Interrogatorio
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Il ticchettio dell'orologio, unica decorazione nella stanza altrimenti spoglia, era l'unica compagnia concessa a Diego Cuomo, fiero camerata del CFO assegnato allo studio e alla creazione di Chimere per servire il Dictator nella Base 18. Non che ne rimanesse molto, purtroppo: aveva appena iniziato i controlli su una nuova gestante particolarmente promettente, quando i repubblicani erano piombati sulla struttura dal nulla, spazzando via le truppe di guardia come fossero sabbia in una tempesta. Alcuni dei suoi colleghi avevano provato ad opporsi agli invasori, imbracciando le armi dei camerati caduti, ma anch'essi vennero soverchiati dal nemico. Al termine della battaglia, i superstiti vennero catturati e condotti ai mezzi dei repubblicani sotto gli occhi glaciali del loro leader; quando lo aveva visto, Diego aveva riso - rassegnato e amareggiato - la futilità della loro resistenza chiara come la luce del sole.

Pugnus Ferri. La Squadra della Fondazione che più rappresentava una spina nel fianco del CFO con le sue continue e micidiali incursioni alle loro Basi; essi arrivavano silenti come nubi nel cielo notturno e colpivano come saette, precisi e letali. Diego era già sfuggito alla loro stretta una volta, nel 2015, quando si era trovato praticamente faccia a faccia con il loro capitano in persona ed era sfuggito solo grazie ad alcuni A-50 che lo avevano distratto - concedendogli una preziosa opportunità di dileguarsi. Incrociare nuovamente quei freddi occhi grigi, risentire quello sguardo pieno di gelida intelligenza concentrarsi per un istante su di lui risvegliò quelle emozioni, quella consapevolezza di non poter fare nulla se non sperare in un miracolo.

Un miracolo che non arrivò. Da alcuni giorni egli sedeva ammanettato in una cella vuota, con il ticchettio di un orologio appeso alla parete come unica compagnia concessagli. Diego inspirò rumorosamente, stringendo i denti quando una fitta lancinante gli trapassò il petto e le sue narici vennero investite dal tanfo del disinfettante ricordandogli la guardia che aveva condotto l'interrogatorio - o, per meglio dire, tentativo di interrogatorio. Eccome se ci aveva provato! Prima le lusinghe ("Sei un uomo intelligente, le tue capacità potrebbero davvero brillare se ti unissi a noi."), poi le contrattazioni ("Mh, i miei superiori potrebbero essere generosi se tu collaborassi con noi…"), seguite dalle minacce ("Allora? Non vuoi parlare?! Guarda che quelli dopo di me sono dei veri mostri! Parla adesso o te ne pentirai!") e infine dalla violenza. Ma lui non cedette, nemmeno quando un pugno lo centrò sul naso con uno schiocco atroce, né quando un gancio alla guancia sinistra gli staccò due molari, e nemmeno quando venne buttato a terra e tempestato di calci sul torace. No, lui era un vero uomo e non fiatò, non gemette di dolore, non supplicò pietà, e sicuramente non tradì il Dictator.

Poi, quando il suo carceriere si stancò di usarlo come sacco da boxe e si appoggiò alla parete per riprendere fiato - 'Patetico.' - gli balenò in mente un'idea. A fatica, si sollevò inarcando il dorso e fissò gli occhi scuri dell'altro uomo, sogghignando nel vedere il sospetto che li adombrò.
"Draghi." Gracchiò, ignorando il dolore lancinante nel suo fianco sinistro - una costola rotta? "Parlerò, ma solo con lui. Portami Draghi."
La guardia sembrò confusa, poi spalancò gli occhi. La tentazione di sapere cosa aveva da dire sembrava essere davvero forte, perché annuì con decisione e azzardò anche un sorriso.
"Certamente." Disse con prontezza. "Lo farò venire qui il prima possibile."
A passi pesanti, egli uscì dalla stanza, borbottò qualcosa ai colleghi che lo attendevano fuori e si allontanò; nel mentre, altri due agenti entrarono e lo risollevarono da terra, avendo poi premura di disinfettare le ferite che gli erano state causate dal loro collega. Diego fece del suo meglio per non sorridere: ovviamente non avrebbe parlato, nemmeno davanti al capitano della "Pugnus Ferri", ma almeno lo avrebbe fatto scomodare e, magari, gli avrebbe anche dato qualche informazione falsa.

