.
— Perfetto Mario, grazie.
Nella radio, sento la voce di Maia Dellucci. La SIR-III è arrivata. Perfetto.
— Arturo, hai sentito?
Il mio collega si gira verso di me e annuisce. Prima Mario si era offerto di aiutarlo, ma lui ha rifiutato, dicendo di stare benissimo. Come se non vedessimo tutto quel sangue.
— Ho sentito, Elia.
Ho esaminato le mie truppe prima di uscire. Arturo è il più seriamente ferito, anche se lo nega. Lisa e Mario erano indietro, sono solo sporchi di fuliggine e lacrimano ancora per colpa del gas. E io credo di stare bene.
Nelle mie braccia, il ragazzino si muove un po’ e si lamenta. Ora non è più spaventato, solo stremato.
Cavolo, potrebbe avere la stessa età di Sofia, la mia prima figlia. Arturo si avvicina, stringendosi la spalla con la mano e gli sorride.
— Siamo quasi usciti, dai. — gli dice, provando a prendere la sua voce la più dolce possibile.
Lui sembra sollevato. Mette la testa sulla mia spalla e richiude gli occhi. Poverino, è così sfiancato da non riuscire nemmeno a tenere su la testa.
— Quindi sono libero?
Sento il cuore gelarsi nel petto. Come posso rispondere, sapendo che la speranza in quella vocina è destinata a infrangersi? La sua intera vita sarà quella di un prigioniero, non sarà mai libero. Sono felice che abbia gli occhi chiusi, perché altrimenti non so come potrei mantenere il contegno
— Ma certo! — Continua Arturo, senza guardare nella nostra direzione. — Siamo qui apposta per te, per portarti fuori da qui e farti visitare da dei dottori.
Inizia a vedersi la luce. Il ragazzino socchiude gli occhi e si mette a piangere di sollievo. Usciamo e la prima cosa che vediamo è la SIR-III, pronta a curare i feriti. Lisa e Mario gli affidano direttamente Arturo, che inizia a strillare dicendo che non ha bisogno del loro aiuto, ma viene immediatamente afferrato e portato via per essere medicato. È la prima volta che recupero una entità umana così cooperativa. Gli faccio un sorriso e lo faccio sedere su un ripiano per liberargli i polsi.
— Ecco, finalmente siamo fuori. Adesso abbi un po' di pazienza che ti libero.
Inizio ad armeggiare con la catena, rabbrividendo nel vedere le piaghe che ha aperto sulle sue braccia. Razza di bestie…
— Grazie…
C’è un momento di silenzio, interrotto dalla SIR-III che cerca di portare Arturo nell'elicottero di soccorso. Ovviamente, lui fa un gran casino, ma il capo della suddetta SIR, il capitano Emilia Lombardi, lo minaccia con una siringa piena di sedativo e quel sorriso malvagio che mi ha sempre fatto paura e lui viene costretto ad arrendersi e salire sull'elicottero. Noto il suo pantalone bruciato e strappato interamente dal lato destro. Il bambino abbraccia il suo peluche e mette la sua testa sulla mia spalla. Grazie alla coperta antifuoco, non c'è il rischio che generi fiamme, per cui lo lascio fare. Oh, questo mi ricorda, ho ancora la torcia accesa. Faccio per spegnerla, quando lui mi chiede:
— Come ti chiami?
— Mi chiamo Elia. Sono il capitano della squadra.
Non ho il tempo di chiedergli il suo nome.
— Sanguini della bocca, Elia. E dell’occhio.
Metto una mano sulla mia bocca. È gonfia ed effettivamente sanguina. Ed è la stessa cosa per la mia arcata sopraciliare e sotto il mio occhio. Dannazione, non me ne ero reso conto; ecco perché la maschera mi faceva male.
