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CONTENUTO PER ADULTI
Questo lavoro contiene contenuti per adulti non adatti a tutti i lettori.Rappresentazione grafica di sangue, gore o mutilazione di parti del corpo
Presenta temi o linguaggio a sfondo sessuale, ma non raffigura atti sessuali.
Rappresentazione esplicita di atti sessuali.
Presenta atti sessuali non consensuali.
Presenta gravi abusi su minori.
Presenta scene di autolesionismo
Presenta scene di suicidio.
Presenta scene di tortura.
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La notte è nera, le nuvole nascondono le stelle. Io e Alberto non vediamo niente e siamo costretti a usare le torce elettriche, l'ideale per essere individuati. E siamo solo in due, avrei preferito che fossimo stati di più, non voglio essere ucciso o catturato.
La fabbrica è abbandonata da anni, un complesso industriale perfetto da utilizzare per il traffico di animali: grande, inquietante, terrificante. Dopo mesi di indagini, i nostri superiori hanno deciso di fare qualcosa per mettere un punto a questo traffico e hanno inviato il loro miglior elemento per esplorare questa fabbrica.
Quest’elemento non sono io: è Alberto, l'agente con più esperienza del nostro comando.
E io?
Sono il pivellino; quello che non ha chiesto nulla, men che meno di andare in una missione notturna senza un minimo di protezione.
— Vieni, presto! — Mi dice a voce bassa.
Mi metto a correre, provando a non fare troppo rumore. Ho paura. Non è una missione che avrebbero dovuto darmi cosi presto. Non conosciamo queste persone, non sappiamo quanto sono ostili, è troppo presto per una tale missione.
— Ho una brutta sensazione, Alberto. Una bruttissima sensazione.
— Anche io, Leonardo. Dovremmo chiedere rinforzi.
Sin dal nostro arrivo qui, ho voglia di tornare a casa. Ritornare da mia moglie e da mia figlia e aspettare con calma la nascita del nostro secondo bambino. Sarebbe meglio se tornassimo di giorno, qui.
Un grido ci fa sobbalzare. Non è un grido umano, ma neanche un grido animale, è una cosa che non riconosco. Il grido di un mostro, seguito da urla umane.
— Che razza di animale è?
Alberto scuote la testa.
— Non lo so, ma a volte è necessario essere prudenti. Torniamo alla macchina e chiediamo rinforzi.
Eccellente iniziativa che accetto senza protestare. Sempre provando a non far rumore, ci allontaniamo di questa fabbrica maledetta. Da questi banditi, da questo mostro. Non voglio più avere niente che fare con questa fabbrica, invierrano altri agenti. Avanziamo. La macchina non è lontana, ce la faremo.
Ce la farem-
È come se avessi sabbia in bocca. Ho sete… tantissima sete… voglio bere. Ho male alla testa e al collo, non riesco nemmeno ad aprire gli occhi. Mi sento stordito, come se avessi ricevuto un colpo alla testa. E mi sento sorvegliato.
Forse è vero? Sono davvero sorvegliato?
Non mi ricordo…
Oh, la mia testa…
Provo a farmi un massaggio al collo, ma qualcosa mi trattiene. Non posso muovermi. Sento un rumore di catene.
Sono legato su una sedia? Oddio! Sono stato catturato!
Alberto, dove sei?
Sento delle voci. Ho troppo male al collo per girare la testa. Sono sorvegliato, ne sono sicuro, adesso. Mi hanno catturato, ci hanno afferrati e colpiti; ero fuori e adesso sono qui. Cos'è successo?
— Alberto? Dove sei?
Una luce debole, forme umane nel buio. Sono almeno dieci, tutti uomini, robusti, vestiti di nero. Li vedo nonostante la luce debole. O piuttosto, li distinguo, non posso dire che li vedo. Mi sorvegliano, aspettando che io reagisca. Gli stessi che ci hanno attaccati? Che ci hanno catturati?
— Ah, ti sei svegliato?
Le loro voci. Le stesse che ho sentito urlare. Sono loro.
— Dove siete?
Ridono. Che cazzo ridono?
— Non è necessario chiamare il tuo collega: è qui.
Un'altra luce si accende. Un corpo è sdraiato, faccia a terra. Ma lo riconosco senza nemmeno sforzarmi, così come riconosco l'orribile ferita da proiettili che gli ha spappolato metà della fronte.
— No!
L'hanno ucciso, questi bastardi. Non aveva fatto niente.
— Stavamo per tornare a casa… Non abbiamo visto niente…
Ricevo un pugno in faccia; la mia bocca inizia a sanguinare.
— Sappiamo chi è lei, Agente Costa.
Ma che cazzo?
— Sono un semplice carabiniere…
Un altro pugno. Nell’occhio; e questa volto, non posso trattenere un grido di dolore.
— Lo dicono tutti.
Tutti? Ma chi sono "tutti"?
— Non fingere, noi sappiamo.
— Ma cosa sapete?
Respiro profondamente. Non capisco niente, ho un mal di testa del cazzo e questo pugno nell’occhio mi ha stordito.
— La Essierre Due!
— La cosa?
Mi tirano uno schiaffo violento.
— Non fare finta di non sapere! Sei un agente della Essierre Due!
Ma che cazzo!
— Non capisco!
Hanno un sorriso malvagio. Non sono io quello che vogliono, credono che io sia qualcuno che stanno cercando, ma non lo sono, sono solo un giovane carabiniere che non desidera altro che fare bene il suo lavoro! Non un agente segreto o un membro di una gang rivale!
— Lasciamolo solo per un po', vedremo se poi avrà voglia di parlare. Se i pensieri gli torneranno alla mente, forse parlerà; o se no, lo faremo parlare noi.
I muri girano troppo velocemente. Ho mal di pancia, sono sul punto di vomitare. Galleggio nel nulla, senza vedere niente, senza capire niente. Posso aprire solamente un occhio, l’altro è troppo gonfio a causa del pugno. E ciò che vedo mi rende troppo triste; non sopporto la vista del cadavere del mio collega, sdraiato sgraziatamente sul pavimento, il sangue che si raccoglie in un lago sotto la sua testa. Non posso sopportare l’idea che l'hanno ucciso, che l'hanno sparato, freddamente, senza esitazione o rimorso.
Ho qualcosa infilato in bocca, mi impedisce di respirare correttamente. Ecco perché non grido; ma anche se provassi a gridare chi mi sentirebbe? Servirebbe solo a farli venire e non ho voglia che mi facciano delle domande. Non so cosa sia la Essierre Due, sono solo un carabiniere, non un agente di unità speciale o che ne so. Non sono nemmeno una spia.
Sento dei passi. Oh, no, sono loro.
Fare il morto o far loro credere che dormo. Soprattutto, non far capire che li ho sentiti. Forse se ne andranno.
— Dorme.
Sì, dormo, grazie, Capitan Ovvio.
— Sveglialo.
Oh cazzo, no, non mi sveglierò. Crederanno che sia morto e mi lasceranno andare; mi libereranno e di notte me ne andrò. Ritroverò i miei colleghi, racconterò tutto e invieranno una squadra più numerosa e attrezzata.
— Sveglialo e chiedigli di parlarti della Fondazione.
La Fondazione cosa, Prada? Non me ne frega un cazzo della Fondazione Prada…
Oh, tutto gira ancora, è un orrore.
— E se fosse davvero un carabiniere?
— I carabinieri non vengono mai qui, come ci avrebbero scoperti se non fossero agenti della Fondazione?
Perché rumori e attività strane sono stati segnalati da senzatetto che vagavano intorno a questa fabbrica e i miei superiori hanno voluto che indagassimo. E quel che sospettavano si è rivelato vero: c’è un'attività illegale, qui. Devo scoprire cos'è. Devo capirci di più, cosi forse potrò salvami.
— Bene, se non vuoi svegliarlo, lo faccio io.
Vengo spruzzato con acqua ghiacciata. Apro l'unico occhio che posso aprire. Di fronte a me, un tizio con i capelli rossi, come me. Con degli occhiali, non come me. Credo abbia la barba, non ne sono sicuro e me ne frego. Infila la mano nella mia bocca per toglierne il coso digustoso che mi impedisce di respirare e di parlare. Sputo un orribile misto di bava, moccio e sangue.
— Era tempo di svegliarsi, eh?
Il suo tono beffardo non mi piace per niente; se potessi, gli darei un bel pugno in faccia.
— Allora, la Essierre Due?
Non so nemmeno cosa rispondere.
— Non so cosa sia.
Ho mentito molte volte in vita mia, ho nascosto molte verità, ma qui non mento, sto dicendo la verità. Se una tale squadra esiste, non la conosco; forse è una squadra speciale del governo.
— Non ne faccio parte.
Dico ancora la verità.
— Allora sei agente di un’altra Essessemme.
Che cazzo è?
— Non della Tre, quella con i carri armati; loro non recluterebbero uno sfigato come te.
Stronzo di merda…
— Della Quattro, allora? Ce l’hanno con noi.
Che cazzo stanno blaterando? Non so nemmeno se voglio sapere. Forse è meglio non sapere, a volte l’ignoranza è preferibile.
Ma se chiedo? Cosa diranno?
— Non ti preoccupare, Leo, scopriremo di quale Essessemme o Essierre fai parte.
Mi costringe a guardarlo.
— E se non vuoi parlare, ti faremo parlare comunque.
Il pavimento si avvicina e fugge. Ennesima caduta al suolo prima di alzarmi di nuovo. Spaventato, posso solo guardarli supplicando inutilmente, perché qualsiasi cosa dica, non mi credono. E a cosa servirebbe mentire; non capisco nemmeno cosa vogliono! Le loro grida e i loro schiaffi sono inutili quanto le mie risposte; ripeto che non so, ma non mi credono.
— Allora? La Essierre Due?
— Non so cos'è!
La corda risale, e io con lei, portandomi con lei senza preoccuparsi delle mie grida di terrore e di dolore. Mi hanno legato a una carrucola, ho la testa in giù.
— Ve lo giuro, non so niente!
Una caduta di circa un metro. Il pavimento si avvicina e si allontana di nuovo. Sento uno scricchiolio orribile e un dolore immenso. Urlo, consapevole di cos’è appena successo. Uno dei tizi si avvicina di me. Provo a proteggermi con le braccia, ma sono paralizzate.
— Ti sei fatto male?
