Il ticchettio dell'orologio, unica decorazione nella stanza altrimenti spoglia, era l'unica compagnia concessa a Diego Cuomo, fiero camerata del CFO assegnato allo studio e alla creazione di Chimere per servire il Dictator nella Base 18. Non che ne rimanesse molto, purtroppo: aveva appena iniziato i controlli su una nuova gestante particolarmente promettente, quando i repubblicani erano piombati sulla struttura dal nulla, spazzando via le truppe di guardia come fossero sabbia in una tempesta. Alcuni dei suoi colleghi avevano provato ad opporsi agli invasori, imbracciando le armi dei camerati caduti, ma anch'essi vennero soverchiati dal nemico. Al termine della battaglia, i superstiti vennero catturati e condotti ai mezzi dei repubblicani sotto gli occhi glaciali del loro leader; quando lo aveva visto, Diego aveva riso - rassegnato e amareggiato - la futilità della loro resistenza chiara come la luce del sole.
Pugnus Ferri. La Squadra della Fondazione che più rappresentava una spina nel fianco del CFO con le sue continue e micidiali incursioni alle loro Basi; essi arrivavano silenti come nubi nel cielo notturno e colpivano come saette, precisi e letali. Diego era già sfuggito alla loro stretta una volta, nel 2015, quando si era trovato praticamente faccia a faccia con il loro capitano in persona ed era sfuggito solo grazie ad alcuni A-50 che lo avevano distratto - concedendogli una preziosa opportunità di dileguarsi. Incrociare nuovamente quei freddi occhi grigi, risentire quello sguardo pieno di gelida intelligenza concentrarsi per un istante su di lui risvegliò quelle emozioni, quella consapevolezza di non poter fare nulla se non sperare in un miracolo.
Un miracolo che non arrivò. Da alcuni giorni egli sedeva ammanettato in una cella vuota, con il ticchettio di un orologio appeso alla parete come unica compagnia concessagli. Diego inspirò rumorosamente, stringendo i denti quando una fitta lancinante gli trapassò il petto e le sue narici vennero investite dal tanfo del disinfettante ricordandogli la guardia che aveva condotto l'interrogatorio - o, per meglio dire, tentativo di interrogatorio. Eccome se ci aveva provato! Prima le lusinghe ("Sei un uomo intelligente, le tue capacità potrebbero davvero brillare se ti unissi a noi."), poi le contrattazioni ("Mh, i miei superiori potrebbero essere generosi se tu collaborassi con noi…"), seguite dalle minacce ("Allora? Non vuoi parlare?! Guarda che quelli dopo di me sono dei veri mostri! Parla adesso o te ne pentirai!") e infine dalla violenza. Ma lui non cedette, nemmeno quando un pugno lo centrò sul naso con uno schiocco atroce, né quando un gancio alla guancia sinistra gli staccò due molari, e nemmeno quando venne buttato a terra e tempestato di calci sul torace. No, lui era un vero uomo e non fiatò, non gemette di dolore, non supplicò pietà, e sicuramente non tradì il Dictator.
Poi, quando il suo carceriere si stancò di usarlo come sacco da boxe e si appoggiò alla parete per riprendere fiato - 'Patetico.' - gli balenò in mente un'idea. A fatica, si sollevò inarcando il dorso e fissò gli occhi scuri dell'altro uomo, sogghignando nel vedere il sospetto che li adombrò.
"Draghi." Gracchiò, ignorando il dolore lancinante nel suo fianco sinistro - una costola rotta? "Parlerò, ma solo con lui. Portami Draghi."
La guardia sembrò confusa, poi spalancò gli occhi. La tentazione di sapere cosa aveva da dire sembrava essere davvero forte, perché annuì con decisione e azzardò anche un sorriso.
"Certamente." Disse con prontezza. "Lo farò venire qui il prima possibile."
A passi pesanti, egli uscì dalla stanza, borbottò qualcosa ai colleghi che lo attendevano fuori e si allontanò; nel mentre, altri due agenti entrarono e lo risollevarono da terra, avendo poi premura di disinfettare le ferite che gli erano state causate dal loro collega. Diego fece del suo meglio per non sorridere: ovviamente non avrebbe parlato, nemmeno davanti al capitano della "Pugnus Ferri", ma almeno lo avrebbe fatto scomodare e, magari, gli avrebbe anche dato qualche informazione falsa.