Chiamo uno degli agenti della SIR-III. Quel gorilla del vicecapitano Mazzani si volta, ma so che lui non è un medico, si occupa delle armi. Ma fortunatamente, il tenente Dellucci arriva. È una donna apparentemente fragile ma che in realtà è molto forte ed abile nel suo lavoro di medico della SIR-III. Che si avvicina con un kit per suturare le ferite.
E io che avevo una riunione di famiglia e che volevo essere bello perché rivedo i miei suoceri per la prima volta da anni… Evviva.
Sara e le bambine mi chiederanno come mi sono ferito. Dirò la metà della verità. Sono andato in una miniera e sono caduto, il che è la verità. Anche se non dirò cosa facevo nella miniera. L'unica persona della mia famiglia che lo saprà sarà mia sorella.
Mi lascio medicare e noto che l'entità guarda, tra l'interessata e l'assonnata. Ho una pinza che mi tiene ferma la lingua, per non muoverla mentre il tenente Dellucci mette dei punti su di essa. Non sapevo che fossi anche ferito alla lingua. Forse me la sono morsa più violentemente di quando pensassi quando sono caduto.
Alle spalle della dottoressa, vedo passare alcuni agenti che trascinano alcuni degli uomini che avevamo messo fuori gioco nella grotta. Spero che, nel caso ci siano cadaveri, il ragazzino sarà ben lontano e che non li veda; a tal proposito, anche lui ha notato il gruppo emergere dalla caverna e si è stretto a me, iniziando a piagnucolare.
— Dove portano quei cattivi signori?
Ha un vocabolario molto scarso per un bambino, anche se ha 10 anni. Ma non mi stupisce, forse è da mesi che è segregato in quella caverna, non è andato a scuola quindi le sue conoscenze della lingua sono limitate. Me lo segno. Dovrò fare rapporto al dottore Bellini quando sarò tornato al sito Plutone. E forse al direttore del Sito Iride, anche se non so nemmeno chi è.
Dopo la lingua e la bocca, il capitano Dellucci si occupa del mio occhio. Parlare è un po' difficile, ma gli spiego che un elicottero separato li porterà in prigione e li terrà lontani da lui.
— E noi? Prenderemo anche noi un elicottero?
— Esatto, così arriviamo subito all'ospedale.
Gli indico il velivolo che prenderà e lui sembra illuminarsi, ma non so se sarà contento del fatto che dovremo contenerlo durante il viaggio. Non sappiamo cosa fa quando si arrabbia o quando ha paura. Brucia, ok, ma fa altro? Si attacca alle persone?
Mi rendo conto che ho lasciato un'anomalia appallottolarsi contro me. Sono stato avventato, e se avesse un effetto memetico? In quel caso, io ho una resistenza irrilevante, per cui mi caricherebbero sul primo elicottero e mi spedirebbero al Minerva come Classe E.
Evviva…
— Anche l'altro soldato è andato nell'elicottero?
— Si, — gli rispondo. — Ma lui è andato nell'elicottero di soccorso, perché è ferito alla spalla e deve andare all'ospedale militare.
Wow, quanto menti bene, Elia, che bravo che sei…
Appallottolata contro di me, l'entità abbassa la testa.
— Povero. È stato gentile con me e la sua voce era dolce. I cattivi non sono stati gentili con lui. Neanche con me, ma io sono un mostro, lo merito.
Non ho il tempo di rispondere per rassicurarlo. Guarda di nuovo gli elicotteri con un sorriso.
— Vedrò altre persone nell'elicottero? Verrai con me?
Non lo so ancora. Dipenderà dello spazio e da quanti agenti serviranno per tenerlo a bada.
— Vedrai altre persone negli elicotteri, sì. Non so pilotare un elicottero, ci vogliono dei piloti. Ma non so se verrò con te, forse dovrò tornare a Napoli per spiegare al mio direttore come ti abbiamo recuperato. Non lo so ancora. Ma purtroppo dovrò forse legarti le mani di nuovo, perché non sappiamo cosa faresti se ti fa arrabbiare.
