Prima Lezione: i protocolli contro il Rischio Cognitivo
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La classe arrivò come sempre con alcuni minuti d’anticipo. Conoscevano tutti l’indole del prof. Martelli e nessuno aveva voglia di trascorrere il weekend a compilare liste di vecchi simboli per l’archivio del sito Minerva.

- Che ci vuoi fare? Nomen omen - commentò sottovoce Augusto Brandi, ricercatore al terzo anno, mentre s’affrettava a prendere posto in aula insieme all’amico Flavio Verardi, recluta della SSM-V, con cui aveva seguito i corsi dei due anni precedenti. – Ne parlano tutti come di un luminare. Spesso viene invitato anche dalla branca anglosassone a tenere dei seminari.

Lo sguardo severo del prof. Martelli osservò gli studenti sedersi e li contò mentalmente, mentre faceva scorrere il dito sul registro.
9 studenti. Era sorprendente: la media degli anni precedenti non superava le cinque unità. D’altronde, si trattava di un corso avanzato che solo allievi con ottime probabilità di fare carriera all’interno della Fondazione erano ammessi a seguire.

- Ci siamo tutti? - disse, non appena i presenti furono seduti - Innanzitutto, mi congratulo con voi per essere arrivati a partecipare a questo corso. Significa che la Fondazione avrà presto nuove risorse da mandare in prima linea. - una risata sommessa si sollevò dai partecipanti, subito messa a tacere da un’occhiata di fuoco da parte del dottor Martelli.

- Non era una battuta. È certo che presto sarete dislocati sul campo. Da questo corso dipenderà come tornerete, se sarete in grado di comprendere quello che vi viene detto, se avrete una postura verticale o se vi ritroverete con un cartellino appeso all’alluce destro.
Le scorse quattro lezioni, condotte dal prof. Vicini, vi hanno introdotto al concetto di rischio cognitivo e alle sue principali classificazioni, che oggi rivedremo brevemente prima di cominciare a parlare a come salvarvi la pelle in caso veniate a contatto con un’anomalia caratterizzata da un rischio cognitivo. Non solo per riconoscerla, ma per impedire che vi faccia colare il cervello dal cavo auricolare… Nel peggiore dei casi, s’intende…

Martelli stava intanto accedendo a una presentazione presente sul computer della cattedra. Cliccò sul tasto del mouse e il grande schermo dietro di lui mostrò una prima slide:

- In queste lezioni vi accompagnerò a scoprire i protocolli che la Fondazione ha negli anni sviluppato per fronteggiare il rischio cognitivo. - Martelli fece una pausa, mentre guardava la classe - Non tutti, naturalmente: scopo di questo corso è di dotarvi del corredo protocollare base all'interno di un catalogo che ne comprende centinaia, spesso studiati appositamente per il contenimento di una singola anomalia. Sarà la prima lezione di un ciclo di 12 incontri che comporteranno prove pratiche e laboratori e che, siatene consapevoli, non tutti potrete affrontare.

La capacità di resistere al rischio cognitivo non è infatti una qualità che può essere completamente appresa o addestrata. Ciascuno di noi è più o meno portato all’attività fisica, al gioco degli scacchi o all’apprendimento delle lingue, e lo stesso vale per la capacità di resistere ai rischi cognitivi. Sotto questo aspetto, la Fondazione ha negli scorsi anni individuato e isolato alcuni cluster genetici che sembra caratterizzino gli individui con maggior resistenza ai rischi cognitivi. Resistenza che, purtuttavia, va riconosciuta, potenziata, addestrata e disciplinata. Queste lezioni vi aiuteranno a comprendere i vostri limiti e a fortificarli, facendo la differenza tra la vita e la morte.

- Cominciamo da qualcosa che, se siete qui, dovreste già conoscere a menadito.

La Fondazione classifica le anomalie con influenza sulla mente dei soggetti che vi vengono esposti secondo quattro principali effetti: Compulsione, Altera-mente, Memetico e Rischio Cognitivo. Vediamo.. Chi ci rinfresca la memoria sulle differenze?

Tre mani si alzarono: – Va bene, Brandi, parlacene un po’ – disse Martelli.

Augusto si alzò in piedi e cominciò a spiegare: - La più semplice di tutte è la Compulsione: si tratta di qualcosa che porta i soggetti a fare “qualcosa” che normalmente non farebbero. Normalmente è una condizione che non dipende necessariamente dalla percezione di qualcosa, quanto dalla presenza all’interno del campo d’azione dell’anomalia che la genera. Viene chiamata compulsione perché può essere descritta come una “forte inclinazione”, generata nel soggetto, a comportarsi in un certo modo. C’è chi la chiamerebbe una “sensazione” e chi una conseguenza di un’intensa curiosità. In termini assoluti non è permanente e ha effetto solamente quando il soggetto è all’interno del suo campo d’azione. Una volta usciti da questo perimetro, il soggetto solitamente guarisce come se nulla fosse successo.

