Non È uno Scherzo
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Jerry spazzava il pavimento del corridoio, mentre gli addetti alla sicurezza stavano a guardare. Prima era il lavoro del signor Henderson, ma poi la sua cacca era diventata luminescente, quindi l'avevano rinchiuso nella cella 14. Avrebbero dovuto farlo le guardie, invece lo facevano fare a lui, in cambio di fogli e matite. Arrivò l'uomo urlante, che strillò:

«Buongiorno, Jerry!»

«Buongiorno, signor Stewart»

«Spero che oggi sia una bella giornata!»

E l'uomo urlante ricominciò a gridare a squarciagola, senza parole. Non smetteva mai di strillare, anche se non sembrava importare molto cosa gridasse. Le prime notti dopo che era arrivato, nessuno riusciva a chiudere occhio.

Jerry era contento che fosse il giorno delle pulizie: significava che non ci sarebbero stati esperimenti. Mentre passava davanti alla cella 8, l'uomo col vestito a righe nere e bianche allungò il braccio oltre le sbarre e gli porse un biscotto, una parte del suo pranzo. Jerry lo prese con riconoscenza e l'uomo alzò il pollice. Era muto, ma era comunque uno dei pochi amici di Jerry.

Dopodiché, il ragazzo spazzò con cura intorno ai bordi del cerchio del diavolo. Guardare l'essere all'interno del cerchio gli faceva male agli occhi. A volte sussurrava cose, ma Jerry non riusciva mai a capirlo. Ne era lieto. Gli altri dicevano che faceva le promesse più terribili. Alla fine, giunse quasi alla fine del corridoio. Un paio di occhi tormentati dietro un lungo naso rotto fissò Jerry.

«Tu! Ragazzo!»

«Sì?»

Jerry cercava sempre di essere gentile con gli altri soggetti. Non aveva altri amici.

«Chiama aiuto! Imbroglio dei cospiratori mafiosi! Gli uomini Dracula da Venere sono una minaccia costante, dobbiamo essere avvertiti!»

«Ci ho provato, signor Decray. Ho provato a chiamare la polizia. Sono andati via tutti e mi hanno messo nel cassone perché non ero ancora tornato in cella»

Si riferiva a quando avevano tolto il telefono nella sala pausa delle guardie.

«Non ci vuole la polizia, è troppo grande! Vessatori mafiosi cospiratori fascisti! Chiama il 555-727-7560! Premi il tasto 5 e di' "allarme baro" per salvare il mondo. Allarme baro!»

«Non ho un telefono»

Jerry avrebbe davvero voluto che il signor Decray smettesse di gridare. Era meglio quando c'era silenzio, per quanto silenzio potesse esserci con l'uomo urlante. Non si arrabbiava nessuno. A volte, addirittura, non portavano di sopra nessuno per un pezzo.

«Allora trovane uno! Ricorda: 555-727-7560! Tasto 5 e allarme baro!»

L'uomo provò ad afferrare Jerry, ma era troppo lontano di qualche centimetro. Jerry fece qualche passo indietro e disse:

«Me lo ricorderò»

Era meglio assecondarlo: non poteva uscire, ma poteva strillare, e bastava un solo urlatore. Inoltre, non era colpa del signor Decray se si era ridotto così.

«Non sono pazzo! 555-727-7560! 555…»

La voce dell'uomo si interruppe, quando uno spruzzo d'acqua lo investì in piena faccia. Una delle guardie mise giù la pompa e disse:

«Basta così. Non costringermi a metterti nel cassone»

L'uomo farfugliò un po', ma poi soffocò le parole e si rannicchiò nella cella. A Jerry dispiaceva per lui. Era quasi normale, quando le guardie l'avevano portato lì, ma dopo qualche sessione col signor Greenberg, quella era una delle sue giornate migliori. Jerry finì di spazzare il pavimento e una delle guardie prese la scopa. Mentre Jerry tornava nella sua cella, sentì una voce ribelle che sussurrava:

«Tasto 5 e allarme baro!»

Jerry si sedé sul suo letto a castello. Lui dormiva nel letto di sotto, Duncan in quello di sopra. A volte Duncan era un gatto, ma in quel momento era un uomo. Gli chiese:

«Come sta la combriccola?»

«Stanno bene. Il signor Quiet mi ha dato un biscotto»

«È una brava persona»

«Hai qualche problema per me?»

«Sì. Tira fuori la carta»

Jerry sfilò dei fogli e una matita da sotto il letto.

«51 per 14, 714 diviso 6 e… uhm… la radice quadrata di 1156»

Ci fu una trasformazione e, adesso, Duncan era un gatto; saltò giù per guardare Jerry. Quelle operazioni erano difficili, ma lo aiutavano ad ammazzare il tempo. La porta si aprì ed entrò un uomo alto e corpulento. Sogghignò e scoprì i suoi dentri triangolari da squalo. Era Rodriguez, il capo della sicurezza. Ringhiò:

«Nella sala pausa, subito»

Jerry si alzò in fretta. Duncan si sarebbe occupato di mettere via i fogli. Non voleva far arrabbiare il signor Rodriguez, anche se tanto era arrabbiato di solito. Seguì la guardia nella sala pausa. Qualcuno aveva rovesciato un vassoio di caffè. Jerry andò a prendere il secchio e lo straccio. Iniziò a pulire. Rodriguez imprecò:

«Cazzo, c'è bisogno di me nell'ufficio. Ti conviene finire prima che torni, merdina»

Non ci volle tanto. Mentre Jerry metteva via secchio e straccio, si accorse che qualcuno aveva lasciato il telefono sul tavolo. Esitò per un attimo, poi lo prese e compose il numero dettato dal signor Decray. Gli rispose la voce di un uomo:

«Le pizze e i calzoni di Sal, buongiorno. Sono Sal»

Jerry ebbe un tuffo al cuore. Il signor Decray era pazzo, dopotutto.

