Quando era entrato nella Confraternita dei Cavalieri di San Giorgio, Mattia era rimasto colpito da quanta enfasi venisse data, oltre che alla preparazione fisica, anche all'aspetto psicologico; l'arma più importante per un giorgita, aveva imparato, era una "mente affilata come la lama di una spada", capace di discernere fra manifestazioni angeliche e diaboliche, oltre che fra avversari e alleati. Si era anche reso conto, tuttavia, dell'esistenza di aree grigie che sfuggivano a facili dicotomie. Se non c'era dubbio che i Sarkiti, coi loro riti efferati, e i seguaci del Dio Frantumato, coi loro idoli sacrileghi di molle e ingranaggi, fossero da bollare come eretici, dare giudizi univoci su enti come la Fondazione non era altrettanto semplice; il suo fine, proteggere l'umanità dalle anomalie, era in teoria nobile, ma contaminato da un approccio scientista e secolarizzato, che la spingeva a contenere e accumulare più che neutralizzare, senza distinzioni fra reliquie sacre e creazioni del demonio. Una visione così miope era una potenziale fonte di guai, ma le risorse del gruppo potevano alla bisogna rivelarsi utili e, in tempi moderni, i rapporti con la Confraternita oscillavano da un mutuo e freddo lasciar vivere a occasionali alleanze di comodo.
L'ultimo di questi patti risaliva a pochi mesi prima, quando la Fondazione aveva lanciato un blitz su scala globale contro la Quinta Chiesa. Trattandosi di un nemico comune, la Confraternita aveva garantito il suo appoggio e squadre composte da membri di entrambe le organizzazioni erano state dislocate per fare irruzione in luoghi sospettati di ospitare congreghe quintiste. Quello di attendere a queste operazioni era il primo incarico ufficiale di Mattia, ma la sua speranza di partecipare in prima linea nella moderna crociata contro l'eresia era stata disillusa. I neo-cavalieri venivano destinati principalmente alle retrovie ed i quintisti, nonostante l'enorme influenza della loro setta, non erano granché versati nel combattimento, il ché significava che gli scontri tendevano a terminare prima che lui avesse modo di sfoderare le armi.
L'ennesimo assalto si era concluso e Mattia, armato e bardato di tutto punto, ma privato della possibilità di dare un contributo concreto, non poteva fare a meno di sentirsi un po' ridicolo. Come tutti i confratelli indossava una veste antiproiettile con l'effige della croce e la scritta "in hoc signo vinces"; tutti meno il vescovo Cisalli naturalmente, visto che la fede era sempre stata sufficiente per fargli da scudo. Le armi in dotazione includevano, invece, pistole benedette e un'arma bianca e il capo armeria aveva insistito affinché Mattia scegliesse un'alabarda dall'asta corta: "L'alabarda è l'attributo di san Mattia, ti porterà fortuna" gli aveva detto gioviale. Beh, sì, ma perché con quella era stato decapitato quando aveva subito il martirio; questo fatto, unito alla consapevolezza che Mattia fosse il santo patrono dei macellai, aveva un nonsoché di macabro, che gli faceva guardare quell'arma con una certa apprensione.
Cisalli impartì alcuni ordini nella direzione di Mattia. "È il momento di fare la tua parte." pensò sarcastico, per poi rimproverarsi che simili sentimenti non erano degni di un cavaliere. A sua discolpa, le mansioni da recluta, come ispezionare l'area al termine di ogni blitz, gli erano ormai venute a noia. La suddetta area era, stavolta, un complesso di edifici agricoli, con una casa padronale, stalle e un fienile. Mattia volse lo sguardo ai soldati della Fondazione intenti a radunare i prigionieri, che sarebbero stati interrogati a turno da ambo le parti, come da accordi. Non l'avrebbe mai ammesso coi confratelli, ma la Quinta Chiesa era la setta che più lo inquietava; sebbene tutte le eresie andassero contrastate, di molte si poteva almeno comprendere la distorta filosofia. A parte la comune fissazione per il numero cinque, nessuna apparente logica emergeva dalle pratiche quintiste; ogni congrega aveva i propri costumi, ogni adepto i propri fini, cani sciolti responsabili della creazione di alcuni degli artefatti più stravaganti e, spesso, rivoltanti in cui la Confraternita si fosse mai imbattuta. Riservò un'occhiata carica di disgusto a quell'accozzaglia di individui improbabili, una cacofonia di tuniche variopinte che faceva male agli occhi; molti esibivano, nonostante la recente sconfitta, espressioni sognanti e stralunate, frutto dell'assunzione di chissà quale sostanza infernale.
