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Originale: Incident Zero - Part 3
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Il bisnonno paterno del generale Bowe era morto nella battaglia di Gettysburg, sotto il comando del generale Armstead, durante la famosa carica condannata di Pickett. Era stato uno dei coraggiosi soldati confederati che varcarono il muro di pietra all'Angolo Insanguinato. Un dannato nordista gli aveva sparato nell'addome ma, mentre i suoi commilitoni si ritiravano, lui aveva resistito e, col suo ultimo respiro, aveva pugnalato uno sporco Irlandese al cuore. Era una storia tramandata nel ramo paterno della famiglia, come esempio del coraggio e del valore dei Bowe.
Anche il bisnonno materno del generale Bowe era morto nella battaglia di Gettysburg. Era stato un membro del Sessantanovesimo Reggimento della Pennsylvania, uno dei coraggiosi soldati che difesero il muro di pietra all'Angolo Insanguinato. Aveva sparato nell'addome a un lurido schiavista ribelle ed era stato al centro dello scontro più intenso con la Confederazione. Ma, quando i nemici si erano ritirati, non si era accorto che uno di quei maledetti confederati era ancora vivo. Il vile sudista l'aveva trafitto al cuore con la baionetta mentre scavalcava la staccionata. I due erano morti l'uno sull'altro.
Era impossibile sapere se i bisnonni del generale Robert Ulysses Abraham Jefferson Bowe si erano davvero uccisi a vicenda nella battaglia di Gettysburg, ma secondo lui aveva senso. Il generale Bowe era un uomo in guerra con tutto, anche con se stesso. Era uno studioso che aveva scelto la carriera militare, uno scienziato che studiava l'antiscientifico, un soldato senza una guerra in cui combattere. Il conflitto interno era la sua ragione di esistere. L'11 settembre era stato il giorno peggiore della storia americana per molte persone, ma non per il generale Bowe.
Per lui, il peggior attacco terroristico agli Stati Uniti era stato un'occasione per mettere in atto i piani che aveva escogitato per anni. Era un'opportunità per portare alla luce (quanto bastava) delle operazioni clandestine le sue trattative segrete con la Fondazione SCP. Gli ultimi anni erano stati grandiosi, per il generale Bowe: numerose operazioni oltremare riuscite avevano convinto il governo a finanziare i progetti della Commissione Bowe. Ma adesso, nel giro di dodici ore, era andato tutto a puttane. Quando il capo del Comando O5 si sedé davanti a lui, gli disse:
«Innanzitutto, deve garantirmi che l'incidente a Yellowstone non è un attentato terroristico e che ve ne occuperete»
Il Sovrintendente rispose:
«Il terrorismo non c'entra con Yellowstone. Più che altro, è un incidente nel collaudo di armi sperimentali. La situazione sarà risolta entro ventiquattro ore»
Il generale Bowe scrisse una nota su un pezzo di carta:
«Bene, lo considero una promessa. Mi serve un rapporto sulla situazione»
«Al momento, il supervulcano di Yellowstone è in continuo mutamento temporale ed esistenziale. A parte questo, stiamo ancora provando a stimare i danni. A causa della ristrutturazione di Classe-CK, tutte le nostre banche dati sulle anomalie si sono desincronizzate. La Fondazione cinese, coreana, giapponese, russa, dell'Unione Europea… adesso tutte le nostre branche presentano fascicoli diversi su anomalie uniche. Abbiamo deciso di riordinare tutti i numeri di serie usando la banca dati della Fondazione anglofona come riferimento; sarà aggiunto un suffisso nazionale ai fascicoli desincronizzati delle branche estere, ma è un processo lento e potrebbe non concludersi mai»
Il generale Bowe sospirò, deluso:
«Disapprovavo che la vostra organizzazione avesse branche straniere: temevo che succedesse qualcosa del genere»
«Lei si preoccupava della sicurezza dei nostri uffici esteri. Non è affatto la stessa cosa»
Il generale Bowe voltò pagina nel suo taccuino e scrisse un'altra nota.
«Ciononostante, ora la Commissione è del parere che le sedi estere della Fondazione rappresentino un rischio inaccettabile per la sicurezza. Dopo che questa crisi sarà finita, presenterete un piano per dismetterle e radunare tutte le vostre anomalie nei siti di contenimento statunitensi entro almeno cinque anni»
Il Sovrintendente aggrottò la fronte e protestò:
«Ci avevate promesso che avremmo supervisionato noi le nostre operazioni. Delocalizzare il nostro inventario sarebbe problematico. Senza contare le anomalie che non si possono spostare a causa delle dimensioni o di altri fattori»
«Quello era prima che voi idioti faceste esplodere la caldera di Yellowstone. E prima che ci mentiste sulle condizioni della vostra divisione di sviluppo delle armi»
«Non abbiamo…»
Il generale Bowe lo interruppe:
«So del Progetto Olimpia. I vostri scienziati hanno creato una linea di modelli di produzione di super-soldati e, in qualche modo, si sono scordati di farne rapporto alla Commissione. Ho letto delle capacità della linea Olimpia. Sapete quanti soldati delle Forze Speciali americane sono morti, dall'inizio della guerra? Sapete quante vite avremmo potuto salvare?»