«Pronto? C'è qualcuno?» chiese Sal.

Jerry decise che voleva almeno poter dire al signor Decray che aveva fatto ciò che aveva chiesto. Avrebbe potuto farlo felice. Così premé il tasto 5 e sussurrò:

«Allarme baro»

Chiuse il telefono e lo stava rimettendo sul tavolo, quando una mano lo afferrò per la collottola e lo sbatté sul tavolo.

«Chi hai chiamato, stronzetto? Chi hai chiamato?»

Rodriguez gli schiacciava il braccio con tanta forza che Jerry iniziò a piangere. Il ragazzo cercò di puntare i piedi, mentre il capo della sicurezza gli torceva il braccio.

«Nessuno, stavo solo…»

«Non mentirmi! Vuoi finire nel cassone? È questo che vuoi?»

Rodriguez prese il telefono con l'altra mano, premé alcuni tasti e rimase in ascolto. Poi lo richiuse e, in tono sprezzante, chiese:

«Stavi provando a ordinare una fottuta pizza? Merdina. Torna in cella»

Jerry fu sollevato di peso e spinto nel corridoio. Tornò nella sua cella di corsa. Usò il suo lenzuolo come tenda; Duncan si sedé e gli raccontò delle storie finché Jerry non si sentì meglio.


«Abbiamo una chiamata. È una facciata nota al professor Decray, ma siamo quasi certi che non sia stato lui a telefonare»

«Rintracciatela»


Era il giorno degli esperimenti e Jerry fu strattonato fuori dalla cella in malo modo. Non si oppose: avrebbe solo peggiorato la situazione. Rodriguez lo spintonò su per le scale, fino al laboratorio del signor Greenberg. C'erano strumenti di vetro dappertutto, ma Jerry non aveva mai visto il signor Greenberg farci nulla. Però il becco di Bunsen era stato usato. Il signor Greenberg era seduto alla sua scrivania e stava lisciando il suo unto pizzetto castano.

«Sei in ritardo, Rodriguez. Sai quanto tengo alla puntualità, eppure non riesci a connettere due neuroni per ricordarti di arrivare per tempo»

«Mi scusi, dottor Greenberg»

Gli occhi del signor Rodriguez avevano lo sguardo vitreo che aveva la maggior parte delle persone, quando parlavano col signor Greenberg. A volte Jerry ne era incuriosito. Tutti gli altri, persino le altre cavie umane, avevano problemi a contraddire il signor Greenberg o a fare cose che non voleva. Non ne avevano paura, non potevano e basta. Su Jerry non funzionava. Si chiedeva se fosse solo perché non sapeva abbastanza. Il signor Greenberg continuò a lamentarsi:

«Non puoi immaginare quanto sia esasperato in questo momento. Il Gruppo Anomalo Greenberg è l'avanguardia dell'impresa umana e tu non sai rispettare una semplice tabella di marcia. A volte mi chiedo perché ti ho tirato fuori dal cerchio»

Le dita di Rodriguez si tesero. Si agitava sempre, quando si faceva menzione del diavolo. Quando il signor Rodriguez si agitava, si agitava anche Jerry. Il capo della sicurezza tendeva a sfogarsi su chiunque fosse più piccolo di lui.

«Ora, soggetto Cinque, cosa si deve fare con te? Parla, subito»

«Niente, signore»

Jerry voleva solo tornare in cella. Ma sapeva che non gliel'avrebbero concesso, finché non gli avessero fatto qualcosa, un esperimento di qualche tipo. Sperava che durasse poco. A volte ci volevano pochi secondi, poi poteva andarsene. Però rendeva il tutto ancora peggiore, perché non sapeva mai quanto ci sarebbe voluto. A volte, dover sperare era una cosa terribile.

«Niente? Ma dobbiamo fare qualcosa. Non ti rendi conto che sei una minaccia per l'umanità? Un pericolo per le realtà stesse della natura? Devi essere studiato, dobbiamo svelare i tuoi segreti. Sei un enigma e sarai decifrato»

Jerry non disse nulla. Si limitò a fissare il pavimento e aspettò che il signor Greenberg decidesse cosa fargli quel giorno. Lo scienziato tirò fuori un bisturi e dichiarò:

«Cominciamo con un esperimento semplice. Che ne dici se mettiamo alla prova le tue proprietà rigenerative? Sollevagli il braccio, Rodriguez»

Jerry si oppose alla stretta dell'uomo tarchiato, ma non poteva competere con l'adulto.

«Ora una semplice incisione. Così»

Il coltello lacerò il braccio di Jerry e aprì un altro taglio.

«Ora stiamo a guardare»

Jerry si morse il braccio, mentre guardava il sangue scorrere lungo il suo braccio. Si concentrò sulla ciotola in cui lo raccoglievano. Sperava che non gli facessero altro: faceva male, ma niente di più. Rodriguez chiese:

«Signore, per quanto ancora continueremo così? Sono anni che lo fa. Sanguinerà, poi avrà una ferita, proprio come tutte le altre volte»

Jerry sapeva che a Rodriguez non importava del suo dolore. Ma la guardia si lamentava sempre di dover portare le cavie umane su e giù per le scale.

«Rodriguez! Stai criticando la mia tecnica? Forse ti piacerà un altro incontro con l'entità diabolica di classe quattro!»

Gli occhi del signor Greenberg si illuminarono. A volte succedeva, quando si innervosiva.