Questo è ciò che li distingue dagli effetti di alterazione mentale o altera-mente, che solitamente non si interrompono con l’allontanamento dall’anomalia che li ha generati e che influenzano il modo in cui il soggetto pensa più che quello in cui si comporta. I soggetti esposti cadono solitamente in preda a fenomeni ossessivi o psichiatrici, che vanno dalla schizofrenia alla demenza.

Martelli, ora seduto sulla cattedra con le gambe a penzoloni, fece scorrere l’indice destro sul registro che teneva in mano prima di intervenire: - Una definizione eccellente, Brandi. Un esempio di compulsione, Ferretti?

Ferretti si alzò rapidamente dalla sedia e rispose: - Intende un’anomalia, professore? La prima che mi viene in mente è 081-IT.

- Ah, il Bancone… un esempio da manuale dei rischi cognitivi contenuti dalla Branca Italiana. “Mai avvicinarsi al bancone in più di due persone…”. E invece per quanto riguarda un Altera-mente, chi sa farmi un esempio?

La classe rimase in silenzio per qualche secondo – Nessuno? Volete già deludermi alla seconda domanda? – sentenziò Martelli.

- Il martello… - la voce di Flavio era quasi un sussurro.

- Come dice, Verardi?

- Il martello da guerra… 035-IT - Flavio titubò qualche istante prima di proseguire: - Come hanno dimostrato gli esperimenti, quella che inizialmente sembrava una semplice compulsione era invece caratterizzata a lungo termine, anche in assenza del martello stesso.

- Come ricorderai, agente – interloquì Martelli con tono freddo – in quel caso però la causa della permanenza degli effetti era stata classificata come memetica, causata da due glifi sovrapposti presenti sul martello. Mi sa dire qual è la differenza tra un effetto altera-mente e un effetto memetico?

- La differenza signore? – perfino Augusto, a meno di un metro da lui, ebbe difficoltà a sentirlo parlare - Dipende dalla modalità di percezione?

- Brandi, ci aiuti lei, cosa intende il suo collega per “percezione”?

- Dipende dai sensi, signore – intervenne Brandi – un effetto memetico è una sottoclasse dei rischi cognitivi e dipende dalla trasmissione di quella che chiamiamo “informazione infettiva”. Si attiva quando siamo sottoposti a un meme attraverso i nostri sensi, in particolare la vista e l’udito. Tutti i meme sono rischi cognitivi: percependoli, la nostra mente incamera un’informazione che si farà strada nel nostro sistema neuronale all’interno del quale genererà determinate conseguenze a seconda della forza e della classe del meme. D’altro canto, non tutti i rischi cognitivi sono meme.

- Corretto! – Martelli battè le mani – Ma non lasciatevi ingannare dal fatto che la vista e l’udito sono i sensi su cui facciamo più affidamento! Un’informazione infettiva che giunge dagli occhi, può essere limitata chiudendoli in tempo. Ma se dovesse arrivare dal gusto? O, ancora peggio, dall’olfatto? Voi potreste non essere in grado di riconoscere la presenza di un meme - fece una piccola pausa, guardando la classe - ma il vostro cervello sicuramente lo sarà.

Vittoria Aloisi, una ricercatrice del sito Vulcano, alzò un braccio: - Nel suo elenco non sono previsti i rischi informativi, professore. Quelli che in inglese sono definiti infohazard.

Martelli la fissò con un certo stupore: - Vedo che qualcuno ha fatto i compiti a casa! C’è una ragione ben precisa per la sua assenza in questa tabella: un infohazard è qualcosa che ha un effetto nel preciso momento in cui ottieni informazioni su di esso. Ma come ottieni queste informazioni? Se le ottieni attraverso i sensi, si tratta di una sottoclasse dei meme. Se le ottieni in un altro modo (non mi dilungherei oggi su quali possano essere), il trattamento per gestire questa proliferazione è principalmente la cancellazione dell’informazione ricevuta, attraverso amnestici di varia potenza. Cancellata l’informazione, cancelleremo anche i rischi che essa comporta. Avremo comunque modo di vedere alcuni casi nelle prossime lezioni.

Aloisi fece un lieve segno di assenso mentre il professore riprendeva a parlare.

- Continuiamo. Stavo chiedendo a… A lei, Verardi: ci sa spiegare quindi cosa caratterizza i rischi cognitivi?

- Certo signore – Flavio deglutì e cominciò a parlare: - i rischi cognitivi provocano un pericolo per i soggetti che li percepiscono attraverso i cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto e tatto. I rischi cognitivi possono provocare danni fisici o psicologici e sono tali se si verificano in modo anomalo rispetto alle leggi della fisica, della chimica e delle altre scienze. Possono o meno dipendere dalla trasmissione di informazioni. In caso affermativo, possono essere ricondotti sotto la definizione di meme.

- Bene, Verardi. Chi mi dà qualche esempio di anomalie a rischio cognitivo che non ricadano nelle altre definizioni, e non siano dei meme?

- 015-IT! – gridò Gonnella, un tenente della Para Bellum che seguiva il corso come specialista per la SSM-III.

- Mi piace! – rispose Martelli.

