Secondo Lavoro

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Quando Santosh aveva sei anni, scoprì che Babbo Natale non esisteva. Dopo aver scritto la sua letterina natalizia, ne parlò coi suoi genitori e menzionò il Game Boy e i pattini sulla lista. I suoi genitori gli risero in faccia e gli dissero che Babbo Natale non era vero. Erano loro quelli che compravano i regali e, di certo, non avevano intenzione di prendere nessuna delle cose in quell'elenco.


08/05/2000

«Ehilà, Santosh! Come va?»

«Ciao, Guy. Grazie per essere venuto»

«Figurati! Non ci parliamo da una vita. E poi, l'anarte! Vuoi fare un'opera d'anarte! Come potrei dire di no?»

«Sì. Ehi, grazie mille per aver accettato di aiutarmi. Non l'ho mai fatto prima. Ma che posto è questo? Ho dovuto inserire una chiavetta in una porta per entrare qui»

«Cosa, Eurtec? Quasi dimenticavo! È la tua prima volta qui, vero? Prima che facciamo qualunque altra cosa, devo farti fare il giro turistico!»


Quando Santosh aveva otto anni, si scordò del corso opzionale di matematica. A casa, suo padre Arvind lo sgridò e lo castigò per la sua stupidità. Chiarì al figlio che non avrebbe mai avuto un futuro, a parte pulire i cessi o falciare il prato ai Cinesi. In fondo, i bambini cinesi avevano dieci volte l'etica del lavoro e l'ambizione al successo che aveva lui e meritavano di superarlo in tutto. Santosh non saltò mai più una lezione del corso opzionale di matematica.


«Dunque, Eurtec» esordì Guy.

I due stavano attraversando un enorme e luccicante zona pedonale cromata, fiancheggiata da grattacieli di vetro e cemento alti chilometri. Lungo la strada viaggiavano quelli che sembravano migliaia di umani, cyborg, robot, androidi e persino ologrammi. Grandi e abbaglianti cartelloni pubblicitari sparsi ovunque annunciavano dischi dalla capacità di petabyte, innesti della realtà aumentata nuovi di zecca, protesi bioniche di ricambio e lavelli intelligenti.

«Va bene, prima che discutiamo su Eurtec, dobbiamo parlare di un certo gruppo, i Servi delle Norne di Silicio. Per farla breve, sono transumanisti convinti che i tre super-computer al centro della città porteranno alla singolarità, quindi la paratecnologia glielo fa venire duro. Nel 1985, i Servi giunsero a pensare che, al passo a cui le cose andavano all'epoca, la singolarità non sarebbe mai arrivata. Decisero di accelerare il tutto»

Mentre parlava, Guy schivò un ragno cibernetico, che gli rivolse un cinguettio adirato. Guy agitò la mano in segno di scuse, dopodiché si fermò davanti a un negozio qualunque senza logo, sulla cui vetrina c'era solo l'icona di un cervello seduto su un portatile. Le finestre erano vetrate a tutt'altezza, attraverso le quali si vedeva ogni sorta di componenti elettroniche.

«Prima fermata: ci serve una matrice cognitiva positronica transistorizzata. Il negozio di BrainGate dovrebbe averne parecchie ricondizionate»

Santosh lo seguì dentro. Guy continuò a parlare, mentre sfogliava la selezione di cervelli digitali:

«Come dicevo, nel 1985 i Servi diventarono impazienti. Supposero che le agenzie della normalità come la Coalizione e la Fondazione stessero imponendo troppe restrizioni: a causa loro, non c'era un posto in cui la gente potesse radunarsi e collaborare sulla paratecnologia. Così i Servi ne crearono uno. Lo progettarono sul modello di una manciata di centri tecnologici ed eccoci qua!»

Guy prese un cervello argentato e raggrinzito e lo porse a Santosh:

«Dai un'occhiata a questo: otto petabyte di memoria, un terabyte di RAM. Ha persino glia allo stato solido! È perfetto!»

