"Farpoint"
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“Sei nervoso?” chiese Jericho.

“Un po’ ,” ammise Callahan. “Dopotutto, questo sarà un lungo viaggio.”

“Non preoccuparti così tanto,” disse Jericho. “Sarà un lavoro solitario, faticoso e stressante, ma salverai il mondo. Tra l’altro, sono solo sette miliardi di chilometri. Praticamente a due passi.”

“Già, beh. Mi mancherai, amico. Tieni d’occhio la baracca.”

“Stammi bene.”

I due agenti della Divisione PHYSICS si diedero il cinque che diventò una stretta di mano che diventò un abbraccio virile che diventò un vero abbraccio, perchè non importa quanto mascolino e cazzuto tu fossi come agente della squadra d’assalto della Divisione PHYSICS , vedere uno dei tuoi migliori amici andarsene per un trasferimento di dieci anni dall’altra parte del Sistema Solare era un momento un tantino commovente. Niente di gay o roba del genere, ma Callahan ammise che gli sarebbe mancato quel bastardo. Anche se gli aveva fregato tutte le birre dal frigo.

“Agente Callahan?” disse l’uomo col camice bianco. “Ho il rapporto sulla sua ultima missione pronto per lei.”

“Dottore, mi sto allenando per questa missione da tutto l’anno. Credo di sapere cosa succederà,” disse Callahan.

“Ciononostante, il regolamento mi impone di leggerle questo rapporto prima che lei abbia il permesso di accedere al pannello di apportazione,” disse il Dottor Benjamin Flaherty (avente un dottorato in ricerca e teologia).

“Va bene, spara,” sospirò Callahan.

“La farò breve,” il Dottor Flaherty rassicurò l’agente. “Ecco qui. Tra qualche minuto, lei sarà trasferito da questa nave su una chiatta situata nel mezzo dell’Oceano Pacifico. Quella chiatta sarà apportata in seguito alla Base Operativa di Farpoint Forward tramite operazioni taumatologiche. La chiatta porterà rifornimenti e sostituti per la Stazione di Farpoint. Poiché lei si è offerto volontario per questa missione, è a conoscenza che l’apportazone è un processo complesso, pericoloso e imprevedibile, e che non le è garantito un arrivo sicuro a Farpoint. Inoltre, lei è a conoscenza che il procedimento di apportazione porta con sè la possibilità che la sua mente possa essere influenzata da un’entità dotata di agenti cognitivi. Lei è a conoscenza, infine, che la Stazione di Farpoint è situata in un’area pericolosa in cui lavorare, e che potrebbe morire, essere smembrato, o ferito per via della natura rischiosa dell’incarico. Per concludere, lei è a conoscenza che questo incarico durerà non meno di dieci anni, e che il salvataggio o l’evacuazione dalla Stazione di Farpoint è pressoché impossibile, anche tramite l’apportazione, per via della distanza e la mancanza del personale taumatologico a destinazione. Prende atto di queste dichiarazioni che le ho appena esposto?”

“Ne prendo atto,” disse Callahan.

“Perfavore, firmi qui.”

Poi vi furono altre dodici dichiarazioni da fare, un’altra serie di documenti da firmare, un ultimo controllo sanitario, e un’ultimo resoconto dei suoi possedimenti terreni, in caso non dovesse essere tornato da dove stava per andare. Infine, il Dottor Flaherty mise tutti i documenti in una cartellina e passò a Callahan un hard drive portatile.

“E questo cos’è, Dottore?”

“Questo contiene tutti i film che sono usciti quest’anno, assieme ad un sacco di serie TV complete, ed un sacco di porno,” disse il dottore. “Quei tizi a Farpoint hanno bisogno di distrarsi un po’.”

“Sembrerebbe più utile a me,” rise Callahan.

“Ha ragione molto più di quanto pensa. Buona fortuna, Cal.”

Callahan diede al dottore un’ultima stretta di mano, poi si voltò e scese dalla rampa e dal gommone.