- 119-IT! – replicò Sara Zauri, ricercatrice al sito Deus.

- Il più puro esempio di rischio cognitivo non esplicitamente memetico in nostro contenimento, corretto. – commentò il professore.

- 091-IT? – azzardò Aloisi.

- Ne potremmo parlare a lungo, ma penso sia accettabile. – Martelli si accorse che Bruno Filippi, agente della SSM-V, aveva una mano alzata. - Ci dica, Filippi.

- Mi scusi professore, ma proprio qualche giorno fa ho notato nell'atrio del Sito Iride un manifesto per un seminario che si terrà tra circa un mese, tenuto da Gianluca Bonocore.

A quel nome Martelli drizzò immediatamente il collo, lasciandosi andare a un sorriso. - Ah, Gianluca, che fenomeno. Non lo vedo da parecchi mesi. Se è lui, parlerà sicuramente di Kinetohazard.

- È esatto, professore. Il seminario si chiamerà Kinetohazard: tra propriocettività, cinestesia e rischio cognitivo. Proprio di questo volevo parlare: come mai questo tipo di rischio non è compreso nella lista?

- Una buona domanda, Filippi. Il fatto è semplice: i Kinetohazard sono una scoperta relativamente recente da parte della Fondazione, sul quale sono ancora in corso ricerche per approfondirne caratteristiche, dimensioni, rischi e conseguenze. Non ho dunque ritenuto che fosse il caso di trattarle in un corso introduttivo come questo, in cui dovete imparare procedure e protocolli consolidati, e non indugiare in nuove direttrici di scoperta. Magari li introdurrò nel corso dei prossimi anni.

- Grazie professore, capisco certo. Tutto chiaro - rispose Filippi, abbassando leggermente la testa.

- Molto bene. Risolta anche questa domanda, direi che è il caso di continuare. - cliccò nuovamente sulla pagina che mostrò una seconda slide che riassumeva quanto discusso:

- Ecco qui riassunto quanto ci siamo detti finora. Consideriamolo un punto di partenza. Nelle precedenti lezioni, Vicini vi avrà sicuramente descritto le classi di suddivisione del rischio cognitivo sulla base degli effetti provocati dall’esposizione a un elemento dotato di queste caratteristiche. – cliccò nuovamente.

- Questa è la tassonomia dei rischi cognitivi attualmente adottata dalla Fondazione a livello globale. Come vedete, classifica i diversi effetti a seconda delle conseguenze che hanno sulla mente dei soggetti esposti. Personalmente, l’ho sempre considerata una distinzione puramente accademica. Valida per decidere ex post quale effetto abbia una determinata anomalia ma quasi inutile sul campo.
In questi casi è infatti estremamente difficile riconoscere il tipo di rischio cognitivo a cui si viene esposti prima che i suoi effetti si diffondano nella nostra mente. Più interessante, utile, e potenzialmente salvavita è invece una catalogazione che permetta di riconoscere come reagire a un rischio cognitivo.

Vi propongo a tal proposito, e vi invito a seguire, la classificazione che ho presentato all’ultimo raduno internazionale della Fondazione, a Rovaniemi. Vedremo come applicarla nel corso delle prossime lezioni.

- I protocolli contro il rischio cognitivo sviluppati dalla Fondazione sono strutturati su cinque livelli. Padroneggiarli è complesso, e solo chi è dotato di un altissimo livello di concentrazione può riuscirvi.
In termini generali, che non mi aspetto comprendiate fino in fondo, proteggersi dal rischio cognitivo significa distaccarsi dai propri sensi senza abbandonare il contatto con la realtà.
La resistenza ai rischi cognitivi, infatti, funziona in modo diverso rispetto a quella per i meme, per cui le caratteristiche psicologiche e l'addestramento possono portare a resistere a classi sempre più alte di meme. Tra qualche giorno avremo tra noi un ospite di estremo riguardo che è famoso per la sua grande resistenza ai meme
.

- Mi sa che ci scappa la visita di Quinto, Flavio… - sussurrò Augusto all'amico.

- Un altro simpaticone, eh… - rispose Verardi a bassa voce.

Martelli intanto stava continuando la propria esposizione:
- …per il rischio cognitivo, invece, non siamo ancora stati in grado di identificare una classificazione di resistenza innata, né in Europa né presso la sede centrale. I protocolli sono la modalità attraverso la quale incanaliamo le potenzialità del cervello umano di gestire le proprie percezioni in un’azione capace di favorire la resistenza ai rischi che possono generare da esse.

La più importante lezione che vi darò oggi è questa: a fondo del rischio cognitivo, c’è sempre un’emozione. C’è la reazione a qualcosa che ci tocca nel profondo: ex – movere, portare fuori, scuotere. - Mentre parlava, Martelli ha preso in mano un foglio di carta tenendolo aperto davanti a sé. Reggeva una matita nell’altra mano - Un’emozione crea una perturbazione rispetto al normale stato di cose che caratterizza la nostra biologia, crea una crepa attraverso la quale un’anomalia può provocare conseguenze sulla nostra psiche. - Il professore infilò la matita all’interno del foglio, tenendolo alto - Se non sarete in grado di resistere, come questa matita mi permette di reggere l’interno foglio, l’anomalia sarà in grado di controllarvi completamente attraverso l’effetto cognitivo generato.

