L'Odore della Fratellanza
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"Quindi? Non ha intenzione di parlare?" Il capitano Antonio Alti è in quella casa da appena dieci minuti e già non ne può più. Davanti a lui c’è un uomo — anche se per certi versi sarebbe più corretto definirlo un ragazzino — poco meno che trentenne, un po’ panciuto e dagli atteggiamenti a dir poco fastidiosi.

Ora si sta versando del vino in un calice. Quando finisce guarda Alti e chiede: "Vuole favorire?"

Il capitano scuote la mano, per poi riprendere: "Non cambi discorso. Intende collaborare?"

"Come le ho già detto," inizia l’altro con tono irritato "tutto ciò che so l’ho messo nella pubblicazione." Ha chiuso la frase con un sorriso arrogante: lo sta sfidando, si capisce dallo sguardo, e il fiero capitano deve trattenersi per non alzarsi e insegnarli personalmente le buone maniere. Ma è abbastanza per ritenere concluso il tempo del poliziotto buono, quindi fa cenno ai suoi due sottoposti di prendere il giovane e di ammanettarlo.

Come il ragazzo li vede muoversi verso di lui, posa il calice e alza le mani. "Ehi, cosa pensate di fare?"

"Ti portiamo in centrale, non sei contento? Avrai molto più pubblico, sarà come una di quelle conferenze che piacciono tanto a voi uomini di spettacolo."

"Da quando è legale?!"

"Da quando io detto le regole qui dentro. Non provi a fare resistenza, lo dico per lei."

Per un paio di secondi si guarda intorno, evidentemente agitato, poi riporta il suo sguardo fisso su Alti — che intanto se la ride sotto la barba — e dice: "Va bene, vi dirò tutto quello che volete sapere, basta che vi calmiate!"
In fin dei conti, sembra che Antonio non dovrà fare la fatica di scarrozzarselo fino all'Area più vicina.

Per un momento tutto resta bloccato e il capitano se lo gode a pieno prima di ordinare ai suoi sottoposti di tornare indietro e, dopo un attimo di esitazione, anche il giovane si mette a sedere.
"Dunque, signor Nicola Rossi," inizia il vecchio uomo "lei ha di recente pubblicato un breve articolo in cui parla di un fenomeno di isteria di massa attualmente in diffusione, giusto?" Sa benissimo che è così, ma vuole fare il punto per tenere ordinata la registrazione audio, che Rossi non sa essere in corso.

"Sì, confermo." È irritato, ma in maniera diversa da prima: si sente offeso, ora sa che è Alti a condurre quello che è un interrogatorio in piena regola.

"Può dirci cosa caratterizza tale fenomeno?"

"I pazienti affetti diventano pian piano meno socievoli, si isolano, smettono di andare nei luoghi affollati, magari solo per fare commissioni importanti. Le condizioni peggiorano in fretta: smettono di andare dove c’è folla anche per le cose più urgenti, come per le visite mediche o per pagare le tasse. Dopodiché, si isolano in casa propria ed evitano di uscire. Hanno una forte paura di stare con gente estranea, che arriva ad estendersi anche agli amici, ai parenti e ai famigliari più stretti. Spesso vengono colti da attacchi di panico, o anche attacchi cardiaci nei casi più gravi."

"Da quanto tempo li sta studiando?"

"Due anni. All’inizio credevo fossero dei casi isolati, ma mi sono accorto dopo poco che è un disturbo più diffuso di quanto si creda. Ne ho fatto il mio oggetto di studi principale."

"Diffuso quanto? È riuscito a capirlo?"

Rossi esita un po’, ma risponde: "Non esattamente: i miei studi si limitano perlopiù a questa zona, dove ho individuato poco meno di un centinaio di casi, ma dei colleghi mi hanno avvertito di pazienti con problemi simili. Ho incontrato alcuni di questi personalmente e ne ho verificato i sintomi, tuttavia la concentrazione maggiore sembra essere qui."

Alti mugugna in segno di comprensione prima di riprendere: "E già questo non era nel suo articolo. Ma mi tolga una curiosità, lei quanti collaboratori ha per lo studio di questo fenomeno?"

"Non molti, tre o quattro, un po’ di più se contiamo anche chi lo ha abbandonato durante gli anni, ma sono l'unico ad essermi interessato così tanto."

"Tre o quattro?" chiede Alti vagamente innervosito.