Questo era accaduto quasi venti minuti prima, e Diego li aveva impegnati pianificando ogni sorta di menzogne e possibili trappole per la SSM-IV; non si illudeva certo di sopravvivere, ma almeno così la sua morte avrebbe portato gloria al Dictator - non esisteva certo una morte più degna per un uomo - e ora egli fremeva, tendendo le orecchie e sperando di captare l'avvicinarsi del capitano. Egli udiva solo il ticchettio dell'orologio e il pulsare del sangue nelle sue orecchie… poi, ecco! Voci dall'altro lato del grande portellone d'acciaio, lo scattare della serratura, il cigolio dell'anta, i suoi passi mentre entrava nella stanza! Diego sorrise quando l'uomo dai capelli scuri entrò nella stanza, preparando un saluto per schernirlo…

… ma esitò.

Da vicino, Draghi sembrava molto più giovane, forse perché si era rasato nel frattempo, non aveva più quel pizzetto sul mento che aveva quella mattina; i suoi capelli, puliti dal sudore e dalla sporcizia del campo di battaglia, erano piuttosto lunghi e un po' disordinati e il loro colore castano scuro contrastava con la carnagione chiara e gli occhi grigi che lo stavano studiando con un misto di divertita curiosità e acuta attenzione. Egli indossava un camice da laboratorio al di sopra di una semplice camicia rossastra e pantaloni bluastri, ben diversi dall'uniforme che gli aveva visto addosso prima. Sembrava praticamente un'altra persona.

Draghi appoggiò una valigetta sul tavolo di fronte a lui, poi si sedette sul bordo di esso, accavallando le gambe con calma deliberata e continuò a scrutarlo in silenzio, un sorrisetto arrogante e beffardo dipinto sul volto. Dal canto suo, Diego continuò a fissarlo, cercando di conciliare le immagini che riaffioravano nella sua memoria con quella che aveva dinanzi, ma senza successo. Alla fine, innervosito da tale fallimento, decise di avviare la conversazione.
"Tu non sei Draghi." Sbottò, al che il nuovo arrivato ridacchiò.
"Oh, ma guarda che si sbaglia." Fu la risposta, data con una voce troppo acuta e giovanile per appartenere al capitano ormai oltre i trent'anni. "Io sono Draghi. Ludovico Draghi, per la precisione. Il mio collega ha detto che lei non intendeva parlare se non con me, per cui ho fatto il possibile per non farla attendere troppo a lungo. Dunque, vogliamo iniziare quest'intervista?"
"Sparisci, moccioso." Sibilò il camerata Cuomo, ogni traccia di buon umore completamente sostituita da una profondissima irritazione. "Voglio parlare col capitano Draghi, non con il suo fratellino, cuginetto, o quello che sei!"
"Ah." 'Ah?! Tutta qui la tua risposta?!' "Beh, Alessandro al momento non è disponibile, si sta riposando dopo la missione di stamattina. Quindi, mi sa che dovrà accontentarsi, sono desolato."
"Fottiti." Certo che il bamboccio ne aveva di fegato, a prenderlo in giro così impudentemente! Probabilmente faceva il gradasso solo perché aveva un parente altolocato che lo stava aiutando nella sua carriera. Feccia, nient'altro che feccia! Ecco la ragione della rovina dell'Italia!