- Potreste essere portati a pensare che si parli soprattutto di paura. La paura certamente mina le nostre difese mentali, perché attiva un meccanismo innato che prende la forma del combattimento o della fuga.
Ma in realtà, vi sono emozioni molto più forti, che se generassero da sorgenti anomale sarebbero forse esse stesse classificabili come un rischio cognitivo.
Amore, odio, rabbia, nostalgia… Ciascuno di essi può condizionare la vostra reazione al rischio cognitivo generato da parte di un SCP.
Alla più importante lezione farò seguire la prima risposta per fronteggiare questo genere di effetti.
Ovviamente, la concentrazione
.

- Facciamo un esercizio. Guardate queste cinque carte.
Prendete una carta e tenetela a mente. Ripetetevela mentalmente.
So perfettamente quale carta avete scelto.
Ora la toglierò dal mazzo e vi farò rivedere le altre
.

- Chi ha trovato la propria carta?
La classe rimase qualche secondo in silenzio.

- Ripensate a quale carta avevate scelto.

Dopo alcuni secondi, sette mani si alzarono.
- Filippi, dimmi tu.

- Le ha cambiate tutte, professore. - disse Filippi.

- Finalmente. Deduco che anche gli altri abbiano capito il trucco. - si rivolse agli unici due che non avevano alzato la mano - Verardi, De Carli, voi non avete notato nulla?

- Non ho gran familiarità con le carte da gioco, signore - disse timidamente De Carli, una giovane biologa in servizio presso il sito Iride.

- Eppure le carte sono un ottimo metodo di concentrazione, ricercatrice… e tu Verardi?

Flavio rimase in silenzio.

Martelli riprese: - La concentrazione è fondamentale. È importante saper osservare tutto, senza prestargli particolare attenzione. Solo in questo modo sarà possibile conservare sufficienti energie mentali per reagire a un rischio cognitivo.
Se siete concentrati, vi servirà soltanto un’altra cosa.
Il coraggio. La forza di reagire allo stato di cose attuale.
È una caratteristica fondamentale per chi dovrà agire sul campo
.

Martelli si alzò e cominciò a camminare davanti alla cattedra:
- Il rischio cognitivo si diffonde attraverso i sensi. La Fondazione dispone di diversi strumenti pensati per porre una barriera tra i vostri sensi e ciò che potrebbe disseminarsi attraverso di essi.
Mi perdonerete se utilizzerò due termini ormai quasi desueti nelle scienze cognitive, ma credo che rendano al meglio l’idea. Questi strumenti sono utilizzati per impedire che un percetto diventi un concetto e si diffonda nella vostra mente.

Conoscete qualche esempio di questi dispositivi?

- Cuffie anti-rumore - disse Brandi.

- Talco mentolato per non sentire gli odori - intervenne Sebastio, il più anziano della classe, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

- Occhiali schermati che impediscano di vedere? - la voce era quella di Zauri.
Se per le due prime risposte Martelli aveva semplicemente annuito, in questo caso rispose:
- In realtà, e dovreste saperlo, abbiamo di meglio. Sono certo conosciate i sistemi SCRAMBLE.

La classe annuì. - Ce li presenta lei, Gonnella?

- Certo signore. I sistemi SCRAMBLE sono supporti oculari simili a piccoli binocoli con lenti verdi, in dotazione alla maggior parte delle squadre della Fondazione in azioni caratterizzate da rischi memetici. Permettono di non subire l'effetto del meme schermando, attraverso un riquadro di censura dall'aspetto di scariche statiche, segni e disegni da cui scaturisce l'effetto del meme. - Ne avevano parlato con Vicini proprio qualche giorno prima.

- Molto bene. Bisogna però sottolineare - riprese Martelli, continuando a osservare il resto della classe - che si tratta di una protezione valida quasi esclusivamente contro meme visivi.

- Ci sono anche i sistemi inibipatici - aggiunse Ferretti.

- Siamo già ad un livello più complesso: sono sistemi che proteggono da attacchi cognitivi ostili, fornendo una schermatura di alcune onde cerebrali. Servono soprattutto se si conosce già il rischio cognitivo che dovrete affrontare - sottolineò Martelli - e, mi spiace dirlo, non è una situazione che avviene troppo spesso. Ma è una risposta assolutamente corretta.

- Guanti protettivi? - suggerì De Carli.

- Se dovessi trovare un capitano capace di mandarvi in missione senza guanti, penso che lo suggerirei per qualche assegnazione di classe Keter come fanno in America… - sogghignò Martelli - Comunque sì, dipende pur sempre da cosa sono progettati per proteggere, questi guanti…

- Naturalmente - continuò il professore - questi espedienti valgono a seconda del grado e della potenza di un agente cognitivo: vi sono luci così forti che anche chiudere gli occhi non vi riparerà dal loro effetto. Così come dei suoni, posti su frequenze che non possono essere fermati da cuffie acustiche, capaci di superare qualunque protezione dal rischio cognitivo. In ogni caso, nelle prossime lezioni, conosceremo e impareremo a usare alcuni di questi dispositivi.