Con mia grande sorpresa, non scoppia a piangere. Abbassa la testa e sospira.
— Capisco. Avete paura. Faccio paura perché brucio.
Ho tanto voglia di abbracciarlo. Ho pietà per lui, questo ragazzino debole e timido. Si è abituato alla sua condizione e obbedirà a tutto senza protestare. E mi rende triste.
— Ma non legare le mie mani dietro la schiena. Mi fa male.
— Vedremo con la squadra dei piloti.
C’è un altro momento di silenzio. L’entità rimette la testa sulla mia spalla.
— Non ti ho chiesto il tuo nome. Come ti chiami?
— Tommaso.
— E quanti anni hai?
Fa spallucce.
— Non so. In che anno siamo?
— Siamo nel 2015.
— Allora ho 12 anni. Credo. Non me lo ricordo più. Forse ho 11 anni o 10 anni.
Se ha 10 anni, allora è nato nel 2005. Ha due anni di più di Sofia.
— Mi dispiace, Elia, sono un mostro. Me lo dicono sempre quando non riesco a bruciare perché sono malato.
Cazzo. Ha solo 10 anni e la sua vità è già rovinata. Gli insulti e l'essere preso in giro lasciano conseguenze per tutto il resto della vita. La gente così maltrattata ha due soluzioni: o si lasciano buttare giù e perdono la loro fiducia, o fanno come mia sorella e diventano corazze senza cuore che hanno solo un obiettivo, riuscire nella loro vita nonostante gli ostacoli e i mezzi usati. Dopo anni di violenze familiari da parte di nostra madre, ormai, Arianna non è in grado di provare nessun sentimento e io ho lasciato tutta la mia "vita precedente" per diventare speleologo come ho sempre voluto. Ci siamo riusciti: sono capitano d'una squadra militare e Arianna è diventata direttrice del Nettuno.
E il destino di questo ragazzino non sarà questo.
— Non sei un mostro, Tommaso, hai solo avuto una vita difficile.
Sospiro. Osservo l'elicottero che decolla, portando Arturo all'ospedale. L'entità guarda, molto interessata.
— Elia? Hai dei fazzoletti?
Ne ho sempre in tasca, per le allergie in aprile. Gliene do uno e si soffia il naso intensamente. Noto che il suo braccio sinistro non si muove bene e sembra irrigidito, con una profonda infezione che scorre dal gomito alla spalla. Lo faccio notare a Dellucci, che esamina subito l'entità. Essa si lascia manipolare, forse perché sono qui e si fida di me, e perché Maia Dellucci non gli fa paura, sa essere dolce e premurosa quando ci vuole.
— Mi hai visto bruciare, Elia?
— Sì.
— E non è bizzarro per te?
È cosciente della sua capacità. L'ha capito. E sa che non è normale.
— No, — rispondo. — Ho visto peggio. Non ti dirò cos'è, perché è un segreto, ma ho visto di peggio.
Il capitano Dellucci finisce con l'ispezione dell'entità, dandogli delle pillole che penso essere antibiotici o qualcosa del genere. La ringrazio e mi alzo, prima di sollevare il ragazzino. Il capitano Iadanza si avvicina mi spiega che uno degli elicotteri andrà al Sito Iride con l’entità e che l’altro tornerà al sito Plutone. Sorrido al ragazzino
— Vieni con me. Volevi fare un viaggio in elicottero? È il momento.
L'elicottero decolla. Il suolo trema e sento l'elica ronzare. Chiudo gli occhi e sospiro. Essere seduto è piacevole. Il sole mi fa male agli occhi, ma il cielo è tanto bello, azzurro e immenso, mi fa piangere. Mi fa tanto piacere rivederlo! Ho pianto quando sono apparse le prime luci, luci che non avevo visto per mesi. Poi, sono stato affidato ai soldati di quest'elicottero, mentre un tipo della squadra dei medici si occupava di uno dei soldati feriti. Non ho capito chi era. Ho solamente visto che sulle loro uniformi, c'era un disegno strano. Non potrei descriverlo. Quello dell'uniforme dei piloti dell'elicottero è lo stesso. Ma il nome della squadra non è lo stesso. Non so leggere ma so che non sono le stesse lettere.