«No, no, dottor Greenberg. Farò il bravo»

Jerry non vedeva il volto della guardia, ma si compiacque della sua paura. Rodriguez era crudele quando si agitava, ma quando si spaventava era troppo impegnato a rabbrividire per scagliarsi sugli altri. Forse non l'avrebbe più chiesto per settimane.

«Ora sembra che non succeda niente, ma cosa scopriamo se asciughiamo il sangue? Che non succede niente. Perché mi frustri così, soggetto Cinque? Sappiamo che sei anomalo, ma ti rifiuti di collaborare»

«Mi dispiace»

Avrebbe voluto fare come voleva il signor Greenberg. Forse, allora, avrebbe smesso di fargli male e l'avrebbe lasciato in cella. Gli altri venivano a malapena messi alla prova.

«Non ti dispiace abbastanza. Nel prossimo esperimento, stabiliremo come reagisce il soggetto all'annegamento simulato. Rodriguez, legalo alla lettiga, mentre preparo la pompa. Dopodiché, procederemo con alcune verifiche cognitive»

Le lacrime iniziarono a rigare le guance di Jerry, ma il ragazzo non protestò. Sapeva per esperienza che non sarebbe stato d'aiuto.


SCP-105 aveva voglia di affondare il più possibile nella sua sedia. Non si sentiva pronta ma, dopo due mesi di addestramento, l'agente Adams le aveva dato il via libera e al Comando O5 era bastato. Ai vecchi tempi, avrebbe potuto tirarsi indietro, lasciar scoprire i dettagli agli altri e fare qualunque cosa le ordinassero. Ora doveva gestire la missione di persona. Raddrizzò la schiena e provò a sembrare professionale. Davanti a lei e agli altri presenti, stava in piedi un agente di spionaggio con un telecomando in mano, mentre faceva scorrere le diapositive proiettate sullo schermo.

«L'edificio ha tre piani. Greenberg abita all'ultimo piano e i suoi uomini abitano agli altri due. Crediamo che il professor Decray sia prigioniero nel seminterrato, assieme all'individuo che ha telefonato»

«Cosa sappiamo della chiamata?» chiese la direttrice Light.

«Crediamo che sia stato un bambino. Un adolescente al massimo, più giovane se era un maschio. Non ci sono abbastanza dettagli per capire altro»

Uno degli agenti domandò:

«Abbiamo una piantina dell'edificio? Saranno pur stati registrati i progetti»

«Quando Greenberg ha comprato i terreni, era alto un piano. Era una casa colonica. Visto che non ci sono registri di un'espansione o una ristrutturazione, crediamo che sia stato alterato dai poteri di Greenberg»

«Quindi non abbiamo idea di cosa ci sia laggiù» commentò Sophia.

«Esatto, signora. Potremmo provare con le letture sismiche, ma in tutta onestà, così rischieremmo di allertarli. Inoltre, non sappiamo neanche se è una creazione o una manifestazione attiva»

«Cosa?» chiese Iris.

Appena gli sguardi di tutti si puntarono su di lei, SCP-105 arrossì e balbettò:

«Volevo dire, potrebbe spiegarmi la differenza, per favore?»

L'agente di spionaggio annuì:

«Ma certo. In gergo, una creazione è una riconfigurazione della materia. Immagina un lembo di terra: il manipola-realtà sposta tutta la terra e rimane un buco. Questa modifica della realtà è permanente: quando il suo creatore smette di concentrarsi su di essa, c'è ancora un buco»

«E una manifestazione attiva?»

«Le manifestazioni attive sono più che altro… il manipola-realtà non sposta la terra, proietta solo nuovo spazio dove vuole il buco. Dura finché vi si concentra. Se si scava accanto al punto in cui dovrebbe trovarsi, vi si passa attraverso senza trovare mai il buco»

SCP-105 alzò un sopracciglio:

«Oh! Sembra molto più faticoso. Perché non usano le creazioni e basta?»

L'agente non si stupì di quella domanda, come se gliela chiedessero spesso:

«Alcuni non sanno di poterlo fare. Altri ritengono più facile modificare una manifestazione, invece di ritoccare la creazione ogni volta»

Iris ebbe un dubbio:

«Che succede al buco, se il manipola-realtà muore?»

L'agente di spionaggio trasalì:

«Se è una creazione, non succede niente. Se è una manifestazione attiva, non ci si deve trovare nel buco quando il suo creatore muore. Ci si potrebbe ritrovare accanto al buco, seppelliti dove avrebbe dovuto trovarsi o svanire nel nulla»

Uno degli altri agenti commentò:

«Potrebbe essere un problema, se dovremo entrare nel buco per trovare Greenberg»

«Lascia la tenuta una volta alla settimana per "mantenere i contatti con le autorità governative locali", vale a dire una conferenza a porte chiuse col sindaco e la giunta comunale, seguita da una riunione con un chimico del posto. Condurrete la vostra operazione mentre sarà via. Isoleremo la linea telefonica della tenuta, mentre voi entrate e tirate fuori dalla proprietà tutte le persone e gli oggetti d'interesse. Affronterete Greenberg sulla via del ritorno»

«Ha senso» annuì SCP-105.

Iris era contenta che se la sarebbero vista con Greenberg dopo le sue guardie e prigionieri. Faceva sembrare il lavoro più gestibile.

«Come ci arriveremo?» domandò.

«Scavalcherete la staccionata. Hanno delle torri di guardia, ma sembra che non abbiano abbastanza addetti per tenerle presidiate. Non prevediamo una strenua resistenza, ma non abbassate la guardia»

C'era qualche altro dettaglio: le frequenze delle comunicazioni, le eventualità e così via, ma alla fine il piano che studiarono aveva basi solide.