- Dovete ricordarvi - Martelli si rialzò in piedi - che ci sono cose strane là fuori. Cose potenti. Cose da cui, forse, non abbiamo ancora scoperto come difenderci.
Cionondimeno, sono cose che devono essere trovate, contenute, protette. E qualcuno dovrà metterci le mani, qualunque sia il rischio a cui sarà esposto.

Queste persone, siamo noi.

- Il livello uno è presentato non a caso da un grande bushi come Musashi Miyamoto, al secolo Takezo Shinmen, forse il più grande spadaccino della storia del Giappone. - fece una pausa, bevendo un piccolo sorso d'acqua - …come certo sapete, una delle caratteristiche dei cosiddetti samurai è la capacità di osservare tutto, senza prestarvi particolare attenzione.

La sua lezione ci può aiutare a comprendere meglio i protocolli di livello 1, tutti sviluppati a partire da un assunto: se un rischio cognitivo è dovuto alla sua percezione attraverso i sensi, la capacità di controllare il nostro rapporto con ciò che è al di fuori di noi può garantire l'immunità agli effetti di un rischio cognitivo, per lo meno di classe "Immobile".

- Chiudete gli occhi. Concentratevi sul vostro battito cardiaco, sul vostro respiro. Cercate di mantenere il controllo sui vostri ritmi biologici. É quello che chiamiamo protocollo zero, e che costituisce la base per mettere in pratica tutti i livelli successivi. Qualunque agente presente sul campo deve essere in grado di entrare in questo stato cognitivo immediatamente.

Il secondo protocollo di livello 1 è invece chiamato Protocollo Dumont, dal nome del filosofo che per primo lo presentò nel 1918.

Mentre il professore apriva la slide, Brandi fece sottovoce a Verardi: - Lo conosco questo tizio, in realtà si chiamava William Atkinson e per molti anni è stato considerato nient'altro che un ciarlatano. Calcò particolarmente questo termine, tanto che la sua voce giunse anche a Martelli.

- Ciarlatano, dite? - scoppiò a ridere - Ciarlatano come chi ha teorizzato l'esistenza dei rischi cognitivi, forse? Come chi riteneva che i Bigfoot esistessero realmente? Come chi voleva vedere chiaro in quella casa a Venezia? O come chi sosteneva si potesse parlare con la Monna Lisa? Ditemi, in che senso ciarlatano?

Nessuno rispose, e Brandi stesso si zittì. - Farò finta di non aver sentito, dunque - riprese il professore.

- La tecnica di base - cominciò Martelli - è effettuata riempiendo un bicchiere d’acqua e tenendolo stretto nel pugno di una mano. Dopodiché bisogna alzare il braccio in avanti fissando gli occhi sul bicchiere e cercando di mantenere il braccio fermo per almeno un minuto.
É poi necessario ripetere l’esercizio prima con un braccio e poi con l’altro.

Lo scopo di questo esercizio è quello di ottenere il controllo del movimento dei muscoli involontari: per riuscirci è necessario avere già padroneggiato il protocollo zero.

Naturalmente, quando vi troverete in missione, difficilmente avrete la possibilità di effettuare questo genere di prova. In alcuni casi avrete forse tempo di concentrarvi in fase preparatoria, ma in generale chi sarà in grado di accedere ai protocolli di livello più alto dovrà essere in grado di farlo attraverso tecniche di concentrazione mentali. Per questo, molto raramente il vostro capo squadra vi ordinerà di eseguire questo protocollo, che rappresenta la base di ogni operazione a rischio e dovrà essere attivato di default da parte di tutti gli agenti.

Vediamo i prossimi due protocolli di livello 1 nella prossima slide.

- Il protocollo Newton - disse Martelli dopo essersi schiarito la voce - viene utilizzato per rischi cognitivi blandi o per anomalie che stimolano una compulsione. Viene attivato sottoponendoci a una forte stimolazione all'interno di un campo sensoriale differente rispetto a quello del rischio cognitivo. Ad esempio, di fronte a un rischio cognitivo connesso all'udito, possiamo colpire con un pugno la nostra gamba sinistra. Oppure, possiamo annusare un odore molto forte o sottoporci alla visione di un'immagine o un video dai colori forti e saturati.

- Come vedremo nelle prossime lezioni, invece, il protocollo Vertigo è essenzialmente un protocollo di segnalazione. Viene utilizzato per capire se nella zona in cui ci troviamo è presente un rischio cognitivo. Viene solitamente eseguito in coppia da parte dei membri di una squadra: il tuo compagno propone dalle tre alle cinque domande personali in rapida sequenza e l'agente deve rispondere immediatamente. Una mancata risposta o una risposta errata, monitorata dal leader o dal Comando, farà scattare una prima allerta nella squadra, segnalando la possibile presenza di un'anomalia cognitiva.