"Tre."

"E questi suoi collaboratori quanto sanno?"

Che domanda è? "Quanto sanno?", se prima la faccenda gli puzzava, ora è certo che qualcosa non vada.
Evidentemente, questa pausa più lunga del normale fa insospettire anche il capitano, che storce visibilmente la bocca; quando Rossi se ne accorge, decide di rispondere in fretta, ostentando una falsa sicurezza. "Non molto, in realtà: soltanto i loro sintomi, l’ansia sociale e questo genere di cose." Ha mentito: certo, non sanno tanto quanto lui, che fino ad allora ha custodito gelosamente alcune informazioni per divulgarle al momento giusto, ma dire che sia poco è riduttivo.

"Quindi quello che ci ha detto finora è poco?"

Merda! Ha parlato troppo, ma crede di potersi ancora salvare. "In effetti, sì: pare esserci una causa comune a tutti questi sintomi, anche se mi ci è voluto molto per ottenere informazioni definitive e sto ancora cercando di colmare dei buchi."
Senza accorgersene, mentre parlava ha strabuzzato gli occhi e si è morso il labbro: per Alti sono chiari indici di aver centrato il segno, gli conviene continuare in questa direzione.

"Vedete, pare che i soggetti abbiano spesso allucinazioni che diventano più frequenti quando si trovano in luoghi non familiari; questo è anche causa della loro rapida alienazione dalla società." Si ferma e mette le mani sul tavolo, è palese che voglia far pensare di aver finito, ma Alti non se la beve: sa che c’è dell’altro, deve esserci dell’altro.

"Devo dire che è molto interessante, ma potrebbe descriverci qualche caso specifico?"

"Ma, come ben saprà, sono tutti coperti dal segreto professionale: non potrei mai divulgare informazioni personali dei miei pazienti."

"Stia tranquillo, non le chiederò alcun nome. Vorrei solo sapere come si è sviluppata la malattia."

Rossi deglutisce, e prende a balbettare: "Oh, va bene…"
Inizia a sudare, il respiro gli si fa pesante. Finirà per spiegargli conclusioni personali che sperava di tenere per sé, ancora non pubblicate, né discusse con i suoi colleghi; ma questo è il meno: chi sono queste persone? Cosa faranno con le sue ricerche? Ormai è palese che non siano carabinieri e questo lo spaventa: perché mai si dovrebbero interessare agli studi di uno psicologo? C’è qualcosa di ancora più inspiegabile dietro al fenomeno che studia da anni?

"Dunque, c’è questa mia paziente, una madre, che dopo le prime fasi si è barricata nella sua camera; quando ne ho sentito parlare, ho subito contattato il marito e sono riuscito a ottenere un incontro. La casa, per quanto umile, era ordinata, i figli erano stati mandati via per ovvi motivi e il marito era rimasto a prendersi cura dell’abitazione e della moglie, evidentemente trascurando sé stesso: la preoccupazione lo stava letteralmente divorando. Mi ha spiegato che la presenza altrui la infastidiva, si era già dimostrata aggressiva nei suoi confronti e non aveva idea di come avrebbe reagito con un estraneo; per questo all’inizio mi ha spiegato le sue condizioni senza permettermi di vederla, anche se teneva sul tavolo un baby monitor da cui potevamo ascoltarla. Usciva perlopiù rumore statico, ma a volte la sentivo ansimare e a un certo punto credo che stesse piangendo.

"Dopo aver appurato che il disturbo fosse quello, e dopo molte pressioni, ho ottenuto di vederla. Ovviamente, è entrato prima lui, per provare a calmarla, io osservavo da lontano. La stanza era molto buia e il corridoio non portava tanta luce, ma potevo vedere che era rannicchiata sul letto. Sa, una delle tante risposte alle allucinazioni è il chiudersi al buio per non vederle, ma possono anche fare l’esatto opposto: esporsi alla massima luce, anche se il motivo non è chiaro; altri ancora cercano distrazioni, ma non divago oltre. Suo marito le ha parlato per un po’ — non ho sentito nulla — l’ho vista strisciare via da lui e attaccarsi con la schiena al capezzale del letto. Lui ha mantenuto le distanze, provando a calmarla a gesti, e alla fine mi ha fatto avvicinare.