La piccola donna ha curato il mio braccio e il ginocchio. L'infezione non è bella, ho paura che il mio braccio non si possa più muovere. Forse posso vedere l'osso se mi rimuovono i cerotti. Non so se ne ho voglia.
Provo a trovare una posizione comoda, ma non è facile. Mi hanno avvolto nella coperta e fissato contro l'elicottero con un vestito speciale, non so il nome, per essere sicuri che non fuggirò. Come se potessi andarmene. Fare esplodere l'elicottero? No, non posso, cadrei e mi farei molto male. Potrei addirittura morire. Con il sangue sul suolo e la mia testa distrutta. Che schifo. Essere prigioniero non mi va, ma non posso scappare.
Fortunatamente c'è Elia. Non è seduto vicino a me ma è nell'elicottero. Doveva tornare a Napoli per parlare con il suo direttore ma alla fine è venuto con me all'ospedale che non è a Napoli. Ha detto che parlerà al suo direttore con il telefono.
Un'idea orribile mi viene in mente. Se queste persone fossero solo altri cattivi, venuti per prendermi e utilizzarmi un'altra volta? E se non fossero così gentili come vogliono sembrare?
È la prima volta che esco dalla miniera. Sono contento, ma ho paura. Mi faranno delle domande e dovrò spiegare perché sono qui. Perché brucio. Dove sono i miei genitori. E non saprò spiegare. Non mi ricordo bene. Sono stato malato e un medico mi ha esaminato e fatto un vaccino. E brucio. Non so cos'era nel vaccino. Facevo paura allora i miei genitori mi hanno nascosto. Non sono mai più andato a scuola. Non ho mai saputo leggere.
E poi sono arrivati i cattivi. Mi ero nascosto nell'armadio perché i miei genitori sapevano che sarebbero venuti. Lo sapevano da sempre ed è per questo che mi nascondevano. Non dovevo avere paura e non bruciare, così non mi avrebbero trovato.
Ma ho sentito mamma urlare e dire a papà "Portalo via!". Allora ho avuto paura. Ho bruciato. Papa non ha avuto il tempo di portarmi via. E mi hanno trovato.
E mi hanno portato nella miniera.
Piego le gambe. Non voglio ricordare, così non brucio. Non sono tranquillo. I soldati parlano a voce bassa, a volte mi guardano, per vedere se non brucio. Ma non riesco più a bruciare. Ho preso un raffreddore quando mi hanno buttato nel fiume perché bruciavo troppo, poi volevano che bruciassi di nuovo. Lo sapevano che non posso farlo quando sono raffreddato.
Ma perché far venire così tanti soldati e dei dottori, se è per rapirmi? Hanno preso tutto quello che c'era nella caverna, tolto i corpi, e parlato di un coroner, non so cos'è. So che sono stupido e che non sono più andato a scuola sin da quando ho avuto otto anni, ma so che hanno ucciso i cattivi per prendermi e usarmi pure loro.
Oddio, capisco! L'esercito! Le parole sulle uniformi sono dei nomi in codice! Elia… Elia mi ha mentito.
Inizio a piangere. Mi vedo già interrogato come se fossi uno di questi banditi. Come se avessi deciso io di offrire i miei servizi per aiutarli. Come se questo fuoco fosse un super-potere che mi piace usare. Mi metteranno in una gabbia e mi faranno addosso tanti esperimenti orrendi e molto dolorosi. E forse, se non gli servo a niente, mi uccideranno!
Perché sono pericoloso. Sono un mostro, solo un mostro!