- Ci sono domande?

Nessuno alzò la mano.

Affronteremo i protocolli di primo livello nella prossima lezione, martedì prossimo. Vi consiglio di presentarvi ben riposati. - riprese Martelli - Passiamo allora al livello successivo, il secondo.

Martelli si voltò a guardare la slide proiettata dietro di lui, mentre descriveva i due protocolli.

- Il protocollo Catone vi insegnerà a scomporre le vostre percezioni distinguendo ciò che determina un rischio cognitivo da ciò che è innocuo. Rappresenta un esempio di basso livello di quelli che chiamo "protocolli discretizzanti". Una volta raggiunto un sufficiente livello di concentrazione attraverso il protocollo Dumont, sarete chiamati a interrogarvi sull'essenza delle vostre percezioni rispondendo mentalmente ad alcune domande. Ad esempio "ho già provato questa sensazione?" "In quale occasione?" "chi me l'ha fatta provare?". Assegnando a un ricordo un determinato stato d'animo, sarete in grado di comprendere cosa c'è di nuovo in quello che state provando, concentrandovi sulla situazione che conoscete già. Costringendo il vostro cervello a considerare tutto il resto come qualcosa di non importante.

Verardi titubò per qualche secondo, ma poi prese coraggio e formulò la sua domanda: - Signore, potrebbe essere qualcosa di simile a ciò che avviene con la memoria olfattiva? Un odore così legato a un ricordo da farci estraniare dal momento in cui lo percepiamo, per riportarci a un ricordo lontano?

Martelli rimase qualche istante in silenzio, per poi rispondere - Proustite, Verardi. Stai descrivendo la proustite che, a suo modo, è un effetto memetico blando legato alle percezioni del nostro olfatto. Quello che imparerete con il protocollo Catone, se sarete in grado di padroneggiarlo, sarà di riconoscere la natura memetica di questo effetto, senza lasciarvi trasportare dai ricordi - spesso nostalgici o malinconici. - Martelli si rialzò in piedi -… e a volte sono proprio queste emozioni la leva attraverso la quale un'anomalia vi neutralizzerà. Magari proprio attraverso il profumo dei biscotti di vostra nonna.

Il protocollo Gordio, invece è, come scritto qui sopra - continuò Martelli indicando la slide dietro di lui - un protocollo essenzialmente matematico. Calcolando mentalmente semplici operazioni con i quattro segni primari (e occasionalmente elevamenti a potenza o radici quadrate), porterete la vostra mente lontana dal campo di azione del rischio cognitivo. Abbiamo già avuto modo di testare che questo protocollo è valido solo per rischi cognitivi di livello Invasivo o inferiore, ma rappresenta comunque una buona difesa per la maggior parte delle anomalie.

Facciamo un passo più in alto, e arriviamo al terzo livello… Ci sono domande, a proposito?

Ferretti prese la parola: - Come mai si chiama Protocollo Gordio, professore?

- Giusta domanda. Ti risponderò con un'altra. Cosa ti fa venire in mente Gordio?

Ferretti non rispose. Solo Brandi alzò la mano: - Il nodo Gordiano di Alessandro Magno, signore.

- Precisamente, precisamente! Vedete - Martelli cominciò a camminare avanti e indietro davanti alla cattedra, muovendo le mani davanti a sé e verso la classe - Siamo abituati a considerare le nostre percezioni come in una relazione diretta di causa ed effetto. Succede qualcosa, lo percepiamo, processiamo e il nostro cervello ci da una risposta. Ma in realtà quanto succede tra i sensi e la mente non è un filo, ma somiglia più a un groviglio, in cui vari fili si sovrappongono e si uniscono, e spesso è attraverso la loro relazione che il senso di quanto percepiamo emerge. Alcuni rischi cognitivi sono così potenti, pur nella semplicità del loro funzionamento, proprio perché agiscono su questo groviglio, contaminando anche gli altri sensi.

Martelli indicò nuovamente la slide alle sue spalle: - Il protocollo Gordio permette di sciogliere questo groviglio, questi nodi, spingendo la nostra mente ad ancorarsi alla realtà attraverso delle operazioni matematiche. Come Alessandro Magno risolse l'enigma del nodo gordiano con la propria spada, noi risolviamo il groviglio delle percezioni, che permette al rischio cognitivo di diffondersi nella nostra mente, attraverso l'arma più affilata che possediamo. E, mi spiace dirlo agli umanisti qui presenti - sogghignò Martelli - si tratta proprio dell'aritmetica.

Il professore tornò a sedersi sulla cattedra.

- C'è un altro protocollo studiato per una precisa anomalia, che potrebbe ricadere in questa categoria, ma che non è standard per le branche al di fuori da quella italiana. Conoscete Aprosdioristia? - domandò Martelli.

Nessuno rispose. - E se vi dicessi Cognito-Sarchiapone?

