Crediti
"… e ci rivedremo la settimana prossima. Per favore, leggete i capitoli tre e quattro prima del vostro rientro Martedì. La lezione è finita. Signorina Fang, ha un momento prima di andare?"
Ara Fang si fermò mentre stava raccogliendo i suoi libri e guardò il Professore davanti alla classe. L'uomo, alto e saturnino, era impegnato a sistemare i suoi libri e le sue cose, mentre il gatto nero che era costantemente al suo fianco osservava, assorto, dall'alto dello scaffale lì vicino. Per quale motivo il Professore vuole vedermi? si domandò, prendendo la sua borsa ed incamminandosi verso la scrivania in mogano davanti all'aula.
"Per favore venga con me," disse il Professore. "Vorrei parlarle in privato nel mio ufficio, se non le dispiace."
"… va bene," disse Ara. Guardò con curiosità il vecchio incanutito. Dei campanellini d'allarme le stavano squillando in testa: un vecchio gentiluomo che voleva vederla da sola? Lontano dagli altri. Ciò le stava dando quella sensazione di prurito dietro al collo.
Il gatto nero saltò giù dallo scaffale e camminò con grazia accanto a loro due non appena arrivati nel corridoio, facendosi da parte per lasciar entrare il prossimo gruppo di studenti. Seguì il vecchio uomo su per le scale, oltrepassando i dipinti di Crowley e di Aristotele, fino ad un ufficio che sembrava leggermente più grande dall'interno che dall'esterno. D'altra parte, ogni stanza all'ICSUT del campus del Massachusetts sembrava così.
L'ufficio del Professore era accuratamente organizzata: lungi dal disordine stereotipico di un accademico. Gli scaffali erano pieni di libri, vecchi e nuovi, con titoli che andavano da "Una Breve Storia dell'Universo," a "Il Ramo D'Oro," fino a "Dizionario commentato di Al-Azif." C'era un cesto con un cuscino in un angolo, in cui il gatto si accoccolò, stropicciandosi il viso con le sue zampe, mentre il Professore indicò ad Ara di sedersi e chiuse la porta alle sue spalle.
"Ho una domanda delicata da porle," disse il Professore, sedendosi su una sedia davanti ad Ara ed inclinandosi in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia. "Per favore, Signorina Fang, si senta libera di uscire in qualsiasi momento se dovessi metterla a disagio."
"… di che si tratta?" chiese Ara.
"È una questione delicata, comprenderò se non vorrà rispondere. Stavo guardando i suoi fascicoli da studente, e ho scoperto che si è registrata come transessuale maschio-a-femmina…"
… oh merda, Ara trasalì dentro di sé.
"… ed ero curioso di sapere se fosse pre- o post-operatorio," continuò il Professore.
Ara fece un respiro profondo, provando a controllare il suo cuore che batteva forte ed a rilassare i suoi pugni serrati. "Penso che questa sia una intrusione nella mia privacy," disse, "E a meno che non mi dia subito una risposta sul perché dovrei rispondere a questa domanda, la riporterò all'Amministrazione per molestia."
Il professore inclinò la sua testa lentamente e si distese sulla sua sedia imbottita, sollevando le mani in modo supplichevole. "Le mie scuse, Signorina Fang," disse. "Non era mia intenzione metterla a disagio. Il mio interesse è… per lo più accademico." Portò le dita davanti alla sua faccia, fermandosi un attimo per riorganizzare il suo discorso. "Mi consenta di affrontare la questione da un altro punto di vista, Signorina Fang. Cosa sa del mio lavoro?"
"Lei è il ricercatore principale in Osservatologia dell'Istituto," disse Ara. "Fa ricerche sulla natura della coscienza e della senzienza. In altre parole, l'anima."
"Esatto," disse il Professore, "ma l'accademia è la mia seconda professione. Il mio altro lavoro è di consulenza per la Coalizione Globale dell'Occulto: nello specifico, la loro Divisione CAULATICA, mantenendo la segretezza del mondo occulto dall'ordinario. Parte di ciò di cui mi sono occupato di recente è rifinire la loro tecnologia di Riassegnazione dell'Identità. Agenti sul campo nella Divisione PHYSICS spesso richiedono di avere le loro identità riassegnate in modo da proteggere i propri amici e le persone che amano. Questo è un processo complicato e difficile, collegato intrinsecamente allo studio della coscienza e della senzienza stessa."
"E questo cos'ha a che fare con il mio essere trans?" chiese Ara.