Come se io volessi fare paura. Come se mi piacesse questo potere che non è nemmeno un potere. Come se…
— Tenente Lucchesi? — Chiede il soldato alla mia destra.
Una donna si gira. Ha i capelli rossi legati in una treccia. Parlava a bassa voce con una altra donna, bionda, che sembra più vecchia, e l'ho sentita dire più volte "iride" e "qualcosa otto". Forse sono altri nomi in codice?
— Abbiamo un problema, tenente. L'entità si sente male.
La donna con i capelli rossi si avvicina e mi guarda, ma io ho troppa paura e abbasso la testa così non pensa che la sto sfidando e non mi colpisce.
— Spero ci siano dei bravi pediatri all'Iride, tenente, almeno uno. È in cattive condizioni.
Elia mi guarda e richiama l'attenzione della psicologa. Entrambi sorridono.
— Andrà tutto bene. Ti stiamo portando all'ospedale.
La tuta della psicologa è diversa dalle altre, è come la mia coperta. Forse è fatta apposta per non bruciare? Lei sembra capirlo, perché mi dice:
— Tranquillo, quella coperta non brucerà. È antincendio, come il resto dell'elicottero. L'abbiamo portata apposta per te.
Apposta per me? Vuol dire che sapevano che posso bruciare? Come facevano, nessuno lo sapeva a parte le persone della miniera…
— Almina, Marisso, a che punto siamo? — Chiede la donna bionda.
— Arriveremo all'Iride fra due ore, capitano Iadanza, — risponde uno dei piloti.
— Bene. Avete informato il direttore?
— Affermativo, capitano, — risponde l'altro pilota. — I medici sono stati avvertiti. Il dottor Trevisano ha già preparato una stanza provvisoria e sta preparando un team di psicologi.
Chiudo gli occhi e sospiro. Almeno sembra che mi faranno curare davvero, e la cosa mi fa stare un pochino meglio. Spero che mi mettano a posto il braccio mi fa molto male e non riesco a muoverlo bene, e a volte puzza di marcio. Il silenzio ritorna, appena disturbato dalle pale dell'elicottero e dalle conversazioni tra i piloti, Almina e Marisso, se ho capito bene. Forse mi sentirò meglio dopo. Non so. Non so. Mi sento perso, non capisco niente. Non mi importa. Voglio solo essere curato. Il mio braccio mi fa soffrire, la mia gola mi fa soffrire, anche la mia testa, ho troppo paura, ho troppo voglia di piangere…
— Capitano, la coperta brucia! — grida una voce.
Sono scoppiato in lacrime. Non posso più sopportarlo. Soffro ancora di più ma non posso smettere di bruciare. Più mi sento male, più forte brucio, e più brucio, più fa male. Non posso impedirmi di bruciare. Non posso. Loro lo sapevano e ne approfittavano.
— Dottoressa Callassi! L’entità sta bruciando!
La donna che mi ha parlato prima guarda il fuoco e ha paura, e piango più forte. Mi aveva detto che non avrei mai più bruciato. Bugiarda, bugiarda! Perché a me?! Perché io!
— Mi dispiace, non volevo! Non volevo!
— Tommaso, calmati!
— Sono un mostro! Solo un mostro orribile!
— Sta perdendo il controllo, che cazzo facciamo?
— Dottoressa, che cosa vuole fare? Dottoressa!
— Che diavolo fa, si allontani!
— Tommaso, giusto?
La voce che parla è gentile e io apro gli occhi; lei è seduta davanti a me. Il fuoco è vicino, le illumina la faccia e i capelli, e lei suda, ma non sembra avere più paura. Perché? Perché non scappa? Gli altri soldati hanno preso le pistole e mi guardano, e hanno paura, ma lei no. Lei mi guarda come… come la mia mamma…
— Ehi, cos'è successo? Qualcosa non va? Senti dolore da qualche parte?
— Che cosa volete farmi? L'ho capito che siete dell'esercito, volete usarmi come quelli là!