Seguendo gli ordini, Mattia e un altro cavaliere si diressero verso il fienile, ma una breve ispezione bastò a constatare che non conteneva nulla di interessante. "Un'altra missione andata a buon fine." sospirò il confratello, che iniziò a incamminarsi verso il campo base. Mattia gli disse di voler fare un ultimo tentativo e che l'avrebbe raggiunto di lì a poco, ma la verità era che aveva solo una gran voglia di stare da solo; si sedette su una balla di fieno e lasciò libero sfogo ai suoi pensieri. Quando, da seminarista, era stato segnalato alla Confraternita dai suoi insegnanti, venendo di conseguenza a conoscenza dei giorgiti e della loro missione, aveva avuto l'impressione di essere qualcuno di importante, parte di una élite dedita alla protezione della fede; negli ultimi tempi, invece, si vedeva sempre di più come l'ultima ruota del carro. Era la sua superbia a parlare, lo sapeva, ma per quanto si ripetesse che un soldato di Dio dovesse adempiere al proprio compito con animo puro, senza egoistiche fantasie di gloria, questo non gli impediva di sentirsi irrilevante e non indispensabile.
Era sul punto di ricongiungersi con gli altri, quando il suo finissimo udito captò qualcosa: un suono attutito, una flebile melodia, appena percettibile dietro gli scricchiolii del legno e gli spifferi fra le travi. Balzò in piedi e fece alcuni passi, ma la melodia diventava sempre più debole man mano che si allontanava dal punto in cui l'aveva sorpreso; capendo all'improvviso il suo errore, scostò la balla di fieno su cui si era seduto, rivelando una botola nascosta nel pavimento polveroso. Si maledisse per quanta poca cura, accecati dallo sconforto, lui e il suo compagno avessero messo nell'ispezione di poco prima. Aprì la botola, scoprendo l'inizio di una scalinata di pietra. La scelta più logica sarebbe stata chiamare rinforzi; gli uomini di fede, tuttavia, restano pur sempre uomini, soggetti alle stesse ambizioni e tentazioni di chiunque altro, incluse… le fantasie di gloria. Senza indugiare oltre, il cavaliere iniziò la sua discesa nell'oscurità.
La scalinata andava molto più in profondità di quanto avesse previsto e, mentre proseguiva costeggiando pareti di roccia non lavorata, Mattia dedusse che la fattoria era stata edificata sopra un sistema di grotte naturali; probabilmente era per questo che la Quinta Chiesa l'aveva scelta per ospitare una comune, in modo che gli accoliti potessero praticare il loro culto blasfemo lontano da occhi indiscreti, nascosti nelle viscere della terra. Ad accompagnare il cammino del cavaliere c'era la luce tremolante di alcune torce, oltre alla musica, che ora era in grado di udire distintamente. Era… smooth jazz? Non ne era sicuro, non s'intendeva di musica e al seminario non ascoltavano quella roba, ma era chiaro persino a lui che quelle note dai toni caldi e rilassati fossero una bizzarra colonna sonora per un sabba infernale. I quintisti si confermavano per l'ennesima volta come caotici squilibrati, da cui ci si poteva aspettare ogni tipo di assurdità. Ai piedi della scalinata Mattia trovò un breve corridoio, in fondo al quale un arco conduceva a un ambiente illuminato; mentre avanzava verso l'arco le sue narici furono prese d'assalto da un olezzo nauseante, un misto di umidità e aromi dolciastri abbinato a uno strano odore metallico. Ad attenderlo oltre quel pertugio una scena da incubo, un connubio di orrore e stravaganza tale da smorzare all'istante l'audacia che l'aveva guidato fin laggiù, lasciandolo paralizzato dalla paura e dallo stupore.
La grotta poteva essere definita come il covo di un hippie, stipata com'era di stuoie, drappi e tappeti a motivi floreali; una quantità abnorme di incensi e candele profumate appesantiva l'aria formando una fitta nebbia di effluvi nauseabondi. Al centro di tutto c'era una ragazza; non poteva avere più di vent'anni e indossava una tunica immacolata dalle ampie maniche lunga fino alle caviglie. La carnagione era chiara, il viso punteggiato di efelidi e una lunga chioma rosso acceso le arrivava all'altezza dei fianchi; i capelli erano mossi e acconciati in trecce sottili, a cui erano aggrovigliati fiori e piccoli oggetti puntuti che a un più attento esame si rivelarono stelle marine essiccate. La ragazza ballava a tempo con la musica, che proveniva da un vecchio giradischi, con gli occhi socchiusi e un sorriso sereno sul viso, non diverso da quello di una qualsiasi adolescente intenta nell'ascolto del suo album preferito. I piedi nudi della ballerina tracciavano piccoli cerchi sul pavimento, immersi in una pozza di sangue fresco, che chiariva l'origine del retro-odore ferroso. Supini e disposti a raggiera intorno alla ragazza, cinque corpi pallidi e nudi, tre bambini e due bambine; le gambe dei cinque innocenti erano divaricate e si sfioravano per i talloni, creando così il disegno di una stella, all'interno del quale avveniva la macabra danza. I tagli che solcavano i colli e le macchie rossastre sui loro petti non lasciavano dubbi sulla provenienza del sangue.