Sì, mi avete fatto male, qualcosa si è slogato o rotto. Mi sono rotto la gamba sinistra. O peggio.
— Sai, se dici la verità ti lasceremo in pace. Il Dictator sa essere indulgente.
— Il Dictator? Ma l’Italia non è una dittatura!
Cado sul cemento. Tutto si fa buio, non vedo più nulla e non sento altro che un intenso dolore nel corpo, dal polso fino alla spalla: mi sono rotto il braccio cadendo. Con un calcio, mi fanno girare sulla spalla, come se fossi un semplice animale morto.
— Insultare il Dictator non è senza conseguenze. Lo capirai per la prossima volta… se ci sarà una prossima volta.
Il pavimento è duro e freddo. Sono bagnato, congelato, raffreddato, ferito. Mi hanno buttato in questa stanza e voglio morire.
Ma c'è Sofia.
C'è Letizia.
C'è mio figlio.
Non posso. Devo vivere, nonostante la tortura. Ora posso dire questa parola; questa parola mostruosa.
Sono un loro ostaggio, non ho nessun diritto umano.
La mia testa viene sbattuta sul pavimento. Mi fa tanto male…
Non posso respirare.
Toglietemi il bavaglio! Per favore!
Il mio naso…
La mia gamba…
Slegate le mie mani!
Non vedo niente.
Voglio morire
Sofia! Aiutami!
Urla. Grida. Sono terrificato. Una creatura si trova dinanzi a me; quella che ho udito urlare prima di essere portato qui. Il mostro che ci aveva terrorizzato e per quale avevamo deciso di tornare alla macchina per chiedere rinforzi. Non posso credere che una tale cosa possa esistere, non può… Non può…
Una specie di ragno gigante. Diversi metri altezza e orribili fauci che non riesco a descrivere.
— Non voglio morire!
Mi piegano ancora la gamba; la smetteranno solo quando non potranno più farlo, quando magari le ossa si saranno ridotte in briciole. Sento ancora un rumore orribile che mi fa urlare fino a rompermi la voce.
— Non so niente! Ve lo giuro, non so niente! Vi dico la verità, non so niente!
— Sei un’agente della Essierre Due, sei venuto per spiare le nostre attività.
Inizio a piangere. Così eccito il mostro, lo so, ma è troppo difficile controllarmi.
— Cos'è la Essierre Due?! Cos'è questa cazzo di Essierre Due?! Sono un carabiniere, non sono una fottuta spia! Non so niente, liberatemi! Liberatemi, bastardi!
Mi arrivano diversi pugni in faccia. Sputo un dente. Il ragno mi mostra le sue zanne e grida. Un grido terribile. Stridulo, furioso, un animale aggressivo addestrato per uccidere.
— Io e il mio collega siamo stati inviati perché si supponeva ci fosse in atto un traffico illegale di animali in questa fabbrica! Non facciamo assolutamente parte di questa merda di Essierre Due del cazzo! Non so cos'è questa porca merda di Essierre Due!
Il ragno muove le sue… zampe anteriori e mi solleva, con la sedia sulla quale sono legato. Vedo le sue fauci, così profonde e buie, le sue zanne… Sono sospeso in aria, pronto per essere divorato da un mostro. Morirò così, sbranato e dilaniato da 'sta bestia di Satana.
— Vi prego, non mi uccidete!
Cado a terra; il mostro mi ha lasciato perdere. E sono caduto malissimo, sulla sedia rovesciata. Mi accorgo a malapena di qualcuno che urla, tanto è terrificante il dolore alla gamba. È piegata, ha fatto uno scricchiolio orribile, non posso più sopportarlo. Respiro a malapena, so che sto per morire, lo so. Non vedrò più mia moglie e mia figlia, non vedrò mai mio figlio, non ritroveranno mai il mio corpo divorato da questo mostro, dopo essere stato torturato e massacrato da questi fascisti sadici.
— Vi dico la verità… Vi prego… Vi giuro che dico la verità.
Vi dico la verità…
Devo trovare qualcosa. Ora. Qualcosa per essere tranquillo e forse liberato. Prometterò di non dire niente sulle loro attività, non le conosco nemmeno.
Ma devo trovare qualcosa.
Assolutamente.
Sopravvivere.
Ancora un giorno.
Mi metto bocconi e trattengo a malapena un grido di dolore. La mia gamba… Non devo fare nessun suono, altrimenti, arriveranno.
Provando ad ignorare il dolore, inizio a strisciare. Devo andare in un altro luogo, in cui non sentirò il vento; un luogo in cui avrò meno freddo.
Vai…
Ogni centimetro percorso è un supplizio. Le mie mani sono congelate. La mia gamba sfrega il cemento e ho l’impressione che sto per perderla. Digrigno i denti. Questa stanza sembra interminabile. È tanto piccola ma tanto grande per me.
La polvere mi fa tossire e il sangue mi fa venire voglia di vomitare. È il mio, lo so; le ferite al mio volto… Viene di qua.
Continuo a strisciare. Le mie braccia mi fanno male ma devo continuare.
Vai…
— Vai…
Un colpo violento alla testa. Crollo. Sono qui.
— No!
Un altro colpo; questa volta nella schiena. E risate.
— Vi prego!
Altre risate. Ho voglia di piangere.
La violenza si intensifica. Provo ad appallottolarmi ma senza successo. Si accaniscono.
— Smettetela!
Ridono. Ora, mi danno calci dalla gamba. Piango in silenzio, morto di paura e di dolore.
— Molto efficiente questa chimera; lo farà parlare.
Mi fanno girare con un calcio. Rimango senza fiato. Qualcosa mi solleva e ricevo un pugno. Urlo. Il sangue in bocca e nel naso mi soffoca; tossisco fino a sputare i quasi miei polmoni. Le mie grida si intensificano quando mi prendono per i capelli e mi mettono la testa all'ingiù. Il sangue mi riempie la bocca. Sto per vomitare. Sto per soffocare, soffocato dal mio stesso vomito. Mi brucia, mi irrita, non riesco più a respirare.
Voglio respirare…
Perché a me, che ho fatto?
Cado a terra. Tutto diventa confuso. Ho male alla schiena e alla testa. È troppo. Vomito. Una sensazione orribile di strozzamento. Mi brucia e mi irrita. Ne ho in gola. Con un riflesso, mi raddrizzo e la mia uniforme è tutta macchiata di… È disgustoso. La testa mi fa ancora più male, ma anche la mia pancia.
Nuovo colpo in faccia. Non posso urlare più forte. E ridono ancora. Piego la mia gamba valida, quella destra e provo a proteggere la mia testa con le mie mani.
— È inutile e lo sai.
Non so con cosa mi picchiano; tutto ciò che so è che è uno strazio.
— Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?
Ho urlato l’ultima frase. Non so più cosa dire e comunque sia, non mi crederanno.
Sono disperato.
— Lasciatemi andare! Vi prego!
Scoppiano a ridere.
— Vi giuro che non dirò niente su di voi se mi lascerete andare! Ve lo giuro!
Uno spasmo ultra violento mi fa quasi vomitare di nuovo.
— Ve lo giuro…
Li ho sentiti. Sono qui; hanno chiuso la porta ma non se ne sono andati. Posso ancora sentire una voce, un respiro. Sento la sua presenza, i suoi occhi fissati su di me. Mi osserva, mi osserva sempre. L’ho notato bene, è colui che ha i capelli rossi come me. Mi fissa senza dire niente, senza mai esprimere nessuna emozione. Non so a cosa pensa, non so cosa vuole, è spaventoso. So che è cattivo, mi avrebbe liberato o avrebbe chiamato la polizia se mi volesse bene, ma non so se mi vuole fare male. Non mi ha mai fatto del male ma non mi difende contro gli altri. E non voglio provocarlo. E per non provocarlo, non devo né fare rumore né mostrare che soffro. Perché sennò ne approfitterà. Chiamerà gli altri e mi uccideranno, alla fine.
So che mi uccideranno. Vogliono che io parli della Essierre-II, è l’unica cosa che vogliono, ma io non so niente riguardo alla Essierre Due. Non posso dirgli niente ma, se non dico niente, mi uccideranno. Devo parlare, devo inventare qualcosa ma allora sapranno che mento, che non dico ciò che vogliono; sanno cos'è la Essierre Due, io no, non ne ho mai sentito parlare.
Ma se riesco a capire cos'è, se dirò loro ciò che vogliono, mi libereranno? Mi lasceranno tranquillo, alla fine?
No, non mi lasceranno tranquillo. Mi uccideranno appena avranno ciò che vogliono avere. Posso dire qualsiasi cosa, ma alla fine morirò comunque. Sono arrivato a questo punto in cui qualunque cosa possa dire o fare, non mi crederanno. Non mi credono quando mento, non mi credono quando dico la verità.
Allora a cosa serve tutto ciò?
A cosa serve?
Fare finta di dormire o di essere svenuto è la migliore cosa per restare tranquillo. Non funziona sempre, perché a volte fingo male o perché hanno semplicemente voglia di svegliarmi. In questo caso, alla fine svengo quasi sempre, non ho più il coraggio di resistere; mi sto indebolendo. Passo da una estrema debolezza a uno stato in cui tutti i miei sensi sono estremamente acuti. Faccio attenzione a tutto; il più piccolo rumore mi fa sobbalzare, il più piccolo fischio mi fa paura, pensando che sono loro che respirano e che, di conseguenza, sono qui. Pronti a farmi subire l’inferno, pronti a torturarmi.
Non riesco ad ammettere questo concetto di tortura; ho il sentimento che se lo ammetto, sarà la fine. La fine delle mie forze, della mia voglia di sopravvivere, la fine di me stesso.
Ma a volte sento cose. Cose che non capisco ma le sento.
Sento parlare del Duce, sento parlare della Fondazione SCP. D’un capitano della Essessemme Quattro. Non so cos'è ma parlano anche della Essessemme Tre, e la Essessemme Tre ha dei carri armati. Se capisco bene, sono delle forze armate che appartengono a questa Fondazione. E questa Fondazione è una… gang rivale… che ha anche degli animali anomali ma non vuole utilizzarli.
Questo termine "animali anomali" mi mette l'ansia; perché significa che non hanno solo il ragno-cane. Ho sentito di un riccio di mare tossico, di cani scheletri e questo mi spaventa. Creano mostri. Questa fabbrica non ospitava un traffico di animali, è un complesso biologico di sperimentazione animale. Creano mostri e li rilasciano per spaventare la popolazione.