Il giorno prima dell'operazione, Iris ebbe la sensazione di stare per vomitare. Aveva già fatto cose del genere, ma non era mai stata al comando. Era sempre toccato a qualcun altro. A volte ad Abele, a volte al loro addestratore. Ma adesso era lei quella che prendeva le decisioni e dava gli ordini.

«Sei in ansia?» le chiese Andrea.

L'agente Adams indossava di nuovo la tuta, anche se aveva rimosso i pezzi rossi luminosi e aveva coperto la superficie semilucida con un rivestimento opaco. Nessuna delle due modifiche sembrava intaccare affatto le prestazioni della tuta. SCP-105 fece un respiro nervoso:

«Si vede?»

Andrea sorrise:

«Solo quando ti guardo. Rilassati: è una passeggiata. Greenberg mostra tutti i segni di un manipola-realtà di basso livello. Gli addetti allo spionaggio hanno pianificato l'operazione dall'inizio alla fine e, nonostante quello che hai sentito, di solito il piano funziona almeno fino al secondo o il terzo contatto col nemico. A volte il quarto»

«Buffo»

Iris la sapeva lunga sui piani.

«Te la caverai. Sul serio. Sarò appostata in disparte, se le cose vanno storte. La tua squadra sa il fatto suo. E chiediti questo: c'è qualche possibilità che vada peggio di…»

«No»

SCP-105 si rese conto che l'agente Adams aveva ragione: non importava cosa succedeva, non era il peggio che poteva accadere. Quello era già successo. Andrea annuì:

«Puoi farcela, cara. Vai a spaccare i culi»

Diede una pacca sulla spalla di Iris, poi imbracciò il fucile e trottò verso l'armeria.


Jerry osservava guardingo, mentre il signor Greenberg varcava la soglia del corridoio delle cavie. Doveva stare in piedi su una sedia, per vedere attraverso le sbarre, ma odiava non sapere cosa stava succedendo. Avrebbe dovuto essere una notte senza esperimenti.

«Rodriguez, vado a discutere sulla questione dei fondi con la giunta comunale. Per favore, accertati che la zona sia sicura. E pulita»

Lo aggiunse dopo aver dato un'occhiata al corridoio e aver fatto una smorfia disgustata. Jerry tirò un sospiro di sollievo: non sarebbe andato di sopra. La guardia puntò lo sguardo su Jerry e disse:

«Sì, dottor Greenberg»

«Oh, e manda un contingente di guardie a perlustrare il perimetro, così avranno qualcosa da fare»


Quella notte, SCP-105 si ritrovò rannicchiata a circa un chilometro dalla struttura di Greenberg con trentadue dei suoi nuovi amici più cari.

«Signora, abbiamo la conferma che Greenberg ha oltrepassato il perimetro» disse l'agente Jiang.

Era il suo secondo in comando. Conduceva operazioni sul campo da più di dieci anni e aveva trascorsi immacolati. In tutta sincerità, era un bambinaio. Aveva chiarito di non avere intenzione di assumere il comando, a meno che le cose non andassero malissimo, ma che l'avrebbe avvisata se avesse fatto un casino. Le ricordava l'agente Lopez. Le mancava l'agente Lopez: l'aveva sempre fatta sentire al sicuro.

«Grazie, Jiang. Aspetteremo mezz'ora, poi ci muoviamo»

«Hai qualcosa da dirci, prima?»

Iris fece un respiro profondo e annuì. Se voleva essere una caposquadra, doveva comportarsi come tale. L'agente Jiang fece segno a tutti di adunarsi.

«Va bene, squadra. Sapete cosa dobbiamo fare. Occupiamo l'edificio una stanza alla volta. La maggior parte delle guardie sta ai piani superiori, quindi liberiamo quelli per primi, poi scendiamo nei sotterranei»

Guardò gli agenti. Indossavano giubbotti antiproiettile e la maggior parte imbracciava fucili d'assalto. Alcuni avevano un equipaggiamento diverso: cose come asce, piedi di porco e un ariete portatile con un teschio dipinto sopra. Si erano tutti voltati per guardarla. Alcuni di loro sembravano ascoltare con attenzione, altri non parevano prenderla del tutto sul serio.

«Sapete tutti chi sono. Forse pensate che non dovrei essere qui ma, per il momento, dirigo questa operazione. Se a uno di voi non piace, dovreste richiedere una riassegnazione. Ci sono domande?»

«Sembra ottimo, Iris» commentò un agente.

SCP-105 lo riconobbe: era l'agente Jackson. Qualche anno prima, era stato uno dei suoi sorveglianti. L'agente Jiang tossì per apostrofarlo e Iris fissò il giovane con un freddo sguardo di rimprovero.

«Ehm… volevo dire, agente Thompson, signora»

Sembrava che volesse rinchiudersi nel suo DPI come una tartaruga nel guscio. L'agente Jiang dichiarò:

«D'accordo, squadra, allacciate le cinture. Ci muoviamo tra venticinque minuti»


Non si presero la briga di scavalcare la staccionata: un paio di tagliabulloni aprì un buco in meno di un minuto, dopodiché tutti vi strisciarono attraverso. L'uomo di punta alzò le dita e tutti si accucciarono tra i cespugli; si stava avvicinando qualcuno. Era un gruppetto di persone che discutevano. Una prima voce chiese:

«Dite che pioverà?»

«Spero di no. Se piove, sarà una nottataccia per pattugliare» rispose un'altra voce.

«Be', di certo la pioggia non aspetterà una notte più comoda»

«Non ho detto che avrebbe aspettato. Dico solo che sarebbe un peccato, ecco tutto»

Intervenne una terza voce:

«Il vero peccato è che siamo stati scelti noi. Perché noi, fra tutte le guardie?»