Il Sovrintendente non disse nulla. Il generale Bowe chiuse il suo taccuino, si alzò in piedi e dichiarò:
«La vostra Fondazione se l'è spassata abbastanza. È ora di infilarvi le braghe da ometto e unirvi al governo. Mi farò sentire domani pomeriggio, per quanto riguarda l'accorpamento delle risorse della Fondazione nel Dipartimento dei Conflitti Paranormali»
Il Sovrintendente alzò un sopracciglio:
«Questo dipartimento non esiste»
«Esisterà da domani. Io e il Presidente ce ne assicureremo»
Il generale Bowe uscì dall'ufficio senza salutare o esigere il saluto militare. Il Sovrintendente rimase sulla sedia, anche quando rimase da solo.
«Questa idea fa schifo» sentenziò Adrian.
«Era il meglio che potevamo fare. Preparati» rispose Bill.
Adrian fece un respiro profondo, accese il motore e strinse il volante con forza. Alla fine, la soluzione si era rivelata piuttosto semplice. Entrare dalla porta sul fronte era fuori questione: troppi nemici che si aggiravano per i corridoi, troppa distanza da coprire circondati da nemici di ogni forma e dimensione possibile. D'altro canto, c'era la destabilizzazione della realtà: ogni mezz'ora, il vulcano di Yellowstone veniva rimpiazzato da un campo vuoto di geyser e sorgenti termali per mezzo minuto.
Beatrice aveva fatto i conti: un veicolo che viaggiava a cinquanta chilometri orari avrebbe dovuto avere a malapena il tempo di guidare attraverso il granito e raggiungere il parcheggio principale, prima che il vulcano riapparisse. Era un po' come guidare in mezzo a una manciata di pendoli oscillanti, se i pendoli fossero stati universi e la metafora fosse stata meno forzata. Adrian diede un'occhiata agli altri passeggeri del suo humvee. Bill era accanto a lui, col fucile d'assalto appoggiato sul grembo. Bea, Effy e Vincent erano seduti dietro: Effy avrebbe preso posto alla torretta e messo mano alla calibro cinquanta, se le cose fossero andate male.
"Se le cose vanno male?"
L'universo stava impazzendo. C'era un'intera montagna che spariva e riappariva davanti a lui. E si preoccupava che le cose andassero peggio! Bill iniziò il conto alla rovescia e Adrian strinse ancora di più la presa sul volante.
«Dieci secondi. Sette. Sei. Cinque…»
Adrian inserì la marcia appena Bill disse "cinque", iniziò ad accelerare quando arrivò al tre, andò in preda al panico per un secondo quando pensò di aver sbagliato il tempismo, mentre sfrecciavano verso la parete di granito; poi la montagna svanì. Adesso stavano guidando attraverso una pianura vulcanica. Adrian ignorò gli altri veicoli dietro di lui, non badava ad altro che alla strada rovinata e alla voce di Bill che contava alla rovescia.
«Otto, sette, sei, cinque, quattro, tre…»
Ed ecco che la pianura scomparve; ora guidavano attraverso un parcheggio sotterraneo dalle luci sfarfallanti e il pavimento insanguinato. Intanto, il muro si avvicinava sempre di più; Adrian schiacciò il freno e gli pneumatici striderono. L'humvee slittò a sinistra e sbatté la fiancata contro il muro di cemento, ammaccandosi.
«Contatto a destra!» gridò Bill.
Il suo fucile d'assalto sparò tre brevi raffiche. Vincent stava urlando qualcosa, poi Adrian sentì il rumore in staccato del mitra di Beatrice, dopodiché udì il tonfo basso e costante della calibro cinquanta; poi calò il silenzio. Adrian guardò fuori dal lato destro del veicolo. Un umanoide grosso e grigio giaceva a terra, crivellato di proiettili e ancora in grado di respirare. Sul lato anteriore della sua testa, dove avrebbe dovuto esserci una faccia, c'era una superficie vuota e grigiastra. Adrian sentì un gorgoglio sanguinoso alle sue spalle. Si voltò a guardare e si pentì di averlo fatto. Vince era accasciato contro la portiera, contorcendosi e ansimando. L'intera parte anteriore della sua testa, dalle orecchie in avanti, era sparita. Effy estrasse la pistola, gliela puntò alla tempia e sparò. La cosa che era stata Vince rimase immobile. Adrian deglutì e gridò nel buio:
«Suono spento!»