O distruggere la stessa popolazione per rimetterla in riga.
Chaos Fabricat Ordinem.
CFO è il loro nome. Dei fascisti che obbediscono a un tizio che si fa chiamare il Dictator. Perché? Non lo so. Ma Chaos Fabricat Ordinem sembra essere il loro motto. E non so cosa significa.
Ho il sentimento che mi hanno catturato non solo perché per loro sono un agente della Fondazione SCP ma anche perché, ora, ne so troppo sulle loro attività. Ne so troppo. E anche se ho giurato di non dire niente nel caso mi liberassero, so che non mi lasceranno mai uscire.
Perché ne so troppo.
Non possono lasciarmi andare.
Mi hanno dato da bere, non pensavo che lo facessero. Posso finalmente parlare. So che non era per cortesia. Ovviamente ne hanno approfittato. Mi hanno anche buttato acqua sulla faccia e scorreva nella mia bocca. Era fresca. Anche se ho freddo, anche se sono raffreddato, mi ha fatto bene.
Ho pianto. Prima di poter parlare, ho dovuto prendere tempo per respirare; sono esausto. Nonostante abbia male alla gamba, ma anche alla testa, al naso, alle coste…
Ho preso troppo tempo e un altro schiaffo. La mia guancia è gonfia e mi brucia. Riesco appena ad aprire l'occhio.
"OK, confesso: ho sentito qualcosa sulla Essierre Due".
Dovevo dire qualcosa. Ovviamente, ho detto bugie, non ho nemmeno riflettuto prima. Inventando sul momento. Prendendo pause per respirare, approfittando di queste pause per inventare.
Almeno, ho ancora idee. Ho ancora un cervello che funziona e so mentire.
"Il mio… collega… ne faceva parte… Credo…"
Mi hanno chiesto se anche io ne facevo parte. Ridendo, prendendomi in giro.
"Ho solo sentito delle cose…"
Così non avrei dovuto inventare troppo.
Ho detto che fosse una squadra speciale, di spie. Ma che Alberto l'avrebbe spiegato meglio di me.
Ho preso un secondo schiaffo. La mia guancia sanguina, bruciandomi ancora di più.
"E dove sta Alberto?"
"L'avete ucciso!"
Sospiro. Mi hanno appena abbandonato dopo quest'ennesimo interrogatorio, con la speranza che parlerò la prossima volta. Sono seduto su una sedia, provando a calmarmi. Questa volta, sono stati meno violenti, ho solo preso due schiaffi.
Mio Dio, dico "solo". Mi sono abituato. Questa violenza è diventata la mia realtà quotidiana. Vivo tra attesa e paura, tra crudeltà e solitudine. Spero di uscire ma questa speranza diminiusce ogni giorno.
Eppure, ci credo, mi sforzo a crederci. Se la smetto di crederci, mi lascerò morire, e non devo abbandonare Sofia e Letizia; pensare a loro è l'unica cosa che mi mantiene in vita. Se non le avessi, sarei già morto di tristezza.
Non mi hanno lasciato andare. Non mi credono; non mi hanno mai creduto e non mi crederanno mai.
Ma dico la verità, ve lo giuro, dico la verità.
Credetemi…
Dico la verità…
Credetemi…
— Dico la verità!
Sono strozzato da una mano. Tossisco, la bocca di nuovo piena di sangue.
Dico la verità, lo giuro.
Il mio naso e i miei denti sono rotti. Ho preso tanti colpi sul volto che non vedo quasi niente. Non posso aprire gli occhi, mi fanno male, la mia testa mi fa male, la mia schiena mi fa soffrire, la mia gamba mi fa male, il mio intero corpo mi fa male. Vorrei svenire per non sentire più niente ma non posso, il mio corpo lotta per rimanere cosciente.
Qualcosa si avvolge intorno al mio collo. Non posso muovermi, non posso respirare. Tremo di paura e di freddo. Il vomito sulla mia uniforme l’hanno tolto spruzzandomi acqua ghiacciata.
Urlo silenziosamente. Niente esce dalla mia bocca. Nessuna parola, nessun fiato. Non c’è nient’altro che i colpi. Il dolore. Le loro urla, le loro risate. Mi sottopongono a delle domande di cui non conosco le risposte e lo sanno perfettamente. Mi dicono che se parlo mi lasceranno andare ma ho parlato e sono ancora qui, nonostante abbia promesso che non dirò niente.
— Lasciatemi…
Posso a malapena parlare. Qualcosa mi avvicina. Una zampa. Provo a muovermi ma qualcosa mi sta
ancora strangolando, qualcosa mi trattiene.
— No! No!
Qualcosa mi strozza di nuovo e mi solleva di terra. Ricomincio a piangere. Ridono. La mia sofferenza li fa ridere. Da qualche giorno, mi iniettono dei sedativi. Guardarmi che provo a difendermi non è più divertente, è molto più interessante ed eccitante quando la vittima non si difende; cosi non ci sono tracce e lo stupratore può dire "se non si difendeva, acconsentiva".
Madonna, quante volte ho sentito questa frase. Tante bambine e donne sporcate da mostri che le drogavano per impedirle di difendersi… Accusate di consentire perché non si difendevano. Quante ne ho viste nell'ufficio, ragazze spaventate, che mi dicevano "non potevo muovermi, non volevo scopare ma mi ha forzata e non potevo difendermi". E i miei colleghi che dicevano che se non c’erano tracce di lotta, è perché acconsentivano.
Ero un bravo carabiniere. Queste donne le proteggevo. Sofia è stata molestata e le rimarrà un trauma per tutta la sua vita, perché nessuno ha voluto ascoltarla e aiutarla. L’ho aiutata io; sono diventato carabiniere per aiutare e proteggere.
E oggi sono io la vittima, sono io che avrò il trauma per il resto della mia vita, se riesco a sopravvivere. Non so cosa fanno i colleghi, non so dove sono. Non so quanti giorni ho passato qui, non sono altro che un corpo sofferente.
Qualcosa si infila nel mio braccio. È ancora una siringa. So cosa c'è dentro. Mi drogano affinché non possa dibattermi. L'azione è rapida e la mia corpulenza e la mia salute non mi aiutano a resistere. Non posso più muovermi; la mia mente pensa in fretta ma il mio corpo non reagisce. Hanno vinto e lo sanno. Vomito mentre una mano si infila nella mia bocca per metterci un bavaglio. Ho appena il tempo di sentire una bestemmia prima che un pugno pieno di vomito mi distrugga i denti.
— Ammazziamo questo pezzo di merda! Sapete cosa fare! Abbiamo una bestia da addestrare!
La porta cade e compaiono delle zampe giganti. A malapena, indietreggio contro il muro. Sono zampe di ragno. Non mi piacciono i ragni, per nulla. Fortunatamente, non sembra avermi notato. Cammina in un modo strano, come se fosse ubriaco. Non posso non guardarlo, è spaventante e affascinante. Sono ipnotizzato. È grande come un pony.
E abbaia.
Oh mio Dio, un altro ragno-cane!
No!
— Salve, Leo.
Oh, no. Non loro, non loro.
— Ti piace la nostra bestia?
Non ho nessuna reazione, non ne vale la pena. Vogliono farmi reagire, ma non parlerò. Non reagirò. Cosa posso dire e come potrei dirlo?
— Forse ci dirai qualche cosa se la nostra bestia viene da te.
No. Non temo i ragni, solo che non mi piacciono, sono disgustosi.
— Non hai niente da dire?
Li guardo come se fossero stupidi. Non mi hanno tolto il bavaglio, ovvio che non posso parlare, figli di puttana.
— Un cane-ragno. Bello, eh?
Oh cazzo è la bestia di Satana!
— La vuoi vedere meglio?
No! No, non la voglio vedere, mi mangerà, non voglio morire, non voglio morire!
— Afferra questo!
Lanciano qualcosa, dritto nella mia testa. Una palla. Stordito, vedo il ragno correre verso me, abbaiando. Sembra completamente ubriaco. O come questi ragni con lunghe zampe quando corrono. È spaventoso. E so perché me lo presentano, so perché. Corre verso me e salta sulla mia gamba frantumata. Inizio a piangere, mi fa troppo male.
— Bene, ha capito la debolezza dell’agente. Non vuoi ancora parlare?
La stanza gira intorno a me. Non vedo niente per colpa delle lacrime che bruciano i miei occhi. Sto per vomitare. Ancora. E questi latrati sempre più forti… Se potessi tappare le mie orecchie…
Per la prima volta, voglio davvero morire. Per non sentire, per non vedere, per non avere più male. Per essere tranquillo.
Voglio solo riposarmi.
Apro gli occhi. È notte. Quanto tempo ho dormito, non lo so. Sono svenuto, ne sono sicuro. E mi hanno abbandonato.
Forse è meglio così.
Oh, la mia testa mi fa male…
Sono seduto contro qualcosa che non è il muro. È meno duro. Sento qualcosa ronfare.
Qualcuno?
Guardo a destra e vedo zampe gigante piegate. E non mi muovo. Non oso nemmeno respirare.
Il ragno, sono seduto contro il ragno. Il ragno che dorme. Perché mi hanno messo contro di lui, chi mi ha messo qua? Loro? Il ragno?
Oddio, la mia testa…
So perché sono qui. Vogliono utilizzarmi; contro lui o per lui. Lo vogliono nutrire con me, vogliono uccidermi. Vogliono uccidermi, avvelenandomi e facendomi mangiare da un ragno gigante. Lo ecciteranno fino a quando lui mi mangerà. Sono condannato. Rinchiuso in una fabbrica, senza nessuna possibilità di fuggire, trattenuto con una bestia di Satana che mi ucciderà.
Fa tanto freddo…
Se solo potessi avere qualcosa con cui coprirmi… Ieri, prima di farmi vedere questo ragno, mi hanno detto "ti lasciamo riposare, forse ritroverai la voce per parlare". Hanno capito che sono ammalato, ma ovviamente non mi hanno dato una coperta o roba del genere per aiutarmi un po’, no, certo che no.
Ho un brivido molto forte. Il ragno si muove.
Oh, no, no, no!
