A sua Immagine: Parte 6
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27/11/1998:

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Era tutto nella sua mente

L’agente Lament era seduto sul pavimento del reparto medico, con la schiena appoggiata al muro. Si strofinò entrambe le braccia, finché non se ne accorse e smise. Si sentì in imbarazzo quando, guardandosi intorno e vedendo tutte quelle persone davvero infortunate, si rese conto che non aveva alcun vero motivo per stare lì. E con tutti i medici che correvano avanti e indietro per curare ustioni, ferite ed esposizioni varie…

Si alzò, camminando con tutta la noncuranza che riuscì a trovare attraverso l’infermeria, aggirandosi fra altre persone ferite e sui lettini, per poi uscire e ritrovarsi in sala d’attesa. Ora non sapeva con precisione dove si trovava, ma molti angoli del Sito-19 sembravano identici. Scelse un corridoio a caso e lo imboccò. A un certo punto, gli parve di sentire la risata di SCP-106, ma quando si voltò verso lo spoglio muro da cui il rumore proveniva, vide che era pulito e integro.

Tutti gli indizi raccolti dal gruppo di recupero che aveva ritrovato il corpo di Sandlemyer suggerivano che, in qualche modo, SCP-106 era rimasto intrappolato in SCP-015, attorcigliato in mezzo ai tubi, gridando come un forsennato. Avrebbe bloccato quel maledetto mostro, l’avrebbe isolato, magari l’avrebbe mangiato come lui mangiava le persone. E Lament avrebbe scritto un documento, l’avrebbe dato al dottor Gears e se ne sarebbe andato. Sarebbe uscito dall’incubo in cui si era ritrovato. E, per qualche motivo, sapere di aver finalmente trovato un modo per contenere SCP-106 era il suo conforto più grande, al momento. Guardò ancora il muro, quando credé per la seconda volta di aver sentito quella risata. Si avvicinò e passò le dita sulla parete, poi indietreggiò. Era nella sua mente. Era tutto nella sua mente.


29/11/1998:

«Che significa che stava “giocando”?»

La faccia inespressiva del dottor Gears non tradiva né compassione, né preoccupazione.

«SCP-106 stava giocando al gatto col topo con noi, agente Lament»

Lament deglutì:

«Allora… SCP-015?»

Gears continuò, apatico:

«Gli O5 non avrebbero mai permesso l’esistenza a lungo termine di un programma del genere, anche se avesse funzionato. Gli uomini che stavano allestendo il livello di contenimento successivo sono stati attaccati e usati da SCP-106 con…»

«Usati?» rise Lament.

Non gli restava che ridere, ormai. Era a un passo dalla crisi isterica. Quella voce, la notte prima… quella risata beffarda che aveva sentito nel corridoio… era stato SCP-106? Stava “giocando” di nuovo? “Usati”. SCP-106 consumava, divorava. E, a quanto pareva, giocava. Il dottor Gears attese paziente che Lament tacesse.

«Gli uomini che stavano allestendo il livello successivo del contenimento sono stati attaccati e usati da SCP-106. Tre sono morti sulla scena, altri quattro sono deceduti una settimana dopo l’attacco iniziale. Altri…»

«Per favore, si fermi» lo interruppe Lament, chiudendo gli occhi.

Si ingobbì sulla sua scrivania, afferrandone i bordi con forza e stringendo la presa. I suoi nervi stavano per cedere, quando sentì la mano del dottor Gears sulla sua spalla.

«Il dottor Glass mi ha informato che non ti sei presentato alla tua valutazione psichiatrica trimestrale»

Lament levò lo sguardo. Il dottor Gears aveva ragione: non ci era ancora andato. Era stata fissata nel pomeriggio del 27 novembre, ma quel giorno aveva avuto altre cose per la testa. Allora era questa la compassione della Fondazione SCP?

«È vero, dottore, me la sono persa» rispose.

«Ho fissato il tuo appuntamento per stamattina» annunciò Gears, impassibile.

Le dita di Lament tamburellarono sulla scrivania per un attimo e, per quanto non volesse andare per forza, non riusciva a pensare ad un’altra scusa per allontanarsi dal dottor Gears per quella mattina. E allontanarsi da lui era ciò di cui aveva bisogno al momento.


«È uno stimolo naturale – disse il dottor Glass – Tutti hanno paura, a volte. Questo è il modo in cui aiutiamo le persone a gestire la paura, alla Fondazione»

«Non prenderò gli amnestici» ribatté Lament, fissando il dottore.

Si era incontrato con Glass molte volte, in passato, nelle valutazioni psichiatriche trimestrali dalle sessioni volontarie.

«Lament, non puoi ignorare il tuo trauma – insisté il dottor Glass – Queste politiche e pratiche sono state sviluppate da gente con molta più esperienza di noi due. A volte, bisogna solo… dimenticare»

«Non voglio dimenticare»

Si domandò quante volte il dottore avesse già sentito quella risposta. Glass scosse la testa e gli domandò:

«Perché non vuoi dimenticare che il tuo amico è stato divorato da un… mostro sovrannaturale, proprio davanti a te? Hai visto com’era ridotto, quando l’hanno tirato fuori da lì. Sai che è rimasto vivo per ore, dopo il recupero, Lament. Perché vuoi ricordarlo così?»

«Perché era il mio amico»

Adesso, invece, si chiese quante persone avesse convinto a prendere gli amnestici prima di lui.

«Non devi dimenticarlo. Dozzine di persone si “trasferiscono via” all’ultimo momento, Lament. Prendi un amnestico di Classe-B e dimentica gli ultimi due giorni. Se tieni questo trauma dentro di te, quando finalmente te ne libererai, avrai rimosso del tutto anche lui»

Giorni? Lament corrugò la fronte. Fece mente locale per un minuto, cercando di ricordare qualcosa… ma trovò solo un vuoto, nella sua memoria.

«Dottore, posso farle una domanda sugli amnestici?»

Il dottor Glass annuì:

«Ma certo»

«Quale ho preso, quando mi sono arruolato nella Fondazione? Quando mi avete fatto dimenticare la mia famiglia»

Il dottor Glass trasalì per una frazione di secondo, stringendo i braccioli della sua sedia, ma si distese subito dopo. Lament si ritrovò ad ammirarlo, quando gli rispose: o non lo sapeva, o se l’era scordato.

«Sei stato reclutato?» gli chiese.

Non lo sapeva?

«Sì» rispose Lament.

Ci fu una pausa di silenzio.

«Devi aver preso un amnestico di Classe-A» disse infine Glass.

«E c’è una cura per gli amnestici?» domandò l’agente.

Mantenne il suo tono di voce sul colloquiale, ma c’era speranza. Speranza per dei genitori che non poteva ricordare e per una dozzina di altri amici e colleghi che non era sicuro di aver mai conosciuto. Glass serrò le labbra:

«Talvolta. In certi casi, non fanno effetto: il cervello si rifiuta di rimuovere i ricordi. Ma sono eccezioni rare»

E… niente. Adesso nella voce di Lament c’erano solo nervosismo e amarezza:

«Ma non c’è niente da fare, una volta che i ricordi sono stati cancellati?»

«No»

Lament tamburellò le unghie sul bracciolo della sedia, prima di replicare:

«Allora non li prendo»

«La scelta è tua, agente. Ma vorrei che ci ripensassi»

La risposta di Lament fu immediata:

«Se li ficchi su per il culo. Ci vediamo fra tre mesi, dottore»


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