Guy si sfilò di tasca un tablet grande come una tavoletta di cioccolato, lo passò sopra il cervello e disse:

«Guarda: questo è uno smartphone. Puoi usarlo per scattare foto, scansionare i prodotti come questa matrice, giocare ai videogiochi e, visto che è un telefono, chiamare la gente»

Santosh ammirò il dispositivo. Quando uscirono dal negozio, Guy spiegò altre funzioni del telefonino:

«Funge pure da hotspot per Internet! Com'è ovvio, puoi trovarlo solo qui a Eurtec. Ecco, a proposito di Eurtec: il nome è una fusione tra “Europa” e “tecnologia”. Non so bene come l'hanno costruita o come nascondono questo posto. Credo che sia una sorta di dimensione tascabile, fatto sta che Eurtec è il paradiso dei tecnofili»


Quando Santosh aveva undici anni, mostrò con fierezza il 95 che aveva preso all'esame di collocamento di matematica a suo padre. Arvind gli chiese con stizza dov'erano i cinque punti rimanenti e, in tono agitato, rimarcò che tutti gli studenti asiatici avrebbero avuto il massimo dei voti. Sottolineò che, di quel passo, Santosh non sarebbe mai stato ammesso all'MIT. Il bambino trattenne le lacrime. Da allora, non fece mai più vedere i suoi voti al padre.


Guy e Santosh, il quale portava una borsa con la matrice cognitiva, uscirono dal negozio.

«Prossima fermata: andiamo da Anna a prendere parti corporee. Non ti servono potenziamenti, giusto? Delle parti organiche regolari vanno bene?»

Santosh annuì. I due attraversarono la zona pedonale, diretti verso una piccola cabina per due persone. Guy passò una piccola tessera di plastica sulla porta e fece cenno a Santosh di entrare. Poi passò di nuovo la tessera ed entrò.

«Bene, resta in questo cerchio. È una capsula del teletrasporto. È basata sul modello PL, a dirla tutta. Tuo padre non lavorava qui?»

Santosh fece spallucce:

«Tempo fa. Comunque, mi stavi parlando di Eurtec?»

«Sì, aspetta un secondo»

Guy si avvicinò a un cerchio di vetro sulla parete della cabina e lo premé col dito. Il cerchio lampeggiò di rosso e una voce elettronica disse:

«Prego, selezionare una destinazione»

«Centro di Urðr, cinquantesimo piano» rispose Guy.

«La vostra destinazione è: Centro di Urðr, cinquantesimo piano. Se è inesatto, siete pregati di fornire la destinazione corretta. In caso contrario, siete pregati di stare fermi. Viaggio fra cinque; quattro; tre; due; uno»

Un lampo abbagliante costrinse Santosh a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, non erano nella zona pedonale. Si trovavano sul pavimento di marmo di un grattacielo e guardavano fuori da una finestra a centocinquanta metri di altezza. Le porte della cabina si aprirono e Guy uscì.

«Vieni. Il negozio di Anna è dietro l'angolo»

Svoltarono l'angolo ed entrarono in un punto vendita. Con grande sorpresa di Santosh, il negozio era disseminato di cadaveri e pezzi di corpo, appesi agli attaccapanni e piegati sugli scaffali.

«Ehm… Guy? Che diavolo è questo posto?»

Guy ridacchiò:

«Non stavi ascoltando? Anna vende parti corporee. Non temere, sono solo involucri per la biotecnologia. Sai, innesti, parti bioniche, roba del genere. Devono essere collaudate su qualcosa. Inoltre, siamo qui per uno di quei corpi»

Proprio in quel momento, si avvicinò una vecchia asiatica.

«Ah, Guy. Bello vederti»

«Buon pomeriggio, Anna. Sono qui con un amico, Santosh. Santosh, ti presento Anna»

Santosh le strinse la mano con cautela: fece del suo meglio per ignorare la pelle rugosa.

«Ehm… salve»

Guy lo guardò con aspettativa e disse:

«Santosh è interessato a comprare un involucro duplicato. Hai la foto?»

Santosh deglutì, ma si sfilò la foto di tasca. La porse ad Anna e bofonchiò:

«Ehm… ecco a lei. Sto cercando una versione più giovane di quest'uomo, magari undicenne o dodicenne. È mio padre»

«Eccellente. Di che etnia è?» chiese Anna.

«Indiano» rispose Santosh.

«Dove vuole farselo consegnare?»

«Consegnare?»

Guy si intromise:

«Consegnalo al mio indirizzo, Anna»

«Ma certo. Ora stia fermo. Devo scattare qualche foto di lei per completare i lati e il retro della testa. Presumo che quest'uomo sia il suo padre biologico, quindi i lineamenti dovrebbero essere simili»

Come se l'avesse tirata fuori dal nulla, Anna fece apparire una fotocamera che era grande quasi quanto il suo torace. Girò intorno a Santosh e scattò varie foto. Poi la macchina fotografica scomparve nel nulla e Anna tese la mano:

«Prego, sono quattromila»

Guy si voltò verso Santosh e spiegò:

«Anna preferisce le carte Visa»

Santosh deglutì ancora. Sarebbe stata un'impresa costosa. Si irrigidì, prese il portafoglio e porse la sua carta Visa ad Anna. La vecchia asiatica la prese e si allontanò. Tornò qualche minuto dopo con la carta e uno scontrino.