Si spostò un po’ poiché stavano mettendo sull’hovercraft un cilindro piuttosto grande con un carrello. Il tecnico fissò il cilindro alla parete del compartimento da carico, e poi si sedette sulla sedia di fronte. Un paio di minuti dopo, l’hovercraft emerse dal ponte a pozzo della nave verso le luci del mattino, muovendosi verso quel paio di chiatte che stavano galleggiando nel mezzo dell’Oceano Pacifico.


“Ti calza bene?” chiese il tecnico, la sua voce sembrava sorda e metallica attraverso la visiera dell’elmetto.

Callahan annuì e diede all’uomo un pollice in su. Il tecnico annuì e strinse la mano a Callahan, poi chiuse il portello della capsula, lasciando Callahan da solo con i suoi pensieri, il suo unico compagno il suono dell’aria che circolava lentamente dentro la sua tuta.

Dalla finestra della capsula, poteva vedere l’Oceano Pacifico di un azzurro chiaro distendersi verso l’orizzonte. Due piccole barche, (due delle sette che formavano un cerchio attorno alle chiatte) galleggiavano in lontananza, i risonatori taumatologici sui loro ponti brillavano di una fioca luce viola bluastra. Da qualche parte lì intorno, un vero e proprio esercito di taumatologi stava modellando e lavorando il flusso di EVE attraverso i risonatori, formando un cerchio funzionante attorno le chiatte galleggianti.

“Benissimo,” sentì dire una voce proveniente dal suo circuito di comunicazione. “Mancano 5 minuti. Ho bisogno di un via libera per la partenza. Nodo 1?”

“Pronto, signore.”

“Nodo 2?”

“Pronto.”

“Nodo 3?”

“Possiamo andare, signore.”

“Nodo 4?”

“Andiamo.”

“Nodo 5?”

“pronto.”

“Nodo 6?”

“Via libera, signore.”

“Nodo 7?”

“Tutto a posto. Pronto.”

“Carico?”

“Pronto,” disse Callahan nel suo microfono.

“Puntamento?” (?)

“Pronto,” disse un’altra voce nel circuito.

“Ambiente?” (?)

“Siamo pronti.”

“Computer?”

“Pronti.”

“Tutte le stazioni sono pronte al lancio. Reimposto il timer a 5 minuti da ora.”

“Nodo Uno, sto energizzando.

“Nodo Due, sto energizzando…”

Nei minuti successivi vi fu un turbine di attività mentre i taumatologi facevano il loro lavoro. Scorrevano avanti e indietro linguaggio tecnico e rapporti operativi, creando uno scambio regolare di informazioni. Affiorarono complicazioni e vennero presto affrontate. E nel mentre di tutto ciò, il costante, regolare appello di ”Mancano quattro minuti…”, “Mancano tre minuti…”

E poi diventò “Mancano dieci… nove… otto…”

“Innesco.”

La finestra del tettuccio diventò all’improvviso oscurata mentre archi incandescenti di energia eruttarono dalle antenne di nove metri dei risonatori, formando una stella di energia gigante e brillante nel mezzo dell’oceano (con le chiatte e Callahan al centro). Callahan sentì i suoi capelli rizzarsi, vide EVE scintillare fuori dal vetro e dal metallo delle pareti della capsula…

“Sette… sei… nodi al cento percento…”

… l’aria attorno a lui ruggì e urlò mentre una quantità incredibile di energia magica veniva canalizzata dentro le strutture del lavoro…

“… tre… due… uno… lancia—”

La voce dell’annunciatore fu interrotta all’improvviso, proprio quando il mondo divenne nero, e Callahan all’improvviso si ritrovò 6.7 ore luce lontano dal suo circuito di comunicazione.

Sembrava come se qualcuno avesse spento le luci del mondo. Il soleggiato, luminoso Oceano Pacifico era svanito, lasciando Callahan nell'oscurità totale , proprio prima che un forte tuono improvviso scuotesse la capsula.