Questo era accaduto quasi venti minuti prima, e Diego li aveva impegnati pianificando ogni sorta di menzogne e possibili trappole per la SSM-IV; non si illudeva certo di sopravvivere, ma almeno così la sua morte avrebbe portato gloria al Dictator - non esisteva certo una morte più degna per un uomo - e ora egli fremeva, tendendo le orecchie e sperando di captare l'avvicinarsi del capitano. Egli udiva solo il ticchettio dell'orologio e il pulsare del sangue nelle sue orecchie… poi, ecco! Voci dall'altro lato del grande portellone d'acciaio, lo scattare della serratura, il cigolio dell'anta, i suoi passi mentre entrava nella stanza! Diego sorrise quando l'uomo dai capelli scuri entrò nella stanza, preparando un saluto per schernirlo…
… ma esitò.
Da vicino, Draghi sembrava molto più giovane, forse perché si era rasato nel frattempo, non aveva più quel pizzetto sul mento che aveva quella mattina; i suoi capelli, puliti dal sudore e dalla sporcizia del campo di battaglia, erano piuttosto lunghi e un po' disordinati e il loro colore castano scuro contrastava con la carnagione chiara e gli occhi grigi che lo stavano studiando con un misto di divertita curiosità e acuta attenzione. Egli indossava un camice da laboratorio al di sopra di una semplice camicia rossastra e pantaloni bluastri, ben diversi dall'uniforme che gli aveva visto addosso prima. Sembrava praticamente un'altra persona.
Draghi appoggiò una valigetta sul tavolo di fronte a lui, poi si sedette sul bordo di esso, accavallando le gambe con calma deliberata e continuò a scrutarlo in silenzio, un sorrisetto arrogante e beffardo dipinto sul volto. Dal canto suo, Diego continuò a fissarlo, cercando di conciliare le immagini che riaffioravano nella sua memoria con quella che aveva dinanzi, ma senza successo. Alla fine, innervosito da tale fallimento, decise di avviare la conversazione.
"Tu non sei Draghi." Sbottò, al che il nuovo arrivato ridacchiò.
"Oh, ma guarda che si sbaglia." Fu la risposta, data con una voce troppo acuta e giovanile per appartenere al capitano ormai oltre i trent'anni. "Io sono Draghi. Ludovico Draghi, per la precisione. Il mio collega ha detto che lei non intendeva parlare se non con me, per cui ho fatto il possibile per non farla attendere troppo a lungo. Dunque, vogliamo iniziare quest'intervista?"
"Sparisci, moccioso." Sibilò il camerata Cuomo, ogni traccia di buon umore completamente sostituita da una profondissima irritazione. "Voglio parlare col capitano Draghi, non con il suo fratellino, cuginetto, o quello che sei!"
"Ah." 'Ah?! Tutta qui la tua risposta?!' "Beh, Alessandro al momento non è disponibile, si sta riposando dopo la missione di stamattina. Quindi, mi sa che dovrà accontentarsi, sono desolato."
"Fottiti." Certo che il bamboccio ne aveva di fegato, a prenderlo in giro così impudentemente! Probabilmente faceva il gradasso solo perché aveva un parente altolocato che lo stava aiutando nella sua carriera. Feccia, nient'altro che feccia! Ecco la ragione della rovina dell'Italia!
La sua risposta fece incupire il ragazzino, che si alzò e gli diede le spalle per aprire la sua valigetta; poi, frugando nella tasca, estrasse un registratore e lo avvicinò al volto.
"Dunque, rapporto del dottor Ludovico Draghi sull'interrogatorio del soggetto CFO-419, maschio, sulla trentina. Il soggetto è non collaborativo e mostra comportamenti ostili; prego, può ripetere il suo commento?"
Ma cosa diavolo gli stava passando per la testa? Un momento era rilassato e scherzoso, adesso invece parlava come se fosse un dannato robot! Diego non esitò un istante e gridò:
"Vai a farti fottere, feccia che non sei altro! Fai tutto il duro perché hai il tuo fratellone che ti para il culo, nevvero? Sei uno scarto della società, un fottuto reietto che ha bisogno di una raccomandazione per valere qualcosa! Che ne dici di trovarti un buco e morirci, faresti un favore al genere umano!" L'espressione di oltraggiata confusione sulla faccia del bamboccio valse la pena dell'atroce dolore che gli infiammò il petto.
