Nemesi
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Forse non sarebbe arrivato stavolta.

Erano quarantacinque minuti che Giulio aspettava. Non aveva mai tardato tanto. Forse per una volta l'avrebbe scampata? Magari la sua tortura era finalmente finita dopo due interminabili settimane? L'uomo, trentaquattrenne, lo sperava proprio. Quegli incontri notturni avevano distrutto le sue routine e massacrato la sua vita sociale. Non poteva certo passare la notte con qualcuno quando la certezza dell'avvenimento pesava sulla sua mente. E poteva certo dimenticarsi il sogno di creare una relazione stabile tra tutte quelle focose e brevi che avevano caratterizzato gli ultimi anni. Ma tutti questi ragionamenti sul futuro non importavano a Giulio in quel momento; anzi, non gli erano ancora nemmeno passati per la mente. Il fatto stesso che la visita non avvenisse era il premio più grosso.

Forse non sarebbe arrivato. Ora erano passati minuti. Ce l'aveva forse fatta? L'attesa era snervante e il silenzio totale che avvolgeva Giulio, seduto sulla poltrona del suo salotto, non aiutava. Aveva pensato più volte di alzarsi, ma temeva di ritrovarsi il suo famigliare ospite non invitato. Controllava spesso dietro la poltrona, pronto a vederlo, dietro di lui da non si sa quanto, ma non succedeva mai nulla. Eppure non era solo paranoia. Nei giorni passati era sempre successo. Un po' prima, un po' dopo, sempre dopo le due di notte. Che orario del cazzo che aveva scelto per tormentare l'esistenza del povero Giulio. Non quando era al lavoro, al Sito Cerere, con colleghi abituati ad ogni tipo di stranezza, ma nel mezzo della dannata notte. Quando era quasi sempre solo.

Giulio Bicini stava iniziando a rilassarsi. Non sarebbe arrivato, erano passati quasi cinquantacinque minuti. Non era mai stato così in ritardo, neanche lontanamente. Poi, d'un tratto, dalla strada si udì un rumore. Giulio si costrinse ad alzarsi e si avvicinò alla finestra. Ci mise poco ad individuare il colpevole. C'era il gatto di una delle case nella via che aveva fatto cadere un bidone. Non era cosa inusuale; sembrava che la piccola peste ci provasse gusto. Giulio fece per tornare alla sua poltrona e per poco non trattenne un urlo. Era lì. Proprio sulla poltrona su cui era seduto fino a qualche momento prima. La massa informe di membra varie era tornata e poggiava sulla sua dannata poltrona imbrattandola pian piano di sangue. Un occhio dallo sguardo spento, appartenente ad una vita precedente, diretto su Giulio. Una coincidenza gli avevano detto, ma no, era sempre girato verso di lui.

Era arrivato anche stavolta. L'uomo sospirò e si diresse in cucina. Preso un sacco della spazzatura e dei guanti, cacciò la massa all'interno e lo chiuse di corsa per poi metterlo in un angolo. Il mattino dopo l'avrebbe portato al Sito, dove l'avrebbero analizzato un po' e messo in una scatola. Alle due di notte sarebbe tornato. Non lo avrebbe mai più lasciato da solo e Giulio lo sapeva. Disperato nel rimuovere la prospettiva della perenne agonia dalla sua mente, decise di concentrarsi pienamente sul trovare un modo di lavare via dalla poltrona tutto quel sangue. Si sarebbe dovuto ricordare di coprire di plastica i mobili d'ora in avanti.


"Lo odio. Lo odio. Lo odio." Disse con enfasi Giulio rivolto al sacco nero in cui aveva portato la sua nuova nemesi al lavoro.

"Su, su, non essere acido, Giulio." Disse la dottoressa Rocci ridacchiando.

"Scommetto che tu te la stai godendo di brutto, ma questo è un disastro!" Rispose lui con aria grave.

"Suvvia, non ti pare di esagerare? Sono sicura che riusciremo a trovare un modo per farlo smettere di apparire." Controbatté lei sorridendo nel chiaro tentativo di tranquillizzare il collega.

"E se così non fosse Irene? Eh? Cosa allora? Ogni dannata mattina della mia vita mi dovrò svegliare e trovarmi davanti quel dannato coso di carne! Non potrò mai essere in giro o in compagnia di nessun civile tra le due e le tre di notte. Sai che cosa significa!?"

"Che dovrai smettere di fare il Don Giovanni e cessare le notti brave?" Chiese lei sbuffando.

"Ah, ah, molto divertente. A quelle posso rinunciare, ma sai che vuol dire a lungo termine? Vuol dire nulla! In senso letterale. Che sarò solo fino alla morte!"

"Adesso sì che stai esagerando."

"Dici? E come glielo spiego alla fortunata poveraccia che ogni notte della sua vita passata con me le potrebbe spuntare un ammasso di carne sanguinolenta addosso?"

"Dai! Non sei l'unico ad affrontare l'anomalo, sono sicuro che qui al Cerere potresti trovare qualcuno."