Sulla terra, ci fu un rumoroso, fracassante tuono mentre l’aria si affrettò a riempire il vuoto lasciato dalle chiatte scomparse. Tutte e sette le barche venivano scosse violentemente mentre le onde potenti le spingevano avanti ed indietro. La forte reazione taumatologica fu quasi peggiore: una buona porzione delle acque dell’oceano si trasformarono in sangue, macchiando l’oceano di un rosso profondo. Dall’altra parte del mondo, un vulcano che non era esistito prima di allora eruttò per la nona volta in cent’anni, e con la stessa velocità scomparve dalla realtà.

E da qualche parte su Plutone, due chiatte apparvero nel centro di un cerchio d’apportazione disegnato accuratamente, coperto dal ghiaccio e dalla neve che una volta erano un centinaio di metri cubici di aria e acqua marina che circondavano le due imbarcazioni.

E poi, quando gli occhi di Callahan si adattarono al buio, vide le stelle più belle che abbia mai visto nella sua vita.


“… e trasferimento completato,” disse Davis. “Abbiamo i nostri rinforzi.”

“Cosa dice il VERITAS?” chiese Ricci.

“… sto analizzando. Ho tracce di parapericoli sulla Chiatta 2… come sospettavo. Sembra che abbia retto.”

“E il nostro nuovo arrivato?” chiese il comandante della base.

“Abbiamo confermato che lui sia pulito. Stressato e impaurito a morte, ma non è un autostoppista.”

“Va bene. Mandagli Richards e Carter,” disse Ricci. “E vediamo cosa ci hanno mandato Babbo Natale ed i suoi elfi quest’anno.”


Il bussare sul vetro del finestrino spaventò Callahan durante il suo scrutare affascinato del magnifico cielo notturno. Girò la testa per vedere un uomo in una tuta da astronauta (la sua visiera dorata era alzata per far vedere il suo volto), che lo salutava con la mano amichevolmente. Mentre Callahan lo guardava, lo sconosciuto inserì un cavo audio in una porta sulla superficie della capsula. “Prova, prova, prova, prova,” risuonò una voce nelle sue orecchie. “Qui Richards, al passeggero della capsula. Come mi sente?”

“Forte e chiaro, Richards,” rispose Callahan. “Sono Callahan.”

“Fico. Felice di conoscerti, amico,” disse l‘uomo. “Tieni duro ancora un momento. Ti tiriamo fuori da qui.”

Callahan lo salutò con la mano a sua volta, e l’uomo con la tuta da astronauta andò più avanti, continuando la sua ispezione delle due chiatte alla ricerca di complicazioni inaspettate.

Era passata una mezz’ora quando tornò l’uomo, con un secondo agente al seguito. Callahan sentì un paio di colpi quando venne attaccata qualcosa alla sua capsula, poi il mondo si piegò un po’ in avanti, e lui sentì se stesso muoversi. Guardando fuori dal finestrino laterale, poteva vedere una sorta di muletto, con la sua intera struttura coperta di pannelli isolanti, che aveva alzato la sua capsula e la stava trasportando attraverso la superficie della roccia coperta di ghiaccio. L’uomo dentro il veicolo (un uomo con una faccia larga ed una folta barba arancione), lo salutò con la mano amichevolmente, poi tornò alla procedura delicata di spostare la capsula dell’equipaggio verso la sua destinazione.

Un po’ di tempo dopo, Callahan poté intravedere la sua nuova casa: Una scarsa serie di strutture, illuminate da luci pallide e bluastre. Il logo della Coalizione Globale dell’Occulto era scritto sul lato di ognuno di essi. Ad un lato, un sacco di casse aperte verso l’alto tenevano quelle che sembravano delle buste della spazzatura o qualche altro tipo di rifiuto.

Notò che qualche spiritoso aveva messo un cartello fuori dall’edificio più grande.

“Benvenuti alla Stazione di Farpoint,” c’era scritto. “Popolazione 12.”

C’era una figura in una tuta da astronauta che stava vicino ad esso. Mentre Callahan ci passò vicino, quello tolse la lastra con su scritto “2” e mise al suo posto una con su scritto “3”.