"Esaustivo." Commentò finalmente con tono piatto, poi riprese. "Facendo riferimento agli articoli 20, 23, e 28 del Codice Etico della Fondazione, riguardanti il trattamento e la tutela dei prigionieri, procedo allo svolgimento dei test."
"Ohh, ma che bravo, hai recitato la poesia a memoria!" Diego non riuscì a trattenersi, scoppiando a ridere quando ricevette un'occhiataccia; era ridicolo, un marmocchio che si atteggiava a ricercatore. Quanto era caduta in basso la Fondazione?
Il ragazzino appoggiò il registratore sul tavolo ed estrasse dalla valigetta un blocco note, alcuni fogli sparsi e quello che sembrava un auricolare; poi si diresse alla porta e batté tre colpi contro di essa.
"Bene, possiamo cominciare." Si riavvicinò alla scrivania e si risedette sul bordo, prese il blocco e si mise a disegnare qualcosa, sollevando di tanto in tanto gli occhi grigi e puntandoli su di lui. Per un minuto circa, gli unici suoni furono il ticchettio dell'orologio e la punta della penna sul foglio, poi Diego decise che era ora di pungolare di nuovo il suo interlocutore.
"Che carino, mi fai un ritratto! Devo girarmi, così magari prendi il mio lato migliore?"
"Non serve, ormai ho finito." Sibilò egli, chiaramente stizzito. Diego ghignò e, nello stesso momento il marmocchio rivolse contro di lui la pagina, su cui era scarabocchiato uno sgorbio di linee intrecciate, una schifezza che sicuramente non era affatto qualcosa di cui sorridere orgogliosamente come stava facendo il moccioso.
"Ta-dà! Allora, che ne pensa? È venuto bene, vero?"
Il camerata voleva ridergli in faccia, insultarlo ancora, deriderlo e umiliarlo. Eppure, per alcuni fatali secondi, risuonò unicamente il ticchettio delle lancette. Poi, finalmente, una risata.
Diego rabbrividì, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi d'acciaio puntati che scrutavano la sua stessa anima, né dal ghigno malevolo che aveva preso il posto dell'infantile sorrisetto del moccioso. La sua risata echeggiava nella stanza, spietata e famelica, riportandogli alla mente le iene su cui aveva lavorato in una Base in Africa - ricordava perfettamente quel verso, quel dannato sghignazzare che emettevano quando la loro preda era ormai all'angolo.
I suoi pensieri vennero interrotti quando la sua mano, pallida e dalle dita sottili, strisciò verso il suo volto; istintivamente, Diego cercò di ritrarsi ma, con suo sommo orrore, il suo corpo non obbedì ed egli sentì qualcosa entrargli nell'orecchio destro, probabilmente la cuffietta di prima. Soddisfatto, Draghi si ritrasse e si riappoggiò alla scrivania, osservandolo senza smettere di ghignare. Il ticchettio dell'orologio sulla parete lentamente ma inesorabilmente coperto dal ronzio del sangue nelle orecchie del camerata; per quanto ci provasse, per quanto disperatamente lo ordinasse al suo corpo, egli non riusciva a respirare. Cosa diavolo stava succedendo? Perché non riusciva a respirare? Che il moccioso gli avesse fatto qualcosa? La testa gli girava, e la vista stava iniziando ad annebbiarsi…
Come se avesse sentito la sua domanda, egli disse: "Spero che avesse preso fiato, perché altrimenti se la sta vedendo sporca adesso. Quello che le ho mostrato è un meme di Classe X, causa paralisi completa dei muscoli volontari, eseguito alla perfezione se posso vantarmi. E questo…" Diego lo sentì frugare poi, dopo qualche secondo, un fischio acutissimo eruppe nel suo orecchio sinistro; nello stesso istante, egli sentì il suo corpo rilassarsi e iniziò a tossire, inspirando disperatamente l'aria fetida di disinfettante. Ogni colpo di tosse, ogni profonda inspirazione provocava vampate di dolore nei suoi fianchi che unite alla mancanza di ossigeno rischiavano di fargli perdere conoscenza in ogni momento.
Eppure, Diego resistette e finalmente riuscì a regolarizzare il suo respiro. Sollevando la testa, vide che Draghi gli stava dando le spalle e che stava frugando nella valigetta; prevedendo il peggio, il prigioniero chiuse gli occhi e riabbassò il capo - se quel simbolo era stata la causa di quell'incubo, allora bastava impedirgli di mostrarglielo di nuovo!