La sua risposta fece incupire il ragazzino, che si alzò e gli diede le spalle per aprire la sua valigetta; poi, frugando nella tasca, estrasse un registratore e lo avvicinò al volto.
"Dunque, rapporto del dottor Ludovico Draghi sull'interrogatorio del soggetto CFO-419, maschio, sulla trentina. Il soggetto è non collaborativo e mostra comportamenti ostili; prego, può ripetere il suo commento?"
Ma cosa diavolo gli stava passando per la testa? Un momento era rilassato e scherzoso, adesso invece parlava come se fosse un dannato robot! Diego non esitò un istante e gridò:
"Vai a farti fottere, feccia che non sei altro! Fai tutto il duro perché hai il tuo fratellone che ti para il culo, nevvero? Sei uno scarto della società, un fottuto reietto che ha bisogno di una raccomandazione per valere qualcosa! Che ne dici di trovarti un buco e morirci, faresti un favore al genere umano!" L'espressione di oltraggiata confusione sulla faccia del bamboccio valse la pena dell'atroce dolore che gli infiammò il petto.
"Esaustivo." Commentò finalmente con tono piatto, poi riprese. "Facendo riferimento agli articoli 20, 23, e 28 del Codice Etico della Fondazione, riguardanti il trattamento e la tutela dei prigionieri, procedo allo svolgimento dei test."
"Ohh, ma che bravo, hai recitato la poesia a memoria!" Diego non riuscì a trattenersi, scoppiando a ridere quando ricevette un'occhiataccia; era ridicolo, un marmocchio che si atteggiava a ricercatore. Quanto era caduta in basso la Fondazione?

Il ragazzino appoggiò il registratore sul tavolo ed estrasse dalla valigetta un blocco note, alcuni fogli sparsi e quello che sembrava un auricolare; poi si diresse alla porta e batté tre colpi contro di essa.
"Bene, possiamo cominciare." Si riavvicinò alla scrivania e si risedette sul bordo, prese il blocco e si mise a disegnare qualcosa, sollevando di tanto in tanto gli occhi grigi e puntandoli su di lui. Per un minuto circa, gli unici suoni furono il ticchettio dell'orologio e la punta della penna sul foglio, poi Diego decise che era ora di pungolare di nuovo il suo interlocutore.
"Che carino, mi fai un ritratto! Devo girarmi, così magari prendi il mio lato migliore?"
"Non serve, ormai ho finito." Sibilò egli, chiaramente stizzito. Diego ghignò e, nello stesso momento il marmocchio rivolse contro di lui la pagina, su cui era scarabocchiato uno sgorbio di linee intrecciate, una schifezza che sicuramente non era affatto qualcosa di cui sorridere orgogliosamente come stava facendo il moccioso.
"Ta-dà! Allora, che ne pensa? È venuto bene, vero?"
Il camerata voleva ridergli in faccia, insultarlo ancora, deriderlo e umiliarlo. Eppure, per alcuni fatali secondi, risuonò unicamente il ticchettio delle lancette. Poi, finalmente, una risata.

Diego rabbrividì, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi d'acciaio puntati che scrutavano la sua stessa anima, né dal ghigno malevolo che aveva preso il posto dell'infantile sorrisetto del moccioso. La sua risata echeggiava nella stanza, spietata e famelica, riportandogli alla mente le iene su cui aveva lavorato in una Base in Africa - ricordava perfettamente quel verso, quel dannato sghignazzare che emettevano quando la loro preda era ormai all'angolo.

I suoi pensieri vennero interrotti quando la sua mano, pallida e dalle dita sottili, strisciò verso il suo volto; istintivamente, Diego cercò di ritrarsi ma, con suo sommo orrore, il suo corpo non obbedì ed egli sentì qualcosa entrargli nell'orecchio destro, probabilmente la cuffietta di prima. Soddisfatto, Draghi si ritrasse e si riappoggiò alla scrivania, osservandolo senza smettere di ghignare. Il ticchettio dell'orologio sulla parete lentamente ma inesorabilmente coperto dal ronzio del sangue nelle orecchie del camerata; per quanto ci provasse, per quanto disperatamente lo ordinasse al suo corpo, egli non riusciva a respirare. Cosa diavolo stava succedendo? Perché non riusciva a respirare? Che il moccioso gli avesse fatto qualcosa? La testa gli girava, e la vista stava iniziando ad annebbiarsi…

