I Giorni Peggiori della Mia Vita
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La tomba si chiude e non resisto più. Cado a terra, le ginocchia nel fango, e scoppio a piangere. Non posso più trattenere le lacrime, l'ho già fatto per troppo tempo. Per fortuna, Vincenzo ha avuto la buona idea di portare via Alice, affinché lei non mi veda piangere. Ha tre anni e mezzo, non deve vedermi crollare. Sono suo padre, non posso piangere di fronte a lei, devo proteggerla, occuparmi di lei: è l’unica che può ancora mantenermi vivo.
Voglio urlare, esternare tutta la mia rabbia, la mia tristezza e la mia disperazione, ma non posso. Se lo faccio, la mia mandibola si slogherà di nuovo e non voglio tornare all'ospedale. Devo essere forte e calmo, almeno per lei, è l'unica ragione che impedisce che anche io possa morire.

Dietro di me, la mia famiglia, quella di Donatella e i nostri amici. E nostra figlia, che non capisce perché è qui, troppo giovane per capire che sua madre non tornerà mai più. Crescerà senza una figura di riferimento di cui avrà tanto bisogno. Una settimana dopo l’incidente, non posso pensare che non sia colpa mia. Anche se facevo attenzione, anche se la macchina a destra doveva fermarsi per lasciarmi passare, anche se non ho niente da biasimarmi, so che è comunque colpa mia.

Donatella… mi dispiace tanto…

Dietro di me, sento qualcuno pregare. I miei genitori. Sanno che le preghiere non mi restituiranno Donatella, lo fanno soltanto per la pace della sua anima. Non posso impedirmi di fare la stessa cosa, anche se non sono più così bigotto come loro. Lacrime scorrono sulle mie guance, fiumi salati che avevo trattenuto troppo tempo. Non provo nemmeno vergogna, ne avevo bisogno, anche se mi hanno sempre insegnato che un uomo non piange.

Ma ora come ora me ne frego se pensano che io sia debole, ho 33 anni e la mia vita è già distrutta. Gli assassini sono fuggiti senza nemmeno avere il coraggio di verificare se avessero investito qualcuno. Non c’erano testimoni, eravamo su una strada di campagna, siamo stati soccorsi da un contadino che passava di lì, allarmato dal fuoco che si levava dalla nostra macchina. Donatella era già morta, colpita in pieno dalla macchina. Il signore ha salvato Alice, mentre aprivo la portiera e mi lasciavo cadere al suolo, strisciando per scappare. La macchina è esplosa, i vigili del fuoco hanno ritrovato il corpo di Donatella completamente carbonizzato. L'autopsia ha "fortunatamente" dimostrato che non è stata bruciata viva: è morta sul colpo a seguito dell'impatto con la macchina che non ha rispettato la precedenza. Ma ciò non toglie il fatto che non saprò mai chi sono i responsabili e che non troverò mai la pace interiore.

— Lorenzo? Vieni o preferisci rimanere ancora un po’ con lei?

Non posso muovere la testa per guardarla, ma sento che è mia madre a parlarmi. Non so cosa rispondere. Non voglio abbandonare Donatella, ma non voglio rimanere da solo.

— Non so, mamma. Non so.

Le prendo la mano.

— Perché è dovuta andare così, mamma? Perché noi? Perché ci hanno fatto questo, perché non si sono fermati, perché l’hanno uccisa? Perché, mamma, perché?

Mia madre mi abbraccia.

— Non lo so, Lorenzo. Non lo so.

Mi abbraccia ancora più forte.

— Rimango un po’ con te?

Accetto. Dieci anni fa, non voleva nemmeno parlarmi. Ma con il mio ritorno a Trento dopo la nascita di Alice e il fatto che Vincenzo abbia ripreso in gestione il ristorante, la situazione è migliorata. Ora che sono diventati nonni e che hanno un erede, hanno accettato di riprendere contatto con il loro primo figlio che oggi ha disperatamente bisogno di risposte e di supporto. Avrò il sostegno, ma non avrò mai le risposte.
Mi sento solo. Sono circondato dalla mia famiglia, dai miei amici che mi compatiscono, ma sono tanto solo.

— Non l’ho salvata, mamma. Ho fallito.

Una lacrima cade sulla tomba, rapidamente aspirata dalla terra. Viene rapidamente seguita da altre. Un nuovo fiume salato che scorre sulle mie guance, che non provo nemmeno a fermare. Donatella non tornerà più. Ho sperato nel suo ritorno fino ad oggi, ma ora che la tomba è chiusa realizzo che è davvero morta. Non la rivedrò mai più. Non sentirò mai più quelle risate che mi rendevano così felice. Non vedrò mai più il suo magnifico sorriso né i suoi splendidi occhi azzurri.

— Non hai fallito, Lorenzo. Non sentirti in colpa, non sei il responsabile dell’incidente.

— Non potrò trovare un po' di sollievo fino a quando non ritroveranno i suoi assassini, mamma. E non verranno mai ritrovati, ne sono sicuro. La morte di Donatella non sarà mai vendicata. E non dormirò mai più, sapendo che questi figli di puttana saranno liberi per il resto della loro vita.