La prima impressione che Callahan ebbe quando si aprirono le portiere fu la claustrofobia. Era tutto angusto e apparentemente stretto, e ogni muro, pavimento e soffitto era ricoperto di strumenti, equipaggiamenti, rifornimenti, o armadietti.

La seconda vista che ebbe fu quella di una donna sorridente che stava nel mezzo della stanza, indossando un paio di pantaloni grigi larghi, una giacca, dei guanti, assieme ad una maschera dalla copertura totale.

“BENVENUTO A FARPOINT!” urlò lei, la sua voce era attutita e metallica attraverso l’elmetto della tuta. “SONO A.D. RICCI. TIENI DURO, DEVO PRIMA CONTROLLARE L’INTERNO DELLA CAPSULA.”

Callahan annuì, poi aspettò un paio di minuti mentre la donna si infilava nella capsula con un movimento lento e languido, come se fosse sott’acqua. Le bastarono un paio di minuti per passare lo scannerizzatore sulle pareti, il pavimento e il soffitto della capsula, controllando se ci fosse polvere o sostanze chimiche pericolose. Poi alzò un’unità VERITAS ingombrante e obsoleta e analizzò la sua firma EVE, controllando se lui fosse qualche parapericolo autostoppista. Finalmente soddisfatta, ripose lo scanner nella fondina sul suo fianco e avvicinò la sua testa all’elmetto di Callahan.

“PUOI APRIRE LA TUA TUTA ORA!” urlò.

Callahan annuì e stese le braccia per sbottonare il collare del suo elmetto. L’aria sibilò un po’ e lui inspirò il suo primo respiro dell’aria nella sua nuova casa.

Puzzava di ascelle.

Ricci rise mentre il naso di Callahan si arricciava. “Già,” ammise. “Non c’è un buon odore qui… ma siamo una dozzina… una dozzina più uno ora… comunque sia, siamo tredici persone che vivono in un ambiente chiuso, respirando l’uno nell’odore corporeo dell’altro. Ti ci abituerai fra un po’.”

“È per questo che avete una cassa di deodoranti per ambiente?” chiese, indicando una piccola scatola chiusa nell’angolo.

“Già,” ammise Ricci. “Non durano, e dopo un po’ l’odore del pino ti disgusta, ma… aiuta.” Lei aiutò Callahan a sbottonarsi l’imbracatura della capsula, poi lo aiutò a stare in piedi. Nella scarsa gravità di Plutone, si alzarono quasi fino al soffitto per poi ritornare per terra.

“Wow!” espirò Callahan.

“Eh già,” rise Ricci. “Questa è un’altra cosa per cui metterai un po’ a farci l'abitudine. Comunque sia, benvenuto alla Città Ghiacciata… La Base Operativa Avanzata più “avanzata” della GOC.”


“Il tuo lavoro sarà per la maggior parte quello da operaio,” spiegava Ricci. “Espandere la base, ora che hai portato il nuovo modulo. Mantenere i sistemi. Controllare la Stazione. E, ovviamente, leggere e fare analisi del Sistema di Allarme dello Spazio Profondo.”

“Ma le sonde captano mai qualcosa?” chiese Callahan.

“A volte. Te lo spiegherò più tardi” Lei attorcigliò il suo braccio attorno ad una maniglia vicino ad una porta d’ingresso e la aprì. “Quindi, questa sarà la tua camera per ora,” disse, indicando l’interno di uno sgabuzzino riempito di borse d’acqua isolate. “Ci metteremo un sacco a pelo per te. Sarà solo fin quando non installeremo i nuovi moduli da abitazione che ci hai portato. Allora ci sposteremo nei nostri piacevoli, nuovi quartieri.”

“Cosa ne farete di quelli vecchi?”

“Non ne avevamo,” ammise Ricci. “Dormivamo solo dove c’era spazio. Di solito lo facevo sulla sedia del comandante su nella sala operativa.”