"Allora, ti è piaciuto questo primo assaggio? Scommetto che adorerai il prossimo, è un - " Esordì con malato entusiasmo, ma cadde in un silenzio assoluto quando si rivolse verso di lui. Diego si preparò a eventuali percosse, ma quel piccolo trionfo lo riempì di soddisfazione; il mocciosetto era interdetto, questo era più che chiaro, e lui si sarebbe goduto ogni istante della sua frustrazione.
"Ma tu guarda con cosa mi tocca lavorare…" Fu il suo unico commento mentre si avvicinava; il camerata strinse i denti e si preparò ad essere picchiato di nuovo… ma non arrivò nessun colpo.
I secondi passavano, scanditi dal ticchettio delle lancette, ma non accadeva nulla; il repubblicano era davanti a lui, ma non stava facendo nulla - probabilmente per invogliarlo ad aprire gli occhi per controllare cosa stesse facendo; ma lui non era certo uno stupido, per cui le sue palpebre rimasero ben serrate. Poi, d'un tratto, un crepitio come di fiamme echeggiò alla su sinistra, unito a un lieve tepore sul suo braccio. 'Non avrà mica acceso un fuoco solo per farmi aprire gli occhi.' Si chiese, mentre la sensazione di calore si espandeva sempre di più, avvolgendo tutto il suo corpo e crescendo, ardendo, bruciando follemente!
I suoi occhi si spalancarono dal dolore e un grido proruppe dalle sue labbra: non c'era fuoco, né puzza di bruciato, eppure sentiva ogni fibra del suo corpo ardere atrocemente; egli si dimenò al punto da cadere a terra con tutta la sedia, sotto lo sguardo impassibile di Draghi. Poi, così come era iniziato, il bruciore cessò e, assieme ad esso, il crepitio che lo aveva preceduto; Diego ansimò sollevato, il tormento della sua caduta niente in confronto all'incubo appena terminato. A fatica, egli sollevò il capo da terra e il suo sguardo cadde su un piccolo oggetto proprio di fronte a lui; con enorme difficoltà, causata dal rombante mal di testa che lo affliggeva, egli si concentrò su di esso finché non riconobbe l'auricolare che gli er-
"Figlio di puttana." Ringhiò, voltandosi verso il repubblicano. "Sei stato di nuovo tu, nevvero?"
Lui ridacchiò, scrollando le spalle con nonchalance: "Ahh, mi ha beccato. Quello era un Classe XII, uno dei preferiti del Direttore. Adesso si rialzi, su, così possiamo continuare, ho moltissimi nuovi memi da sperimentare e vorrei finire a un orario decente; se collaborerà, potrei persino decidere di staccare in anticipo e continuare domani, così da darle un po' di tempo per riprendersi."
"Ma col cazzo! Te lo puoi scordare!" Esclamò il camerata, rimpiangendo immediatamente di aver alzato il tono quando sentì un intenso bruciore alla fronte. Draghi schioccò la lingua e incrociò le braccia davanti al petto.
"Quindi non collabora? D'accordo, io ci ho provato."
Trenta minuti. Erano bastati solo trenta minuti perché l'agente cedesse e iniziasse a supplicarlo di ucciderlo, di avere pietà e smettere di torturarlo. Parte di Ludovico avrebbe voluto, davvero: per quanto il giovane fosse desensibilizzato agli orrori quotidiani del terzo piano sotterraneo del Sito Minerva, gli faceva sempre impressione vedere un uomo crollare e desiderare la morte. Tuttavia, aveva un lavoro da svolgere, il tipo non aveva ancora confessato nulla e c'era il rischio concreto che avesse ancora abbastanza forza di spirito da fornirgli informazioni sbagliate. Quinto gli aveva raccontato che, alla fine del 2013, gli uomini di Undicesimo avevano interrogato in maniera superficiale dei prigionieri del CFO, i quali fornirono dati parzialmente falsi che spinsero il Sesto Sovrintendente a orchestrare la disastrosa operazione Aquila Imperiale, il più grande fallimento della Branca.
