Crediti
Era primavera, e Jack Kenta era occupato a mescolare pigramente una tazza di caffé con la mano sinistra. La sua mano biologica, s'intende. Lo faceva per evitare gli occhi vigili e sospettosi degli alquanto banali civili che giravano per il ristorante, mentre il sole infrangeva l'orizzonte, proiettando a casaccio i raggi di luce dell'alba.
Kenta era alto ma non massiccio, con un modo di fare calmo e gli occhi color blu freddo. La sua mano destra gli riposava in grembo, le sue dita meccaniche che sfioravano il freddo acciaio, appena percepibile attraverso i suoi Recettori Sensoriali di Quarta Generazione. Il suo dito indice era stretto attorno al grilletto, mentre i pollici facevano scattare la sicura avanti e indietro. Era il suo tic nervoso, una cosa pericolosa da avere per un ex-soldato-divenuto-guardia privata-divenuto-mercenario.
Click. Clack. Click. Clack.
Voltò lentamente il viso verso la finestra, guardando svogliatamente al di fuori del pannello di vetro, coperto di sporcizia, terra e sudiciume. I suoi occhi rotearono nelle orbite, i sensori ad immagini composite da 200 megapixel puntati sulla Chevrolet parcheggiata a circa trenta piedi da lui. I suoi occhi cercarono il bersaglio all'interno del veicolo, spaziando da destra a sinistra mentre attivavano la visione termica.
Kenta poteva distinguere due bersagli seduti all'interno del veicolo. Le sagome suggerivano un uomo e una donna, di circa trent'anni, forse più giovani. Spazzò il tavolo con la sua mano biologica, spargendo briciole di wafer sul terreno, e fece un cenno alla cameriera.
"Sì, signore?" chiese la ragazza, la sua voce piena di impazienza e disprezzo le sue dita che tamburellavano su un block notes. Perché diavolo un ristorante del ventunesimo secolo usava ancora block notes nel ventunesimo secolo e con quel clima Kenta non riusciva a capirlo.
"Un altro, nero" mormorò, riportando la sua attenzione sul veicolo da cui erano usciti un uomo e una donna.
L'uomo era vestito in completo nero, occhiali da sole, e un paio di brogue di Oxford. Kenta nascose un sorriso. La donna, nel frattempo, indossava un tailleur grigio con un paio di occhiali simili posati sulla testa. La coppia non avrebbe potuto farsi notare di più, neanche volendolo.
Kenta ricordò all'improvviso una coppia simile, ma che apparteneva ad un'altra vita. Ricordò quei due, l'uno fra le braccia dell'altro mentre giravano e rigiravano ridendo e sorridendo su una spiaggia, così pieni di vita. Ricordò di aver mirato alla coppia, il suo fucile carico e pronto. Ricordò il peso del grilletto mentre chiudeva il dito stretto attorno ad esso. Ricordò il rumore improvviso di un proiettile .50 BMG che li trapassava entrambi, spedendo ossa, visceri e Dio sa cos'altro attraverso entrambi ed uscendo con un tonfo sordo sulla sabbia.
Si risistemò in posizione e spinse via la sua tazza di caffé vuota, aspettando il secondo giro.
L'uomo e la donna entrarono nel ristorante e camminarono velocemente dove Kenta era seduto, e nessuno dei due sorrideva. La donna parlò per prima.
"Buongiorno, ex-Agente Jack Kenta." disse, tirando fuori la sua valigetta d'acciaio e posandola sul tavolo, girando lentamente il lucchetto a combinazione mentre lo fissava. I suoi capelli erano di un lungo, timido marrone e i suoi occhi erano pozze d'acqua verde, torbida, che non tradivano nessuna emozione.
"Solo Jack Kenta di questi tempi, grazie, Agente Caroline Bridges." Kenta fece scattare la sicura mentre accarezzava l'acciaio della Sig Sauer P226 appoggiata nel suo grembo.
"Oh, non ti fai più chiamare Tifone, eh, Jack?" chiese l'uomo, togliendosi gli occhiali da sole e pulendoli delicatamente con un panno che aveva tirato fuori dalla sua giacca.
"Non ho usato quel nome da quando ho lasciato l'Agenzia, e il vostro dossier coperto di fottuto nastro rosso ve lo avrà già detto." disse Kenta con astio.
"Jack, vogliamo solo sapere se te la passi bene…" sorrise Caroline. "Sappiamo che alcuni agenti hanno avuto delle serie difficoltà dopo essersi ritirati con indignitas.
"Vedi, Jack, ci stiamo solo assicurando che tu mantenga le promesse stabilite nello Statuto PAID."
"Oh, quel pomposo Statuto sui Segreti Ufficiali a cui avete costretto l'ONU dopo che la Corea è finita all'Inferno in un pacco regalo?" Kenta fece una smorfia, le sue dita che percorrevano la canna della pistola. "Non ho raccontato ad anima viva di quale merda mi occupavo."
"Potremmo sempre portarti via e farti amnesticizzare, naturalmente." disse l'uomo, con un ghigno da mangiamerda mentre tamburellava le sue dita sul tavolo, chiaramente divertito dall'aria di "potere ufficiale" che avevano le sue mansioni.
"No, non potreste" replicò Kenta scuotendo la testa, alzando la sua mano biologica per prendere il caffé dalla cameriera, che rivolse quindi la sua attenzione ai due Agenti.
"Voi desiderate qualcosa?" domandò, il suo tono a suggerire che questo era il suo miglior tentativo di fingere interesse.
"Oh no, abbiamo quasi finito qui, vero Thomas?" rispose Caroline, sorridendo a denti stretti, i suoi occhi una tela nera.
"Oh sì, abbiamo un sacco di lavoro da fare, molte persone da incontare." aggiunse Thomas, rialzandosi ed aprendo la valigetta, lanciando una grossa moneta verso kenta, che la afferrò con la sua mano meccanica.
"Ci rivediamo alla stessa ora il mese prossimo, Kenta."
"Non se vi vedo io prima" mormorò, digrignando i suoi denti meccanici. Fece scorrere le dita sulla moneta e la mise nella sua fondina, appena sotto la sua P226.
"Signore, devo chiudere, quindi le dovrei chiedere di andarsene." disse la cameriera a Kenta, che stava fissando annoiato la moneta che gli era stata lanciata un'ora prima.
"Sì, ora me ne vado, non si preoccupi." Lasciò una banconota da cinquanta dollari sul tavolo e si infilò la giacca, uscendo dal ristorante nella calda aria della California.
Kenta si guardò attorno. Il terreno era coperto da un sottile strato di polvere rossa e il cielo era pieno di stelle. Voltò lo sguardo, mentre notava un uomo seduto fuori del ristorante con in testa uno stetson, uno spolverino scolorito e una chitarra. "Che stramboide." pensò Kenta mentre si guardava il polso.
Mezzanotte. Aveva forse sei ore per mettere quanta più distanza possibile tra sé e l'Agente Caroline Bridges.
Kenta sorrise fra sé e sé mentre marciava verso l'uomo bizzarro con uno stetson mangiato dalle tarme.
I Racconti di Jedidiah Spring, predicatore itinerente dei Quintisti della Costa Ovest.
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