“Questo… suona duro.”

“Non ne hai idea,” sospirò Ricci. “Almeno non ero qui quando stavano facendo l’installazione iniziale. Quei tizi hanno dovuto vivere nelle loro tute per una buona settimana prima che potessero installare i moduli centrali. Non è stato un gioco.”

“Ho incontrato uno di loro, durante l’addestramento,” ammise Callahan. “L’agente Xiphos.”

“Oh? Swordy? Come sta quel vecchio bacucco? Non lo vedo da quando si era trasferito.”

“Ha parecchi tic. E cammina ancora col bastone.”

“Ma certo. Un bastardo tosto come quello non starebbe su una sedia a rotelle a lungo.” Ricci fece una smorfia e scosse la testa. “La gravità totale è una stronza. Ad ogni modo, lascia la tua roba qui. Ti mostrerò il bagno e la cambusa.”


“Ed eccoci qui,” disse Richards, sorridendo ampiamente. “La Stazione. La soluzione della Coalizione per le cose che non possono uccidere o con cui scendere a patti.”

La struttura era gigantesca: circa la grandezza di un hangar per aerei. In ogni parte della struttura c’erano gabbie, casse, e altri contenitori, tutti aperti al vuoto e freddo glaciale dello spazio profondo, ognuno etichettato e numerato e contrassegnato con il simbolo della Coalizione dell’Occulto Globale.

“Dove vuoi che metta questo, Richie?” Chiese Carter, mentre manovrava il piccolo muletto nell’edificio.

“Vediamo… Sezione Tre,” disse Richards, consultando il suo computer tablet rafforzato. “vicino al Mangia-Calore.”

Carter manovrò abilmente il dispositivo verso il retro dell’edificio e posò il cilindro per terra vicino ad una grande cassa con un indicatore della temperatura che si aggirava atttorno allo zero assoluto.

“Quindi, Callahan,” chiese Richards. “Cosa c’è in quel coso, comunque?”

“Il contenitore?” chiese Callahan. “Tipo rosso. Rigeneratore in Espansione. Il fuoco non ha funzionato, quindi hanno provato col ghiaccio. Quello ha funzionato, ma quando si è scongelato, ha continuato a ritornare in vita. Quindi lo hanno tenuto sospeso in azoto liquido finché non fosse potuto venire qui.”

“Ha senso,” disse Richards. “Hey, vuoi vedere il nostro UFO?”

“Intendi la vera navicella scout Zeta Reticolana? È qui?”

“Già,” disse Richards, sorridendo ampiamente. “E se sarai molto bravo, ti permetterò addirittura di sederti sul sedile del pilota.”

“Affare fatto.”


“Non hai idea di come sia bello assaggiare del vero cioccolato di nuovo,” canticchiò Ricci, mentre diede un morso ad una barretta della Milky Way. “Dio mio, è come assaporare il paradiso!”

“Hey, capo,” disse Vanderberg, sorridendo, “Tu mi dai la tua arancia ed io ti do la mia barretta.”

“Col cacchio, Van,” rise Ricci. “Mi gusterò ogni morso di questa arancia. È la prima volta che ne mangio una da un anno.”

“Pensavo che voi avesse un giardino areoponico?” chiese Callahan.

“Non ci sono le arance,” precisò Ricci. “È un po’ difficile far crescere un albero di arance areoponicamente. Va bene per i pomodori e le cipolle, però.”

“Ding ding ding!” urlò Carter. Lanciò delle buste di bevande argentate a Callahan, che le afferrò. “Va bene ragazzi. Un brindisi al nostro nuovo membro della squadra. A Callahan! Che possa trovare un posto qui con noi tra il ghiaccio e l’oscurità!”

“Udite udite.”

“Salute.”

“Brindo a questo.”

Callahan annuì con gratitudine a Carter, poi bevve un grande sorso alla sua bevanda, solo per poi strozzarsi e boccheggiare quando, invece dell’acqua che si aspettava, qualcosa più vicino a dell’etanolo colpì il retro della sua gola.