Qualcuno gridò in risposta, in un punto alle sue spalle:
«Qui è la vettura due! Frederickson! Stanno tutti bene, ma il retro del veicolo è incastrato nel muro!»
"Merda, il tempismo dev'essere cambiato" pensò Adrian.
Fece un profondo respiro, prima di porre la domanda di cui nessuno voleva sentire la risposta.
«Vettura tre?»
Ci fu una lunga pausa.
«Riesco a vedere il loro paraurti anteriore che sporge dal muro dietro di me. È tutto. E voi?» chiese Frederickson.
Adrian guardò nel retro dell'humvee. Beatrice si stava pulendo il viso insanguinato con una mano tremante, mentre Effy e Bill spingevano il corpo immobile di Vince via dal sedile posteriore.
«Una vittima, è Vince»
Ci fu un'altra pausa di silenzio, prima che Frederickson imprecasse:
«Merda! D'accordo, qual è il piano?»
«Riesci a vederci?» chiese Adrian.
«Sì, posso vedere i vostri fanali posteriori»
«Allora scendi e prendi quello che puoi. Sposta la tua squadra e proseguiremo a piedi da qui»
«Ricevuto. Ci muoviamo» disse Frederickson.
Adrian si strofinò il labbro superiore, sempre più disperato. Un minuto dopo l'inizio della missione, la Squadra Iris aveva già perso cinque agenti dei quattordici originari. Non era una bella cifra, neanche per il Vaso di Pandora. Controllò la sua carabina, se la mise in spalla e uscì dalla portiera del guidatore. Pestò qualcosa col piede quando scese dal veicolo e puntò la torcia verso il basso per controllare cos'era. Era una faccia: quella di Vince. Adrian si concesse un momento di ripugnanza, prima di chiudere gli occhi e fare i suoi esercizi di respirazione. Strinse i pugni con forza, impugnando un bisturi immaginario.
Ci sono parecchi termini per definire un'irruzione in una struttura presa d'assalto da mostri durante uno scombussolamento temporale. Uno è "incubo", un altro è "trappola mortale". La SSM Omega-7 la chiamava "muoversi in un territorio ostile". Erano disposti in fila indiana, tenevano le armi alzate e controllavano due volte ogni angolo e crocevia. Comunicavano solo con gesti, tocchi sulle spalle e pizzicotti sulle gambe. Davanti a loro, solo un'altra serie di corridoi e porte da controllare e sgomberare, prima di proseguire. Non incontrarono altri nemici anche se, ogni tanto, sentivano ringhi, grugniti e grida da altre parti della struttura. Lo strano sfarfallio e la sfocatura sparirono a poco a poco, man mano che si addentravano e si avvicinavano alle Ancore della Realtà di Scranton nel cuore della base. In generale, il loro movimento era rapido, professionale e da manuale.
L'essere disteso fuori dalla Stazione di Sicurezza Nove somigliava a un uomo oltremodo obeso, alto tre metri e coperto di piaghe e tumori da cui fuoriusciva una sorta di gas. Intorno a esso c'erano parecchi cadaveri in putrefazione e in rapido scioglimento, la maggior parte dei quali indossava le uniformi degli agenti delle Squadre Speciali Mobili. Uno dei corpi meno decomposti era un uomo più vecchio coi capelli rossi e brizzolati. La sua salma teneva ancora un coltello sporco in mano. L'altra mano era infilata fino al polso nei rotoli di grasso del collo della creatura.
«Sono stati attaccati poco dopo che siete entrati nella struttura. Purtroppo, erano già morti tutti quando sono arrivato» disse una voce sommessa, con un accento sconosciuto.
I nove agenti superstiti della SSM Omega-7 si voltarono e videro l'uomo che stava uscendo dalla penombra. Era alto e bellissimo, le sue braccia e gambe erano fatte di metallo.
«Caino» mormorò Beatrice.
La donna abbassò l'arma. Un attimo dopo, a un cenno di Adrian, il resto della SSM Omega-7 la imitò. SCP-073 indicò il mostro e li avvertì:
«Se fossi in voi, non mi avvicinerei troppo alla carcassa. Anche da morto, i suoi fumi tossici possono essere fatali»
«Squadra, ritirata. Indossate le maschere. Corriamo alla Sala Conferenze 6. Fredrickson, prendi posizione» ordinò Adrian.
Evitò di dare un'ultima occhiata a Squire, mentre la squadra si ritirava. Il corpo del vecchio si era dissolto e ridotto a melma, lasciando solo uno scheletro coperto di gelatina. Il suo pugnale si era corroso fino a ridursi a un grumo di ruggine; pochi secondi dopo, diventò un mucchietto di polvere marrone-rossiccia.