«Ecco»

Santosh lesse lo scontrino e alzò un sopracciglio:

«Ehi, perché c'è scritto che ho preso un anello di diamanti?»

«Che c'è, hai intenzione di scrivere “ho comprato un corpo al prezzo di quattromila” nella dichiarazione dei redditi?» sghignazzò Guy.

«Ah. No, capisco»

Guy controllò il suo telefono ed esclamò:

«Oh! Quasi dimenticavo. Anna, hai un ippocampo psionico?»

«Sì, lo impacchetto con l'involucro. Per questo, sono mille. La carta, per favore»

Santosh si imbronciò e tirò di nuovo fuori la sua carta. Anna la prese e andò via. Tornò cinque minuti dopo con la carta e un altro scontrino. Santosh lo lesse e chiese, incredulo:

«Una scheda grafica?»

La negoziante fece spallucce. Prima di voltarsi e uscire, Guy si congedò:

«Grazie, Anna. Ci si vede in giro»

Santosh lo raggiunse di corsa e gli chiese:

«Aspetta, come farà a spedire il pacco?»

«Con la capsula del teletrasporto, poi forse con FedEx»

«FedEx?!»


Quando Santosh aveva tredici anni, suo padre ricevé una chiamata e fu informato che Santosh era stato espulso dal corso di canto śloka. Arvind urlò al figlio che era più stupido di una scimmia lobotomizzata. Quando finì di gridare, disse a Santosh che non era più suo padre. Passarono quattro mesi, prima che gli rivolgesse ancora la parola; perché i suoi cugini stavano arrivando per Natale.


«Dunque, assemblare il duplicato è alquanto facile. Non dobbiamo fare altro che inserire l'ippocampo nella matrice positronica. Poi apriamo il cranio e ce lo mettiamo dentro. A quel punto, la matrice farà il resto, infine dobbiamo solo caricarci dentro un duplicato della tua coscienza e voilà! Il gioco è fatto»

Santosh e Guy erano nel salotto dell'appartamento di quest'ultimo. L'involucro di un bambino indiano giaceva prono sul tavolino. Accanto a esso, c'era la borsa che conteneva la matrice positronica.

«Guy, non so niente di neurochirurgia»

«Non è neurochirurgia, senza un cervello da operare»

«Hai detto che sarebbe stato più facile che montare un PC»

«Lo è! In un PC devi mettere cinque cose diverse e accenderlo. Non dobbiamo fare altro che aprire il cranio e buttarci dentro la matrice. Non dobbiamo neanche agganciarlo, basta che non sia capovolto quando rimettiamo a posto la calotta cranica»

Santosh si schiacciò le tempie con le dita:

«Cazzo, avrei dovuto fare più ricerche! Merda. Andrò in bancarotta e sarò fottuto!»

«Ehi! Calmati! Stai calmo! Ti ripagherò quando abbiamo finito, va bene? Non è così difficile. Guarda: ho la sega, il pennarello e il metro. Dobbiamo solo tracciare una riga sul cranio e tagliare. Facile. Finiremo tra due ore»

«Sì, d'accordo»

Santosh si avvicinò all'involucro con fare cauto, avvolse il metro intorno alla testa e iniziò a tracciare la linea di taglio.


Quando Santosh aveva diciassette anni, ebbe l'opportunità di presentare il suo curriculum a certe università. Una settimana dopo, stava controllando le sue domande di iscrizione alle università con suo padre, quando notò che il curriculum che aveva inviato era una versione obsoleta. Suo padre sbottò, lo accusò di aver sabotato apposta la sua domanda di iscrizione e, furibondo, gli chiese perché mai avrebbe voluto farlo. Colto da una furia apoplettica, Arvind dichiarò che suo figlio doveva averlo fatto per ripicca e, incollerito, chiese a Santosh perché lo disprezzava così tanto.

Santosh scappò in bagno e singhiozzò nella doccia per svariati minuti. Quando uscì, si accorsero che si trattava di un guasto dell'applicazione digitale. Arvind gli chiese scusa e lo abbracciò. Santosh non ricambiò l'abbraccio.


