In Trappola Come Bestie
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Gli elicotteri della Fondazione giravano sopra la Valle del Cervaro, mentre gli uomini in uniforme scandagliavano il terreno in cerca di minacce. I pattugliamenti aerei erano la norma in quella zona isolata, terra selvaggia in cui il controllo dello stato era sempre stato precario e dove l’anarchia regnava quasi indisturbata. Le strade erano strette, difficili da navigare a causa della conformazione irregolare del terreno, composto da altipiani e zone boschive in cui era facile nascondersi da veicoli di terra e di aria.
Le case antiquate del paese di Girge mostravano i loro anni, mentre i militari giù di sotto pattugliavano le strade, formando bande che si spostavano per la città come in una zona di guerra, sempre sotto assedio, mentre gli abitanti passeggiavano, lavoravano e vivevano nella più completa indifferenza.
Il quartier generale della Fondazione era condiviso con il SISMA; l’area che sorvegliavano era importante per il CFO che da lì otteneva gran parte dei suoi proventi e delle sue reclute, la sua influenza si sentiva in ogni centimetro di quella terra.

Polo osservava l’elicottero sulla sua testa, attendeva che tornasse giù per poter terminare il turno di guardia all’eliporto, eliporto consistente nel tetto di una vecchia macelleria sequestrata negli anni '20 e rimessa a nuovo dai soldati di stanza, una piccola fortezza circondata da case fatiscenti e da una apparente calma e normalità. Quella che un tempo ospitava un'attività come altre ora nascondeva all’interno armerie, sotterranei, barriere, sacchi di sabbia e furgoni di passaggio che portavano gli approvvigionamenti. L'edificio era protetto da mura di metallo raffazzonate, lamiere e ferraglie assortite coprivano quella che era una comune recinzione. Assolutamente inutili in caso di assedio, le mura dividevano “loro” dagli “esterni”.

Finalmente l’elicottero terminò la ricognizione, militari incappucciati vennero fuori, tutti avevano un loro nome distintivo: Pungitopo, Fiamma, Pompa… e poi c’era il colonnello Rizzi, della SSM-III Para Bellum, appena arrivato per un’ispezione dell’area di sua iniziativa personale per valutare gli estremi di un’operazione di pacificazione definitiva dell’area.
Sì, definitiva, il Consiglio si era fatto più coriaceo negli ultimi anni sotto la guida del nuovo Dictator e l’area stava diventando indifendibile, un attacco avrebbe spazzato via quello che tutti definivano con disprezzo “il baracchino” insieme a tutto il personale che lo abitava, si stava quindi valutando un modo per terminare il più presto possibile la faccenda.
La triste verità era che questa non era la prima ispezione di questo tipo, tendevano ad essere portate avanti dai capitani delle varie SSM convinti di poter risolvere il dilemma del baracchino, trovando la soluzione per rendere quell'avamposto funzionante, soffocando l'organizzazione che dal 2014 era diventata il nemico numero uno da temere e da cui cercare vendetta.
Tutti si rendevano poi conto di star perdendo tempo.

Erano senza speranza.

I membri lì di stanza erano veterani che avevano affrontato insidie non sperimentabili altrove, guerre continue con membri del CFO elusivi che conoscevano il territorio e che avevano un'intera popolazione a loro supporto. Potevano anche mandare in rotta alcune bande di guerriglieri, ma si sapeva che avrebbero poi trovato rifugio da qualche vecchia per rifocillarsi e ricominciare a sparare il mattino seguente.
Inoltre l’anomalo qui era comune, qualsiasi creatura che si trovava nei meandri della tua mente ti aspettava per un banchetto nei boschi; la regola d’oro era stare in quell'inferno urbano e pregare che qualsiasi cosa vi fosse in mezzo alle frasche, non volesse uscire dalla sua tana.
Nessuno di loro poteva sperare di tornare a casa, diventavano tutti pazzi e questo non faceva altro che venir alimentato da nuova gente che veniva inviata dai direttori dei siti, scelti tra i peggiori agenti o i più problematici; questo comprendeva uno spettro di persone che andavano dal ragazzo freddo e calcolatore al militare desensibilizzato accusato di molestie verso i colleghi. Il SISMA non era un’organizzazione brillante, ma gli importava di più del mantenimento del baracchino rispetto alla Fondazione, quindi chi veniva dalle loro fila era sì pazzo, ma spesso comandato da gente competente in grado di tenerlo a bada; tutt’altra storia era la Fondazione, Polo aveva avuto la fortuna di avere la branda nella macelleria insieme agli agenti SISMA, ma la baracca dell’elettrico conteneva una ventina di uomini dalla Fondazione; era la più piccola, ma anche la più malfamata. Il maggiore Guevara li controllava a malapena, coordinatore di tutta la zona, che aveva il merito di aver fatto sopravvivere quella realtà in cui era intrappolato, uomo tra i più talentuosi che si potessero trovare nel panorama anomalo della penisola, non riusciva a mantenere il completo controllo della situazione.