Un errore che Ludovico non intendeva affatto ripetere e Quinto gli aveva insegnato esattamente come accertarsi di ricevere informazioni corrette: estorcerle con la forza non serviva a niente, doveva far sì che fosse la sua cavia a voler parlare; un'impresa non facile, dato che il Dictator si assicurava che i suoi sottoposti sapessero esattamente a quale destino orribile sarebbero andati incontro in caso di tradimento. 'È per questo — Gli disse il suo superiore al termine del suo primissimo interrogatorio. — che devi essere ancora peggiore di lui, in ogni cosa: la sofferenza che infliggi, le parole che usi, i tuoi stessi gesti. Tutto, per quell'unico momento in cui la loro paura del Dictator sarà eclissata da quella che avranno di te.'
Per Diego Cuomo, quel momento stava per arrivare.
Si era appena ripreso da una completa deprivazione sensoriale, istigata da un Classe XVIII che Ludovico stesso aveva creato e per il quale aveva urlato fino a perdere la voce, e si era dibattuto al punto da aprirsi diverse ferite sugli avambracci e le caviglie nei punti bloccati dalle manette. Era stato uno spettacolo terrificante, che Ludovico aveva ammirato con orgoglio: per due mesi aveva lavorato a quell'agente memetico, studiando e analizzando decine di campioni catalogati negli archivi fino ad ottenere un glifo mai visto prima, una vera meraviglia! Certo, la durata lasciava ancora a desiderare, ma tre minuti erano stati più che sufficienti a fargli prendere due pagine di appunti su di esso, sui suoi effetti, e idee su come migliorarlo. Quinto sarebbe stato sicuramente soddisfatto del risultato, ne era certo.
'Vediamo di renderlo davvero orgoglioso, allora.' Si disse Ludovico, quindi si sedette di fronte alla sua cavia e la scrutò attentamente: i capelli biondicci erano sporchi e madidi di sudore, l'occhio destro era sbarrato e fisso nel suo, spalancato, rosso e pieno di lacrime appena trattenute, mentre il sinistro era ormai chiuso a causa del gonfiore causato dai colpi subiti prima che arrivasse; egli ansimava rantolante, rivoletti di sangue ormai secco discendevano dal suo naso e dalla sua bocca, perdendosi nella sua barba prima di calare lungo il suo collo fino a insozzare l'orlo della sua camicia azzurra. Qua e là scorgeva vari ematomi, provocati dal pestaggio e dalle tante cadute, assieme a graffi ed escoriazioni. Era ormai al limite, fisicamente e mentalmente, ma la cautela non era mai troppa.
Ludovico ruotò il torso e prese un altro foglio, soffermandosi ad ammirare le sagome di mostri marini e creature acquatiche stilizzate con nostalgia, e subito ricordi del mese passato in Germania a studiare la Scheggia, delle persone che aveva conosciuto e dei legami che aveva stretto riemersero e lo travolsero. Il giovane ricercatore si concesse un sorriso nostalgico e sincero, chiuse gli occhi e scosse il capo.
"Sa, signor Cuomo, quello che sto per mostrarle è davvero speciale. Sono dei glifi veramente unici nel loro genere che ho avuto il privilegio di studiare assieme a dei grandi esperti in Germania e che sono probabilmente tra i miei preferiti in assoluto. Le va di scoprire perché mi piacciono così tanto?"
La cavia impallidì, strinse gli occhi con disperazione e piagnucolò: "No, ti prego… basta, non ce la faccio più! Farò quello che vuoi, ma ti prego, ti supplico! Lasciami stare!"
"Tutto?" Enfatizzò Ludovico, inarcando le sopracciglia e appoggiando il foglio sulla scrivania. Forse avrebbe potuto iniziare a estorcere qualcosa… "Anche rispondere a qualche mia domanda?"
"Tutto! Tutto ma non questa tortura!"
"Mmh, ma lei mi è più utile come cavia… non so se quello che mi può dire vale la pena di tenerla vivo e interrompere i test. Cosa potrebbe dirmi di così utile?"
Cuomo esitò. La stanza cadde nel silenzio, rotto solo dal ticchettio dell'orologio e dal respiro ansimante del ricercatore. Ludovico attese qualche secondo e sospirò. Quasi certamente stava cercando di inventarsi qualcosa, per cui sarebbe stato saggio dargliene il tempo.
