Progetto di Integrità


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Il direttore del Sito-81 era molto lontano dalle mura della Fondazione, in una baita sulle Montagne Rocciose. Era seduto sul portico sul retro, godendosi la brezza frizzante del mattino. Fece un respiro profondo, poi ne fece un altro e sorrise, pensando che respirare era molto più gradevole lì che nei lunghi corridoi e nelle stanze buie sotto il lago. Adorava il Sito-81, su questo non ci pioveva; ma era una struttura vecchia, in apparenza costruita decenni prima. Era un posto incredibile per fare ricerche e contenere entità anomale, ma non prendeva affatto in considerazione la comodità. Ma tutto ciò era solo un ricordo per lui. Il dottore bevve un sorso di caffè e, con fare distratto, giocherellò con la flebo nel suo braccio.

Jean Karlyle Aktus stava leggendo un libro che gli aveva regalato un vecchio amico, un ex collega andato in pensione molto tempo prima. Si erano conosciuti da giovani, quando erano stati obbligati a tagliare tutti i ponti col mondo esterno. Una volta, avrebbero potuto dire che si volevano bene, in un certo senso. Quando Oliver aveva dovuto lasciare la Fondazione, gli aveva regalato il libro e gli aveva fatto una promessa: che si sarebbero riuniti appena il direttore Aktus fosse andato in pensione e che si sarebbero trasferiti in Italia. Avevano sempre adorato l'Italia. Jean aveva sorriso, preso il libro e fatto la promessa. Poi Oliver aveva detto:

«Ma chissà, Karlyle, magari starai qui per sempre, rintanato in quel laboratorio finché non si spegne il sole. Del resto, non sei invecchiato in quasi trent'anni»

Karlyle aveva riso e detto al suo amico di aspettarlo. Dopo aver lasciato la Fondazione, Oliver Rights si era trasferito a Minneapolis, la sua città natale. Era morto di freddo ventitré anni dopo, accanto a un calorifero gelido, una notte in cui una bufera di neve staccò la corrente. Aveva ottantasette anni. Quella stessa notte, Karlyle aveva approvato la riclassificazione di un'anomalia pericolosa alla classe Keter, con restrizioni. Aveva sentito della morte di Oliver solo più tardi. Non ci aveva pensato, finché non aveva preso quel libro mentre lasciava la città.

Il suo sguardo era fisso sulla dedica scritta a mano sul lato interno della copertina: "Al mio migliore amico. Con affetto." Jean lesse il libro e continuò fino a tarda mattinata, quando iniziò a pensare al pranzo. Si alzò, si avvicinò con calma alla porta ed entrò. Lasciò il libro sul tavolino di fuori. Il vecchio dottore si stiracchiò, prima di iniziare a farsi un tramezzino: pane di segale con tacchino, il pasto più tipico ai tempi in cui lavorava. Le vecchie abitudini sono dure a morire, ma almeno lì poteva anche aggiungerci del formaggio. Karlyle fece per aprire il frigorifero, quando si accorse di un uomo che stava in piedi in un angolo. Aprì lo sportello e lo salutò:

«Ah, gentile da parte tua unirti a me. Ma non è presto per venire a salutarmi? Sono passati solo due giorni»

L'uomo rimase immobile e in silenzio. Il direttore Aktus si guardò intorno mentre chiudeva lo sportello, rendendosi conto solo allora che c'erano molti altri uomini e donne nella sua baita, pigiati contro i muri. Alcuni indossavano completi, altri erano in borghese. Alcuni erano armati. Stavano tutti in silenzio, con lo sguardo fisso davanti a loro. Il vecchio scosse la testa e rise:

«Credo che le formalità non servano. Qui ci siamo solo io e te»

Allora se ne andarono tutti, tranne uno.

«Ah, ora sì che ci siamo»

Karlyle si spostò nel soggiorno e si sedé su un divano felpato. Aveva ancora l'endovena nel braccio: l'ago era connesso a una sacca appesa a un'asta portaflebo che lo seguiva dappertutto. Quando il direttore Aktus si muoveva, le ruote dell'asta cigolavano sulle assi di legno.

«Vieni a sederti, Joshua. Sono certo che non starai qui poco»

L'uomo attraversò la stanza senza fare il minimo rumore. Si avvicinò a una sedia e vi prese posto, senza staccare lo sguardo da Jean. Il vecchio dottore continuò a mangiare il suo tramezzino. Tra un boccone e l'altro, il direttore Aktus si leccò le labbra e domandò, circospetto:

«Dunque, cosa vuole uno come te da uno come me, in questa casetta sperduta sui monti? E con una scorta, per giunta. Non possono mandare qualcuno che non sia un pesce grosso, per un vecchietto come il sottoscritto?» ridacchiò.

Il suo ospite rimase immobile:

«Non sono qui per chi sei, ma per chi eri»

Karlyle indugiò e ingoiò il boccone, poi continuò a mangiare.

«E questo, Joshua, è un altro modo per dire che non sono l'uomo di una volta. Lo sai, e anche le mie povere ossa. Credo che avrai più fortuna altrove, amico»

Il silenzio imbarazzante fu rotto dal canto di un uccello che cinguettava di fuori. Karlyle pensò di girarsi verso quel suono, ma preferì tenere d'occhio il visitatore.

«Non sto cercando la giovinezza di quell'uomo, Jean, né la sua destrezza con le armi» rispose Joshua.

Il direttore Aktus fece spallucce, sentendosi i peli sulla schiena rizzarsi:

«Allora perché sei qui?»