- Ah - fece De Carli - Si riferisce a Cento

- Silenzio! Non ho intenzione di sentirvi esprimere con frasi incompiute per la prossima ora. Si, esatto, sto parlando proprio di quello. Il Protocollo di gestione di Aprosdioristia, la Procedura Verbosa a Bassa aleatorietà, è precisamente un protocollo dal funzionamento basato sul medesimo principio del Protocollo Gordio, che fa leva sul linguaggio anziché sulla matematica.

- Cos'hanno in comune tutti questi protocolli? - domandò Martelli.

- Sono pensati per distrarre i nostri sensi? - disse Verardi.

- Mi sembra evidente. Ma non è questa la risposta che cercavo. Newton, Vertigo, Catone, Gordio… Si basano tutte su un approccio scientifico molto preciso.

Fu Zauri a rispondere: - Sono falsificabili, signore?

- E chi lo avrebbe mai detto che il popperiano della classe venisse proprio dal Sito Deus… Esatto, esatto! Si tratta di protocolli che, per il corretto funzionamento, si ancorano a una scienza dura o a informazioni verificabili in tempo reale, come la vostra biografia. Ma se qualcosa non può essere verificato, ecco che questi protocolli ci danno un indizio sul fatto che qualcosa, dentro e intorno a noi, non sta funzionando. E se qualcosa non sta funzionando, significa che è possibile vi sia un rischio cognitivo in atto.

Martelli fece una pausa, aprì un cassetto della scrivania, ed estrasse una scatola. - Ora vi costringerò ad astrarvi dalla situazione corrente, e a comprendere come, nella maggior parte dei casi, le scienze dure ci possono aiutare nella gestione di anomalie di basso grado, nel loro contenimento e nella nostra protezione. Ma là fuori, lo ripeto - fece un gesto verso l'esterno della stanza - ci sono cose che richiedono una forza mentale di grado molto più alto.

Ciò detto, aprì la scatola. Non sembrò accadere nulla. Ma quando il professore riprese a parlare, gli studenti sentirono parole che non si aspettavano: - Qui hanc capsam aperit, Latine loquetur. Nihil non possumus impedire, etiam omni scientia nostra utentes.

La classe rispose con un silenzio carico di interesse. Martelli richiuse la scatola. - Cos'ho detto, Aloisi?

- Ha detto che chiunque apre questa scatola, parlerà in latino, e non c'è nulla che le nostre conoscenze scientifiche possono fare per impedirlo.

- È esatto. Questa è un'anomalia semplice, poco più che un oggetto anomalo, senza particolari effetti negativi. Un regalo dei nostri amici dell'Ordo Iani, mi hanno detto gli S5. Eppure, come vedete, pur con tutta la mia esperienza, e sapendo cosa avrebbe fatto la scatola, senza aver preso alcuna precauzione non ho potuto resistere al suo effetto. - prese un bicchiere d'acqua.

- Questo è un esempio di basso grado del potere di un'anomalia: non ci dà il tempo di prepararci. Semplicemente, esiste e produce effetti. Ecco perché bisogna essere pronti a qualunque evenienza. E i prossimi protocolli saranno l'unica ancora di sicurezza che avrete a disposizione.

Nessuno parlò. - Bene, vedo che siete curiosi… Procediamo dunque.

- Il protocollo Eco è un protocollo sviluppato alcuni anni fa dal Primo Sovrintendente in persona, con la complicità del famoso professore di Alessandria. - Martelli si fermò un attimo, come sovrappensiero - Chi di voi conosce il metodo Bertog-Rorschach sul calcolo delle capacità di persuasione?

Gonnella alzò la mano: - Non nello specifico, signore, ma è citato nel file di 099-IT.

- Corretto. Anche se in quel caso si riferisce a una specifica declinazione di questo test, che non viene utilizzata per individuare le capacità persuasive del soggetto ma la sua capacità di far emergere la propria personalità. Due cose che, se continuerete questo percorso insieme a me, scoprirete essere più simili di quanto si creda.

- Il protocollo Bertog-Rorschach - fu Aloisi a intervenire - permette di riconoscere le capacità di persuasione utilizzando le famose "macchie", per così dire, all'opposto: anziché permettere al terapeuta di comprendere l'indole e i pensieri del soggetto dell'esperimento, prevede che il soggetto dell'esperimento convinca il terapeuta che ciò che lui vede nelle macchie sia l'unica possibile interpretazione di quanto riprodotto.

- Esatto, Aloisi, molto bene! - Martelli fece un piccolo applauso, per poi tornare immediatamente serio. - E cosa ha a che fare con i protocolli contro il rischio cognitivo, secondo lei?

- Suppongo, professore - la ragazza si sistemò gli occhiali sul naso - che abbia a che fare con la capacità di confondere l'anomalia dirigendo altrove il proprio effetto.

- Impreciso, ma è sulla strada giusta. Una simile definizione potrebbe, in un caso limite, valere per anomalie umanoidi, sapienti o quantomeno senzienti. Ma se avessimo a che fare con una roccia? Con un artefatto il cui funzionamento è ignoto come 1427?

La classe rimase nuovamente in silenzio.