Il Professore sorrise. Era un sorriso amichevole, paterno, ed il suo entusiasmo era ovvio. "Ti piacerebbe essere il mio soggetto di prova per una Riassegnazione dell'Identità cross-gender?" domandò.
"I più semplici algoritmi di Riassegnazione dell'Identità sono le chirurgie estetiche," spiegò il Professore, "ma, qualche volta, le cose diventano più complicate. Una persona potrebbe essere un personaggio pubblico, o potrebbe esser stata coinvolta in un evento memorabile. E siccome molti di noi operano nel reame del paranormale, ci imbattiamo in questioni di simpatia e contagio: non importa quanto tu possa cambiare il tuo aspetto fisico, una ciocca di capelli presa prima del tuo reclutamento detiene ancora simpatia per te. In questi giorni, l'analisi del DNA rende tutto più difficile. Quindi la ricerca attuale è rivolta verso l'alterazione della realtà: cambiare la vera natura di una persona fino al livello dei loro geni e della firma EVE.
"Un modo per farlo potrebbe essere consultare un manipolatore della realtà… ma la Coalizione è, comprensibilmente, riluttante in tal senso. Negli ultimi vent'anni, ho ricercato metodi alternativi attraverso l'utilizzo di Tecnologia Tangenziale. Abbiamo fatto alcuni progressi, ma la procedura è… come possiamo dire… rudimentale. Possiamo cambiare la faccia di una persona, il colore dei capelli, a volte la corporatura e l'altezza, ma cose come la razza e soprattutto il sesso sono molto più difficili.
"Da alcuni anni a questa parte, sono stato alla ricerca di un buon soggetto di prova," spiegò il Professore, "e vorrei suggerirti come candidata. Sarai risarcita per il tuo tempo ed i rischi associati, ovviamente, e la tua identità rimarrà un segreto, a meno che tu non voglia renderla pubblica. La ragione per cui desidero sapere se sei pre- o post-operatorio è a causa di… complicazioni… che potrebbero insorgere a seconda del tuo attuale stato."
"Complicazioni?" chiese Ara.
"Se senti o meno di aver completato la tua transizione al nuovo genere," disse il Professore. "Lo stato mentale in cui ti trovi quando inizi la procedura è importante. La mia ricerca indica che ci sono possibilità di successo migliori quando un individuo è pre-operatorio. Il tuo desiderio di cambiare può essere d'aiuto nel corretto svolgimento della procedura."
"Aspetti un attimo," disse Ara, alzando la mano. Le girava la testa, la sua vista era offuscata… non era certo se volesse vomitare o ridere. "… mi faccia capire bene. Lei vuole cambiarmi magicamente da… ciò che sono ora… in una donna?"
"Esattamente," disse il Professore.
"… e può spiegarmi perché dovrei accettare di fare a modo suo? Ho già messo da parte i fondi per completare la mia transizione. Stavo per prendermi una pausa alla fine del semestre per andare sotto i ferri. E lei mi sta chiedendo di rinunciare a tutto questo e di effettuare invece una procedura magica non testata all'ultimo momento?"
"Ah," disse il Professore. "Parliamo del metodo chirurgico. Avrai i tuoi genitali esterni rimossi ed una vagina artificiale formata utilizzando le terminazioni nervose e la struttura dei tuoi attuali organi maschili. E… a seconda che tu stia attualmente seguendo o meno una terapia ormonale…"
"Ho assunto un antiandrogeno ed un cocktail di estrogeno/progesterone per gli ultimi tre anni," disse Ara.
"… ah, bene." Il Professore annuì entusiasta. "Ad ogni modo, potresti aver iniziato la crescita di tessuto mammario e l'arresto della funzione testicolare. Ma ci sono cose che queste procedure non possono cambiare. La tua struttura ossea rimane maschile. Così come la tua struttura facciale. Voce e peli facciali… genetica. Tutte queste cose rimangono maschili. Alla fine delle tue procedure, forse diventerai fisicamente abbastanza simile ad una donna da evitare un senso di disforia di genere, ma niente di tutto ciò potrà renderti donna come una persona nata femmina. E non potrà darti l'unico tratto che è unicamente femminile tra gli esseri umani: la capacità di avere bambini."
"E che sta dicendo?" la voce di Ara s'incrinò, sentiva che il suo mondo stava svanendo.