"Uscire con una collega? Non mi ha mai ispirato come prospettiva."

"A mali estremi, estremi rimedi, no? E poi… sono sicura che ci sia qualche ricercatrice interessata." Magari questa volta ci sarebbe arrivato.

"O una della vigilanza. Uhm, forse potrebbe funzionare, ma non so."

La ricercatrice sospirò. Giulio era risaputo fosse bravo a provarci con la gente, ma a quanto pare non ne capiva davvero nulla del trovarsi dall'altro lato. Forse avrebbe davvero dovuto farsi avanti e dirglielo in faccia… prima o poi.

"Va beh, sesso a parte. Davvero questa è una tragedia. Oramai me lo sogno di notte e me lo vedo quando sbatto le palpebre di giorno. È sempre lì, che mi fissa."

"È solo della carne morta, non può fissare."

Lui la guardò con aria stralunata. "Lo fa. Mi fissa. Cerca qualcosa nella mia anima."

Qualcuno si schiarì la voce ed entrambi i ricercatori si girarono verso l'entrata della stanza. Vedendo il dottor Passini sulla porta scattarono in piedi.

"Ehm, buongiorno, direttore." Esordì Giulio.

"Buongiorno, dottor Bicini." Diede un'occhiata al sacco nero sul tavolo. "Ne deduco che il suo nuovo amico abbia fatto di nuovo presenza stanotte?"

"Sì, signore."

"Mi spiace davvero. Sta riuscendo a dormire un po'?"

"Quasi nulla a dire il vero."

Passini si avvicinò al sacco. "Capisco. Per ora nessun progresso sul catturare l'anomalia in qualche modo? O comunque impedirle di teletrasportarsi?"

"Nessuno."

"Nemmeno una cella della realtà ha funzionato. È come se l'oggetto non si teletrasportasse, ma smetta di esistere e si ricrei dal nulla vicino a Giul… al dottor Bicini." Aggiunse Irene.

"Magari è così. Continui a lavorarci. Quanto a lei, dottor Bicini, credo di avere un lavoro da assegnarle."

"Sì, signore?"

"Deve scrivere un log su quella cosa. Lo classificheremo come Elemento Anomalo."


Bicini era alla sua scrivania. Era rimasto a lavorare fino a tardi. Quanto tardi? Non lo sapeva e non importava, tanto prima o poi quell'affare sarebbe arrivato. Questa volta per lo meno non gli avrebbe imbrattato la moquette. La bozza era pronta, ma era proprio scrivendola che si era accorto di quanto in effetti non sapessero. Si era quindi seduto davanti a un computer e aveva iniziato le ricerche.

Aveva scandagliato la rete in lungo e in largo, controllato dozzine di siti, letto svariati trattati e report della Fondazione a cui aveva accesso e non aveva trovato nulla. Aveva passato ore davanti allo schermo e adesso gli iniziavano a dare fastidio gli occhi. Probabilmente se si fosse guardato in uno specchio si sarebbe spaventato. La cosa lo divertì per un attimo, ma poi tornò a lavorare.

Un altro sito, un altro buco nell'acqua. Non ne poteva più. Era davvero condannato a convivere con questa cosa fino alla morte? Un pensiero agghiacciante. Forse aveva esagerato quando parlava con Irene, ma rischiava davvero di impazzire. Si lasciò cadere all'indietro sulla sedia, guardando il soffitto. Quando riabbassò lo sguardo scattò all'indietro con un urlo. Era tornato. Lì, sulla tastiera del suo computer, sanguinante, orribile, terribile. Senza pensare e preso dal panico il ricercatore colpì la massa, scaraventandola per terra in un angolo. Con la mano piena di sangue si lasciò cadere a terra. Di colpo si sentì come se quel gesto fosse stato un peccato capitale, qualcosa di aberrante. Indietreggiò gattonando fino all'angolo opposto del muro e si mise a piagnucolare. L'occhio morto della massa rivolto verso di lui.

Pian piano si calmò: il sudore smise di scorrere, il respiro cessò di essere affannoso e i battiti rallentarono. No. Si alzò in piedi. Lui era Giulio Bicini, primo della classe, studioso di biologia animale, reclutato appositamente dalla Fondazione, ricercatore rinomato della Divisione Zoologico-Botanica. Non poteva permettere che quel patetico mucchio di carne gli rovinasse la vita. Che ci provasse. Lui avrebbe resistito. Avrebbe dovuto cercare gente con cui divertirsi e infine un'anima gemella all'interno delle sterili pareti di quell'edificio? Che fosse; non gli importava. Non si sarebbe arreso, non avrebbe lasciato che quella cosa monopolizzasse la sua mente. Mai e poi mai. Giulio diede le spalle al blob di carne, ancora intento a perdere sangue nell'angolo, e uscì dalla stanza. Sarebbe andato a casa e avrebbe dormito tutta la notte nel suo morbido letto e niente lo avrebbe disturbato.

Certo, prima avrebbe dovuto avvisare i DanNatI di turno del casino che aveva lasciato.


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