- D'accordo, ve lo spiego io. Il protocollo Eco serve a riflettere sull'anomalia il suo stesso effetto o, ancora più nello specifico, di nascondere la nostra presenza all'effetto dell'anomalia. Padroneggiare questo protocollo significa saper gestire in modo eccellente le proprie percezioni e il proprio comportamento neurale, e in particolare le funzioni dei neuroni specchio. Come vedremo nei test con coloro che arriveranno a questo livello, con questa dicitura ci si è per anni riferiti a un tipo di neuroni motori, in modo anche piuttosto discutibile… Ma non vi anticiperò nulla in questa sede. Ci porterebbe lontano e, ahimè, non tutti potrete comprendere ciò di cui vi parlerò.

- Qualche speranza in più ho per il protocollo successivo, il protocollo Cartesio. Un personaggio pittoresco, Cartesio, e un filosofo decisivo per il pensiero occidentale. Qual è la lezione che tutti ricordano di Cartesio?

Tutte le mani si alzarono. - Verardi, su, stavolta mi renderai felice.

- Cogito ergo sum, professore: l'uomo esiste perché possiede la facoltà di dubitare di ciò che i suoi sensi percepiscono.

- Precisamente, Verardi. E qual è l'implicazione che non tutti colgono?

Per la prima volta da inizio lezione Flavio si lasciò andare a un piccolo sorriso. La sapeva. - Noi non conosciamo direttamente le cose, ma ciò che i nostri sensi ci dicono di quelle cose. Le nostre percezioni sono fallaci e ingannatrici, ma è attraverso l'esercizio del dubbio che possiamo legittimamente comprendere quello che stiamo percependo come reale. La res cogitans plasma la res extensa.

- Esattamente. Il protocollo Cartesio presuppone un livello di concentrazione tale da permetterci di dubitare dei nostri sensi anche per quanto riguarda effetti cognitivi ingovernabili o impossibili da discretizzare.

Credo che sia solo un migliaio il numero di persone in tutta Italia capaci di padroneggiare questo livello.

Se saliamo a quello successivo, molte meno.

Martelli fece un sospiro. Non mi aspetto che più di un paio di voi arrivino a questo livello, in realtà. E credo che nessuno arriverà al quinto. Ma per completare questa lezione introduttiva, ve li presenterò comunque nelle prossime slide.

- Non vi chiedo se avete domande su questo livello, perché siamo arrivati a un grado di astrazione tale da rendere qualunque discussione metafisica. Ci arriveremo nel corso delle prossime settimane, forse.

Brandi alzò comunque la propria mano - Possiamo chiederle quante persone sono capaci di padroneggiare questo livello nella branca italiana, professore?

Martelli lo guardò a lungo. - Molto poche, Brandi. Alcune non le conoscerete mai, altre sono state, o forse sono tuttora, membri del Consiglio S5. Altre hanno prima o poi incontrato un rischio cognitivo verso il quale anche questi protocolli si sono dimostrati inefficaci. Penso che per il momento, dovrete accontentarvi di conoscerne una sola… - Martelli aspettò qualche secondo prima di continuare - …e ce l'avete davanti.

Ferretti alzò a sua volta la mano: - Professore, ci può almeno dire come si chiamano i protocolli di quinto livello?

- Non è una collezione di figurine, Ferretti. Tuttavia vi posso dire questo: sono due i protocolli di quinto livello, e solo uno ha un nome che può essere pronunciato in una sede come questa. L'altro è [REDATTO] in ogni documento che ne parli. Si chiama protocollo Leonida.

- Annibale, Leonida.. Chi ha scelto questi nomi deve essere un appassionato di storia antica - disse Gonnella, con una risatina.

- È così, Gonnella, in effetti lo sono - rispose Martelli. - Ed ero serissimo quando li ho scelti, come lo sono in questo momento. Vi racconterò una storia.

Immaginate di vivere circa duemila anni fa. Il Vesuvio erutta e spazza via tutte le città poste sulla costa campana a sud di Partenope. E un imperatore quarantenne fonda un Ordine religioso e scientifico al tempo stesso, incaricato di studiare stranezze e anomalie che sfuggono alla comprensione dei vostri contemporanei.

È un'epoca di scarsa tecnologia, e sono pochissimi gli strumenti a disposizione per ripararsi da queste aberrazioni. Qual è l'unica cosa su cui potete fare leva?

Gonnella restò in silenzio, e così anche i suoi compagni di corso. - La mente, Gonnella, la mente. Questi protocolli sono la dimostrazione che le apoteosi di alcuni grandi personaggi della Storia antica non erano affatto storie, ma il raggiungimento di uno stato psicofisico nuovo, incomprensibile e empireo.

Martelli chiuse le slide e il computer. - Perché la parte più difficile, per chi padroneggia questi protocolli, non è sfuggire all'effetto di un'anomalia. È mantenere la propria umanità.

A questa frase Martelli aggiunse qualcosa. Ad alcuni sembrò una parola, ad altri una frase, ad altri una strofa canticchiata con una minima cadenza. E quando guardarono di nuovo la cattedra, Martelli non era più lì.

Sullo schermo era presente una nuova slide, con sopra scritto:

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