— Caporale Polo, buongiorno.
I pensieri di Polo vennero interrotti dal colonnello Rizzi.
— Signore.
Fece il saluto.
— Suvvia, non sia troppo formale, qui non mi pare che lo siano in molti.
— Siamo anche pochi, signore.
— L’ho potuto constatare, cinquanta anime o giù di lì per un’area vasta come questa e una vecchia macelleria come base al centro di una zona ostile; possono anche chiamarla Area-22, ma ho visto basi militari nel centro dell’Africa più avanzate di questa roba.
— Siamo in grado di difenderci, signore, merito del maggiore.
— La pianti con il “signore” si tolga il palo in culo e mi dica cosa fate qui tutto il giorno.
— Sopravviviamo come possiamo.
— Cosa intende? Si spieghi.
— Ebbene, gli approvvigionamenti dalla centrale sono sempre stati scarsi, quindi facciamo retate per recuperare quello che ci serve: saldatrici, bombole di propano, acqua, cibo…
— Sta scherzando?
Polo non rispose, non perché, come solitamente accadeva, si era perso nei suoi pensieri; questa volta aveva già sentito le stesse parole pronunciate ancora e ancora dai nuovi arrivati, ma Rizzi gli dava fiducia, magari non sarebbe scappato.
— Gesù, fate solo questo?
— No, portiamo avanti anche azioni congiunte di pattugliamento sul territorio con le squadre SISMA qui inviate, tutte in borghese. Grazie al nostro impegno, riusciamo a contenere i problemi qui a Girge, anche grazie all’esercito italiano che perlustra il circondario per evitare che entrino estranei.
— Questo lo so, ho visto le vostre mappe, ma pare un lavoro fatto alla bene e meglio.
— Non abbiamo grandi risorse.
— Infatti, dovremmo essere qui per contenere l’anomalo, non per procacciarsi il pane.

Polo non commentò, il volto di Rizzi si rabbuiò; guardava al loro baracchino con sdegno, odio per la sua inefficienza e per la gente che lo abitava, era la prima espressione che facevano tutti, “Il magone” lo chiamavano.

Scesero giù dall'eliporto ed entrarono nell'edificio principale, i vecchi uffici amministrativi della macelleria. L'atmosfera era rilassata, quando i pezzi grossi arrivano gli approvvigionamenti ricominciano ad arrivare. Gli uomini scesi dall'aereo insieme a Rizzi si trovavano davanti ai fornelli, questo piano veniva usato come area ristoro e riunioni.
— Perché scaldano dell'acqua?
— Tè all'ortica.
— Non avete il caffè?
— Sì, ma prepararlo consuma troppo gas e non abbiamo una moka abbastanza grande da rendere la preparazione abbastanza conveniente.
— Chiaro, potrei avere dell'acqua?
— Mi dia un secondo allora.

Polo si avvicinò al gruppo del tè che interruppe subito la discussione al passaggio di Rizzi. Fecero il saluto militare, ma nei loro volti era stampato un ghigno beffardo che inquietò il colonnello. I tre sembravano usciti da un film: uno era un omaccione con un occhio bianco e il viso colmo di cicatrici, Rizzi concluse che fossero artigliate di qualche tipo, un altro era invece molto magro, carnagione pallida malaticcia e un occhio mancante; l'ultimo aveva in volto i chiari segni di una grave ustione cicatrizzata che ne aveva deformato i tratti somatici.

Il soldato magrolino gli si avvicinò furtivo e urlò nell'orecchio del colonnello — Rapporto soldato! — la voce con cui lo disse non pareva umana, era distorta come se le sue corde vocali fossero state sostituite con quelle di un animale, inebetito e confuso, rispose — D-devo condurre un'ispezione — non serviva dire altro, gli altri due uomini scoppiarono a ridere, soprattutto l'uomo con l'ustione che, mostrando i pochi denti sani in una risata soffocata, divenne rosso in volto come se dovesse prendere fuoco spontaneamente da un momento all'altro.

Polo tornò con l'acqua, salutando i tre interlocutori del colonnello, lo portò quindi via da lì con la scusa di dover fare visita al maggiore Guevara insieme a Rizzi; mentre si allontanavano, lo sguardo inquisitorio del colonnello si faceva sempre più truce, la mancanza di disciplina era un problema.