"Mi sono fermato sulla soglia per non spaventarla troppo — avendo già esperienza, sapevo circa a che distanza stare — c’era un forte fetore e un gran disordine, era evidente che fosse in quelle condizioni da molto. Mi sono presentato, cercando di metterla a suo agio, ma c’è voluto parecchio prima che riuscisse anche solo a guardarmi.
Non ha iniziato a parlarmi prima di qualche sessione, nel frattempo aveva cominciato ad avvicinarsi — in senso fisico — e a rispondere a mugugni alle mie domande. Parlavamo del più e del meno, in questo modo la potevo calmare e allo stesso tempo provare a capire quanto si fosse alienata. Ho constatato che non era più capace di sostenere conversazioni normali: si bloccava nel bel mezzo della frase, a volte cambiava emozione repentinamente, si arrabbiava, iniziava a piangere, scappava in fondo alla stanza. Non ho mai concluso molto.
Dopo pochi mesi, sono stato chiamato dal marito: era morta."

Dopo aver chiuso il monologo, la mente di Rossi si svuota: non può credere a sé stesso. Che diavolo ha appena fatto? Ha detto praticamente tutto ciò che volevano sapere, ma forse spiegare i fatti nel dettaglio li avrebbe convinti che non c’è null’altro.
I due restano a guardarsi per qualche secondo, prima che il capitano rompa il silenzio: "Molto bene, sono felice che abbia deciso di collaborare. Forse lei non se ne accorge, ma queste sue dichiarazioni ci sono di grande aiuto, e lo saranno anche per molta altra gente. Se non ha altro da aggiungere, credo che possiamo fermarci qui. Se mai volesse ricontattarci, passi dalla caserma qui vicino e chieda di Alti."

Rossi deglutisce. Sa che non sono semplici carabinieri e sente che si sta infilando in una situazione più grande di lui, ma qualcosa nella sua testa gli dice che è una questione di grande importanza. È vero: si tratta di un fenomeno scarsamente studiato e se riuscisse a completare e pubblicare le sue ricerche potrebbe avviare una carriera di successo, ma ci sono delle vite in gioco. Se fosse corretto così? Se loro potessero fare qualcosa di concreto per aiutare quelle persone?

Rossi deglutisce di nuovo. Se prima non credeva a sé stesso, ora non riesce a riconoscersi: "In realtà- in realtà c’è qualcosa che non ho detto."
Alti alza un sopracciglio e un’incurvatura dei baffi tradisce un leggero sorriso: "Sentiamo."

"Vede, negli anni sono riuscito a raccogliere qualche testimonianza delle paure e allucinazioni dei miei pazienti… Si tratta di poca roba, ma è interessante che siano tutte molto simili. Dicono che quando sono 'fuori' si sentono minacciati, pensano che qualcosa stia tendendo loro un agguato. Dicono che qualcosa è fuori posto, come delle ombre in piena luce. Parole testuali. Secondo certi, ci sono delle creature che compaiono e che le altre persone ignorano, si sentono chiaramente abbandonati, ma in qualche modo non hanno nemmeno il coraggio di interagire con gli altri.

"Inoltre, ecco, la donna di cui vi ho parlato non è morta, o almeno, non è mai arrivata la conferma: in realtà era fuggita di casa. Non hanno mai ritrovato lei o il suo cadavere, ma alcune supposte tracce lasciavano intendere che fosse scappata a piedi per le campagne e nei giorni successivi alcuni hanno affermato di averla vista insieme a un piccolo gruppo, sempre in luoghi poco frequentati. Credevo fosse un caso isolato, ma molti dei miei pazienti sono spariti in condizioni simili nel corso degli anni e non se ne è più saputo nulla. Non so cosa tutto ciò voglia dire, non ancora, ma ho pensato che vi potesse interessare."

Alti si alza, sorpreso e compiaciuto, e osserva il suo interlocutore: si sta tenendo la testa tra le mani, evidentemente afflitto. Non può immaginare cosa gli passi per la mente, ma preferisce non pensarci e continuare il suo lavoro.
"Molto bene, il suo è stato un contributo cruciale, signor Rossi, e le assicuro che non ha aiutato solo noi."
I suoi due colleghi lasciano la stanza e anche lui si appresta a fare lo stesso, ma si ferma sull’uscio e si gira ad osservare nuovamente lo psicologo: sembra avvilito, ma ha testa e molta motivazione.

"Chissà, magari saremo noi a contattarla per primi. Arrivederla."

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