"Sto dicendo," disse il Professore, "che, se la mia teoria è corretta, la procedura che ho sviluppato funziona e tu diventerai una donna in carne ed ossa, incluso al livello dei tuoi geni. Ti interessa?"
Ara Fang si sdraiò sul suo lettino nella sua stanza del dormitorio e guardò il cielo notturno attraverso il lucernario.
"Ci sono dei rischi," il professore le aveva detto. "Alcuni molto significativi."
"Più di morire sul tavolo operatorio?"
"Sì," disse il professore, molto onestamente. "Molto semplicemente, da un punto di vista della sicurezza, la via tradizione di una terapia ormonale permanente ed una chirurgia per la riassegnazione del genere sarebbe preferibile. Ad esempio, la lavorazione necessaria avrebbe un requisito di elevata energia. Noi dovremo, dopotutto, eseguire una lavorazione dalle Tinte fortemente d'Ebano, con un estremo Tessuto Stretto, quasi Serrato. Quella quantità di EVE, lasciata libera, potrebbe essere catastrofica. Per non parlare del severo contraccolpo. E c'è la possibilità che la lavorazione possa essere incompleta. Il tuo corpo potrebbe finire… gravemente alterato."
"Quanto gravemente?"
"… braccia in più. Doppie gambe. Parti del corpo nei punti sbagliati. Alterazione sessuale parziale in alcune parti del corpo… ma non in altre. Altri, più severi effetti teratogenici… molti di loro sarebbero incompatibili con la vita. In altri casi, vorresti non essere sopravvissuta. E poi ci sono i rischi più esoterici. Stiamo cercando di convincere l'universo che sei e sei sempre stata una donna. L'universo potrebbe respingere il paradosso espellendoti dalla realtà. Oppure, invece di trasformarti in una donna, potremmo finire per creare un nuovo 'te' che è sempre stata femmina e, nel farlo, distrugge la persona che sei adesso. Francamente, mia cara, considerando ciò che potrebbe accadere se ti sottoponessi alla lavorazione, i pericoli di un taglio accidentale o di una reazione avversa sotto anestesia sarebbero preferibili."
"Quindi rischi maggiori equivalgono a ricompense maggiori?"
"Questo dipende da quanto bene valuti la 'ricompensa', per dirla con le tue parole. Se senti che valga il rischio significativamente più alto."
Ara scivolò giù dal letto ed accese la luce. Si svestì lentamente, indossando il suo accappatoio preferito, bianco e rosa, ed uscì dalla porta, per poi andare nel corridoio.
Partendo dalla sua stanza, i bagni erano in fondo al corridoio e lei entrò in quello con il simbolo circolare di una figura stilizzata che aveva ampie spalle e non indossava una gonna stilizzata. A quest'ora, come aveva sperato, non c'era nessun in bagno. Camminò davanti ai lavandini, si spogliò e si guardò allo specchio.
Non le piacevano gli specchi… non ne aveva nessuna nella sua stanza. E, guardandosi, ricordò il perché. La persona che vide nello specchio sembrava… sbagliata. Nonostante il piccolo seno in erba, ancora in fase di formazione dopo tre lunghi anni di medicine che la rendevano costantemente stanca e malata. Nonostante i lunghi capelli e la faccia liscia, la cui peluria era stata rimossa con il laser. Perché c'erano ancora i fianchi stretti e le spalle larghe, e il pomo d'Adamo che nascondeva sotto colli alti e sciarpe strette, e, soprattutto, quella cosa in mezzo alle sue gambe.
Si avvicinò e toccò la sua stessa faccia e l'estraneo nello specchio toccò la sua.
Si avvicinò e toccò lo specchio, e l'estraneo allungò la sua mano per toccare la punta delle sue dita.
Riprese l'accappatoio e se lo infilò, per poi ritornare nella sua stanza.
Si distese sul letto e fissò in alto il cielo notturno fino a quando non si trasformò nel crepuscolo, e dopo, infine, nell'azzurro del mattino.
"Il tuo primo passo sarà fermare la terapia ormonale," spiegò il Professore. "Abbiamo bisogno che il tuo corpo sia il più vicino possibile alla sua originale forma maschile."
"Questo mi sembra al contrario," disse Ara. "Non dovrebbe essere il più vicino possibile alla forma femminile?"
"L'acqua bollita congela più velocemente," replicò il Professore.
"Questa non è una risposta."