Come se avesse sentito la sua domanda, egli disse: "Spero che avesse preso fiato, perché altrimenti se la sta vedendo sporca adesso. Quello che le ho mostrato è un meme di Classe X, causa paralisi completa dei muscoli volontari, eseguito alla perfezione se posso vantarmi. E questo…" Diego lo sentì frugare poi, dopo qualche secondo, un fischio acutissimo eruppe nel suo orecchio sinistro; nello stesso istante, egli sentì il suo corpo rilassarsi e iniziò a tossire, inspirando disperatamente l'aria fetida di disinfettante. Ogni colpo di tosse, ogni profonda inspirazione provocava vampate di dolore nei suoi fianchi che unite alla mancanza di ossigeno rischiavano di fargli perdere conoscenza in ogni momento.

Eppure, Diego resistette e finalmente riuscì a regolarizzare il suo respiro. Sollevando la testa, vide che Draghi gli stava dando le spalle e che stava frugando nella valigetta; prevedendo il peggio, il prigioniero chiuse gli occhi e riabbassò il capo - se quel simbolo era stata la causa di quell'incubo, allora bastava impedirgli di mostrarglielo di nuovo!
"Allora, ti è piaciuto questo primo assaggio? Scommetto che adorerai il prossimo, è un - " Esordì con malato entusiasmo, ma cadde in un silenzio assoluto quando si rivolse verso di lui. Diego si preparò a eventuali percosse, ma quel piccolo trionfo lo riempì di soddisfazione; il mocciosetto era interdetto, questo era più che chiaro, e lui si sarebbe goduto ogni istante della sua frustrazione.
"Ma tu guarda con cosa mi tocca lavorare…" Fu il suo unico commento mentre si avvicinava; il camerata strinse i denti e si preparò ad essere picchiato di nuovo… ma non arrivò nessun colpo.

I secondi passavano, scanditi dal ticchettio delle lancette, ma non accadeva nulla; il repubblicano era davanti a lui, ma non stava facendo nulla - probabilmente per invogliarlo ad aprire gli occhi per controllare cosa stesse facendo; ma lui non era certo uno stupido, per cui le sue palpebre rimasero ben serrate. Poi, d'un tratto, un crepitio come di fiamme echeggiò alla su sinistra, unito a un lieve tepore sul suo braccio. 'Non avrà mica acceso un fuoco solo per farmi aprire gli occhi.' Si chiese, mentre la sensazione di calore si espandeva sempre di più, avvolgendo tutto il suo corpo e crescendo, ardendo, bruciando follemente!

I suoi occhi si spalancarono dal dolore e un grido proruppe dalle sue labbra: non c'era fuoco, né puzza di bruciato, eppure sentiva ogni fibra del suo corpo ardere atrocemente; egli si dimenò al punto da cadere a terra con tutta la sedia, sotto lo sguardo impassibile di Draghi. Poi, così come era iniziato, il bruciore cessò e, assieme ad esso, il crepitio che lo aveva preceduto; Diego ansimò sollevato, il tormento della sua caduta niente in confronto all'incubo appena terminato. A fatica, egli sollevò il capo da terra e il suo sguardo cadde su un piccolo oggetto proprio di fronte a lui; con enorme difficoltà, causata dal rombante mal di testa che lo affliggeva, egli si concentrò su di esso finché non riconobbe l'auricolare che gli er-

"Figlio di puttana." Ringhiò, voltandosi verso il repubblicano. "Sei stato di nuovo tu, nevvero?"
Lui ridacchiò, scrollando le spalle con nonchalance: "Ahh, mi ha beccato. Quello era un Classe XII, uno dei preferiti del Direttore. Adesso si rialzi, su, così possiamo continuare, ho moltissimi nuovi memi da sperimentare e vorrei finire a un orario decente; se collaborerà, potrei persino decidere di staccare in anticipo e continuare domani, così da darle un po' di tempo per riprendersi."
"Ma col cazzo! Te lo puoi scordare!" Esclamò il camerata, rimpiangendo immediatamente di aver alzato il tono quando sentì un intenso bruciore alla fronte. Draghi schioccò la lingua e incrociò le braccia davanti al petto.
"Quindi non collabora? D'accordo, io ci ho provato."

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