«Non so te, ma credo che Rodriguez ce l'abbia con me da quando guardavo quel documentario sugli squali» disse la prima voce.

«Secondo me è troppo sensibile. Non tutto riguarda lui»

La seconda voce replicò:

«Prova soltanto a dirglielo. Quell'idiota pensa che… avete sentito qualcosa?»

SCP-105 tenne in mano la fotografia e aspettò che finisse di svilupparsi. Le guardie si stavano voltando verso di lei, quando la prima inciampò. La seconda avvertì un tocco sulla sua spalla, poi alla terza fu calato il cappello sugli occhi. Gli agenti della squadra speciale mobile le tramortirono, legarono e imbavagliarono prima che capissero di essere sotto attacco. Far scattare l'otturatore le sembrava la cosa giusta; infilare la mano nell'istantanea le sembrava la cosa giusta. Ogni volta che usava i suoi poteri, si sentiva di nuovo se stessa. Trovava ironico che la cosa che la faceva sentire "Iris Thompson" più di tutte era la stessa cosa che l'aveva fatta denominare "SCP-105".

Cinque agenti rimasero indietro per fare la guardia, mentre gli altri avanzarono verso una porta laterale. La squadra fece breccia senza il minimo sforzo: avevano fatto cose simili in ogni sorta di struttura. Non era una novità. Persino Iris l'aveva fatto qualche volta sebbene, nelle sue esperienze precedenti, significasse ripulire dopo che SCP-076-2 aveva massacrato chiunque opponesse resistenza. Erano dentro. SCP-105 avanzava col resto della squadra, con la fotocamera pronta.

I primi due agenti avevano già un prigioniero: un uomo smilzo con una divisa della sicurezza grigia. Iris notò che sul suo cappello c'era l'emblema della Fondazione SCP, ma le punte delle tre frecce erano sostituite da due G e una A maiuscole. SCP-105 fece cenno a tutti gli altri di continuare ad avanzare. Il resto della sua squadra li seguiva a ruota. Ci furono due vittime, mentre liberavano il resto del piano terra, entrambe guardie. Tutti gli altri ostili furono legati e imbavagliati per essere portati via dopo.

Al secondo piano dormivano quasi tutti e non ebbero problemi a catturare i membri del personale. Il terzo piano conteneva numerose stanze spaziose, la maggior parte delle quali avevano un arredamento costoso e opere d'arte a caso. C'era anche un laboratorio dall'aspetto finto che sembrava fatto per girare un film; non pareva che ci fosse tanto equipaggiamento scientifico autentico. Infine, giunsero davanti a una grossa porta.

«Sfondatela» ordinò Iris.

Diversi agenti presero l'ariete e travolsero la porta. Ci vollero tre tentativi per sfondarla. All'interno c'erano schedari e gattini.

«Ma che diavolo?»

Una degli agenti si accucciò per dare un'occhiata più da vicino. C'era qualcosa che non andava in quei gattini dai miagolii fievoli: erano rigonfi e avevano il pelo raffazzonato, con piaghe aperte qua e là. L'agente Jiang l'ammonì:

«Attenta»

Appena l'agente allungò la mano per toccare un gattino, esso diventò grosso il doppio all'improvviso ed esplose con un botto assordante; la donna fu spinta all'indietro.

«Merda!»

L'agente Jiang afferrò l'agente ferita per la collottola e la trascinò fuori dalla stanza.

«Ritirata!» esclamò Iris.

Mentre indietreggiavano, scattò una foto alla soglia. Appena si sviluppò, SCP-105 iniziò a dare colpetti alle bombe viventi attraverso la fotografia: le innescò abbastanza da lontano per evitare ulteriori ferite. Chiese all'agente Jiang:

«Come sta?»

«Abbiamo bloccato l'emorragia, ma temo che perderà il braccio»

Iris ebbe una fitta allo stomaco: aveva perso dei compagni di squadra, in passato. Adesso, però, era lei al comando. Quell'agente obbediva ai suoi ordini. Aveva la responsabilità di tenerli tutti più al sicuro che poteva. Uno degli altri agenti sputò verso i resti fumanti dei gattini e imprecò:

«Andate a fanculo!»

«Continuate a muovervi, ma con prudenza» ordinò SCP-105.

Aveva anche la responsabilità di compiere la missione. Si fece forza: erano lì, nonostante i rischi. Avrebbe potuto condannarli a morte con altrettanza facilità, solo non facendo il suo dovere. Procederono con calma, una volta che furono entrati, ma sembrava che non fossero rimasti più gattini esplosivi. Iris esortò:

«Agente Montoya, inizia a leggere questi documenti. Vedi se riesci a capire in anticipo cosa c'è nel seminterrato»

«Sì, signora»

«Sbrigati. Scenderemo appena avremo messo in sicurezza questo piano»


Qualcosa non andava. Si sentivano grida e spari di sopra e Jerry si domandava cosa stesse succedendo lassù. La guardia, il signor Busby, rimaneva vicino alla porta. Gli disse:

«Non farci caso, le guardie di sopra hanno tutto sotto controllo»

Fu allora che scese il signor Rodriguez, che annunciò:

«Siamo compromessi, è ora di liquidare le risorse»

«Liquidarle?»

«Ucciderle, coglione! Non possiamo permettere che le prenda qualcun altro. Il dottor Greenberg non vuole farsi rubare il suo investimento. Comincia da lui»

Indicò Jerry. Il ragazzo rimase a bocca aperta; lo scopettone gli cadde di mano.

«Cosa? Suvvia, Marco. È solo un bambino»

«Se sei troppo rammollito, lo farò io»

Rodriguez sfoderò la pistola e Jerry si guardò in giro, disperato, in cerca di un nascondiglio. Busby colpì Rodriguez alla mandibola e una manciata di denti da squalo schizzò in giro.