«D'accordo, facciamo il punto della situazione. Liquidi?» chiese Adrian ai suoi capogruppo, mentre gli altri si riposavano nella sala conferenze.
«Tutti verdi. Incontaminati, molte scorte»
«Munizioni?»
«Caricatori pieni nel mio gruppo» disse Frederickson.
«Io ed Effy abbiamo svuotato un caricatore ciascuno. Abbiamo ricaricato da Vince, abbiamo preso le sue scorte. Siamo verdi» aggiunse Bill.
«Molto bene. Nessuna ferita, i caduti in battaglia vanno lasciati sul posto. In quanto all'equipaggiamento essenziale per la missione… - Adrian fece una smorfia e scosse la testa - Ragazzi, a questo punto, non so più qual è la nostra missione. Noi nove non andremo tanto lontano nel sito. Se fosse una missione qualsiasi, direi che siamo incapaci di combattere e la dichiarerei abortita»
«Ma non è una missione qualsiasi, è finita. Siamo rimasti solo noi» sottolineò Beatrice.
Adrian chinò lo sguardo:
«Giusto. Quindi sono aperto a suggerimenti su cosa dovremmo fare adesso»
«Qualcuno ha suggerito di chiedere all'antico Sumero vattelapesca?» chiese Frederickson.
Tutti e tre si voltarono per guardare SCP-073. Soltanto lui non era entrato nella sala conferenze, ma stava nell'atrio di fuori, osservando i corridoi bui con sguardo calmo. Teneva le sue mani d'acciaio congiunte e abbassate, come una guardia del corpo che sorvegliava una porta. Adrian e Beatrice si scambiarono un'occhiata e lei suggerì:
«Vale la pena tentare»
«Sì, ho qualche consiglio su come potete risolvere questa situazione» affermò Caino.
«Bene. Perché prima non hai detto niente?» domandò Adrian.
«Non avete chiesto. Una risposta è inutile, senza la domanda» replicò SCP-073.
«D'accordo. Be', te lo chiedo adesso. Che consigli hai per noi?»
«Dipende da cosa intendi con quel "noi". Se ti riferisci a te, alla donna e a me, è una risposta che preferisco non dare. Se ti riferisci alla tua squadra in generale, quasi tutti loro saranno inutili. A parte te e la tua amata, il resto è irrilevante»
«Credo di non aver capito bene, ma secondo me Caino ci ha appena detto di fotterci e lasciare il resto a te e a Bea» ipotizzò Frederickson.
«A quanto pare - sospirò Adrian - Bea?»
Beatrice fissò l'uomo semitico con uno sguardo freddo:
«Per come la vedo io, Caino è l'unico che ci sta capendo qualcosa, il che significa che è già un passo davanti a noi. Direi di fare come suggerisce»
«Va bene, allora è deciso - dichiarò Adrian - Io e Bea andremo con Caino. In quanto al resto della squadra: Frederickson, ora sei tu il capo. Ti consiglio di riportare gli altri al nostro punto di partenza. Dovrebbe esserci un'uscita fra circa un quarto d'ora»
Ma Frederickson scosse la testa:
«Scusami tanto, capo, ma tutti e tre gli humvee sono fottuti. È impossibile che corriamo abbastanza in fretta da uscire dalla montagna prima che si riformi. La nostra unica via d'uscita è l'ingresso sul fronte»
«Così finirete nelle aree dove l'attività ostile è più intensa. Non avete buone probabilità» gli ricordò Adrian.
«In questo caso, possiamo anche venire con voi, no? Insomma, moriremo anche se cerchiamo di scappare, tanto vale unirci alla missione suicida»
«Senti, Frederickson…»
«Scusa, Adrian. Mi hai dato il comando della squadra, ricordi? Non sta più a te decidere. Noi sei…»
Il suono di un ringhio sommesso che proveniva dal buio interruppe la loro conversazione. Stava arrivando qualcosa di grosso.
«Credo che sia il rumore di questa decisione che si prende da sola» disse Beatrice, in tono cupo.
«D'accordo, vi copriremo le spalle. Forse vi daremo un po' di tempo. Andate avanti» ordinò Frederickson.
Adrian osservò i sei membri rimasti del Vaso di Pandora allestire un perimetro difensivo nel corridoio. Sembravano molto piccoli e soli. Fece segno di aprire la pancia di un gatto con la mano destra vuota e si voltò di nuovo verso Caino e Beatrice.
«Va bene. Stai dietro di me e partiamo»
Intanto, da un'altra parte della struttura, circondato da morti e moribondi, un cubo di pietra si aprì e, ancora una volta, un uomo alto e nudo con la pelle olivastra piena di tatuaggi scarlatti tornò al mondo.