"No, ma è un'analogia ragionevole. Ciò di cui abbiamo bisogno è trattenere le tue possibilità di maschio e femmina assieme, contemporaneamente, per poi trasferire la possibilità da una all'altra. E più la tua possibilità maschile originale è distinta, più sarà semplice differenziare te dalla nuova possibilità che sarà formata. Questo è importante per mantenere il tuo senso di te stesso durante il trasferimento. Per prevenire la perdita dell'auto-distinzione."
"Per quanto tempo?"
"Fino a quando la procedura non sarà pronta per essere eseguita," disse il Professore. "Un anno e un giorno a partire da ora."
E così Ara smise di prendere le pillole, il suo seno smise di crescere, i peli del suo corpo divennero più spessi e lei si sentì scivolare all'indietro, ricadendo nel buco che aveva impiegato così tanto per scalare.
Nel frattempo, lei ed il Professore iniziarono ad esaminare le varie componenti di cui avrebbero necessitato per la lavorazione. "La cosa più importante," disse il Professore, "è una immagine concreta della tua forma desiderata. Le foto vanno bene. Le figure tridimensionali sarebbero meglio."
Andarono ad un laboratorio di imaging e fecero delle foto del suo corpo maschile ripreso da ogni possibile angolazione, per poi trovare qualcuno che avrebbe potuto photoshopparle nel corpo che lei aveva sempre desiderato essere.
Ara scartò immediatamente il primo gruppo di immagini inviatole dall'artista. "Troppo perfetto," si lamentava.
"A me sembra buono," disse il Professore.
"Certo. Questa ragazza è stupenda. Potrebbe essere una modella… una top model… un'attrice," disse Ara. Teneva l'immagine di una bellezza snella, attillata, con una pelle liscia, perfetta, e scosse la testa. "Questa non sembro io per nulla. Non sembra… giusta."
Rinviarono le proposte indietro all'artista e poi si sedettero assieme per un intero pomeriggio, esaminando permutazione dopo permutazione, aggiungendo una imperfezione qui, correggendone una lì, esaminando faccia dopo faccia, corpo dopo corpo, possibilità dopo possibilità, fino a quando, un giorno, un mese dopo che avevano inviato la loro prima richiesta, Ara guardò la persona nelle immagini e vide se stessa.
Nel frattempo, Ara si sottopose a procedure mediche di ogni tipo. Ogni singolo millimetro del suo corpo fu studiato e registrato. Dopo le fotografie vi fu l'endoscopio, poi arrivò la TAC, poi arrivarono le MRI, poi il COLLICULUS imaging, poi le scansioni genetiche. Centinaia di migliaia di immagini di se stessa da ogni possibile prospettiva, mappando ogni possibile sfaccettatura di un corpo umano.
E dopo arrivò il giorno in cui lo scultore consegnò la statua di quella che sarebbe stata la nuova lei, ed Ara si sedette di fronte per una notte intera, solo per studiare la sua nuova sé. Si avvicinò e toccò la faccia della cosa dagli occhi chiusi fatta di acciaio e silicone. Un giorno, questo è quello che sarò, pensò tra sé e sé.
E poi arrivò il giorno in cui il Professore le disse che era tempo di andare a vedere un nano riguardo una spada.
"Una spada, huh?" disse l'uomo, basso e tozzo, con una barba gigantesca. "Non c'è molta richiesta per una di quelle di questi tempi."
"Non c'è molta richiesta nemmeno per un fabbro" sottolineò il Professore. "Immagino che siamo nati entrambi alcuni millenni troppo tardi."
"Parla per te. Ho pietà per quei poveri armaioli medievali che non sapevano la differenza tra acciaio cromato ed alto contenuto di carbonio." Il fabbro si mise a ridere rumorosamente e fece un gesto ad Ara, che stava all'ingresso della fucina, guardandosi nervosamente attorno. "Chi è la checca? Il tuo nuovo catamita?"
"Il mio soggetto di prova," disse il Professore. "Per la riassegnazione dell'identità."
"Quindi quello è il travestito, huh? Vieni qui, fatti dare un'occhiata"
Ara sentì il sangue ribollirle nelle vene dalla rabbia, ma nonostante tutto si avvicinò e fissò il nano direttamente negli occhi, freddi e duri. Il nano rise forte. "Sì, vedo che ti ho fatta un po' arrabbiare, huh? Bene. Mi piace un po' di spirito nelle mie donne."
"Il termine appropriato," disse Ara seccamente, "è trans, o donna transessuale, se preferisci. Se vuoi continuare questa transazione d'affari, ti riferirai così a me e mi chiedere scusa per l'insulto."