«Due ore, eh?» sbuffò Santosh.

Era seduto su una poltrona nel salotto di Guy e indossava un casco dall'aria sospetta. L'involucro, che aveva un'evidente cicatrice ad aureola intorno al cranio, indossava un casco simile, connesso all'altro da un groviglio intricato di cavi. Un secondo fascio di cavi connetteva il casco di Santosh al portatile di Guy. L'amico fece spallucce:

«Due ore, due settimane, che differenza fa?»

Santosh lo fulminò con lo sguardo. Guy ridacchiò e alzò le mani:

«Va bene, va bene. Ehi, abbiamo quasi finito! Devo solo scansionare il tuo lobo temporale, togliere tutti i ricordi successivi ai ventidue anni e copiare la memoria nella matrice dell'involucro»

Mentre parlava, Guy armeggiava con la tastiera del portatile.

«Ecco fatto. Bene, puoi toglierti il casco»

«Eh? Non ho sentito niente»

«Non dovresti: è una scansione non invasiva»

Santosh si tolse il casco. Lui e Santosh si sporsero sopra l'involucro.

«Dunque, cosa dovrebbe fare?»

Guy trattenne il fiato:

«Dagli un secondo»

Non successe niente. Poi l'involucro aprì gli occhi di scatto e inspirò a fondo. Guy gettò i pugni all'aria e Santosh sussurrò emozionato:

«Sì!»

Guy spense la matrice cognitiva dell'involucro e domandò:

«E adesso?»

«Uhm… dobbiamo connettere il visore della realtà virtuale alla matrice e… uhm… collegarla all'ippocampo. Hai già il visore, giusto?»

Guy annuì e spiegò, con orgoglio:

«Sì. Sappi che non è un modello ufficiale. L'ho fatto io con un paio di Virtual Boy e un PC Titan. Ma se trasmettiamo le immagini come stilizzate, servirà allo scopo»

«Sì, d'accordo. Prendi il visore, io prendo il trapano e i fili»


Quando Santosh aveva vent'anni, ricevé una chiamata da sua madre. Tuttavia, quando rispose al telefono, sentì la voce di suo padre. Santosh lo lasciò parlare per qualche istante. Arvind volle sapere come stava, gli augurò il meglio e ribadì che era fiero di lui. Santosh si inventò una scusa per riattaccare.


Il cellulare di Santosh squillò. Lui guardò lo schermo e notò il nome del mittente: Arvind Desai. Santosh ci pensò un attimo. Poi rifiutò la chiamata e rialzò lo sguardo per ammirare la sua esposizione.

In un angolo del Centro di Skuld per le Arti e le Scienze Umane, un bambino indiano sedeva su una sedia di plastica, circondato da una folla di curiosi. Dalla sua testa sporgevano dozzine di fili connessi a sei caschi emisferici rossi che, in quel momento, altre persone sedute su sedie di plastica stavano indossando. Accanto al bambino, c'era un cartello con scritto:

TALE PADRE, TALE FIGLIO
di Guy Chesapeake e Santosh Desai
 
Vi presentiamo Arvind. Assumete il ruolo di suo padre e influenzatelo in vari punti critici della sua infanzia. Osservate come la personalità e gli obiettivi di Arvind cambiano a seconda di cosa gli dite voi. Sarete il padre che non ha mai avuto? Il padre che non ha mai voluto? Il futuro di Arvind dipende da voi.
 
Istruzioni: basta indossare il visore per iniziare a interagire con Arvind. In ogni livello, dopo che sentite il segnale acustico, potete parlargli per dieci minuti, prima che sentiate ancora il segnale acustico. Dopodiché, visualizzerete un breve montaggio di come cambia la vita di Arvind in base a ciò che gli avete detto. Se finite in anticipo, vi basta dire “Shazbot razzmatazz” per far reagire Arvind.

Una donna si alzò e si tolse il visore. Sembrava un po' turbata. Santosh fu rapido a spingere via alcuni membri della folla, si sedé sulla sedia e indossò il casco. La sua vista fu subito rimpiazzata da una bolla in 3D in bianco e nero. Era seduto al volante di una Nissan Stanza. Santosh guardò a destra e vide una scuola. La portiera del passeggero si aprì e un bambino indiano si sedé accanto a lui.

«Papà! Papà! Ti ricordi quell'esame di collocamento? Ho preso 95!»

Si udì il segnale acustico. Santosh fissò il bambino con sdegno e rispose:

«Che fine hanno fatto gli altri cinque punti?»

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