Finalmente si trovarono nel cortile principale, fuori i soldati fumavano appoggiati alle pareti, immersi in un silenzio quasi religioso e vedendo Rizzi molti sorridevano e gli facevano cenni col capo; tutti mostravano i segni dei combattimenti, alcuni con cicatrici e altri con dita mancanti. Un uomo stava seduto nel fango, la barba grigia con tracce di peli neri e i capelli incolti, beveva da una tazza da campo piena di latte inzuppando i baffi sporchi.
A guardarlo bene, anche il caporale Polo, forse il membro del personale più sano, disciplinato e affabile del campo, nonostante non presentasse cicatrici o altre ferite, dava a Rizzi l’impressione di essere assente ed estraniato da quello che stava facendo, come se la sua mente fosse da un’altra parte e i motivi di ciò potevano essere solo ipotesi; questo metteva in ansia Rizzi al pensiero di dover incontrare colui che gestiva questo campo di miserabili.

Entrati nei sotterranei della macelleria, Rizzi vide la stanza del maggiore, una targa e due guardie armate a monito che quella non era la semplice stanza di un soldato qualunque, ma del responsabile della struttura.
Guevara era stato un ufficiale dell’esercito italiano, un’importante figura del SISMA che aveva vissuto i momenti peggiori e migliori dell’organizzazione, sopravvivendo al suo ridimensionamento nel '92, bastava a dargli un’aria prestigiosa per tutti gli agenti SISMA e per i piani alti.
Rizzi aveva letto questo di lui, una figura leggendaria a cui non si addiceva la posizione di comando a lui assegnata, pensò subito a qualche gioco politico; non era raro in quel mondo finire fregati a causa della propria fama.
I suoi pensieri vennero confermati al primo sguardo; il maggiore stava davanti a una cartina di Girge, appesa alla parete e piena di puntine di vari colori, le vie erano innumerevoli e gli appunti del maggiore sottolineavano la complessità di quel labirintico paesino.
Il naso aquilino e la costituzione esile accentuavano lo sguardo risoluto che sembrava scolpito dal marmo, non lasciava spazio a dubbi o incertezze.
Guevara conosceva bene la guerra, Rizzi aveva letto nei rapporti della SIR-II che aveva anche partecipato ad alcune delle spedizioni all’interno del territorio da lui stesso ordinate, con lo scopo di sondare il terreno; una mossa azzardata ma che rientrava perfettamente nel suo profilo psicologico, un uomo nato per questo lavoro.

All’entrata nella stanza, il maggiore non calcolò nemmeno la presenza di Rizzi, posando gli occhi un solo momento su di lui con un’espressione di sufficienza.
Capì subito che non sarebbe stato un uomo facile con cui trattare.
Guevara scrisse qualcosa su un blocco prendiappunti e, senza curarsi della presenza del colonnello, si mise a parlare con il caporale Polo.
— Caporale, a cosa devo questa interruzione?
— La visita del colonnello Rizzi, maggiore.
— L'ennesimo.
— maggiore Guevara, lieto di fare la sua conoscenza — disse, interrompendo lo scambio tra il maggiore e il suo sottoposto.
— Cosa vuole, colonnello? — chiese stizzito.
— Non ha ricevuto la comunicazione? Sono qui per controllare l’area e assisterla al contenimento di Girge. — Rizzi comprese di aver detto qualcosa di sbagliato, lo sguardo del maggiore, il suo linguaggio del corpo, facevano trasparire chiaramente che non lo prendeva seriamente. Guevara porse una sedia pieghevole al colonnello delle SSM, che accettò di buon grado l’offerta.
Polo conosceva Guevara, non si sarebbe seduto davanti a Rizzi.
— Colonnello, mi dica pure quindi. Gli uomini della sua SSM si sono già accomodati negli alloggi? — chiese Guevara — Non sono stato accompagnato da alcun membro della mia squadra, maggiore, sono qui apposta per assicurarmi della sicurezza della struttura e per dare indicazioni prima dell’arrivo dei miei uomini, ho già notato diverse falle nella sicurezza e sono preoccupato riguardo l’atteggiamento non collaborativo e infantile di parte dei suoi uomini, è qualcosa che mi è stato segnalato prima della mia partenza. Non pretendo di poter provocare un cambiamento dall’oggi al domani, ma sono convinto di poter assistere voi e il contingente unito del SISMA e della Fondazione, ma necessito di sicurezza e parametri minimi di assicurazione della salute dei miei uomini e dei nostri veicoli. Lei come pensa che si possa migliorare la situazione? Abbiamo specialisti in diversi campi e se ci sono emergenze immediate posso darvi assistenza, la collaborazione può già essere un passo nella giusta direzione per un corretto contenimento — Rizzi era pronto a presentare ogni sua idea, sapeva che la situazione non era delle migliori e sapeva anche che gli uomini lì di stanza non fossero tra i meglio addestrati, ma era convinto di poter risolvere tutti i problemi che affliggevano la base, che potesse essere la prima tappa per terminare la guerra contro il Consiglio Fascista dell’Occulto.