— Non ti abbiamo mai nascosto di essere dell'esercito, Tommaso. Se volevamo nasconderti qualcosa, ti avremmo chiuso in una scatola dove non avresti potuto vedere niente. E invece, stiamo parlando apertamente e ti stiamo facendo vedere tutto. E lo sai perché?
Mi guarda negli occhi. Non posso distogliere lo sguardo.
— Perché noi ci fidiamo di te. Non sei un mostro, sei un bambino dolcissimo che non merita nient'altro che amore e rispetto. Non è colpa tua se puoi creare del fuoco, so che se potessi scegliere non lo faresti mai e poi mai.
Come lo ha capito? Come fa a saperlo? Sento un rumore, è Elia che si alza e si siede vicino a lei. Perché? Lui non ha nemmeno la tuta contro il fuoco, potrebbe bruciarsi!
— Posso capire la tua paura, per tanto tempo le uniche persone che hai avuto attorno ti hanno solo trattato male e insultato. Ma ti assicuro, che noi non siamo come loro, non ti useremo mai e poi mai.
— È normale che tu sia spaventato, davvero, ma puoi stare tranquillo: noi ti proteggeremo e ci prenderemo cura di te, ti porteremo in un posto sicuro dove nessuno ti farà del male e dove, se lo vorrai, potremo capire come funziona quel fuoco e persino come farlo andare via.
Abbasso la testa. La coperta si è bruciata dove il fuoco è comparso, ma ormai si è spento quasi del tutto. Resta solo una fiammella che non riesce a diffondersi. Sento la mano della dottoressa posarsi sulla mia testa e accarezzarmi i capelli, come faceva la mamma tanto tempo fa.
— Forse ci vuole un'altra coperta. La prendi tu?
Elia annuisce e un altro soldato gli passa un'altra coperta ancora più grande. Lui si abbassa e, quando la dottoressa si sposta, me la mette attorno, ma è come se mi abbracciasse. I suoi occhi sono tristi, come se stesse per piangere anche lui.
— Mi dispiace… Non volevo… Non volevo farlo!
Lui scuote la testa e mi accarezza i capelli.
— Non è successo niente, stai tranquillo. Sei stato coraggioso finora, e sono molto orgoglioso di te. Adesso però devi fare il bravo, così quando arriviamo all'ospedale i dottori possono subito pensare a te.
— Tenente Marino? — chiede la donna bionda.
Il tizio molto grande si gira.
— Si, capitano Iadanza?
— Tutto va bene?
— Va tutto bene, capitano. — Risponde Elia al suo posto, girandosi a guardarla. La donna annuisce, e gli chiede se serve dell'acqua. Io dico di no, il fuoco ormai è spento, ma lui ride e mi dice che voleva sapere se qualcuno aveva sete. In effetti, non ho bevuto da tanto tempo e mi fa un po' male la gola. La donna ci fa passare una bottiglietta, e lui subito mi aiuta a berla.
È fresca e un po' dolce, ma subito la mia gola smette di bruciare. Più la bevo e più è fresca, non mi fa nemmeno più male il braccio. Invece, mi gira la testa e mi si chiudono gli occhi… Provo a dirgli grazie, ma non ce la faccio, tutto gira e non capisco più tanto bene. C'era… c'era qualcosa nell'acqua? Ho paura, ma non riesco a fare niente! Sento una mano sulla mia testa, che mi accarezza i capelli. Mamma? Mamma, ti prego, ho paura!
— Va tutto bene, Tommaso, ti abbiamo dato una medicina per farti dormire. Quando ti svegli, ti prometto che andrà tutto bene.
La cella provvisoria è pronta. Dato che è un bambino, ho chiesto libri e giocattoli assortiti, poi vedremo più avanti cosa gli piace, senza una piccola intervista, non è possibile saperlo. Non avrà le stesse distrazioni di SCP-044-IT.