Lacrime scorrono sulle mie guance. Il sale nella ferita mi irrita tanto. Ma non oso gridare: potrei svegliarlo. Si muove. Devo restare immobile; non muovermi. Sembrare morto, così mi lascerà in pace.
Le zampe si estendono. È sveglio. Non respiro nemmeno. Lo sentirebbe.
Si alza. Oddio, mi ha visto.
Oddio, no…
No…
Si gira. Le sue orribili zampe si muovono. Mi guarda, so che mi guarda, mi ha visto.
È solo ora che noto che ha una testa di cane.
Come cazzo…
Non ho il tempo di pensare, né di guardare di più: si avvicina. Grido più forte che posso. Mi mangerà, sta per mangiarmi.
Mi lecca la faccia. Piango. È pronto ad uccidermi, sto per morire. Mi lecca ancora, una seconda volta.
No, no, no, ti prego…
Mi prende con le sue zampe anteriori. Piango di più, implorando affinché mi lasci tranquillo, anche se so che non mi lascerà. Mi mangerà.
E sento le loro voci che ridono. Sono soddisfatti.
— Preparati, Leo, adesso il nostro amico qui ti porterà in uno spazio bello appartato e ti farà fuori.
Si sposta. Verso un’altra stanza. Camminando a malapena, e ad ogni passo sento la mia testa che mi fa male e le ossa muoversi nella mia gamba che pende nell'aria. Attraversiamo le stanze e sento ridere. Anche loro sanno che non mi rivedranno vivo. Il ragno mi fa uscire e va in un’altra stanza, provando a nascondersi in questo gigante complesso industriale. Anche lui vuole fuggire.
Perdo il conto delle stanze attraversate. Il ragno entra nella struttura e si lascia cadere al suolo, sul fianco. Le zampe si estendono e quella che mi trattiene mi mette a terra. Non mi lascia nemmeno cadere, lo fa dolcemente e ne sono sorpreso. Mi lecca di nuovo la faccia e poi, con la stessa zampa, mi tira verso la sua pancia. Come prima di uscire dalla prima struttura. Provo a calmarmi ed essere razionale: se volesse mangiarmi, l’avrebbe fatto subito, non si sarebbe sdraiato. Non mi avrebbe messo così contro il suo corpo.
Ora sono sdraiato anche io. La testa che ripose sulla sua zampa. Sento il suo soffio. E mi lecca i capelli. È un gesto affettuoso. Come un cane che fa le coccole ai suoi cuccioli.
Significa che non mi vuole mangiare?
Perché? È stato creato e addestrato per essere cattivo. Vogliono attaccare la "Fondazione". Non so cosa sia ma non me ne frego. Saranno attaccati da pazzi con ragni-cani giganti; se potessi avvertirli, lo farei subito.
Forse credono che ne faccia parte?
Ma per loro faccio parte della SIR-II…
La SIR-II è parte di questa "Fondazione"?
Oddio, la mia testa… Devo smetterla di pensare, non ne sono nemmeno in grado.
Mi lecca ancora i capelli. Allora inizio a capire: ho trovato un amico. Un supporto. Quest’animale non può fare finta, se gli animali non ti vogliono bene, te lo mostrano. Romeo, il pastore tedesco di mamma, non lo amava mio zio e glielo faceva vedere. E non penso che i ragni possano sentire affetto per altri animali. Anche se ha una testa o uno spirito di cane.
Cane… non ci credo nemmeno.
Mi ha portato fuori per salvarmi. Mi protegge.
Non sono più da solo.
Il sole brilla quando mi sveglio di nuovo, per colpa d’un forte dolore alla bocca. Sento grugniti e un rumore di metallo dietro di me. il mio braccio fa tanto male. Grido e mi rendo conto che… qualcuno mi ha tolto il bavaglio. Lo vedo strappato in pezzi sul suolo. Qualcuno mi scuote.
— Lasciatemi!
Altro grugnito. Capisco che è il ragno-cane, sta giocando con le manette. Non posso rimproverarlo, non capisce che è male. Non capisce che mi fa male. Non sa controllare la sua forza.
— Smettila! Smettila!
Sento un ultimo rumore di metallo e il mio braccio rotto cade al suolo. Sono libero. Provando a sedermi, vedo il ragno che si sposta di fronte a me prima di accovacciarsi.
Mi ha liberato.
Mi ha liberato, non ci credo. Non giocava, non mi stava torturando: provava a liberarmi.
Gli hanno insegnato a rompere il metallo? Lo addestrano ad essere cattivo? Ma in questo caso, perché non è aggressivo contro di me?
Mi lecca la faccia. Non è che mi piaccia molto ma forse è un segno che mi vuole bene.
O che mi sta assaggiando? Per mangiarmi dopo?
Oddio, spero di no… Spero di no…
Comunque sia, non mi fido molto.
Striscio e mi metto contro il muro. È una tortura, riesco a malapena spostarmi con due arti rotti.
Il ragno si avvicina con il suo passo ubriaco. Non è grande come l’altro che mi ha attacato prima, forse è un giovane che non sa ancora camminare correttamente. Non lo so, non ho mai studiato i ragni, non mi piacciono molto.
Lo guardo, lui e i suoi quattro occhi. Non attacca. Si sdraia vicino a me e si addormenta subito, come un piccolo cane stanco dopo aver giocato. E mi ricordo di quella volta, quando mi ha trasportato qui. Ero addormentato contro lui, tutto è andato bene.
Ma non so, non mi fido.
I giorni passano. Mi sveglio ogni giorno con il ragno vicino a me. Ieri mi ha portato un frutto. Avevo tanta fame che l’ho mangiato senza nemmeno pensare che potrebbe essere avvelenato.
Ma non lo era. Non mangiavo da giorni, è stato un sollievo.
Ora credo davvero che questa bestia non voglia mangiarmi: vuole un amico. I miei rapitori non vogliono fare altro che renderlo cattivo, quindi non giocano con lui. Forse potrei fare di lui la mia guardia, quello che mi difende contro di loro. Non mi hanno visitato, non so se non mi trovano o se se ne fregano di me o se pensano che mi abbia mangiato. O che gioca con me prima di mangiarmi come fanno i gatti con i topi. Potrebbe uccidermi, questo lo so. Ma se lo volesse, l’avrebbe già fatto.
Ci spostiamo fuori o in una nuova struttura ogni giorno. Forse è il suo piano. Come gli animali che cambiano di posto per non essere individuati. Mi prende con le sue zampe e ci nascondiamo o fuori o nelle altre stanze. Non so se fugge perché ha paura o perché è il suo atteggiamento normale o se fugge per proteggermi. Lui mangia dei topi o degli uccelli. O dei conigli quando ne trova. So che anche i migali più grossi possono mangiare dei topi.
A volte mi porta bastoni. Glieli lancio e me li riporta. È davvero un ragno con lo spirito di un cane.
Non so come è stato creato, non so perché l’hanno creato. L’altro è molto aggressivo, lui no. È più piccolo, forse è un cucciolo che non sono ancora riusciti a rendere aggressivo. Non so se sono il suo giocatolo, il suo amico, la preda che tortura prima di mangiare, il suo proprietario o se mi considera il suo cucciolo. Una cosa è sicura al momento: non vuole uccidermi.
Non concentrano tutte le loro attività nell’intero complesso industriale. Cosi, il ragno può spostarsi come lo vuole. E non dimentica mai di portarmi con lui, tranne quando va a cercare da mangiare. Non mi porta con lui quando caccia, sarei un peso per lui, dato che non posso né camminare né cacciare. Allora mi lascia in un angolo d’una stanza. Non mi piace molto essere da solo in una struttura; nonostante il complesso industriale sia immenso, so che potrebbero trovarmi. Vedere che non sono morto divorato e uccidermi dopo avermi torturato ancora di più. Sono sempre terrorizzato quando sono da solo. So che il ragno mi difende; sembra impossibile, o addirittura insensato, ma mi rassicura sapere che sono protetto da una bestia cosi gigante e potente.
Ma adesso, sono da solo. Solo e debole. Senza difesa, con due arti rotti. Non vedo molto, non riesco ad aprire gli occhi completamente. La mia visione è sfocata, ridotta, non sarei in grado di scappare o di difendermi se qualcuno venisse, se mai li vedessi. L’idea di rivedere i miei rapitori mi fa tremare e mi da voglia di piangere. Questa volta, non sono riuscito a strisciare contro un muro; sono al centro della stanza, senza nessuna protezione alla mercé di chiunque. Sono attento al più piccolo rumore. Ritornato allo stesso stato di paranoia di prima di incontrare questa bestia. Pensavo essere al salvo ma non lo sono; fino a quando sarò da solo in questo complesso industriale, non sarò al salvo.
— Ah, ti ho trovato!
Sobbalzo. Il mio incubo ricomincia. Singhiozzo. Sono tornati, tutto ricomincerà. Il freddo, i colpi, il dolore, lo scherno… Questa voce è modificata, non è naturale. È uno dei miei rapitori ma non riesco a vederlo, non ho nessuna idea di chi è arrivato per mettere il punto finale alla mia speranza di uscire di quest’inferno.
— Vi prego, lasciatemi! Ho detto che non sapevo niente ed è vero, non so niente! Non sono un agente della Essierre Due, sono carabiniere, lo giuro, l’ho già detto tante volte! Lasciatemi in pace, voglio solo uscire e ritrovare la mia famiglia!
Mi ritrovo a pregare pateticamente delle persone che non mi hanno mai ascoltato e che non mi ascolteranno mai. So che rideranno. La mia speranza è morta. Sento passi che si avvicinano a me. Provo a proteggermi con il mio braccio non rotto. Protezione ridicola in confronto a ciò che mi faranno subire.
— Sono andati giù pesante con te…
E sei andato giù pesante assieme a loro, figlio di puttana.
— Non merito di essere ucciso! Non merito di essere trattato cosi! Cosa vi ho fatto di male?
È un attacco di panico. Non riesco a calmarmi, anche se lo vorrei tanto. E lo sento avvicinarsi ancora. Lo sento vicino a me.
— Sono un semplice carabiniere!
Lo sento sospirare.
— Stai zitto, nessuno ti sentirà qui.
Afferro la sua mano e provo a fargli male. Mi da uno schiaffo. Sento un rumore che conosco perfettamente: un grilletto di revolver. Provo pateticamente a salvare la mia povera vita.
— Vi prego… Lo giuro, sono un semplice carabiniere… Lo giuro!