Tutti risero e acclamarono e gli diedero pacche alla schiena.

“Gesù Cristo!” Callahan gemette. “Dove diamine avete trovato questa roba?”

“Distilliamo alcuni dei nostri carburanti rimasti in alcolici,” Carter sorrise. “Ho una distilleria.”

“E l’Alto Comando lo permette?” lui ansimò incredulo.

“L’Alto Comando sa che siamo qui a lungo termine, che le nostre ossa si stanno lentamente trasformando in poltiglia, che siamo circondati da laghi di elio e di neve d’idrogeno, che sorvegliamo ed attendiamo nel più grande deposito di parapericoli congelati nel sistema solare vicino alle riserve con meno rifornimenti della Fondazione, e che prestiamo attenzione agli invasori alieni. Noi facciamo il nostro lavoro… loro ci perdonano i nostri sfizi.”

“Allora in tal caso,” sospirò Callahan, "Sono contento che parte di quello che ho portato con me fosse un mucchio di casse di succo d'arancia in polvere. Qualcuno vuole un cacciavite?"


“… e contatto.” disse Carter, mentre le due strutture si incontravano.

“Aggancio solido,” annunciò Vanderberg, mentre i catenacci ad incastro si agganciarono al loro posto.

“Sto espandendo la struttura.”

Nel monitor, Callahan potè vedere il primo dei quattro nuovi moduli abitativi per la base aprirsi lentamente a fisarmonica, strisciando e agganciandosi a posto come il libro pop-up più complicato ed high-tech del mondo. Su un altro monitor, potè vedere Carter che indietreggiava lentamente il suo muletto fuori dalla schermatura cilindrica per micrometeoriti che gli operatori avevano costruito dalle parti assemblabili nel corso dell’ultima settimana. Quando ebbero finito di impiegarlo, il modulo abitativo fu separato dal guscio esterno duro da un'apertura di circa sette centimetri e mezzo di aspirazione: un buon isolamento, ed anche una buona schermatura per i micrometeoriti.

“… e apertura completata,” disse Carter. “Mettiamo il fondello e controlliamo i nostri nuovi alloggi.”

“Tocca prima al Comandante della Base!” dichiarò Ricci.

“Mi spiace, Capo,” rise Carter. “Abbiamo deciso di tirare a sorte, giusto?”

“Questo mi sembra considerevolmente ingiusto,” si lamentò Ricci.

“Sei tu quella che lo ha deciso, Capo,” precisò Carter. “Non puoi lamentarti se perdi al tuo stesso gioco.”

“Come ti pare. Siete tutti un branco di bastardi,” Ricci mise il broncio.


Callahan sbadigliò mentre saltellava lentamente per il corridoio verso la cambusa. Era il turno “notturno”, attorno all’ora in cui la maggior parte degli abitanti della stazione avevano deciso di prendere il loro ciclo del sonno, e lui aveva bisogno di una bevanda calda.

Si riempì una borsa di cioccolata calda con dell’acqua calda, registrò la richiesta scritta sul computer della cambusa, ed iniziò a tornare allo sgabuzzino che era ancora il suo alloggiamento finché non fosse stato costruito un secondo modulo d’abitazione. Mentre lo faceva, notò una fioca luce soffusa venire dalla sala operativa.

Lui salì fino alla scala e fino al centro di comando, che era stabilito su un modulo rialzato che guardava dall’alto il resto della base. L’intera parte più in alto della sala operativa era un’enorme cupola fatta di tredici finestre in tre cerchi concentrici, ed aveva una delle migliori viste dell’intera base.

Ricci era lì, seduta sulla sedia del comandante. Aveva una coperta avvolta attorno a sé, e stava fissando intentamente il cielo notturno, alla distesa infinita di stelle che non brillavano. Si girò a guardare Callahan, poi gli sorrise mentre si metteva comoda nella coperta ed osservava l’universo.

“Ci pensi mai al perché noi siamo qui fuori?” lei chiese dolcemente.