E non ci saranno le stesse procedure di contenimento.
Cavolo, quanto è difficile fare una cella senza sapere se sarà efficiente… Volevo basarmi su SCP-044-IT, dato che ho già lavorato con lui, ma è impossibile che abbiano le stesse capacità e la stessa storia. Un bambino che brucia, si, e poi? Cos'altro? Perché brucia? Qual è la sua storia? Come ha acquisto questa capacità? Come si sente quando brucia? Anche i suoi genitori hanno questa capacità? È ostile?
Tante domande a cui non ho risposta e che rendono il contenimento iniziale tanto difficile. È la prima volta che mi ritrovo con una entità che è un bambino.
— Dottor Trevisano?
Appena uscito della cella, vedo il vicedirettore del sito.
— Dottor Santandrea. Tutto bene?
— Stavo per farle la stessa domanda. La cella è finita?
— Ho fatto quel che potevo fare, direttore. Per gli aspetti tecnici, mi sono ispirato del lavoro che ho fatto per SCP-044-IT, ma non posso fare di meglio senza aver visto l’entità e sapere perfettamente come contenerla. Ha delle novità sul recupero?
Il direttore Santandrea sorride.
— La dottoressa Callassi ha fatto il suo lavoro. L’entità è attualmente in un elicottero della SSM-VII. Sedata e addormentata.
— Potrei saperne di più? Sull'entità?
Il direttore guarda il foglio.
— Secondo le informazioni ottenute dal capitano Contadi, che ha parlato un po' con l'entità, è un ragazzino di 10, massimo 12 anni - l'entità non ne era sicura, per cui faremo una radiografia del polso per l'età ossea. Secondo Callassi, ha un lieve ritardo cognitivo forse a causa del trauma. Si esprime come se avesse otto anni e ha confessato che non sa leggere.
— Ah. Toglierò i libri, allora. Non so come tenere occupato un bambino che non sa leggere.
— Comunque, dovrà essere esaminato prima di essere contenuto, e gli elicotteri arriveranno fra un’ora, quindi c’è ancora molto tempo.
Controllo un'ultima volta la cella. All'inizio, conteneva SCP-044-IT e le pareti sono state rinforzate nuovamente per resistere a temperature fino ai 1400 °C. Se posso fare di più, farò di più. Ho fatto portare un letto, coperte antincendio, una tavola e arredamento per umanoidi standard; mancheranno solo cose per tenere occupata questa nuova entità ma, effettivamente, dobbiamo conoscerla un po' per sapere cosa aggiungere. Non è la prima volta che ho a che fare con un'anomalia pirocinetica, ma ogni entità è differente e magari ciò che funziona per 044-IT non funzionerà per questo bambino. E non sono uno psicologo, non saprei neanche cosa fare. Forse disegni o libri per imparare a leggere? Così si distrarrà e lo potremo tenere sotto controllo.
Aspetterò Maureen, sperando che se la senta. So che è la prima volta che va a recuperare un'entità e giustamente aveva paura. Spero che abbia guadagnato fiducia in sé stessa grazie a questa missione.
Alla fine non ce l'ho fatta ad aspettare e sono andato ad aspettare il loro ritorno direttamente sul tetto. Sono rimasto là sopra per una buona mezz'ora, con il vento come unica compagnia, quando finalmente ho visto i due elicotteri della SSM-VII comparire all'orizzonte. Spero che il viaggio sia andato bene. So per certo che al suo posto non ci sarei mai andato.
Mi gratto la guancia, quella ustionata in un incidente con 044-IT. Lavorare con la Fondazione SCP significa a volte essere seriamente feriti. Ma lo sapevo. E so che sono fortunato ad essere ancora vivo.