— Lo so, smettila di urlare.
Non ha urlato. Riconosco questo tono molto pacato. È lui. Non so il suo nome, non so niente di lui ma so che è lui. Cosa fa qui, perché vuole parlarmi?
— Smettila di urlare e ti giuro che rivedrai il tuo ragno.
Si accovaccia vicino a me. Lo sento. È molto frustrante non vedere niente.
Ma è ancora più frustrante di non capire perché non mi ha ancora picchiato. Cosa vuole da me, perché non mi ha ancora picchiato, perché non mi sta ancora portando ai suoi amici per forzarmi a parlare?
— Ascoltami, Leonardo. Devo parlare con te.
Scuoto la testa.
— Non so niente…
Mi mette la mano sulla bocca.
— Stai zitto, ascoltami.
Piango in silenzio. Mi torturerà. Mi farà male.
— Devo parlare con te. Ma non devi provare a guardarmi. Non devi cercare a capire chi sono. Se non cerchi a sapere, tutto andrà bene.
— Perché non ho il diritto?
— Perché se ti trovano qui dopo quello che sto per dirti, li ripeterai tutto e dirai che sono io. E questo non lo voglio. E nemmeno tu non lo vuoi.
Non capisco. So già chi è, basta dire "è il tizio con i capelli rossi" e i suoi amici sapranno tutto. Non capisco ma non ho scelta.
— Va… va bene…
Per mostrare che sono cooperativo, chiudo gli occhi e giro la testa dall’altro lato, così da non vederlo anche se aprissi gli occhi. Lo capisce e si siede a terra. Sento qualcosa avvolgersi intorno a me. Una coperta. Una coperta!
— Grazie mille…
— Non ho pietà di te, solo che hai ancora da parlare. Quindi non devi morire di freddo o di febbre.
Già…
— Andiamo. Non sei un agente della Sirdue, giusto?
Cos?
— Della cosa?
— Della Essierre Due, se preferisci.
Oh…
Scuoto la testa.
— Né della Fondazione SCP?
Scuoto di nuovo la testa.
— Lo sapevo. Sei un semplice carabiniere.
— Si, l'ho già detto millemila volte…
Faccio di tutto per farvelo capire ma lo capite solo ora…
— Se lo sapete, perché continuate? Perché non mi lasciate andare? Giuro che non dirò niente! Dirò che mi sono dimenticato tutto!
Per la mia grande sorpresa, mette una mano sulla mia spalla.
— Non sono io a decidere, Leonardo. Non sono io il capo. Ho fatto ciò che potevo fare. Ora devi aspettare.
Apro gli occhi. Lo devo fissare. Per convincerlo. Fissare qualcuno è sempre più efficiente.
— Cosa ti avevo detto?
La sua reazione non si fa aspettare. Sento la pistola sulla mia fronte e una mano che mi strozza. Oh no! Mi dibatto, provo a togliere questa mano. L’aria manca già. Morire strozzato è il mio peggiore incubo. Faccio urla soffocate; non posso né parlare né respirare e c'è questa pistola. Se preme il grilletto, è la fine.
— Ok! Ok… Va bene… chiudo gli occhi. Non ti guardo. Non ti guardo.
Lo immagino sorridere. Con un raggio di sole nei suoi cappelli rossi.
— Bene. Non vorresti morire abbandonando tua moglie e i tuoi figli?
Scuoto la testa.
— Ti prego, lasciami andare… non sono un agente della Fondazione SCP né della Essierre Due, lo giuro! Lo sai, ora. Lo sai.
— Lo so.
— Allora perché non lo dici ai tuoi… amici?
— Perché è troppo tardi. È troppo tardi, Leonardo.
— Come mai?
Ho voglia di picchiarlo. Sto figlio di puttana ha aspettato troppo e sono condannato alla morte. Ferito troppo seriamente per continuare a vivere. Mi guarderà morire, è qui per vedermi vivere i miei ultimi momenti di vita. Lo so e lo sa anche lui, voleva solo assicurarsi della mia onestà prima che tutto sia finito per me.
— Ci sono delle cose che devono essere fatte e le devo fare, per il tuo bene e per il bene di tutti. Arrivano, Leonardo, arrivano perché li ho avvertiti. Era il mio dovere, sono nei due campi.
Riesco ad afferrare il suo braccio.
— Chi? Chi arriva? Come mai sei nei due campi, cosa significa? Posso fidarmi di te o sei come loro?
Sento un galoppo. Lui si alza e lascia la mia mano mentre un grido si fa sentire, un grido che riconosco perfettamente.
— Il tuo amico è tornato.
La sua voce è spaventata. Sono sollevato nell’aria, ancora avvolto nella coperta. Il mio ragno è tornato. Ma non riesco a esserne contento. Avrei tanto voluto saperne di più. Ma non me ne dirà di più.
— Per favore! Chi arriva? Rispondimi! Ti prego!
Il ragno urla. Non sento la risposta. Solo la sua ultima frase prima di uscire della stanza e di essere accecato dal sole e assordato dal rumore del vento. Il ragno corre. Nervoso. E l’ultima frase di questo tizio con i capelli rossi che suona nella mia testa.
"Ancora qualche ora".
Cosa vuole dire?
Ha sviluppato una coscienza. Quando nessuno ci vede, si dimostra molto gentile e protettivo. Mi ha portato dei frutti da mangiare e mi protegge con il suo corpo quando fa freddo. Ha capito che non posso camminare e mi prende con le sue zampe quando vuole spostarsi. Mi prende con lui per andare dappertutto, ma non significa che sono il suo giocattolo o la sua preda. Non mi lancia nell'aria, non mi morde e non mi attacca come faceva l’altro esemplare.. Ormai sono sicuro che non nascono aggressivi ma che lo diventano. Che l’aggressività non è nei loro geni ma che questa gente vuole che lo diventino. Un cane non è aggressivo di base, lo diventa.
Siamo in una struttura un po’ più lontana. Fa freddo. Non so se è già passato Natale, se mio figlio è nato. Non so cosa faranno Sofia e Letizia per Natale senza di me. So che se esco, dovrò passare un tempo indeterminato in ospedale. Per guarire, ne ho bisogno.
Quel che temo è cosa accadrà a lui quando mi libereranno. Se mi libereranno, lo uccideranno? Finirà come cavia, vittima di test che non farebbero nemmeno a ratti di laboratorio? Finirà in uno zoo come una bestia interessante?
Spero solo che non gli faranno del male; non ha fatto niente, non merita di essere maltrattato. Sono loro che l’hanno creato e che vogliono renderlo aggressivo, non è lui che ha deciso di essere un mostro.
Metto la mia mano sul suo guscio o non so come chiamarlo. Non è peloso, è come una corazza di granchio. Non molto confortevole ma ho abbandonato l’idea stessa del conforto. Ho già la quasi certezza che non mi ucciderà ed è già molto. A lui piace quando gli faccio le coccole. Vuole avere un amico e io sono quest’amico. E lui è il mio salvatore. Sarei morto senza lui, gli devo un favore. Farò tutto il possibile per proteggerlo se riusciamo a uscire di quest’inferno.
— Eccoli!
Sono qui! Ci hanno trovati! No! Credevo di essere al sicuro!
— Pensavi di scappare, eh?
Il ragno ha capito; si alza e mi prende con lui. Piango tra le sue zampe. Voglio scappare, e anche lui. Inizia a correre verso l’uscita, guidato dal suo istinto che gli dice di fuggire. Dobbiamo uscire, dobbiamo metterci in salvo, dobbiamo salvarci.
Voglio vivere…
— Non riuscirai a scappare!
Colpo. Esplosione che colpisce il fianco del ragno. Urla di dolore. Cado a terra insieme alla mia amata bestia. Il pavimento è duro e freddo, e mentre li vedo correre verso me, armati di bastoni, sento il mio ragno urlare. L’hanno colpito. L'esplosione fu piccola ma mi è sembrata molto violenta.
La mia voce esce dalla mia mia bocca. È surreale, è da giorni che non riesco a parlare. È un grido disperato.
— Noooooooo!
Arrivano e ridono mentre mi vedono mettere la mia mano su una ferita disgustosa e sanguinante. Vedo il tizio con capelli rossi e ho voglia di picchiarlo.
Hanno colpito il mio unico amico. Non aveva fatto niente.
E ridono!
— Leo, non ci provare, non lo salverai.
Premere contro la ferita. È l’unico modo per rallentare l’emorragia. Devo salvarlo, anche se dovessi morire per salvarlo. Non ha fatto niente, non voleva morire, voleva vivere, essere felice, aveva trovato un amico, avevo ritrovato un po’ di sopporto e me l’hanno tolto. Il mio ragno urla di dolore, ha bisogno di soccorso, ci vuole un veterinario e io non posso aiutarlo. Vorrei abbracciarlo ma non posso. Non posso e mi fa tanto pena. Non ci riesco. Voglio che lui viva. Povero ragno, non ha fatto niente.
Non mollare, bellino. Coraggio. Sono qua. Sono qua. Se muori, non sarai da solo, sarò con te, fino alla fine.
Ci sono dei rumori, fuori. Gente. Veicoli armati. Come se fosse stato inviato l'esercito. Non lo so. Non capisco più. Spero che arriveranno presto. I miei rapitori se ne sono andati, mi hanno lasciato con la mia bestia che sta morendo. Mia povera bestia.
— Essessemme Tre, dispiegamento.
Vorrei tanto urlare. Chiedere aiuto. Dirgli che sono qui e che ho bisogno d’aiuto.
Ma è da un bel po’ che non riesco più a parlare correttamente. A comporre frasi, a pronunciare parole. Ho perso la voce a forza di urlare troppo di dolore e per l'essere malato, posso solo emettere pianti. E comunque sia, non mi crederanno per il mio ragno-cane; lo uccideranno pensando che sia un’aberrazione. E avrebbero ragione.
Ma non ha fatto niente.
— Essessemme Quattro, dispiegamento. Essessemme Sei, dispiegamento.
Il mio ragno urla di dolore. Scoppio in lacrime.
— Manu, prepara le tue armi, hanno una chimera.
Una voce forte. Sanno del mio ragno, lo uccideranno appena lo vedranno, sono qui per questo.
— Una chimera ferita, — risponde una voce femminile. Preparo i sedativi.
— Bella idea, Alessia. Non escludo il fatto che una chimera ferita sia ancora più aggressiva del solito.