"Le mie scuse," disse il nano, chinando il capo educatamente. "Lo terrò a mente per l'avvenire. Sono stato… lontano dalla civiltà."
"Heinrich ha vissuto in questi boschi per gli ultimi… cinquant'anni, adesso?"
"Cinquantacinque," disse il nano. "Le persone mi spaventano. Non capisco come diavolo voi possiate sopportare di vivere in una fottuta città circondata da milioni di quelle cose." L'uomo basso e barbuto sputò tra i carboni ardenti.
"In ogni caso, puoi farlo? Fare per noi la spada?"
"Posso. Ma non sarò io a farlo. Dovrà farlo lei."
"Io?" stridette Ara, sorpresa.
"Sì, tu. E tu farai anche il calice." Il nano indicò le spade che pendevano dai pioli sui muri della sua fucina di pietra. "Spada. Simbolicamente maschile. Orientata verso il fuoco. Calice. Simbolicamente femminile. Orientata verso l'acqua. Hai capito dove voglio arrivare?"
"Penso di sì. La spada ed il calice sono intesi come simboli dei miei aspetti femminili e maschili," disse Ara, aggrottando le sopracciglia. "Ed io devo crearli in modo da creare un forte senso di Simpatia tra loro per scopi simbolici."
"Indovinato al primo colpo," disse il nano.
"Può riuscirci? Imparare a fare una spada in tempo per il rituale?"
"Non c'è bisogno che sia una bella spada," sottolineò il nano. "Serve solo che sia abbastanza simile ad una spada affinché funga come simbolo. Ed io l'aiuterò a farla. Ma lei deve stare qui e partecipare nel processo di creazione."
"Se puoi permetterti di assentarti dalle lezioni…" disse il Professore, titubante.
"Una settimana. Non di più. Lei ritorna durante la Pausa Primaverile e martella acciaio con me anziché andare a festeggiare a Cancun o altro."
"Va bene," disse Ara. "Ci rivedremo ad Aprile, allora."
"Suona bene. C'è, tuttavia, la questione del pagamento."
"Quanto vuoi?" chiese il Professore.
"Non è un discorso di soldi. Non passo molto tempo fuori di qui, eccetto per i materiali grezzi, e ho un accordo con la Coalizione per l'attrezzatura da rituale e cose del genere. Quello che voglio…" si voltò verso Ara e ghignò lascivamente. "Allora, quando Freya negoziò con i nani per Brisingamen, lei offrì…"
"HEINRICH!" urlò il Professore.
"Va bene! Era solo uno scherzo!" disse il nano, sulla difensiva.
"Non era molto divertente!"
"Va bene, mi dispiace… ma se tu vuoi davvero fare un accordo…" L'uomo s'accarezzò la barba e sospirò. "Guarda, sono generalmente felice di vivere lontano dalle persone. Mi fanno un po' incazzare per la maggior parte. Ma ci sono alcune cose che mi mancano dai tempi in cui vivevo nella civiltà…"
E così, quando Ara ritornò alla cabina nei boschi la Primavera seguente, portò con sé due bottiglie di Laphoraig Islay Single-Malt ed una Balvenie 40.
"Sì, proprio quello che volevo," disse Heinrich Guggenheim, mentre teneva le bottiglie controluce, sorridendo. "Gli esseri umani sono dei fottuti stronzi ma qualche volte creano qualcosa che val la pena tenere."
Appoggiò le bottiglie nel suo armadietto con reverenza, come un prete che tiene in mano le Ostie consacrate, e dopo srotolò un foglio di carta da macellaio sul suo tavolo fatto di ceppi rozzamente intagliati, ed iniziò ad abbozzare un disegno utilizzando un carboncino.
"Non dovrebbe essere la mia spada?" chiese Ara.
"Certo," disse Guggenheim.
"Allora lascia che sia io a disegnarla."
Ara credette di averlo visto sorridere mentre il nano le passava il carboncino, facendo un passo indietro dal tavolo.
Abbozzò una spada corta, a doppio filo, snella ed elegante, le linee evocavano quelle del jian cinese, e dopo disegnò un'elsa ornata ed anche una lunga nappa. "Dovrai trovare qualcun altro per fare quella parte," disse Guggenheim. "Io faccio solo lame e qualche volta le impugnature."
"Va bene," disse Ara. "Troverò un gioielliere per fare il resto."