"Ho capito, non ha niente. Peccato." Disse e subito l'occhio di Cuomo si spalancò mentre egli cercava di blaterare scuse, pentendosene amaramente quando Ludovico fece scattare il polso e sollevò il foglio, esponendolo ai memi su esso riportati. L'effetto fu immediato: l'uomo lanciò un grido gorgogliante e iniziò a dibattersi con una foga disperata contro le catene che lo immobilizzavano, cercando di liberarsi come mai fino a quel momento e costringendo Ludovico a bloccare la sedia per evitare che cadesse e rischiasse di fracassarsi il cranio; da quella distanza, l'apprendista del Sovrintendente vide che l'uomo stava trattenendo il fiato e che stava fissando con orrore il pavimento - esattamente come aveva visto due anni prima in quel filmato delle telecamere di sorveglianza.
Finalmente, l'uomo smise di agitarsi e inspirò rumorosamente, guardandosi attorno con incredulità mista a terrore e… sollievo, forse? Poco importava. Ludovico lo lasciò andare, ma rimase dietro di lui, incrociando le braccia e parlandogli con tono severo.
"Allora, parlerà adesso? So cos'ha visto, so della sensazione di tonnellate d'acqua scura che la schiacciano da ogni lato, e so della cosa che si annida nell'abisso. Sappia che quella cosa è più che reale e che posso rimandarla là sotto quando e come voglio. E stavolta, non ci sarà una superficie che potrà raggiungere."
Cuomo non rispose, ma annuì energicamente. Ludovico sorrise soddisfatto e si rimise di fronte a lui, prese il blocco note e si mise a scrivere.
"Eccellente. Iniziamo subito: su cosa stavate lavorando nella vostra Base? Cosa c'era nelle donne che avete catturato?"
"Chimere… — Ansimò, la voce rotta dai singulti. — Nuove Chimere del Secondo Console. Noi dovevamo farle crescere e testarle."
"Mh, e su cosa erano basate?"
"Base umana, con del DNA di orso bruno e un pipistrello, non so il nome. Non so altro. Io ero solo l'addetto all'allevamento."
Una scelta di parole nauseante, ma niente a cui non era abituato. Ormai, ne aveva sentite di tutti i colori dai fanatici del CFO.
"Capisco. Allora continuiamo con i test. A meno che…" Esitò, tamburellandosi il mento con la penna; Cuomo lo fissò con un misto di paura e speranza. Esattamente quello che voleva. "Beh, se mi fornisce qualche altra cavia, forse posso sperimentare su di loro invece che su di lei. Purtroppo le cavie sono sempre poche e i ricercatori più anziani si prendono sempre le migliori; tuttavia, se me ne fornisse un buon numero, non avrei bisogno di lei e potrei persino lasciarla andare."
Il suo interlocutore abbassò lo sguardo, combattuto e meditabondo, ma Ludovico non gli avrebbe dato neanche una chance di provare a ingannarlo, per cui iniziò a voltarsi per prendere un altro meme.
"Aspetta! — Prevedibilmente, Cuomo cedette alla paura e Ludovico dovette trattenere il ghigno che rischiava di mandare a monte tutto il suo lavoro. — Aspetta, parlerò! Ti dirò i nomi, ma ti prego, abbi pietà…"
"La pietà te la guadagni. I nomi, per cortesia."
"So di quattro camerati che sono passati per la mia Base e che si sono infiltrati qui da voi. Lucarelli Antonio, Noemi Barba, poi… poi Nicola Argento e Luca Esposito. Tutti entrati nell'ultimo anno."
Probabilmente con degli pseudonimi, pensò Ludovico, non potevano essere tali ingenui da usare i loro veri nomi e rischiare che qualcuno li rivelasse. Tuttavia, forse aveva una mezza idea su come individuarli.
"Come sono entrati nella Fondazione? Chi li ha fatti entrare?"
"Un contatto a Oristano, uno di quelli che trovano reclute per voi. Non so chi sia, però."
"Non importa, i miei superiori troveranno molto utili queste informazioni. Sono dell'idea che ti daranno più che volentieri una chance." Disse, mascherando il suo divertimento nel dire tali assurdità con un sorriso incoraggiante. Puntualmente, l'idiota ci cascò in pieno - davvero pensava che lo avrebbero lasciato andare? Evidentemente sì, perché continuò con maggiore entusiasmo.
"So anche che ci sono due altre Basi nella periferia di Oristano, a circa 12 km dal centro. Ci sviluppano soprattutto Costrutti e veicoli, per cui ci sono più persone che nella mia."