— Di base una chimera del CFO è aggressiva. Magari qualcuno la sta addestrando.
Le loro voci si avvicinano. Costeggiano il muro, pensando nessuno li sentirà. Ma li ho sentiti.
— Ah, dai, è Galeazzo che sarà contento.
È il mio turno.
— Aiuto!
Provo ad urlare. Sperando che mi sentano.
— Aiuto!
Uso tutte le mie forze per chiedere aiuto. La mia gola brucia, è una tortura, ma devo continuare. Prego affinché mi sentano. Mi devono sentire.
— Lorenzo, c’è qualcuno con la chimera! — dice la donna —. Una vittima, forse un ostaggio.
Potrei quasi piangere di sollievo. Mi hanno sentito. Mi hanno sentito.
— Colonnello Facchinetti, richiesta di dispiegamento della SIR Tre! Ostaggio e chimera feriti, ripeto, richiesta immediata di dispiegamento della SIR Tre!
Non sento cosa dicono dopo, me ne frego. Ho ritrovato la speranza. I veicoli si avviano, coprendo le voci con i loro rumori. Sento i motori dei blindati, degli elicotteri. Spaventato, il ragno urla, strappando ancora di più il mio cuore. Non so cosa fare per rassicurarlo. I mortai mi fanno ancora più paura. Faranno esplodere la struttura. E noi con loro.
— Inviate C04! — Urla una voce nella stanza vicina.
Un grido orribile si fa sentire. Hanno mandato l'altro ragno sull'esercito.
— E cosa facciamo con gli ostaggi?
Come mai gli ostaggi?
Non sento la risposta. Solo i rumori di cilindri idraulici e passi pesanti sul suolo. Urla. Lamiera spiegazzata.
Cosa cazzo è sta battaglia? Chi cazzo è ‘sta gente, che cazzo sono 'ste macchine? Che cazzo ci faccio qui, voglio solo sopravvivere e salvare il mio animale. Aiutatemi, vi prego.
— Non mi hai detto che avevano due Centaurus!
Due cosa?
— Non lo sapevo!
È la voce del tizio con i capelli rossi. Sembra terrorizzato.
— Sei uno di loro!
— Non è vero!
Colpo. Corpo che cade. La battaglia inizia. Spero solo che non ci saranno esplosioni della struttura. Con la mia spalla sinistra, provo a premere sulla ferita, mentre con il mio braccio destro, quello non rotto, abbraccio la mia creatura. Sento i miei guardiani urlare, correre, la mia mente si perde nel rumore, gli ordini dell’esercito, delle essessemme-cosa, le essierre-cosa, la madre del mio ragno che urla, i cilindri idraulici, le mie stesse grida, i veicoli… Posso solo aspettare, aspettare l’arrivo dell’esercito, dei soccorsi che ci porteranno all'ospedale e dal veterinario.
È vero. Non sto sognando. È tutto vero, non potranno dire che mento, non invento niente.
— Essessemme Sei!
Urlo. Spaventato.
— Vi prego, aiuto!
Sono tre: due uomini, tra cui uno estremamente robusto, e una donna molto grande. Hanno tutti e tre un'uniforme militare. Quello robusto guarda la mia gamba. L’altro, più giovane e barbuto, guarda una foto. E parla in un walkie talkie.
— È lui. Inviate la SIR Tre.
Devo continuare a guardarli. Li fisso tutti e tre, accarezzando il mio ragno, provando a rassicurarlo. Un’altra squadra arriva, armata fino ai denti. Le armi puntate sul mio ragno che abbraccio più forte.
— Non uccidetelo, hon ha fatto niente!
Parlare è diventato una tortura. Posso a malapena articolare le parole.
— Leonardo Costa?
Annuisco. L'uomo robusto si abbassa.
— Sono il tenente Lorenzo Nuvolari, dell’esercito italiano.
— Non uccidete questa bestia. Vi prego. Non ha fatto niente.
— Non ho detto che lo uccideremo. Siamo qui per mettervi entrambi al sicuro.
Accarezzo la mia bestia. Provando a non piangere.
— Tenente Nuvolari, non voglio che lui sia ucciso, dopo. Non ha fatto niente. Per favore. Vi prego…
Nuvolari scuote la testa. Nel frattempo, altri militari arrivano, armati fino ai denti. Mi minacciano. Non mi muovo. Sono qui per liberarmi, non mi uccideranno.
— Non siamo qui per uccidere questa bestia, — mi dice Nuvolari. — Sia ora che dopo. I vostri rapitori creano queste bestie, noi le catturiamo e le mettiamo al salvo. Questa chimera è ferita, Alessia, è il tuo turno. Manu, chiama la SIR Tre.
La donna, chiamata Alessia, se capisco bene, si avvicina e inietta qualcosa al mio ragno mentre lo abbraccio con il mio braccio valido. E studia la ferita.
— Gli hanno sparato?
Annuisco tristemente. Nel frattempo, vedo un’altra squadra avvicinarsi. Vedo una barella. La squadra è condotta da una ragazza con i capelli scuri. Riesco a malapena vederla.
Il mio ragno non piange più. Respira ancora ma male, tanto male.
— Alessia… Aiutalo. Per favore.
Lei mi sorride.
— Faccio il possibile.
— Essierre Tre!
La barella e la squadra medica si avvicinano, guidata dalla ragazza. Alessia la guarda con speranza.
— Ah, Maia, eccoti! Ho bisogno di cerotti. Per un’animale con una ferita profonda. Agente Costa, può rimuovere la sua mano.
Obbedisco. È un medico, sa cosa fare.
— Non sanguina più. Posso mettere una benda. Ha fatto bene a premere contro la ferita.
Nel frattempo, la squadra medica mi si avvicina. La ragazza invia uno degli agenti a occuparsi del ragno e si avvicina a me, a fianco al tenente Nuvolari. Tremo. Inizio ad avere paura per me e a sentire molto dolore. Non riesco guardare cosa Alessia Palermo sta facendo al mio ragno.
— Tranquillo, mi dice la ragazza con una voce dolce. Va tutto bene. Sono un’agente medico, mi chiamo Maia Dellucci.
Ha circa 30 anni, come me, e dei capelli scuri. Chiudo gli occhi e sospiro. Piango ancora ma di sollievo. Sono sdraiato sulla barella. La Dellucci mi fa vedere un tutore, quello che mi metteranno alla gamba.
La testa mi fa male…
Chiudo di nuovo gli occhi. Mi mettono una coperta, dopo aver tolto la mia uniforme. Hanno messo il tutore alla mia gamba.
— È congelato, dice Maia Dellucci. Sarà portato presto all’ospedale. Nuvolari, va tutto bene per la sua squadra?
— Affermativo, agente Dellucci. Ci occupiamo dell’entità.
Metto la mano sulla pancia del ragno. Mi guarda.
— Sarai portato all'ospedale, gli dico a voce bassa. Verrai curato. Te lo prometto.
Vorrei tanto andare con lui. Tanto…
— Coraggio, ragno.
Un cerotto copre la mia guancia. E la mia fronte.
— Dove sta il capitano Stracci?
— Non ne ho la più pallida idea! Risponde Dellucci. Non so nemmeno dove sia il tenente Lombardi. Sono scomparsi e non rispondono alla radio, quindi ho preso il comando.
La barella avanza. Sono esausto. Sento il sole brillare.
— Silvio! - Urla Dellucci. - L’elicottero è pronto?
— Affermativo! Urla un’altra voce. È pronto, potete andare!
Le pale d’un elicottero iniziano a ronzare. Non sento nient’altro.
— Non abbiamo nessun altro da portare?
— Abbiamo colpito un sacco di agenti del CFO, - risponde un tizio di più o meno 45 anni. - Sa cosa deve fare, agente Dellucci.
Lei annuisce. Una barella gigante avanza. Aiutato dal tizio di nome Manu, il tenente Nuvolari solleva il mio ragno per metterlo sulla barella, avvolto nel lenzuolo. Alessia, la dottoressa Palermo, parla in un walkie talkie.
— Valentina, prepara l’elicottero. Abbiamo recuperato l’entità. Addormentata, l’ho sedata io.
Sento un’altra barella entrare nell'elicottero. È l‘agente che passava il tempo a guardarmi. È seriamente ferito, più seriamente di me. Non è cosciente e ha un tubo d’ossigeno nella bocca.
— Silvio, dovremmo avvertire il capitano Galeazzo che l’agente Mellucci è in gravi condizioni.
— Chiederò a Lombardi di farlo.
— Maia, Silvio, non decollate!
Due uomini salgono nell'elicottero, sopportando una donna con un occhio nero e gonfio. Essa sembra esausta e molto triste.
— Tenente Lombardi! Grida il gorilla che pilota l’elicottero. Cos'è successo?
— Ha provato a soccorrere il capitano. Non ci è riuscita, gli hanno sparato. Emilia è viva ma non il nostro capitano. Il suo corpo è stato recuperato dalla SSM-IV e sarà portato al sito Vittoria.
Silenzio totale per un tempo che mi pare lunghissimo. Ma non faccio rumore. Non dico niente, perché li capisco. Hanno perso il loro compagno, un uomo che apprezzavano e con cui hanno vissuto tante situazioni che stringono legami molto stretti. Non faccio rumore, anche se ho molto male. Devo rispettare la loro pena.
— Dovremmo avvertire la sua famiglia. - dice il pilota. - Lo farò io.
— No, dice la donna ferita. Non sono riuscita a salvarlo, devo farlo io. Per scusarmi.
Sento una forte vibrazione. L’elicottero si alza. A bordo è il silenzio. La tenente Lombardi è scioccata. Il suo braccio sinistro è seriamente ferito e sanguina molto. Viene immobilizzato con una stecca.
— Maia, se sapessi quanto mi sento incompetente… Non ho potuto salvare mio marito, non ho salvato il capitano…
— Emilia, hai fatto del tuo meglio. Ti prego, non buttarti a terra.
— Avrei dovuto fare di più. Ne ero capace.
— Sei troppo perfezionista, Emilia. - gli risponde l’agente Dellucci. - Dovresti sapere che, in quanto medico, non sei onnipotente. Non puoi salvare il mondo intero, anche se tu lo volessi.
Si avvolge in una coperta. Chiudo gli occhi. Penso ad Alberto, ucciso da questi mostri. Spero la Essessemme Tre abbia ritrovato il suo corpo.
