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Ringrazio Ardi0177 does not match any existing user name e
Terzo posto al concorso per il quinto anniversario dell'ufficializzazione della branca -IT.
13/7/1946
Non sono una brava persona. Non sono mai stato una brava persona.
Non ho mai saputo essere me stesso. Sono sempre stato in mezzo agli altri, per timidezza, per paura.
Ho seguito il Duce per vent'anni, senza rendermi conto di ciò che stessi facendo. Quando Brigante riunì i pochi membri del RIDIA ancora fedeli al fascio, non mi posi nessuna domanda.
Ma oggi ho visto troppo, troppo perché possa restare fermo e muto.
Oggi, per la prima volta, prenderò una decisione, una grande scelta che cambierà la mia vita, e che arriverà forse a togliermela.
E se succederà, potrò dire di essere morto per una buona causa.
— Buongiorno. —
— Buongiorno. —
Subito dopo aver salutato sovrappensiero lo sconosciuto, il poliziotto lo guardò con aria confusa.
— Documenti, prego. —
Lo sconosciuto prese il portafoglio e porse al poliziotto il suo documento.
— Grazie — il poliziotto lo lesse — Marco Zanchin, polizia… —
Il poliziotto aprì uno schedario e lo sfogliò in cerca di Zanchin. Lo trovò.
— Lei è per caso del… —
Fu interrotto da Zanchin che mostrava il tesserino del RIDIA.
— Esattamente, quindi sono a posto. —
— Quel documento non ha più alcun valore da quasi un anno, non siete assolutamente a posto per entrare. —
— Nemmeno per fare una testimonianza urgente? —
— La faccio scortare. Per ovvie ragioni. —
— … RIDIA, assunto nel '34, archivista e investigatore. —
Il tenente, appena letto l'inizio del fascicolo di Zanchin, alzò lo sguardo.
— Si direbbe un classico fascista del RIDIA, signor Zanchin. —
— Il fascicolo non è completo. Prima di fare l'investigatore ero un agente sul campo. Mi occupavo di cercare anomalie e… — si fermò brevemente, e il tenente riprese la parola.
— E oppositori politici, scommetto. —
— No, quelli no. —
— Allora dissidenti? Disertori? —
— Nemmeno questi. —
Il Tenente ridacchio sottovoce.
— Se viene a chiedere udienza è per qualcosa di urgente, cosa ci fa un fascista a casa della Fondazione? —
Zanchin stava perdendo la pazienza a forza di sentirsi chiamare fascista.
— Non sono un fascista, e sono qui per aiutarvi a eliminare l'ultima traccia rimasta del RIDIA fascista. —
Il tenente trattenne a malapena la risata. La faceva apposta per infastidire l'interrogato.
— Sentiamo cos'ha da dire. —
— Alcuni fascisti si sono riuniti e hanno formato un gruppo. Hanno intenzione, fra una settimana, di liberare un'anomalia in centro a Milano. —
Il tenente riprese a ridere.
— Ma allora sono anche stupidi! —
Si fermò di colpo. Divenne improvvisamente serio. Sollevò la cornetta del telefono.
— Sì? Mandami Gerardi. —
Poco dopo, entrò dalla porta un agente. Lui e il tenente si scambiarono qualche parola all'orecchio. Poi l'agente uscì.
— Mi perdoni. Coincide con un'altra segnalazione. —
— Posso sapere di chi? —
— Un altro membro del RIDIA. Non andrò oltre però. Ci dica lei di più. —
— Non so esattamente che anomalia vogliano liberare. Ne so il codice. Nero 22. —
— Si direbbe pericolosa. —
Il tenente sfogliò un registro.
— Nero 22, trovato. "Nessuna informazione. Anomalia non ritrovata", dice la scheda. Interessante. —
— So dove potremmo trovare qualche informazione. Il capo archivista del RIDIA, il dottor Ennio Auriga, è morto un anno fa, ma so che a casa sua teneva una copia di alcuni documenti. L'indirizzo dovrebbe essere schedato. —
— Che senso avrebbe tenere i documenti a casa? —
— Non lo so, ma avrebbe senso cercare da lì. —
Il tenente chiuse il registro.