Aspettò la reazione di Guevara, che annuì con fare assente — Polo, fai vedere al tuo collega della Fondazione la cena di stasera — Polo quindi si congedò per andare nelle “Latrine”.


Nella sera, i gargarismi e i conati di vomito di Rizzi riecheggiavano tra le mura, il contingente di uomini sorrideva alla vista di quel povero diavolo, ma traspariva pietà dai loro occhi, era normale vomitare alla vista della cena.
Polo era a fianco del colonnello, gli era stato dato il compito di assicurarsi che non gli succedesse niente di brutto e di riaccompagnarlo all’elicottero qualora fosse stato necessario.
Finiti i conati, Rizzi stette a osservare il suo vomito scivolare sul terriccio e toccare i fili d’erba, sentiva addosso a lui i moscerini, ma non ci fece neanche caso, il solo pensiero che aveva in quel momento era quanto fosse stato sciocco nel pensare di poter cambiare qualcosa, Guevara gli aveva presentato la situazione; i requisiti minimi per la sopravvivenza di un contingente SSM che lui si era prefigurato erano irrealistici, non si poteva risolvere la situazione.
Voi della Fondazione parlate tanto di contenimento, qui siamo noi ad essere contenuti.
Quelle parole dette con così tanta sicurezza dal maggiore lo stordivano, non erano vittimismo o rassegnazione, ma la scomoda verità presentata senza mezzi termini o secondi fini.
— Colonnello, le chiamo un elicottero?
— Caporale, lei crede che io sia venuto qui per niente? Non ci credo a quello che ho sentito.
— Posso parlare liberamente, signore?
Rizzi fece un cenno a Polo, lo stomaco ancora non gli permetteva di aprire bocca più di quanto non avesse già fatto.
— Sono qui da cinque anni e in tutto questo tempo mi è parso di rivivere sempre lo stesso giorno, unica differenza? Che gli uomini muoiono e vengono dimenticati, non abbiamo spazio per tombe nella base. Ci sono problemi di disciplina, ma abbiamo il miglior comandante che possiamo desiderare e siamo gli unici con un addestramento che può competere con quello delle SSM, ma ci mancano i materiali.
— La fai facile tu, i materiali inviati dalla Fondazione negli anni passati hanno ecceduto il budget speso per la SSM-I e II combinate nello stesso arco temporale, dov'è quell'equipaggiamento?
— Perso o inutilizzato.
— Se lo si invia c'è un'alta probabilità che venga intercettato e se arriva non lo usate. Perché?
Polo non aveva una risposta precisa, le celle della realtà riciclate per mantenere la caldaia, i computer con programmi di pianificazione e coordinazione strategica con accesso a MINERVA mai attaccati alla corrente per risparmiare la benzina dei generatori e esoscheletri razziati per far uso delle armi pesanti attaccatevi sopra in modo da sopravvivere alle notti nel baracchino o montate verso l’entrata dell’elettrico per paura di una rivolta.
Il caporale lasciò stare ogni formalità:
— Perché sono inutili.
Rizzi annuì, la conferma della pazzia che permeava quella struttura gli era stata appena data.
— Con quello che vi è arrivato, potevate occupare questo maledetto paesino una decina di volte, hai intenzione di spiegarmi il motivo di questa risposta?
— Sono inutili cianfrusaglie, lo dicono tutti, strumenti non adatti a quello che viviamo noi, a quello che c'è lì fuori.
— Quello è il miglior equipaggiamento per combattere contro l'anomalo, forse siete voi che non siete adatti a questo lavoro; se non lo utilizzate, io non posso fare niente.
— Signore, penso che se ascoltasse il maggiore Guevara e portasse gli uomini richiesti…
— Caporale, mi faccia un favore e chiami quell'elicottero.
— …Agli ordini


Mentre l'elicottero di Rizzi si preparava a partire, il sole stava sorgendo all'orizzonte, l'ora dei mostri era passata e la via era libera.
Polo rimase ad osservare la partenza, immerso nei suoi pensieri, unica via di fuga da quelle mura che chiamava "casa".
Non sapeva se avrebbe visto di nuovo il colonnello o se questi avrebbe davvero salvato l’avamposto dell’Area-22 dalla trappola in cui era bloccato.
Per ora, riusciva solo a pensare al domani e se ci sarebbe arrivato, se avrebbe potuto assistere ancora al sorgere di quel sole che permetteva a lui e ai suoi compagni di vedere la libertà oltre l’orizzonte e ricordare il motivo per cui erano lì: morire nell'ombra così che altri vedano la luce.

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