“… per proteggere l’umanità?” rispose Callahan. Era la risposta della Squadra d’Assalto a quella domanda. “Per sorvegliare minacce extraterrestri. Per sorvegliare la Stazione…”

“No,” disse Ricci, scuotendo la testa. “Potremmo aver messo la Stazione nell’Antartico. O sulla Luna, a questo proposito. E potremmo sorvegliare le minacce extraterrestri altrettanto bene usando delle installazioni radar terrestri.”

Oh. “Allora perché?” si domandò Callahan. “Perché correre così tanti rischi per costruire una base qui su Plutone?”

“… se tu riuscissi a rispondere a questa domanda,” disse Ricci, sorridendo malinconicamente, “Faresti tredici persone molto felici… ma penso di avere io una risposta.” Lei si girò sul suo divano per guardarlo in faccia, poggiando la sua testa sulla piega del suo gomito. “Perchè ti sei offerto volontario per questo compito?” lei chiese.

Callahan fece una smorfia. Sapeva che questo argomento sarebbe uscito fuori prima o poi. “Ero nella Squadra d’Assalto,” disse dolcemente. “… ho ucciso un sacco di cose… un sacco di persone. E poi non ho potuto più continuare ad uccidere. Ero stanco di sparare alle cose.” Lui si sedette vicino a lei nel centro operativo, e si mise a giocare oziosamente con un pezzo di tappezzeria sfrangiata sul bracciolo sinistro. “E quando sentii di questo compito… mi resi conto che sarebbe stata una buona opportunità per fare qualcos’altro. Per aiutare la GOC in qualche modo che non comprendesse più l’uccidere persone.”

“Per me, è stata l’Analisi,” disse Ricci dolcemente. “C’era una scuola a Newark. Una Katie prese un’intera classe terza. Io dovetti guardare e monitorare il suo avvenimento. Non avevamo le risorse per sopprimerlo. Quando arrivò la Squadra d’Assalto…” lei fremeva dentro di sé al ricordo.

“Quindi è per questo che esiste Farpoint?” chiese Callahan, amaramente. “Così che la GOC possa mettere via i suoi agenti rotti lontani dalle persone normali?”

“… non penso sia nemmeno questo il motivo,” disse Ricci. Si sedette composta e prese un momento per avvolgersi la coperta attorno alle spalle. “Credo sia più semplice di questo. Penso… che potremmo essere una scorta d’emergenza per gli umani, nel caso la Terra venga distrutta. O forse dovremmo essere solo un branco di informatori nella miniera di carbone contro l’invasione aliena. O forse siamo qui solo per provare che l’umanità può farlo… anche se dobbiamo farlo segretamente dal resto del mondo. Forse siamo qui solo perchè quando l’umanità arriverà così lontano… sarà capace di vedere che noi eravamo qui tutto questo tempo… e che noi stiamo aspettando di aiutarla per andare anche più lontano.”

Lei si alzò dalla sua sedia e lasciò che la coperta cadesse. Callahan vide che indossava una canotta e dei pantaloncini, e sentì il suo cuore andare all’impazzata mentre la scarsa gravità faceva cose suggestive col suo petto…

“… forse siamo qui fuori solo per essere umani,” lei sussurrò, mentre strisciò sulla sedia vicino a lui e lo baciò.


Successivamente, lui rise all’assurdità di tutto ciò, mentre si coccolavano sotto la coperta sotto la luce delle stelle.

“Devo ammetterlo, questo mi è nuovo,” sghignazzò Callahan

“C’è una prima volta per tutto,” ridacchiò Ricci. “Pensa, però…. se solo potessimo dirlo al mondo. Potremmo rispondere loro così tante domande sul sesso nello spazio…”

“Sono pronto a sperimentare se tu lo sei.” sorrise Callahan.

“Abbiamo un’altra ora prima che finisca il turno di notte,” gli ricordò Ricci.

“Tantissimo tempo.”

Sopra di loro, le stelle volteggiavano lentamente nella loro danza infinita.

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