«Scappa, ragazzino!» gridò.

Rodriguez sparò a Busby nello stomaco e fece per puntare la pistola contro Jerry, quando fu colpito in faccia da qualcosa di maleodorante e luminescente. Mentre cercava di toglierselo dagli occhi, imprecò:

«Ma che cazzo?»

Il signor Quiet fece il gesto di lanciare qualcosa e una corda invisibile avvolse il braccio di Rodriguez; la pistola cadde sul pavimento. Jerry tentò di prenderla, ma per sbaglio la buttò in fondo al corridoio con un calcio. Iniziò a correre verso l'arma. Rodriguez morse l'aria e il signor Quiet cadde all'indietro, perché la corda invisibile si era spezzata. La guardia corpulenta iniziò a inseguire Jerry.

«Siete morti, fenomeni da baraccone! A partire dal moccioso!»

Jerry correva più veloce che poteva, ma le gambe di Rodriguez erano ben più lunghe delle sue. Iniziò a girare intorno al cerchio del diavolo, quando si rese conto che Rodriguez era proprio dietro di lui. Rimasto senza opzioni, saltò attraverso il cerchio luminoso. Ebbe la sensazione che qualcosa cercasse di afferrarlo, ma in qualche modo evitò la presa. Cadde dall'altra parte, rotolò e si mise in ginocchio. Sentì un grido e si voltò. Rodriguez era bloccato a metà strada e non era sfuggito alla stretta di qualunque cosa ci fosse nel cerchio.

Il suo corpo iniziò ad allungarsi. La sua bocca era una smorfia che continuò ad allargarsi finché le estremità della mascella non gli arrivarono alle orecchie. La sua pelle stava diventando grigia e i suoi vestiti stavano iniziando a strapparsi. Le sue braccia si accorciarono e si appiattirono fino a diventare pinne e dal coccige iniziò a crescergli una coda. Pochi attimi dopo, c'era uno squalo che si contorceva sul pavimento. L'ultima cosa che si trasformò furono gli occhi, che da marroni divennero nerissimi; il panico nel suo sguardo scomparve. Lo squalo si agitò nel cerchio, alla ricerca di acqua, finché non esaurì le energie. Le sue branchie annaspavano.

Jerry rimase lì seduto qualche minuto, ansimante, dopodiché girò intorno a cerchio e andò dal signor Busby. Era ancora vivo, sebbene ferito.

«Mi ha sparato, cazzo. Perché l'ha fatto?»

Jerry infilò la mano nella tasca di Busby e ne sfilò le chiavi. La guardia non si oppose. Jerry stava per aprire la prima cella, quando sentì la porta delle scale aprirsi e, all'improvviso, irruppero uomini e donne armati. Jerry si alzò e prese l'unica arma a portata di mano: il suo scopettone


L'agente Montoya porse un fascicolo a Iris e dichiarò:

«Signora, ho trovato qualcosa»

Il titolo del documento era solo "-5". Una rapida occhiata rivelò che riguardava un bambino. SCP-105 intuì che fosse la persona che li aveva chiamati. Il rapporto era spesso: c'erano pagine su pagine di revisioni. Iris si domandò da quanto tempo Greenberg lo teneva prigioniero. C'erano alcune foto: sembrava terrorizzato.

«Siamo pronti a irrompere nel seminterrato» disse l'agente Jiang.

«Bene. Scendiamo»

Iris lo seguì giù per le scale, fino alla prima porta. La squadra di sfondamento era pronta e, al suo segnale, proseguirono giù per le scale e sfondarono la porta. Dall'altra parte, trovarono ad affrontarli un ragazzino basso e smilzo che stringeva uno scopettone, in piedi accanto a una guardia con una ferita da arma da fuoco nello stomaco. Dietro di loro c'era uno squalo in una sorta di cerchio luminoso. Lungo il corridoio, c'erano altre porte; si vedevano delle facce attraverso piccole finestre sbarrate. I prigionieri li stavano fissando.

«Non fate del male ai miei amici!» esclamò il bambino.

Si vedeva che era terrorizzato, ma non stava neanche facendo nulla per farsi da parte, nonostante gli tremassero le ginocchia. SCP-105 lo riconobbe dal fascicolo e gli parlò:

«Non siamo qui per farvi del male. Stiamo solo cercando un nostro amico»

«Allora perché avete dei fucili?»

L'agente Jiang guardò Iris, in attesa di ordini. Pure un bambino di dieci anni poteva essere pericoloso, a seconda delle sue proprietà anomale. Invece di dargli una risposta diretta, SCP-105 riaprì il fascicolo e lo sfogliò. C'era scritto che il soggetto si rifiutava di rivelare proprietà anomale, pertanto il ricercatore proponeva ulteriori sperimentazioni. Ma quali sperimentazioni? Iris diede una rapida occhiata alle pagine seguenti e lesse accenni a un'esposizione a fiamme libere e cani aggressivi, nonché menzioni di interrogatori di livello basso e medio.

SCP-105 guardò ancora il ragazzino che stava fra lei e gli altri prigionieri. Non aveva molte cicatrici; non che si vedessero, perlomeno. Gli si avvicinò, si inginocchiò e mise via lo scopettone. Gli mise una mano sulla spalla e disse:

«Va tutto bene. Non gli permetteremo più di farvi del male»

Il bambino le rivolse uno sguardo solenne:

«Me lo prometti?»