Ripresosi dallo shock iniziale e cercando di superare la nausea, Mattia estrasse la pistola, stringendo l'asta dell'alabarda con l'altra mano, e passò all'azione, senza tuttavia riuscire a mascherare del tutto il tremolio nella sua voce: "Abbiamo i tuoi compagni, strega, sei rimasta da sola. Seguimi senza opporre resistenza." La ragazza uscì dalla sua trance e spalancò le palpebre, svelando due grandi occhi dalle iridi dorate, e si guardò per un attimo intorno con espressione disorientata; poi, contro ogni previsione, rivolse a Mattia un sorriso luminoso e spalancò le braccia, come per accogliere un amico il cui arrivo la stupiva e la riempiva di gioia. Quando iniziò ad avanzare verso di lui, scavalcando i cadaveri ai suoi piedi, orme rosse macchiarono il tessuto dei tappeti. La luce tenue delle candele accarezzava il bianco della tunica, generando trasparenze che tradivano le forme celate dal tessuto sottile. Mattia venne assalito dal panico, più altre sensazioni che aveva scelto di reprimere molto tempo fa e che riaffioravano adesso in quelle circostanze tanto orrende e inopportune, riempiendolo di colpa e di vergogna. Biascicò un'intimazione, ma la testa gli girava così forte che rischiò di perdere l'equilibrio, sopraffatto dalla musica, dall'incenso, dal sangue e da quella diabolica apparizione. Continuando la sua avanzata, lenta, ma inesorabile, la strega cominciò a cantare.
Nube solinga, polvere bruna,
vaghi nel vuoto, senza fortuna.
Un peso grava, che il cuor t'affanna.
Amore mio, questa condanna
l'astro nascente curar potrà.
La bellezza infernale della strega si estendeva anche alla sua voce, che gli penetrava i timpani lenendo in parte la nausea, ma trascinandolo al contempo in un ulteriore stato di ottundimento. La vista cominciò ad offuscarsi, i fumi che appestavano l'aria sembrarono farsi più densi, generando piccoli turbini grigi che vorticavano per alcuni secondi per poi dissolversi. Si sentiva leggero, debole, e la presa sul calcio della pistola si allentò, finché questa non cadde a terra.
Danze si aprono, diafane sfere,
diademi d'oro, ignee bufere.
Vita s'accende, dolce fomento.
Amore mio, l'animo spento
l'astro splendente ti scalderà.
Forse era parte dell'illusione, ma all'improvviso ogni fonte di luce gli sembrò crescere d'intensità. Le candele splendevano come fiaccole, il bianco del sorriso della ragazza brillava come un diamante e, non fosse stata la cosa più ammaliante su cui Mattia avesse mai posato gli occhi, avrebbe distolto lo sguardo per non rimanere accecato; i cerchi dorati che le attorniavano le pupille erano adesso due fari che fendevano la nebbia. Un'ondata di tepore asciugò all'istante ogni traccia d'umidità nella grotta e lo investì in pieno, insinuandoglisi nel petto, nelle ossa, nel basso ventre, facendogli sperimentare un appagamento che non aveva eguali.
Desii nascosti, svelano i raggi
lande segrete, empi miraggi.
Paghe pudenda? Argenti o fama?
Amore mio, ogni tua brama
l'astro rovente consumerà.
La temperatura non dava segno di abbassarsi e, anzi, continuava ad aumentare. In un attimo Mattia era fradicio di sudore e l'afa gli portò via l'ultimo briciolo di energia che gli era rimasta, facendolo crollare in ginocchio. Fiamme lambirono le stuoie e i tappeti, bruciando ogni cosa, ma aprendosi per consentire il passaggio della ragazza; la sua pelle aveva assunto il colore della terra bruciata, gli occhi quello del metallo arroventato, il rosso della chioma era un incendio divampante. Anche così trasformata, Mattia sentiva che sarebbe morto se avesse smesso di guardarla; ne avesse avuto le forze, si sarebbe gettato fra le sue braccia spalancate per unirsi con lei tra le fiamme, anche se la sua pelle l'avesse ustionato, anche se quell'indecente contatto lo avesse ridotto in cenere.