Mi sveglio nella camera nella quale ho dormito per ventuno anni della mia vita. Ho dormito un’ora. In tre giorni ho dormito sei ore, e solo perché ho preso un sonnifero. Mi alzo come un cadavere appena rianimato e metto una camicia verde e dei semplici pantaloni azzurri. Mentre mi vesto, guardo le mie mani. Vedo le ossa sotto la pelle, sono sicuro che sia la stessa cosa per il resto del mio corpo. Respiro profondamente e mi guardo nello specchio. Sono magro, più del solito. Sono spettinato, non riesco a muovere la testa, ho delle occhiaie nere, la cicatrice sul mento è disgustosa e ho perso cinque denti. L'avvocato Ferri è miserabile. Miserabile e colpevole. Se fossi l’avvocato di me stesso, mi sarei fatto volontariamente condannare a trascorrere l'eternità in prigione per l’omicidio di Donatella Ferri, mia moglie. Non avrei nemmeno provato a difendermi.

Sento delle voci provenire dal piano di sotto. Gli ubriaconi sono già arrivati, non vedevano l'ora che il ristorante riaprisse, dopo un giorno di chiusura per “colpa” del funerale della moglie del figlio. Alcuni li conosco sin da bambino, ridevo con loro, mi pagavano le birre, parlavo di tutto con loro, sono in un certo senso i miei amici, sono cresciuto nel loro bar-ristorante preferito. È una vita che ho abbandonato dopo la maturità, dopo il litigio con i miei genitori quando avevo 21 anni. Forse la loro compagnia mi sarà benefica. Decido di pettinarmi un po’ i capelli con la mano e scendo nella sala del bar. Apro la porta e mi compro un pacchetto di tabacco. Avevo smesso quando avevo incontrato Donatella, ma ho ricominciato.
Appena arrivo, le voci scompaiono e cala il silenzio. Li capisco. Vedono uno zombie cadaverico, ammalato, distrutto. Non sono più quell'adolescente studioso che scherzava molto; non sono più io, sono diventato un corpo vuoto e scheletrico.

Porco cane, è completamente devastato…
Siete sicuri che sia Lorenzo?
Sì, è lui. Povero…

Li guardo senza davvero vederli. Sono esaurito. Non riesco più a stare in piedi, non cerco più di capire niente e nessuno, non ne ho voglia. Le cose che accadono intorno a me non sono interessanti. Tutto gira in continuazione, non riesco a camminare, non sento niente, non capisco niente, sono esaurito e abbandonato. Mi sento lentamente cadere all’indietro. Magari è la Morte che è venuta a prendermi, il Diavolo che arriva per portarmi all’Inferno e farmi bruciare nelle fiamme del suo regno, perché in fondo non merito altro.

— Lorenzo!

Tutto sta girando. Galleggio nel vuoto, indifferente al rumore e al freddo. Tutto è nero, il silenzio mi ingoia, e per la prima volta sin dall’incidente, mi sento bene. Non avverto più alcun tipo di male, non sono più triste. Voglio restare così per sempre. Nel buio, nel silenzio, troppo debole per pensare e per muovermi. Sono pronto per la fine. Lo merito pienamente.

— Roberto, porta una coperta, Lorenzo è svenuto! Porta una coperta e chiama il medico, potrebbe essere grave!
— Gabriella, calmati e guarda se respira, io chiamo il medico.

Le voci mi fanno male alla testa. Smettetela di urlare, vi prego, non voglio conservare grida ed emicrania come ricordi dei miei ultimi istanti di vita…

— Signora Ferri, suo figlio respira ancora, è stato un svenimento! — Grida la voce del vecchio Giovanni.

Acqua fresca e piccoli schiaffi sulle mie guance. Gemo di dolore.

— Idiota, smettila, ha la mandibola rotta!

Avverto una coperta che viene avvolta attorno a me. Apro gli occhi. Vedo tutto sfocato.

— Lorenzo, tutto bene?

Volti ansiosi sopra di me. Troppi volti, mi manca l'aria.

— Lasciatelo respirare!

Sono caduto all’indietro, nelle braccia di qualcuno che mi sta sdraiando sul suolo del ristorante. Vedo il soffitto di legno, i salumi appesi, le lettere appese alle corde, un ambiente che avevo dimenticato.

— Lorenzo, cosa ti è successo?

Non rispondo. Non posso parlare.

— Vuoi dormire?

Emetto un gemito che significa più o meno “sì”. Sono troppo stanco per parlare.

— Lorenzo, niente ti impedisce di dormire un po’.

Qualcuno mi solleva di terra e mi riporta nella mia camera. È mio padre. Non resisto mentre mi mette a letto e mi aiuta a bere un po’ d’acqua.

— Il medico arriverà tra poco. Ne hai bisogno, non negarlo.

Non nego niente. Non so se voglio compagnia o stare da solo, non o se voglio morire o essere vivo, non so se ho voglia di stare qui o di scendere.

— Dormi un po’, Lorenzo. Se hai bisogno d’aiuto, batti un colpo sul muro, Tullio è in camera sua, accanto alla tua.

Emetto di nuovo un gemito che conferma la mia approvazione. Tullio è un imbranato, ma può essere utile quando vuole. È il vecchio che i miei genitori hanno accolto a casa, non l’ho mai visto fare qualcosa in questo ristorante. Avevo 17 anni quando è arrivato ed era già vecchio, ora ne ho 33 e lui deve averne 95.

— Ora dormi, ti prego. Ci occupiamo noi di Alice.

Mio padre mi mette la mano sulla spalla e se ne va. Respiro profondamente per provare a rilassarmi. Convincermi che non è colpa mia se Donatella è morta è impossibile. Ma tutti hanno ragione, dovrei dormire.
Proverò…

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