«Lo prometto»

«E dovete aiutare anche i miei amici»

«Faremo del nostro meglio»

Avrebbe voluto potergli promettere altro, ma dipendeva tutto da cosa avrebbe deciso la Fondazione. Tuttavia, era comunque certa che sarebbero stati meglio alla Fondazione che da Greenberg. Si voltò verso la squadra:

«Agente Jiang, informa la direttrice Light che non potremo consegnare Greenberg vivo, per favore. Abbiamo deciso che è troppo pericoloso»

«Sì, signora»

Posso aiutarvi.

SCP-105 percepì quella voce tanto quanto la udì: risuonava nella sua mente. Con prudenza, domandò:

«Greenberg?»

Non sono Greenberg. Aiuto la gente.

Si rese conto che la voce proveniva dal cerchio luminoso. Poteva quasi vedere qualcosa, al suo interno, ma non riusciva a capire cosa fosse. In ogni caso, la stava osservando.

«Che tipo di aiuto?»

Joseph Greenberg voleva contenermi, gli ho detto come imprigionarmi ed eccomi qua.

All'improvviso, SCP-105 si rese conto che la voce comunicava per concetti. Era il suo cervello che li traduceva in parole. Capì che ciò che intendeva con "contenere" e "imprigionare" non erano la stessa cosa. Cercò di prendere tempo e chiese:

«Perché lì c'è uno squalo?»

Voleva essere più forte e l'ho accontentato: ora è in cima alla catena alimentare.

«Sta morendo»

Quello squalo le faceva pena. Si chiedeva chi fosse, prima di essere trasformato.

Non morirà: non sarebbe forte, se morisse. Lo tengo in vita nel cerchio.

In quel momento uno dei prigionieri, un uomo nero sulla ventina, si intromise:

«Signorina? Non può farle niente, se non glielo permette. Non dia ascolto alla voce e stia fuori dal cerchio»

Sembrava un ottimo consiglio.

«Squadra, state lontani da qualunque cosa sia il cerchio. Portate fuori da qui tutti i civili e qualunque cosa vi sembri importante. Credo che abbiamo trovato quello che cercavamo»

Adesso rimaneva la parte più difficile di quella missione notturna.


Mentre uscivano dall'edificio, il ragazzino si guardava in giro, estasiato. L'agente Jiang si accigliò e fece per dire qualcosa, ma Iris gli fece cenno di stare zitto. Disse al bambino:

«Quelle sono stelle, Jerry»

«Sono tantissime. Come fanno a essercene così tante?»

«Continua a guardare»

Qualunque cosa gli succedesse, SCP-105 voleva che avesse un'occasione di vedere il firmamento adesso. L'agente Jiang disse:

«Signora? Abbiamo il professor Decray. È un po' confuso, ma sembra che stia meglio, ora che è fuori dalla cella»

«Sta meglio quando non vede il signor Greenberg da un pezzo» spiegò il bambino.

«Grazie, Jerry»

Iris trovava triste che si riferisse a cose del genere con una tale disinvoltura. Stavano arrivando gli elicotteri che avrebbero portato i prigionieri alla Fondazione, dove sarebbero stati interrogati, almeno nel caso di alcuni di loro, amnestizzati e liberati. SCP-105 mise una mano sulla spalla di Jerry e gli disse:

«Qualcuno ti porterà in un posto sicuro»

«Ucciderete il signor Greenberg?»

Iris era indecisa tra la bugia facile e la dura verità. Alla fine rispose:

«Sì. Se ci riusciamo»

Il bambino sembrò rifletterci un attimo, poi annuì:

«Bene»

Lo guardarono salire sull'elicottero, poi osservarono lui e gli altri che volavano via. SCP-105 chiese all'agente Jiang:

«Tutte le risorse sono a posto?»

«Sì, signora. Al momento, gli osservatori stanno tenendo d'occhio Greenberg. Finora, si è attenuto al suo orario. Dovrebbe arrivare tra due ore»

«Quindi aspettiamo»

«Lo facciamo spesso»

Iris rabbrividì:

«Non aspettavamo, nella SSM Omega-7. Abele partiva alla carica e il resto veniva da sé. Almeno per lui. Preferisco aspettare»

«Capisco. È meglio che morire»

L'espressione dell'agente Jiang era indecifrabile. SCP-105 si chiedeva se si esercitasse allo specchio, per fare quella faccia impassibile. Gli chiese:

«Hai mai ucciso un manipola-realtà?»

L'uomo abbozzò un sorrisetto:

«Sì, due volte. Questo mi rende pressoché un esperto»

«Bene, proviamo ad arrivare a tre volte»


Era appena passata la mezzanotte, quando la Rolls Royce si avvicinò ai cancelli della tenuta. Il primo assalto iniziò due metri più avanti, quando una mina di prossimità esplose sotto la vettura. L'intero veicolo fece un volo di tre metri e rotolò per terra; si staccarono diversi rottami fumanti. La machina rimbalzò prima di fermarsi, distesa sulla fiancata destra. C'era un cadavere martoriato e sanguinante, accasciato sul volante. La portiera posteriore sinistra si aprì e uscì un uomo calvo dall'aspetto unto con una maglietta zuppa di sudore e un camice da laboratorio sporco. Dietro quell'apparenza trasandata, c'era un uomo dall'aria molto professionale, ben vestito: un ricercatore. Un dottore.

«Che significa tutto questo?» domandò.

SCP-105 controllò che il flash fosse spento e scattò una foto. Si sentì comunque un ronzio, mentre la Polaroid tirava fuori l'istantanea.

«Chi c'è? Vi ho sentiti! State interrompendo la nobile e virtuale opera dell'autorità più importante sui fenomeni metafisici del mondo. Non capite quanto la minima interruzione inficia le mie indagini?»