Vieni fratello, stirpe celeste.
Un solo corpo, plurime teste,
plurimi petali, un solo fiore.
Amore mio, nel suo bagliore
l'astro crescente t’inghiottirà.
Quando la ragazza allungò la mano verso il suo viso credeva che il tocco lo avrebbe arso vivo, ma invece era piacevolmente freddo, come cristallo. Lei gli sorrise e la passione venne sostituita da un sentimento più puro: intesa, complicità, devozione e affetto incondizionato; Mattia sentì gli occhi riempirsi di lacrime, non si era mai reso conto di quanto solo si fosse sentito fino a quel momento. Una luce divina si sprigionò dal volto dell'incantevole creatura, inglobando ogni cosa, finché la grotta non divenne un lontano ricordo. Un coro di voci angeliche si levò tutto intorno a loro, colmandolo di gioia: non sarebbe mai più stato solo.
Divine viscere, santi meati,
fondete carne, corpi dannati.
Liquami sacri, ordite trame.
Amore mio, l'antica fame
l'astro morente saziar potrà.
La voce, prima tanto armoniosa, era adesso rauca e graffiante; il bagliore si spense, lasciando il posto a una vuota oscurità, i cori mutarono in urla e dove prima si stagliava un angelo del paradiso ora si palesava la più orripilante delle visioni. Migliaia di viscidi e rosei tentacoli si attorcigliavano l'uno intorno all'altro per formare un'unica creatura colossale; cinque raggi simmetrici originavano da una massa centrale, che ospitava la bocca del mostro, un enorme antro con più fila concentriche di zanne acuminate. Bocche di minori dimensioni, ma ugualmente gigantesche, rivestivano anche i cinque bracci, insieme a una miriade di occhi iniettati di sangue. Ogni orifizio conteneva decine di uomini e donne, che gridavano all'unisono in preda all'agonia, intrappolati da essudati viscosi come insetti nella carta moschicida; enzimi velenosi corrodevano la loro carne e i denti della creatura li straziavano senza pietà, causando ferite e mutilazioni.
Mattia urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, credendo di impazzire. Un potente vortice d'aria originò dalla bocca centrale, trascinandolo verso il gorgo di zanne, verso un futuro di eterna dannazione torturato dall'apparato digerente del demone. Non voleva che quella fosse la fine, ma sapeva di non meritare altro; era stata la sua sciocca superbia ad averlo trascinato in quel girone infernale, dove aveva ceduto al peccato con una facilità avvilente. Corpo e spirito si arresero a quella crudele fatalità, ma un pensiero lo tormentava ancora, alimentato dalle grida sofferenti che riempivano ogni angolo dell'abisso: molti altri sarebbero caduti vittima del sortilegio e avrebbe volentieri barattato la propria salvezza per porre fine a quel ciclo di perdizione. Pregò San Mattia, ogni santo e beato, ogni schiera angelica, il Signore misericordioso che gli concedessero almeno giustizia per quelle povere anime, la possibilità di essere nuovamente illuminate dalla Sua grazia; lui poteva anche bruciare per sempre, ma voleva che il suo sacrificio non fosse vano.
D'un tratto, come guidati da una scintilla d'intelletto divino, gli occhi si posarono sulla sua mano sinistra, le cui dita erano ancora serrate intorno all'asta dell'alabarda. Com'era possibile che se ne fosse dimenticato? Com'era possibile, poi, che tutto il suo corpo si fosse arreso al maleficio, mentre quella stretta era al contrario sempre rimasta salda? La consapevolezza lo investì all'improvviso: la fede non l'aveva mai abbandonato per davvero, persino nelle profondità degli Inferi, attendendo il momento giusto per guidare il suo braccio. Pochi metri lo separavano ormai dal buco nero, ma quel segno gli infiammò l'animo e pervase i suoi muscoli di un rinnovato vigore; afferrò l'asta con entrambe le mani e puntò la lama verso l'occhio del ciclone, la gola del mostro. Le fauci della creatura si chiusero e tenebra, urla e liquami assediarono i suoi sensi, introducendolo a un universo di dolore così intenso da non poter essere descritto a parole. La Sua volontà si era compiuta, proprio come il destino di Mattia.