"Allora iniziamo."
Il nano iniziò a mostrarle come lavorare con il mantice per riscaldare i carboni nella forgia, poi la fece lavorare con il grosso martello per battere il lingotto in un incavo a forma di spada, lungo e stretto. Il primo colpo di Ara mancò l'incudine completamente e quasi le fracassò il piede. "Attenta," l'avvisò Heinrich. "Così ti rompi il piede e perderai l'intero weekend."
"Questo coso è troppo pesante. Non riesco a brandirlo."
"Allora non farlo," disse Guggenheim. "Sollevalo e lascia che il peso faccia il resto."
Ara sollevò il pesante attrezzo d'acciaio e lo lasciò cadere di peso sull'incudine. Guggenheim ghignò, colpendo l'acciaio con il proprio martello. Dopo una lunga giornata massacrante di duro lavoro, riuscirono infine a dare all'acciaio la forma di una spada lunga.
La settimana passò praticamente alla stessa maniera, con Guggenhiem che le mostrava come portare il metallo alla temperatura appropriata. Come lasciare che fosse il martello a fare tutto il lavoro nel colpire l'acciaio. Quando rimettere l'acciaio nel fuoco. Il nano fece la maggior parte del lavoro, ma si assicurò che Ara fosse coinvolta in ogni passo del processo.
La settimana passò e, il penultimo giorno, Ara si punse un dito e lasciò che le gocce di sangue cadessero in due botti di acqua ed olio posti accanto alla forgia, mentre Guggenheim riscaldò la spada ultimata fino a farla diventare di colore rosso e la immerse prima nell'olio, dopo, mentre le fiamme avvolsero la lama, nell'acqua, per spegnerla.
L'ultimo giorno trascorse lucidando ed affilando la spada e, quando il sole tramontò alla fine della settimana, Ara aveva la lama della sua spada avvolta in una coltre di seta, pronta per essere portata per il mondo.
Ara si sdraiò sul lettino, guardando al retto di paglia di quell'ultima notte, mentre Guggenheim si rigirava nel suo letto, e, con un po' di trepidazione, chiese, "Heinrich?"
"Sì?"
"La prima volta che ci siamo incontrati. Hai menzionato Brisingamen."
"Sì," disse Guggenheim.
"Freyja offrì oro ed argento ai nani che le fecero quella collana. Ma, alla fine, li pagò spendendo una notte con ciascuno di loro."
Calò il silenzio.
Guggenheim si rigirò nel suo letto e sbuffò beffardamente. "Vai a dormire, ragazza" ringhiò.
"Sì, signore," disse Ara.
Si tirò su la coperta fin sopra le spalle e fissò il muro per molto tempo.
"Il punto di quella storia," disse Guggenheim, dopo pochi minuti, "non è che Freyja dormì con i nani. Il punto è che ci sono alcune cose nella vita che daresti qualunque cosa per avere… e qualche volta, paghi troppo per ottenerle."
"Era comunque una cosa sleale da chiedere come pagamento," disse Ara.
"Mi dispiace per quello. In caso non l'avessi ancora capito, non sono una brava persona." sbadigliò Guggenheim. "Ad ogni modo, per una spada di merda come questa… mi strapagheresti."
Ara ridacchiò un po' e, dopo pochi altri minuti, finalmente si addormentò.
"Vetro," disse la donna nel grembiule di pelle.
"Ne sei certa? Forse il peltro funzionerebbe meglio," disse titubante il professore.
"Vetro," ripeté la donna con fermezza. "Deve essere vetro, e deve avere un supporto d'argento. Tu vuoi che abbia quante più caratteristiche femminili possibile. L'argento evoca la luna, il vetro evoca l'acqua. Vetro ed argento è la scelta migliore."
"Non sono certo che abbiamo tempo per farle imparare sia la soffiatura del vetro che la lavorazione dell'argento," sottolineò il Professore. "Ci stiamo avvicinando alla fine dell'anno ed un giorno."
"Non deve," disse la donna. "Lei doveva fare la spada, perché rappresenta una parte di lei che le è stata portata via. Ma il calice deve essere fatto da un altro, perché rappresenta un nuovo aspetto che le è stato aggiunto."
"Credo che abbia senso," disse titubante il Professore. "Ma, d'altro canto, c'è anche una forte risonanza nel farle realizzare il calice in prima persona."
"Perché non le chiediamo cosa ne pensi?" disse la donna nel grembiule di pelle ed entrambi si girarono verso Ara, che sedeva su una vecchia sedia fatiscente, ascoltando l'intera conversazione.