L'ultima parte fu particolarmente enfatizzata, come a dire 'vedi? Ti sto dando molte cavie per cui io non ti servo più'; c'era anche la possibilità che fosse un inganno e che stesse cercando di fargli gola per condurre gli agenti in trappola, per cui nei suoi appunti ebbe premura di annotare il rischio di informazioni fuorvianti, e finalmente decise di chiudere l'interrogatorio.
"D'accordo, direi che abbiamo finito. Dato che sei stato così collaborativo, non farai più da cavia per i test; quindi sta tranquillo, se entra gente, sarà solo l'equipe medica che ho mandato per farti rimettere in sesto." E con questo, si mise a riordinare le sue cose per andarsene. Assicurandosi che tutti i memi fossero conservati in maniera sicura nella valigetta e che non avesse dimenticato nulla, Ludovico si diresse verso la porta e batté due colpi; il clangore metallico attirò l'attenzione delle guardie che, dopo aver controllato nella feritoia, aprirono il portellone per farlo uscire.
"Ehi, Draghi!" Il roco grido attirò la sua attenzione e lo fece voltare verso Cuomo. "Metti una buona parola sul mio conto coi tuoi superiori!"
Ludovico sorrise e annuì: "Certamente, anzi: il mio Direttore sarà sicuramente felicissimo di farti visita domani, visto che sei stato così collaborativo!"
Il camerata sembrava soddisfatto, per cui Ludovico uscì dalla stanza e permise alle guardie di chiudere la cella, lasciandolo solo con il ticchettio di un orologio come unica compagnia.
Il ritorno all'ufficio di Quinto fu, come sempre, abbastanza imbarazzante. Le guardie che lo scortarono fino all'ascensore lo fissarono di sottecchi per tutto il tempo con assoluto disgusto; piuttosto ipocrita da parte loro, considerando che il più grosso aveva pestato selvaggiamente il prigioniero prima del suo arrivo, ma a quanto pare era tortura solo quando ci andava di mezzo la sua Divisione. Oh, beh, ormai ci era abituato - erano solo degli ignoranti che non capivano e che preferivano trastullarsi nella consapevolezza che ci fosse qualcuno 'peggiore' di loro; pertanto, per preservare la loro percezione di innocenza, giudicavano quelli come lui senza saperne nulla a riguardo.
Era comunque un po' frustrante, e i novellini si sarebbero sicuramente sentiti a disagio. Parlando di loro, Quinto aveva preso tre nuovi assistenti - ovviamente senza dirgli nulla nei giorni precedenti: semplicemente, quella mattina era andato in ufficio come al solito e si era ritrovato un ragazzo e due ragazze seduti davanti alla scrivania del Direttore che lo fissavano confusi, il vicedirettore che scribacchiava qualcosa su un tavolo laterale e Quinto che lo aspettava con un faldone di scartoffie pronte per lui.
Non che gli dispiacesse, in realtà non vedeva l'ora di conoscere i suoi nuovi colleghi, ma verso mezzogiorno aveva ricevuto la notizia che Alessandro stava per ripartire per il Vittoria dopo essersi preso qualche giorno di riposo dall'operazione in cui avevano assaltato la Base in cui lavorava Cuomo, e non poteva non salutare suo fratello di persona. Poi, durante la pausa pranzo, non solo non incrociò i nuovi assistenti, ma Quinto lo chiamò e gli ordinò di interrogare il prigioniero nella cella 12.
Questi pensieri gli tennero compagnia per il resto del tragitto che lo condusse alla familiare porta rinforzata dell'ufficio di Quinto; Ludovico bussò all'apposito campanello e, con un sibilo, la porta scivolò nella parete. Ancora una volta, i tre nuovi arrivati lo accolsero con sguardi silenziosi - ma stavolta Ludovico lesse nei loro occhi un misto di paura, repulsione e, almeno nella ragazza più bassina con gli occhi azzurri, un briciolo di ammirazione.
"Ah, era ora." Dietro la scrivania, Quinto fece scivolare la sua sedia per entrare nel suo campo visivo. "Ci hai messo un po'."
"Mi scusi, Direttore, ma questo era più testardo del solito. Ci è voluta mezz'ora solo per iniziare a farlo cedere, e comunque temo che non sia riuscito a piegarlo del tutto."