— Ce ne occuperemo. Lei passa la notte da noi. Se quello che ci ha detto non corrisponde con quello che ci dice l'altra fonte, è nei guai. —
— Non corrisponderà, a meno che non sia stato anche lui un archivista come me. —
— Allora dovrà trovare un modo per darci una prova che quello che ci sta dicendo è vero. —
— Posso andare io stesso alla casa di Auriga. —
— E come facciamo a essere sicuri che i documenti siano autentici? —
— Mandi un agente e mi tenga d'occhio. —
Il tenente pensò un attimo.
— Resterà qui fino a dopodomani. Poi valuteremo. —
Poi si rivolse alle guardie.
— Portatelo fuori. —
— Lei è fortunato, signor Zanchin. L'altra fonte ha dato una versione dei fatti che coincide con la sua. —
Il tenente diede ordine ai due agenti di togliere le manette a Zanchin.
— Ora ci serve una prova che alcuni documenti del RIDIA sono a casa del signor Auriga. —
— Sono tre mesi che li cercano. Solo io so che sono a casa sua. —
— E lei non l'ha detto a nessuno. —
— Pensavo già da tempo di abbandonarli. Non c'era motivo di accelerare le loro indagini. —
— Domani mattina andrà a prendere tutti quei documenti e ce li porterà. Sarà controllato da due agenti, quindi non ci faccia scherzi. —
La casa del dottor Auriga era una piccola villetta, non molto lontana da Milano, in un paesino in mezzo ai campi.
Il furgone arrivò e parcheggiò vicino all'edificio. Zanchin scese con i due agenti. Gli tolsero le manette e gli diedero una pistola.
— Ha pochi colpi e le serve solo in caso di emergenza. La metta in tasca. —
Non perse tempo a controllare il caricatore. Sapeva già che era vuoto.
Entrò, seguito dai due agenti.
L'interno della casa era spazioso ma poco illuminato. Le luci non funzionavano. Probabilmente nessuno ci entrava da quasi un anno.
Zanchin e gli agenti misero per aria tutto il piano terra in cerca dei documenti del dottor Auriga. Dopo circa un'ora si spostarono al piano superiore.
In cima alle ripide scale di legno c'era una piccola finestrella. Era aperta e il vetro era rotto; i frantumi erano sparsi per il pianerottolo, insieme alla maniglia.
Sulla destra del pianerottolo, oltre a una porta, iniziava un corridoio, con delle grandi finestre sulla parete. E pure queste erano infrante.
Il fatto che tutto fosse a posto nonostante le finestre fossero rotte fu un campanello d'allarme per Zanchin.
Ma non fece in tempo a seguire i suoi ragionamenti. Uno dei due agenti cadde a terra, colpito da un proiettile alla testa.
Era una trappola.
Si gettò al pavimento, mentre l'altro agente gli puntava il fucile.
— SI ABBASSI! —
Non fece in tempo. Anche l'altro agente si accasciò sulla parete, macchiandola di sangue.
Non poteva tornare indietro, la Fondazione lo avrebbe creduto nemico.
Poteva solo andare avanti.
Strisciò per il corridoio, unto di polvere e irto di schegge taglienti, e iniziò a tirare calci alla prima porta che gli capitò davanti. I cardini cedettero e la porta gli cadde addosso.
Perse conoscenza.
Si risvegliò. Qualcuno era nella stanza, e gli camminava attorno. Gli stava parlando.
— Sai perché non ti ho ucciso? —
Non aveva la forza di rispondere.
— Tutti noi sbagliamo, Marco. —
Riconobbe chi gli parlava.
— E anche se può sembrare ormai troppo tardi, puoi ancora scegliere di tornare sulla retta via. —
Era armato con una pistola.
— La segretezza del Consiglio ha rischiato di svanire per colpa tua. Se torni in tempo, il Consiglio resterà nell'ombra. —
Si fermò e guardò fuori dalla finestra. Poi volse lo sguardo a Zanchin.
— Quindi, Marco, cosa ne pensi di ciò che hai appena fatto? —
Una grande scelta che aveva cambiato la sua vita.
Si chinò su Zanchin.
— Sei sicuro di aver fatto la cosa giusta? —
…e che era arrivata forse a togliergliela.