— Agente Dellucci, tenente Lombardi, mi dispiace per il vostro capitano…
— Era un uomo straordinario. Grazie comunque per la compassione.
L’agente Dellucci prende il comando.
— Bianca, occupati dell’agente Mellucci, io mi occupo del carabiniere.
Sospiro ancora. Sollevato.
— Agente Dellucci? Mi dispiace ma ho una domanda…
— Dica.
Non riesco a non piangere.
— Vorrei sapere… Ero con il mio collega… Ma è morto… Il suo corpo…
— La Essessemme Tre ha trovato il corpo d'un carabiniere nella struttura principale, — spiega la voce del Tenente Lombardi. — L'hanno preso e portato con loro.
Sono un po' sollevato. Hanno trovato Alberto. Sarà restituito alla sua famiglia e sepolto. So quanto è importante per le famiglie sapere dove è il corpo.
— Grazie, tenente Lombardi.
Nel frattempo, sento altre voci nell'elicottero.
— Rapporto dell’agente Maia Dellucci, SIR-III, alla dottoressa Laura Zaffiro e al dottore Tommaso Passini— dice in un microfono.
Chi sono Laura Zaffiro e Tommaso Passini?
— Signore, riesce a parlare?
Scuoto la testa, la mia voce è molto debole.
— Leonardo Costa, giusto?
Annuisco. Lei sorride.
— Ok, sto facendo rapporto ai miei superiori mentre la portiamo all'ospedale. Recupero della vittima catturata dal CFO. Leonardo Costa, carabiniere romano. Molto debole. Gamba sinistra fratturata sotto il ginocchio, trauma alla testa, ecchimosi sul collo. Senza dubbio è stato torturato. Il suo stato fisico non permette una intervista più avanzata. Saremo al sito Asclepio fra tre ore. Vi portiamo anche l’agente Mellucci, della SIR-II, in uno stato grave, e il tenente Lombardi, il nostro superiore, colpita da un proiettile nel braccio. Le informo anche della morte del nostro beneamato Capitano Stracci.
SIR-II. 'Sto nome. 'Sto nome! Non lo sopporto più.
— Non la SIR-II! Per favore! Mi hanno torturato pensando che ne facessi parte!
Scoppio in lacrime, liberando tutta la mia tristezza, il mio dolore e la mia rabbia. Non lo sopporto più, mi fa troppo male. Fisicamente e mentalmente. Non ci credo. Sono con agenti della grande lavandaia puttana SIR-II e non si scusano nemmeno di avermi fatto tanto soffrire.
Prendo il telefono e aspetto. Non so realmente che dire, il testo che ripeto nella mia testa non servirà niente, forse non risponderà nemmeno, Costa ha detto che era incinta di quasi nove mesi, forse è già andata all'ospedale.
Non sono mai stata brava a parlare al telefono. Non so come iniziare.
Prima, devo mettermi meglio. Aggiustare la stecca, prendere medicamenti e bere un po'. Poi, calmarmi. Avere un tono calmo. Non è il momento di crollare ma non è neanche il tempo di fare una pausa, dato che se non lo faccio ora, non lo farò mai.
Perché nessuno ci insegna come annunciare simili notizie alle famiglie di quelli che non riusciamo a salvare? Perché non siamo preparati? Non ero pronta alla tristezza della moglie del mio superiore. Non ero pronta per questo sentimento di essere incompetente.
— Pronto?
Una voce triste.
Povera.
— Signora Costa?
— Sono io…
E dimentico il mio testo. Mi vedo al suo posto, quando Benedetto è stato ricoverato dopo l'incidente autostradale. E capisco il suo dolore. La sua pena. Ho ancora in mente i pianti della moglie del mio capitano quando l'ho avvertita della morte di suo marito. Non voglio mai più vivere questo di nuovo.
— Buongiorno. Sono Emilia Lombardi, medico di emergenza.
Inizia a piangere.
— Oh, no! No! Leonardo! Non mi dire che…
Piange. Devo rassicurarla prima che mi metta a piangere anch'io.
— Tranquilla, signora Costa. L'esercito e i primi soccorsi hanno appena portato suo marito nell'ospedale in cui lavoro. È vivo, benché sia seriamente ferito.
— È incosciente? Può parlare? Posso vederlo?
— È cosciente, anche se non riesce davvero a parlare: è esausto. Si è appena svegliato, lo dobbiamo lasciare un po' riprendersi.
— Non è solo esausto.
Non è nemmeno una domanda: lei sa e sa che io so; ero come lei quando sono arrivata all'ospedale per vedere Benedetto. E spero che l'agente Costa guarisca, al contrario di Benedetto.
— Ha ragione. È seriamente ferito.
— È scomparso per quasi una settimana. Non è normale. È stato catturato.
Il mio piccolo discorso non serve niente adesso. Ha capito tutto.
— Da dei trafficanti. Sono stati afferrati dall'esercito.
— Signora Lombardi, non mi interessa. Voglio sapere ciò che hanno fatto a Leonardo. E perché.
Non piange più. E non posso più mentire.
— L'hanno sequestrato. E…
— Torturato.
Emilia, sei una stupida. Non servi a niente. Non sei nemmeno capace di fare il tuo lavoro.
— Sì. Ha una gamba rotta e il suo volto è distrutto. È ammalato, esaurito, e riesce a malapena a parlare. È molto debole, la polizia non può interrogarlo.
— Voglio vederlo!
— Signora Costa, suo marito non può vedere nessuno, attualmente. Deve riposarsi. È stato ricoverato solo poco tempo fa, è ancora sotto osservazione dei medici. Ha bisogno di riposo.
— No! Ne ho bisogno! Voglio vedere Leonardo!
Mi alzo, come se lei fosse dinanzi a me.
Ma non è qui.
Emilia, sei davvero una stupida.
— Non può vederlo. Non glielo ripeterò. E anche lei dovrebbe riposarsi.
Sa che non lascerò perdere, non lascio mai perdere. Non ho potuto curare Benedetto, devo curare l'umanità. È il mio scopo. Ecco perché faccio questo lavoro.
— Signora Lombardi?
La voce è bassa, come se avesse paura.
— Sì, signora Costa?
— Leonardo non morirà? Ne è sicura? Non voglio dire a nostra figlia che suo padre… No, non posso, non posso…
Non mi lascia continuare.
— Letizia? Vieni qua, per favore…
Devo calmarla. Da quel che so, Letizia Costa è una ragazzina, ha sei o sette anni, non devo lasciare che sua madre le dia una simile notizia. Soprattutto una notizia falsa. Costa non è morto e non sono pronta a sopportare i pianti d'una bambina che pensa di aver perso suo padre.
— Signora Costa, suo marito sta bene. Si è appena svegliato, è ancora molto debole e seriamente ferito ma è vivo.
C'è un momento di silenzio.
— Può trasmettergli un messaggio?
— A suo marito? Certo. Quando sarà in grado di capire.
— È nato. Il nostro bambino. Un ragazzo. Si chiama Nicola.
Sorrido.
— Glielo dirò, tranquilla.
— Grazie. Spero che Leonardo sopravviva. Che i nostri bambini…
No. Non voglio ascoltare.
— Vi terrò informati.
— Grazie, signora Lombardi. Letizia, hanno ritrovato papa!
Fine della comunicazione. Mi siedo e sospiro. Sulla tavola, una foto attira il mio sguardo. Stefano. Nelle braccia di Benedetto. Ridono sulla spiaggia. Eravamo in vacanza vicino all’oceano, Stefano aveva nove anni.
Prima dell’indicente autostradale. Prima che Benedetto perdesse l’uso delle sue gambe.
Spero che Letizia Costa e il suo fratellino Nicola non vedranno mai loro padre su una sedia rotelle come Stefano vede suo padre da tre anni…
Il sole brilla. È la prima cosa che vedo. Mi fa male agli occhi ma me ne frego: mi fa tanto piacere vedere il sole! Sono in un letto e posso muovere le braccia. Almeno uno, l’altro, il sinistro, è rotto e ho un tutore.
Guardo sotto la coperta. Vedo un altro tutore alla mia gamba e tubi nella mia mano. Cazzo, sono davvero finito all'ospedale, alla fine?
Mi ricordo l’elicottero. L’agente Dellucci e la sua bella voce che mi parla e quel gorilla del suo collega. Mi ricordo la barella. L’agente segreto seriamente ferito. Il tenente Lombardi che piange. I due altri agenti e la dottoressa che mi hanno trovato.
Guardo intorno a me. Il letto è caldo, mi sento bene, anche se molto stanco. Sulla tavola, vedo un foglio con il mio nome, ma non riesco a leggere, non vedo abbastanza bene.
— Buongiorno!
Un dottore.
— Buongiorno.
— Come si sente?
Esito.
— Non lo so. In uno stato strano.
— Non provi a muoversi, agente Costa, soprattutto se non se ne sente capace. Ha la gamba e il braccio sinistro rotto e un serio trauma cranico. È rimasto incosciente per un sacco di tempo.
— Oh.
Ne ero sicuro.
— I carabinieri sono arrivati per interrogarla. È pronto?
Esito un attimo; non so se devo parlare del ragno. Del resto, sì, ma del ragno? Mi considereranno pazzo se ne parlo, ma devo parlarne. Ho saputo cose molto pericolose che la polizia deve sapere.
— Sono pronto, può farli entrare.
Esce per avvertirli. Mi preparo. Devo riflettere su ciò che dirò.
— Buongiorno.
Muovo lentamente un braccio per fare il saluto militare. Non posso mettermi sull'attenti, sono troppo debole. L’uomo che è appena entrato nella mia stanza è un vero gorilla, peggio del collega di Dellucci, con una voce da metallaro, sembra la stessa del cantante dei Rammstein. Due metri di altezza per almeno 100 chili, forse di più. Circa 45 o 50 anni, capelli neri rasati sui lati della testa, lunga barba nera, occhi verdi. Indossa un'uniforme differente da quella dei carabinieri e e ha dei tatuaggi sulle mani.
— Agente Leonardo Costa?
Ha un accento che non saprei identificare. Annuisco comunque.
— Sono io.
— Buongiorno. Capitano Francesco Galeazzo, arma dei carabinieri. Sono qui per parlare della sua cattura, mi hanno detto che è pronto. Ovviamente, potrà fermarsi quanto lo vorrà e prendersi il tempo necessario per parlarmi della sua storia.