"Già, abbiamo visto." 'Eh?' "Non fare quella faccia da pesce lesso, lo sai che io ho accesso alle videocamere del Sito. Comunque, Raini qui aveva delle domande sugli interrogatori, per cui ho pensato di mostrare a tutti loro come li conduciamo."
Raini, la ragazza più alta dai corti capelli castani abbassò lo sguardo, evitando attentamente di incrociare il suo. Era pallida e si stringeva le mani in maniera quasi spasmodica; evidentemente non aveva una grande opinione di lui dopo la sua… performance, per così dire.
"Capisco." Sospirò, ritornando a concentrarsi sui lineamenti occultati del suo superiore. "Spero che siate soddisfatto del mio lavoro."
"Sì, direi di sì." Come suo solito, Quinto era avaro con i complimenti, ma Ludovico lo conosceva bene: era troppo rilassato e il suo tono sbrigativo era forzato. 'Bel lavoro' era il suo vero messaggio, e l'assistente non poté contenere il suo entusiasmo.
"Ne sono molto felice, Direttore. Mi metto subito al lavoro su un rapporto completo, glielo farò avere entro un paio di giorni."
Il Sovrintendente scosse il capo: "Frena l'entusiasmo, prima devi fare una cosa. Voi tre, avete domande da fare? Guardate che non saremo sempre a vostra disposizione, per cui cercate sempre di togliervi ogni dubbio quando potete."
I tre si guardarono l'un l'altro per diversi secondi, silenziosamente decidendo chi dovesse rompere il ghiaccio; alla fine proprio Raini a parlare, a voce bassa per nascondere il nervosismo che provava: "Dottor Draghi, permette una domanda? Riguardo… riguardo quello che ha appena fatto."
"Certamente. Di che si tratta?"
La ragazza esitò, mordendosi il labbro ansiosamente: "Ecco, prima lei sembrava molto, come posso dire… entusiasta. Il Direttore ha detto che lei stava recitando, ma a me sembrava fin troppo convincente. La maniera in cui rideva o ghignava contro quell'uomo, i suoi movimenti, tutto era fin troppo…"
"Reale?" Completò lui per lei, al che la ragazza annuì. "Lo prendo come un complimento, dunque, perché posso assicurarvi che non traggo alcun divertimento dal veder soffrire un altro essere umano, nemmeno uno di quei pazzi fanatici del CFO. Al massimo posso provare un po' di orgoglio per un meme ben riuscito, ma finisce lì; anzi, dubito seriamente che ci sia qualcuno che lo faccia perché gli piace torturare qualcuno."
"Almeno, non tra di noi." Aggiunse Quinto, rimettendosi al lavoro al computer. "Quando concordai con Settimo, all'epoca Direttore della SRE-M, la possibilità di usare i prigionieri dei GdI come cavie, una delle condizioni includeva la creazione di un team di psicologi del Sito che monitorassero lo stato di salute mentale di tutto il mio personale per evitare psicosi, sadismo e robaccia simile. Sinceramente, è stata probabilmente l'unica buona idea che Settimo abbia avuto in tutta la sua vita."
Raini sembrò tranquillizzata dalla loro risposta, perché smise di tormentarsi le mani e riprese un po' di colore in volto. Era chiaro che non fosse mentalmente pronta, probabilmente si era ritrovata catapultata nell'ufficio di Quinto senza neanche sapere come e perché, e ogni rassicurazione era preziosa. Anche il ragazzo - di cui Ludovico si rese conto di non sapere il nome - sembrava un po' meno esitante, mentre l'altra ragazza sembrava ormai perfettamente a suo agio e pronta a fare altre domande; tuttavia, proprio mentre iniziò a parlare, uno squillare acuto la interruppe.
"Ugh, parlando del diavolo." Quinto mugugnò, massaggiandosi le tempie. Il suo assistente scoppiò a ridere, beccandosi quella che interpretò come un'occhiataccia.
"Settimo?"
"Settimo. Probabilmente Bigotto gli avrà detto di passare a rovinarmi la settimana. Ugh, che scocciatura… fate una cosa, prendetevi il resto della giornata libera e andate a fare amicizia, o quello che è. E tu, ricordami che domani devo andare a sistemare quel Diego."
"Sarà fatto, Direttore." Disse Ludovico, facendo cenno agli altri di seguirlo. Erano a forse una quindicina di metri dalla porta quando sentirono Quinto iniziare a sbraitare.