— Sì. —
Era il Dictator.
— Davvero? —
— Questa casa non resterà vuota a lungo. —
— Oh, quello è il problema minore, figliolo. —
Un agente della Fondazione fece irruzione, armato.
— Uh… come non detto. —
L'agente sparò tre colpi di pistola al Dictator.
Non gli avevano fatto niente.
Il Dictator si alzò e si avvicinò all'agente. Lo prese al collo e lo gettò a terra.
Non si mosse di lì.
— Te l'ho detto: il problema minore. —
Lo disse con una pacatezza e tranquillità terrificante.
— Non hai altra via d'uscita. Torna al Consiglio. —
— No! —
Il Dictator appoggiò il piede sulla testa di Zanchin, ancora a terra, e la spinse sul muro. Iniziò a schiacciare.
— La Fondazione ti crede uno di noi. —
Non avrebbe retto ancora a lungo.
— Non hai scampo. —
La testa era schiacciata al muro sempre con più forza.
— Ultima possibilità. —
Non era più ora di aspettare.
— Sei o non sei fedele al Consiglio?! —
Si spinse sul muro con le gambe e si lanciò sul ginocchio del Dictator.
— Ah! Maledizione! —
Zanchin, scivolando sul pavimento, raggiunse il corpo dell'agente e prese la sua pistola. Si girò verso il Dictator e lo puntò sulla fronte.
Anche il Dictator aveva avuto la stessa idea.
— Ora non ti resta che la morte, Marco. —
— E perché non anche la tua, pazzo? —
Il Dictator iniziò a ridere malvagiamente. La risata lo paralizzò.
— Quella pistola non mi farà niente, niente… —
Zanchin non sapeva cosa fare.
— Possiamo aspettare così, se non ti dispiace, figliolo. —
Tanto qualcuno sarebbe arrivato.
— No, no, non mi dispiace. —
Tremava.
— Sai, non sei affatto furbo, sapevamo che volevi abbandonarci già da molto. —
Non fu sorpreso più di tanto.
— Potevi giocare meglio le tue carte. Io? Non mi prenderanno. Tu invece, Marco… —
Ebbe quasi l'impressione che lo leggesse nella mente.
— Sei già morto. —
Quelle parole ebbero un effetto devastante. Rimbombarono nella sua testa.
Era già morto.
Schiacciato fra la Fondazione e il Consiglio.
Tanto valeva morire dignitosamente.
— Non mi importa se morirò. Tanto… —
— Ma come non ti importa, ti importa eccome! —
Aveva ragione.
Perché, se era così sicuro di sopravvivere, tentava di dissuaderlo da sparargli?
— Vedila come vuoi. Morirai anche tu. —
Spararono, entrambi. Un buco si aprì nella fronte del Dictator.
— Tu… —
E cadde.
La pistola che aveva in mano era quella scarica.
16/7/1946
Non sono una brava persona. Non sono mai stato una brava persona.
Fino a ieri.
Il Dictator non è stato ritrovato dalla Fondazione. Dev'essere ancora vivo.
L'attentato a Milano non è riuscito. La Fondazione è riuscita a respingerlo. Forse i documenti che cercavamo erano davvero a casa del dottor Auriga.
È la fine della segretezza del Consiglio.
Sia il Consiglio che la Fondazione mi stanno cercando. Sto scappando verso il meridione.
18/7/1946
Mi sono fermato a Firenze ieri sera, e stamattina è venuta la polizia a cercarmi. Sono di nuovo in fuga, ma ho cambiato direzione, così forse perderanno le mie tracce.
23/7/1946
Sono arrivato in Veneto. Sembra che mi abbiano perso, ma è troppo improbabile.
24/7/1946
La polizia mi cerca ancora. Se non mi hanno trovato è per pura fortuna.
25/7/1946
Non ce la faccio più a fuggire.
Ho paura di quello che mi faranno quando mi prenderanno.
Sono riuscito ad arrivare nel mio paesino natale, sulla laguna di Venezia.
Se mi troveranno, ho scritto su un foglietto tutto quello che so sul Consiglio.
Non mi farò prendere.
Ho scritto il testamento.
Questa è l'ultima pagina.
Addio.