Un vortice di polvere mi obbliga a proteggere il mio volto e a indietreggiare di più. Gli elicotteri atterrano, facendo un rumore infernale. Non li vedo ma li sento, assieme alla polvere che sporca il mio camice e allo spostamento d'aria che rischia di farmi perdere l'equilibrio. Aspetto che il frastuono si sia calmato per alzare la testa e guardare i due giganteschi velivoli di fronte a me. Gli agenti della SSM-VII e della -VIII scendono per primi, seguiti poi da quelli della SIR-IV, la squadra del contenimento temporaneo. Due di loro portano una lettiga su cui è adagiata l'entità, un bambino piccino e malandato avvolto in una coperta. Sembra essersi appena svegliato, e ha delle ferite sul volto. Gli faccio un sorriso amichevole, ma lui si limita a fissarmi con gli occhi sbarrati (probabilmente a causa di qualche sedativo) e a tremare, ma non so se i suoi brividi sono brividi di freddo o di paura. Una ragazza bassina con capelli biondi quasi bianchi e ciocche azzurre si fa strada rapidamente verso di me.
— Agente Iriarte, Subterranea Materia. Abbiamo recuperato l'entità. La SIR-III ci ha detto di portare l'entità qui.
Annuisco.
— Effettivamente, il sito Iride è il più adatto. La sua squadra non è qui?
— Negativo. Non tutta la squadra: il tenente Santilli è con la SIR-III per una ferita da proiettile. Sono con l'agente Ballesta e il mio superiore, il capitano Elia Contadi. Credo che lui debba contattare il Sito Plutone per fare il suo rapporto al dottor Bellini.
Annuisco. Iriarte continua.
— L'entità era malnutrita e certamente picchiata dai suoi sequestratori. È spaventata e traumatizzata.
— Lo vedo, agente, — rispondo. — Ma non si preoccupi: qui al sito Iride, abbiamo psicologi molto competenti, ce ne prenderemo cura nel modo migliore possibile.
Di scatto, uno degli agenti della SSM-VII si allontana dal ragazzo, facendo una smorfia, mentre rivoletti di fumo emergono dalla coperta. Rapida come un fulmine, Maureen arriva dietro di lui, e gli inietta qualcosa nella spalla, bisbigliandogli all'orecchio e accarezzandogli la testa; pochi secondi dopo, il fumo si dissolve completamente.
Povero ragazzo, ha avuto paura e quindi ha iniziato a scaldarsi. Non lo biasimo, con tutte le emozioni che gli turbineranno in testa, tra la prigionia, lo scontro per liberarlo e il viaggio circondato da energumeni armati e sconosciuti, ci credo che sia agitato. Mi avvicino, annotandomi mentalmente alcune osservazioni che potranno essermi utili in futuro, e osservo una coperta bruciata che gli agenti stavano tirando fuori. Maureen è ancora al fianco del ragazzino, mormorandogli qualcosa che non sento per colpa del vento, poi si gira verso me.
— È cooperativo anche senza sedativi, perde il controllo solo se ha molta paura o se è agitato. Anche in quel caso, le sue reazioni sono sempre state istintive e limitate all'autodifesa, non rappresenta una minaccia.
L'entità mi guarda. Rimane silenzioso, aspettando che dica qualcosa.
"Sono qui per aiutarti"?
Ma per favore.
"Ti troveremo un posto dove stare"?
Non se ne parla.
"Faremo qualcosa"?
Meh.
— Buongiorno. Sono il dottor Trevisano. Lavoro in questa struttura e mi occuperò di te assieme a diversi psicologi, tra cui la dottoressa Callassi che ti ha aiutato finora. Ti lascerai seguire?
— Il mio braccio mi fa tanto male… Aiutatemi…
Sollevo in parte la coperta e trattengo una smorfia quando vedo i segni sulle sue braccia; lui non si ribella, emettendo solo qualche gemito mentre lo osservo; soddisfatto, riappoggio il braccio sulla lettiga, lo ricopro e sorrido: — Tranquillo, adesso sei in buone mani. Ti cureremo e ti porteremo al sicuro.
Definitivamente.