Tremo. Non so se di freddo o di paura.
— Sono pronto. Ma…
— So di questa storia del ragno gigante.
Non sono rassicurato.
— L'ho davvero visto. Non era un sogno, lo giuro. Non sono pazzo.
— Non l’ho mai detto né pensato, agente Costa. Anche altre persone di cui mi fido ciecamente l'hanno visto.
— E non lo trova strano?
Galeazzo scuote la testa.
— Le aberrazioni esistono, agente Costa. E lo ripeto, anche molti soldati e soccorritori l’hanno visto.
Ho difficoltà a credergli. Mi dice che è normale per lui ma so che non lo è, non è possibile. Ho sognato. O era un delirio. Avevo la febbre, ero esaurito, ho avuto numerosi deliri.
— No. No, non può credermi. Non ho visto niente. Dimentichi tutto. Tutto.
Galeazzo si siede sulla sedia vicino al mio letto.
— Ok, devo dirle la verità. Non sono un carabiniere, sono il capo d’una squadra che fa parte di una… organizzazione che individua creature anomale. Cosi, un ragno cane gigante non mi stupisce davvero.
Scuoto la testa.
— No. Non è possibile.
Mi mostra una foto. Il ragno-cane su un lenzuolo, con dottori intorno a lui.
— Vede?
Prendo la foto. So come trovare i Photoshop, sono molto bravo a farlo.
E non vedo niente. Niente di niente. Non è un Photoshop.
Non ho sognato? Galeazzo non mi sta mentendo?
— Vedo… Come va?
— La coordinatrice delle squadre veterinarie deve telefonarmi per dirmelo, non lo so ancora.
Mi ricordo allora di qualcosa.
— Capitano Galeazzo, fa parte della Fondazione SCP?
— Ne ha sentito parlare? — chiede lui, sorpreso, nascondendo con difficoltà la sua ansia.
L’ho scoperto. Lo sapevo.
— Ne parlavano. Volevano lanciare il ragno sulla Essessemme qualcosa, non ho capito.
Lo fisso negli occhi. Ho bisogno di sapere. Di capire. Di avere una risposta. Alla fine.
— Capitano Galeazzo, cos'è la SIR-II?
Esita un secondo di troppo.
— Non è niente.
Se avessi potuto alzarmi, l’avrei strangolato. L’avrei ammazzato. Non sono nemmeno orgoglioso di aver scoperto cosa fa lui, cos'è la Fondazione SCP, non sono nemmeno sollevato di aver ottenuto risposte alle mie domande.
— È la sua squadra! Pensavano che fossi uno dei suoi agenti! Sono stato stordito, catturato, trattenuto in ostaggio e torturato perché pensavano che io fossi uno dei suoi agenti! Pensa che sia normale? Pensa che sia divertente? Non so se potrò camminare di nuovo, giocare a calcio con i miei figli e fare delle passeggiate per Roma con mia moglie! È colpa sua e della sua maledetta squadra! Tutta colpa sua!
Galeazzo non ha paura. Non sarò io con i miei 45 chili a mettergli l'ansia, faccio meno della metà del suo peso e 50 cm di meno. Inoltre, è molto più vecchio di me.
— Agente Costa, sono come lei, anche io odio queste persone. La mia squadra lavora per trovarli e la Essessemme di cui parlavano è sicuramente la Quattro, addestrata a catturarli. Vogliamo specialmente catturare il loro capo.
— Il Dictator?
— Esatto. E la dittatura la conosco, sono cresciuto in Serbia. Non lavoriamo con loro, ma contro di loro.
Continuo a fissarlo.
— Non mi pare per nulla serbo.
— E non lo sono: sono sanmarinese. Ma sono cresciuto in Serbia. Comunque sia, vi assicuro che lottiamo contro queste persone. Che non è stato usato da me per trovarli. Lei e il suo collega volevate infiltrarvi in una fabbrica sospettata di ospitare un traffico di animali. Facevate il vostro lavoro di carabinieri. Loro hanno creduto che foste due dei miei agenti travestiti da carabinieri.
E a causa di questo, ho perso la mia dignità, la mia mente sana e il mio lavoro. Nello stato fisico in cui sono, non potrò mai superare gli esami per tornare nell’Arma.
— Hanno visto la mia uniforme. Sapevano che sono carabiniere, lo sapevano perfettamente.
— Molti agenti della mia squadra fanno finta di essere poliziotti o carabinieri. Infatti, alcuni sono infiltrati e sono davvero poliziotti o carabinieri. Hanno pensato che fosse un agente infiltrato o travestito.
Che confusione. Che gran confusione. Mi hanno catturato, torturato, hanno provato ad uccidermi, perché si sono sbagliati. Si sono sbagliati. Sono una vittima collaterale, è l’unica spiegazione? L’unica cosa che mi diranno? Ero al posto sbagliato al momento sbagliato e basta?
Scoppio in lacrime.
— Allora è colpa vostra. Sua e della sua squadra. Cosa farò se riesco ad uscire di quest’ospedale? Se non posso camminare? Se non posso ritrovare un lavoro?
Galeazzo non risponde. Non sa cosa dire. Scusarsi non farà altro che rendermi furioso, non dire niente avrà lo stesso effetto, non trova cosa dire. Lo fisso ancora per un po' ma non mi risponde. La porta si apre sul tenente Lombardi, che ha messo vestiti civili. Vedo i cerotti sul suo collo e il suo braccio immobilizzato.
— Salve, Francesco.
— Salve, Emilia. — risponde Galeazzo. — Devo uscire?
— È una novità abbastanza importante e privata, quindi sì.
Noto allora il suo accento. È di Catania, come Sofia. Si sente molto.
— Ah, Francesco, prima di andartene: cosa gli stai chiedendo?
Galeazzo sembra a disagio.
— Emilia… ha capito tutto. Ci ha scoperti. Non ho potuto mentire…
Lombardi mi guarda. Quasi spaventata. E dà qualcosa a Galeazzo. Qualcosa che non vedo.
— Non ti preoccupare, Francesco, abbiamo sempre qualcosa per risolvere questo tipo di problema. Gli darai questo.
Piccola musica. Galeazzo si alza e prende il suo cellulare.
— Grazie Emilia. Ah, Giulia, salve! — lo sento dire prima che esca dalla stanza.
Il tenente Lombardi lo guarda andarsene e poi si gira verso me. Aspetto che mi dica perché è qui e cos'è quella cosa che ha dato a Galeazzo.
— Buongiorno, agente Costa.
— Buongiorno, tenente Lombardi.
Sorride.
— Vedo che si ricorda di me. Ho telefonato a sua moglie per avvertirla che è vivo e vigile.
Sofia!
— Come va? È incinta, nostro figlio nascerà presto! Povera, ho tanto paura per lei!
Lombardi mi fa un bel sorriso. Dimentico la mia domanda riguardo a "qualcosa per risolvere questo tipo di problema" che lei ha detto.
— È il 28 dicembre. La Essessemme Quattro l'ha trovata il 26. Da due giorni è il padre di un bambino chiamato Nicola. Non gliel'abbiamo detto ieri perché era incapace di capire cosa le dicevamo e abbiamo preferito lasciarla riposarsi.
— Quindi è nato? Il 26 dicembre?
Lombardi annuisce. Per la prima volta da giorni, sono felice. Ho voglia di piangere. Sofia l’ha fatto. Avrei solo voluto essere là. Per lei. Per aiutarla. Per vedere nostro figlio. Prenderlo nelle mie braccia. Ora, voglio uscire. Recuperare le forze e uscire. Tornare a casa. Vederli tutti e tre. Sofia, Letizia e il nostro piccolo bambino. Il mio piccolo Nicola.
— E come stanno?
— Bene, da quel che so. Molto bene.
Sospiro, sollevato. Vedrò mio figlio crescere.
— Grazie per avermelo detto, tenente Lombardi.
Sorride.
— Ci vuole almeno una buona notizia, agente Costa.
La fisso. Ho un'altra domanda.
— Tenente Lombardi, vorrei sapere una cosa.
— Mi dica.
— Nel complesso industriale, uno dei miei rapitori aveva un atteggiamento strano. Poco prima del vostro arivo, mi ha avvolto in una copertura e mi ha detto "sono nei due campi". E poi l'avete portato nello stesso elicottero di me. È un uomo con i capelli rossi, una barba e degli occhiali. Non ho capito il suo atteggiamento
Lombardi annuisce. Ha capito.
— Il capitano Galeazzo ve l'ha detto, la sua SIR ha degli agenti infiltrati nelle nostre organizzazioni rivali. Quest'uomo con i capelli rossi è uno di questi agenti. È nei due campi ma solo noi lo sappiamo, il CFO non lo sa.
Oh…
— E che fine ha fatto?
— È seriamente ferito ma sembra scagionato. Per il momento.
Mi sorride di nuovo.
— Altre domande?
— Non per il momento. Grazie, tenente Lombardi, grazie per avermi avvertito per la nascità di mio figlio.
— Prego. Almeno le solleva un po il morale.
Galeazzo entra di nuovo, seguito da una donna bassa dai capelli neri corti, con un piercing nel naso e smalto arancione. Lei sorride.
— Salve, Giulia! — dice il tenente Lombardi. Sei arrivata, alla fine?
— Salve, Emilia! Si, sono arrivata. Era un fottuto casino.
Mi guarda. Non so se lei sia triste o felice.
— Agente Costa?
— Sono io.
— Piacere. Dottoressa Giulia Rossetti, sono veterinaria e io e la mia squadra ci siamo presi cura dell'animale che era in stanza con lei.
Il mio cuore batte ancora più forte. Ho paura di nuovo. Paura di ciò che mi dirà.
— Come va? È riuscita a salvarlo?
Mi si avvicina e mi mostra un video sul suo cellulare. In una piccola stanza, il ragno-cane è sdraiato su un lenzuolo, un respiratore sul muso. Vedo un equipaggiamento medico. Sullo schermo di una delle macchine, linee che si muovono. Tocco lo schermo del cellulare. Pronto a piangere di nuovo, aspettando la brutta notizia.
— È li. Povero… Gli volevo tanto bene…
La dottoressa Rossetti sorride.
— Ci vorrà ancora tempo ma è vivo, agente Costa. È vivo.
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