Per poco, Iris non chiese scusa al dottor Greenberg, ma si concentrò sulla fotografia che si sviluppava. Diede l'ordine alla radio:

«Fuoco»

I bagliori degli spari lampeggiarono al buio e Greenberg si contorse più volte, man mano che i proiettili colpivano il suo baricentro. Ma un attimo dopo era ancora in piedi, incolume.

«Il mio ammortizzatore interno rallenta lo slancio dei vostri proiettili! La mia scienza è impeccabile!»

SCP-105 infilò la mano nell'istantanea e fece qualcosa che le avevano chiesto di fare innumerevoli volte, ma che si era sempre rifiutata di fare. Afferrò la testa del dottor Greenberg, che nella foto era così minuscola, eppure sembrava molto meno affascinante, rispettabile e intelligente, e provò a torcerla.

«Comprendo come stanno le cose, impiccioni anomali! Cercate sempre di rovinarmi. Siete proprio come tutti gli altri, dovrebbero rinchiudervi!»

Greenberg cercò di resistere agli strattoni di Iris ed esclamò:

«L'elemento 246 bloccherà qualunque abilità a distanza!»

La fotografia prese fuoco e SCP-105 dové buttarla a terra. Greenberg si voltò nella direzione delle fiamme, iniziò a marciare verso di lei ed esultò:

«A-ha! Eccoti là. Pensavi di poter vincere, ma sono vittorioso! Hai a che fare con Joseph Greenberg. Credevi di avere una possibilità di battermi?»

Iris si guardò i piedi. Voleva solo arrendersi, andare in una delle celle di quell'uomo. Tra lui e la Fondazione, era lui il carceriere migliore, dopotutto. Ma strinse i denti e sibilò:

«Scommetto che nessuno voleva mai giocare con te, da bambino. Soprattutto a guardie e ladri»

«Ti prendi gioco di me? Non sai chi sono?»

Greenberg le diede uno spintone sul petto e la buttò a terra. Torreggiò su di lei, con le mani sui fianchi e un ghigno. SCP-105 rispose:

«Sì. E ora so come funzioni. Fai la tua mossa»

«Fare la mia mossa? Di che stai…»

All'improvviso, la testa e il torace di Greenberg esplosero in uno scroscio di sangue e interiora che tinse di rosso l'erba dietro di lui. Un po' tremante, Iris si alzò e disse:

«Non parlavo con te, stronzo»

Sentì la voce dell'agente Adams alla radio:

«Ha funzionato?»

«Non si alza più»

«Allora forse ha funzionato. Dubito che starebbe zitto, se potesse ancora parlare»


«E il cadavere sarà spedito al laboratorio del dottor Mann. Potrebbe scoprire qualcosa di utile, anche se il cervello è andato perduto. Questo è tutto, per il rapporto conclusivo»

L'agente di spionaggio chiuse il portatile. L'agente Adams commentò:

«La prossima volta cercherò di lasciargli un cadavere intero»

«No, per favore. È molto più sicuro così»

«Per Greenberg o per il dottor Mann?» chiese Andrea.

«Scelga lei»

«Che succederà ai prigionieri?» domandò Iris.

«La maggior parte di loro non dimostra più alcuna proprietà anomala. La nostra ipotesi più sensata è che fossero manifestazioni attive. Saranno interrogati, amnestizzati e rilasciati con storie di copertura plausibili»

«E il ragazzino?»

L'agente guardò la custodia del suo portatile per evitare lo sguardo di SCP-105.

«Greenberg non riusciva a influenzarlo. Questa è una proprietà anomala»

«E così un manipola-realtà non riusciva a fargli niente. Forse Greenberg faceva fatica ad alterare i bambini»

«Abbiamo somministrato amnestici leggeri per il viaggio fino al sito, per impedire ai soggetti di ricordare la strada per tornare qui. Non hanno avuto effetto su di lui»

SCP-105 lo fulminò con lo sguardo:

«Agente, nel peggiore dei casi, non è influenzato da certe anomalie. È il contrario di una minaccia alla normalità»

L'agente di spionaggio si agitò:

«Signora, il fatto è che potrebbe essere una risorsa importante, per quando abbiamo a che fare con lo stesso tipo di minaccia che abbiamo affrontato stasera»

«Stronzate. Ha dieci anni»

«La Coalizione Globale dell'Occulto ha speso milioni di dollari e centinaia di ore per rendere il dottor Clef resistente a certe anomalie. Questo ragazzo lo è per sua natura. Come possiamo lasciarlo andare via?»

«È un bambino!»

«Senta, è una decisione che deve prendere qualcun altro. A me spettano solo i suggerimenti»

L'agente si voltò e se ne andò.

«Porca puttana» borbottò Iris.

Rimise la fotocamera nella custodia e chiuse la cerniera. L'agente Adams sospirò:

«Eh, almeno è dalla nostra parte. A proposito, che stavi dicendo riguardo a guardie e ladri?»

«Cosa? Ah, con Greenberg. Stava reagendo. Vedeva ciò che lo colpiva, poi si creava qualunque "scienza" gli servisse per sopravvivere. Non giocavi a guardie e ladri, da bambina?»

L'espressione di Andrea diventò vacua per un attimo.

«Ehm… non… non me lo ricordo»

«In pratica, tutti puntano il dito e dicono quando sparano. Quando qualcuno "spara" a te, devi fermarti. Ma alcuni bambini non lo fanno. Insistono che l'altro bambino li ha mancati. Oppure, se sono molto fantasiosi, dicono di avere il giubbotto antiproiettile o un campo di forza»

«Ehehe» ridacchiò Andrea.

SCP-105 si accigliò:

«Oppure un clone»

L'agente Adams si allarmò:

«Non dirmi che…»

«Ti dico che voglio tornare nella mia stanza. È stata una lunga notte»

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