"Io?"
"Il calice sarà parte integrante della tua trasformazione. Deve avere risonanza con te," sottolineò il Professore.
Ara si grattò la testa e guardò lungo l'officina gli apprendisti e gli operai che martellavano argento e stagno su piccole incudini e paletti. "… in realtà," disse, "penso di avere un'idea diversa."
"Quindi cos'è esattamente questo," chiese Lydia, quando Ara ritornò dalla sua stanza del dormitorio. Teneva controluce un oggetto fatto di vetro dall'aspetto di bassa qualità. "Corteggiando il Futuro? Che diavolo significa?"
"… è un bicchiere per il ballo studentesco," disse Ara dolcemente.
Lydia ed il Professore restarono in silenzio.
"… mio padre non approvò la mia natura," disse Ara. "Lui… era sempre arrabbiato. Emotivamente molesto, perfino. Solo il fatto che non voleva che si sapesse che suo figlio era un 'deviato' gli impedì di mandarmi in qualche tipo di campo o cose del genere. Forse mia madre avrebbe meglio compreso, ma morì quando ero giovane… e lui era sempre spaventato che avesse sbagliato qualcosa nel crescermi. Il loro unico figlio. Perché non ero felice di essere un figlio. Perché volevo essere una figlia, come le mie sorelle più grandi. Lui era solito gridarle tantissimo. Le incolpava per ciò che ero. Ma non era colpo loro. Non era colpa di nessuno."
Ara si sedette per riequilibrarsi un attimo… i ricordi stavano scorrendo più velocemente e più duramente di come aveva immaginato. "Avevo un paio di amici alle superiori che… erano solidali con me. Mi hanno aiutata a pianificare tutto nei dettagli. Uno di loro, una ragazza… era la mia fidanzata. Lei arrivò ed io indossai il mio completo ed uscimmo da casa assieme. Poi andammo a casa sua, dove lei aveva pronta una gonna che avevamo scelto. Mi ha aiutato ad indossarla. Mi ha sistemato i capelli. Mi ha truccata. Mi ha messo i modellatori e il reggiseno ed la gioielleria. E dopo siamo andati al ballo studentesco assieme."
Ara sorrise amaramente mentre i suoi ricordi riaffioravano. "Alcuni dei miei vecchi amici batterono le mani quando mi videro nella mia gonna. Altri si girarono dall'altra parte. Vi furono alcuni mormorii irritati, alcuni sguardi straniti. Ma ci furono anche un sacco di sorrisi felici. Ho ballato tutta la notta, Shelly ed io andammo in spiaggia con gruppo dei nostri amici e ci sedemmo sulla sabbia e guardammo sorgere il sole ed uno dei miei amici, un ragazzo per cui avevo una cotta, mi disse che gli piacevo, non importa chi fossi, mi prese per mano e mi baciò."
"È stata la notte più bella della mia vita, ma quando sono tornata a casa, dopo essermi ricambiata nel mio completo ed aver lasciato la gonna a casa di Shelly, mio padre era sveglio. Qualcuno al ballo studentesco, non ho mai scoperto chi, l'aveva chiamato e gli aveva detto quello che avevo fatto. Mi ha urlato per ore e mi ha colpito molte volte con un giornale arrotolato. Come se fossi un cane. E gettò il mio bicchiere sul muro e lo mandò in pezzi."
"Questo è di Shelly," disse Ara, facendo scorrere un dito lungo il bordo del bicchiere di bassa qualità che teneva Lydia. "Me l'ha dato dopo che ha sentito cosa aveva fatto mio padre. In modo che avessi avuto qualcosa per ricordare quella notte." Ara fece un sorriso malato al Professore e a Lydia. "Shelly era una delle poche persone che mi dispiace aver abbandonato quando sono andata all'ICSUT."
Vi fu un lungo momento di silenzio, ed Ara realizzò che l'intera officina aveva smesso di lavorare. Tutti la stavano guardando, i loro martelli e le loro cesoie fermate dalla sua storia.
"… sì," disse Lydia pensosamente, tenendo il bicchiere a forma di ciotola in controluce. "Penso che se gli metteremo una base d'argento, dovrebbe andar bene."
"Come ti senti?" chiese il Professore.
"Stanca. Affamata. Eccitata. Esausta." Ara rise nervosamente mentre oscillava i suoi piedi avanti ed indietro. "Spaventata."