«Lo sai»

«Fammi contento, sono un povero vecchio»

Joshua si alzò e rispose:

«Venticinque anomalie contenute in due anni. Una vasta conoscenza dei comportamenti e dei tratti anomali di molte altre. La capacità di manipolarle per facilitarne il contenimento. Una comprensione del loro "potenziale". Il motivo per cui ti eri unito al Comitato di Classificazione. Il motivo per cui ne eri diventato il presidente. Il motivo per cui al Sito-81 non c'è stata neanche una breccia, durante il tuo mandato»

Karlyle annuì e mangiò l'ultimo boccone del suo tramezzino.

«Tutte le cose che hai detto sono vere, non negherò i fatti. Eppure sono vecchio, Joshua: di certo ho perso lo smalto. Stanno cercando senza dubbio qualcun altro»

«Invece no»

«E se mi rifiuto? Sono contento del mio lavoro, mi piace quello che faccio. Devo lasciarmi quei giorni alle spalle, Joshua. Sono uno scienziato, lo sono da sempre. E se non voglio neanche abbandonare le ricerche?»

«Questo è un vecchio debito, Jean. Un nodo che sapevi che sarebbe venuto al pettine al momento opportuno. Sono passati gli anni e l'età ha sopraffatto tutti, tranne un gruppetto selezionato. Le malattie hanno rovinato molti, eppure alcuni resistono. Hai dimenticato perché?»

Il direttore Aktus si fece scuro in volto:

«No, non l'ho dimenticato»

Joshua si avvicinò alla porta e dichiarò:

«Allora avviserò il Comando O5 della tua decisione. Purtroppo, questa è la fine della tua vacanza. La tua terapia potrà continuare nella nostra struttura sicura»

«Pensi che un vecchio sia a rischio di fuga?»

«No, penso che tu lo sia» replicò Joshua.

A quel punto, arrivò un manipolo di agenti che raccolsero gli effetti personali di Karlyle e li spostarono fuori. Il vecchio dottore fu accompagnato fuori e scortato fino alla vettura in attesa. Prima di salire a bordo, il direttore Aktus indugiò e si voltò verso Joshua, chiedendogli:

«Ne varrà la pena?»

Joshua chiuse la portiera e, attraverso il finestrino, gli rispose:

«Chi lo sa? In fin dei conti, sei solo un uomo, Jean. Puoi decidere da solo quando è finita»

La macchina si allontanò dalla baita e iniziò la sua lunga discesa dalla montagna. Joshua rimase lì un attimo per fare un'ultima ispezione della baita, poi se ne andò anche lui. Sul tavolino del portico sul retro, c'era un libro aperto che nessuno aveva notato. Un pegno di affetto tra due amici che, un tempo, osavano sognare una vita insieme. I sogni si erano infranti e i ricordi si erano persi, ma il libro era rimasto, come testimonianza di una promessa mai mantenuta. Quella notte, piovve.


La porta dell'unità di contenimento di SCP-2599 si aprì ed entrò una donna. Zena Cho la conosceva: era la sua dottoressa, quella che parlava con lei quando era triste. Ma non riconobbe l'uomo dietro di lei, un vecchio calvo in camice bianco con gli occhiali scuri. Lo sconosciuto le sorrise e la ragazzina "non abbastanza brava" ricambiò: non le faceva paura. La sua dottoressa lo indicò e le disse:

«Zena, lui è il dottor Aktus. È venuto per farti qualche domanda, poi avremo alcune faccende da sbrigare, va bene?»

SCP-2599 annuì e raddrizzò la schiena. La dottoressa Jora andò nell'angolo della stanza, mentre il dottor Aktus si fece avanti e prese posto su una sedia davanti a Zena. Le porse la mano e lei gliela strinse. Il vecchio le sorrise ancora e si presentò:

«Ciao, Zena, mi chiamo Karlyle. Puoi chiamarmi come vuoi»

Zena ci pensò un po' su, poi gli chiese, raggiante:

«Posso chiamarti Karl?»

Karlyle rise:

«Karl va benissimo!»

Dopodiché, tirò fuori una palla rossa dalla tasca del suo camice e la tenne davanti a SCP-2599. La lanciò in alto e la prese al volo, poi le disse:

«Zena, il dottor Wensley mi ha detto che sei molto speciale. Mi sembra molto interessante, sono curioso di sapere se è proprio così. Puoi far diventare questa palla blu?»

Le porse la palla. SCP-2599 la prese, la osservò e la scosse un paio di volte, poi serrò le labbra:

«Non posso fare davvero le cose, se non me le ordinano»

Karlyle annuì:

«Non c'è problema. Zena, fai diventare questa palla blu, per favore»

Gli occhi di SCP-2599 ebbero un lieve spasmo e la ragazzina strinse la palla con forza. Quando la mollò, era diventata viola. Zena tossì e la restituì al dottor Aktus, con lo sguardo chino. Karlyle sorrise:

«Non devi vergognarti, cara: sei stata bravissima»

Zena alzò lo sguardo:

«Ma non è blu»

Il dottor Aktus inclinò la testa, intrigato:

«Dici di no? A me pare abbastanza blu. Vedi, si tratta di parole diverse: hanno significati diversi, a seconda della tua provenienza. Per me, la palla è blu. Nella mia cultura, questo colore è il blu»

La ragazzina sbarrò gli occhi:

«Davvero? Questo è blu?»

Karlyle annuì:

«Come è vero che mi chiamo Jean Karlyle Aktus. Ora fai diventare questa palla blu viola per me»

SCP-2599 fissò ancora la palla, poi la strizzò. Quando lasciò la presa, era verde. Lanciò un'occhiata inquisitoria a Karlyle. Il vecchio sorrise e annuì:

«Brava, Zena. Bravissima!»

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