Finì tanto bruscamente com'era iniziato. Mattia si ritrovò a faccia in giù sul pavimento della grotta, tremando come una foglia; dopo essersi sollevato a fatica, si guardò intorno incredulo: tutto era intatto e nulla lasciava intendere che ci fosse stato un incendio. Un sesto cadavere, che giaceva riverso a poca distanza da lui, faceva compagnia ai corpi dei bambini; il bel viso della strega era ridotto a una maschera di sangue, che colava dalla ferita che la lama dell'alabarda, ancora conficcata, le aveva aperto sulla fronte. Il taglio coinvolgeva anche l'occhio sinistro, mentre l'altro occhio era spalancato, il colore dorato sostituito da un opaco giallo paglierino, come fosse stata l'essenza vitale della ragazza, non un pigmento naturale, la fonte della lucentezza. Il cavaliere abbassò lo sguardo e notò gli schizzi di sangue che gli imbrattavano i vestiti; si sfiorò il viso e, inorridito, vide nuove macchie rosse e appiccicaticce apparirgli sulla punta delle dita. Mattia provò a trattenersi, ma in una frazione di secondo si ritrovò piegato in due, tenendosi lo stomaco mentre vomitava copiosamente.
"Beh, questo è inaspettato." Mattia, ancora scosso dai conati, si voltò verso l'entrata della grotta, dove vide Cisalli fare il suo ingresso, scortato da due confratelli "Quando non ti sei presentato al campo base, era evidente che c'era qualcosa che non andava, ma chi poteva immaginare che…"
Sopraffatto dalla vergogna e dall'emozione, Mattia si gettò ai piedi del vescovo e, con un filo di voce, una frase eruppe dalle sue labbra: "Perdonami, padre, perché ho peccato…"
Cisalli fece cenno ai due cavalieri di ritirarsi e, nell'intimità del sacramento della confessione, Mattia gli raccontò ogni cosa. Della sua stupidità, di come si era sentito vulnerabile ed incapace di governare i propri istinti, della terribile visione che lo aveva quasi condotto alla follia. Il vescovo lo ascoltò mettere a nudo il proprio animo senza proferire parola, ma quando Mattia ebbe finito gli porse la mano, invitandolo a rialzarsi.
"Alzati, figliolo, e gioisci. È innegabile che tu avessi smarrito la retta via, ma ciò che conta è che hai saputo ritrovare la luce proprio quando più ce n'era bisogno. Persino Cristo è stato tentato nel deserto, la fede che non viene mai messa alla prova non è vera fede. E grazie a te quest'immonda creatura non potrà più traviare altre anime con la sua stregoneria." Il sant'uomo additò il corpo della ragazza con malcelato disprezzo. L'occhio spalancato, seppur ormai separato dalla coscienza del quale era stato lo specchio, sembrava scrutare Mattia nel profondo, portando alla luce uno strano disagio. Esodo 20:13.
Perspicace come sempre, Cisalli lo ammonì: "Il Maligno prende tante forme, spesso proprio quelle che ci appaiono più innocue e persino desiderabili. Non serve che sia io a spiegarti quanto sia facile farsi ingannare. Chiunque ella fosse, prima di diventare un burattino nelle mani della Quinta Chiesa, la sua anima era già perduta da molto tempo prima che i vostri cammini si incrociassero. Non è una vita innocente quella che hai contribuito a spegnere. Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine…"
La formula dell'assoluzione mise definitivamente fine alla questione ed ebbe il potere di lavare via ogni sentimento di colpa o, per lo meno, di relegarlo in qualche recondito angolino della sua psiche, dove non avrebbe più potuto insinuare dubbi sulla correttezza delle sue azioni. Lo sguardo di Mattia si posò allora sui cinque bambini e il cavaliere venne investito da una rabbia tanto intensa quanto lo era stato il terrore di pochi minuti prima. La carità poteva anche essere una delle chiavi di volta della sua fede, ma anche il senso di giustizia occupava un ruolo di rilievo fra le virtù cardinali.
"La prima morte, anche se per una giusta causa, può essere difficile da elaborare. Sei congedato dalle prossime operazioni se lo desideri. La Confraternita sarà lieta di concederti un periodo di ritiro spirituale. Dopodiché potrai riunirti a noi, stavolta in un incarico più consono alle tue capacità; un braccio animato da una simile devozione è sprecato nelle retrovie."
"La ringrazio, padre…" si avvicinò al cadavere ed estrasse con uno strattone l'alabarda dal cranio della strega. Un debole schizzo rossastro zampillò dalla ferita e atterrò sui suoi stivali, ma qualche goccia di sangue in più, ormai, non faceva alcuna differenza "…ma non posso permettermi di fermarmi, c'è ancora tanto da fare."
Non avrebbe avuto pace finché tutti i membri di quella setta abominevole non fossero stati rinchiusi o sterminati. Forse, allora, le urla nella sua testa sarebbero cessate.