"Comprensibile," disse il Professore. "Riesaminiamo i dettagli della Lavorazione."
Passò in rassegna le varie specifiche dei sistemi e degli incantesimi e degli elementi che sarebbero stati usati nella Lavorazione. Ara a malapena lo ascoltava. L'avevano già fatto molte altre volte prima. Ma questa sarebbe stata l'ultima volta che avrebbero parlato della procedura.
"… sei certa che desideri continuare con la procedura?" chiese il Professore.
"Sì," disse Ara con fermezza.
"Allora per favore firma qui."
Le passò dozzine di portablocchi, ognuno con una netta "X" scritta vicino al fondo in inchiostro blu, ed Ara firmò, in dozzine di punti, vari documenti riguardanti il fatto che lei sapeva a cosa stava andando incontro e non avrebbe denunciato nessuno se qualcosa fosse andato storto.
Scrisse il suo nome con stile floreale sull'ultimo foglio, ed il Professore si alzò per andare nella stanza successiva. Una giovane donna molto carina dai capelli corti arrivò dopo e guidò Ara nella stanza seguente. Sembrava la camera della sposa di una chiesa, con un paio di divani, un tavolo, uno specchio ed un armadio.
"Puoi indossare qui il camice," disse la donna. "Ti faremo sapere quando è tempo di iniziare."
Poi, la donna si avvicinò all'altra porta nella stanza, l'apri e restò ferma sul ciglio della porta per un attimo. Ara poteva vedere che conduceva fuori, verso un fresco giorno primaverile in Massachusetts.
La porta si richiuse dietro di lei ed Ara restò sola nella stanza.
Questo era folle. Lei stava per sottoporsi ad una procedura magica estremamente pericolosa che avrebbe potuto ritorcersele contro ed uccidere diverse persone. Stava per alterare il tessuto stesso dell'universo.
E perché? Perché non poteva sopportare di vivere un altro giorno senza una vagina? Che razza di logica era?
Avrebbe dovuto lasciar perdere. Avrebbe dovuto andarsene. Avrebbe dovuto prendere la sua borsa ed uscire proprio da quell'altra porta e solo correre attraverso il campus il più velocemente possibile e lasciarsi alle spalle tutta questa faccenda.
La testa le girava, la sua vista era sfocata, il suo cuore batteva forte. Stava serrando i pugni così forte che poteva sentire le sue unghie scavare nel suo palmo.
Fece un altro respiro profondo.
Si tolse i suoi abiti, li ripose nel borsone che si era portato appresso e stette di fronte allo specchio, guardando negli occhi l'estraneo che vi vedeva.
Gli occhi tristi dell'estraneo la guardarono di rimando.
Lei avvicinò una mano a quella di lui e toccò i polpastrelli di lui con i suoi.
Ara tornò all'armadio, spalancò le ante. Le sembrò giusto indossare il sottile indumento bianco facendolo volteggiare nell'aria, come la gonna di qualche magica principessa fatata.
Si strinse la cinta del vestito attorno ai fianchi. Esattamente dieci secondi dopo, le porte si aprirono ed entrò il Professore.
"Mi stava guardando?" chiese Ara.
"Attraverso COLLICULUS," ammise il Professore.
"Cosa avrebbe fatto se fossi uscita da quella porta?"
"Ti avrei guardata andartene. Ed avrei cercato un altro soggetto di prova."
Richiuse la porta alle sue spalle e guardò con serietà negli occhi di Ara. "Ho un'ultima richiesta da farti," disse. "Ho bisogno del tuo vero nome."
Ara sapeva già da un po' che quella richiesta sarebbe arrivata. Annuì e si schiarì la gola nervosamente. La sentì secca ed un po' chiusa, quindi deglutì prima di continuare. "Aracne."
"Aracne. Il Ragno… se non ricordo male, era una tessitrice. Una delle migliori. Così brava, infatti, che la divinità Artemide la sfidò ad una gara. Artemide tessé le immagini degli Dei che governavano l'umanità, sconfiggendo i mortali più e più volte… e Aracne rispose tessendo le immagini dei molti abusi che gli Dei avevano riversato sull'umanità. E quando Artemide strappò a pezzi la sua tela, Aracne s'impiccò."
"Era Atena, non Artemide," disse Ara. "Ed era arrabbiata perché Aracne non voleva ammettere che una parte del suo talento veniva proprio dalla Divinità della Tessitura."
"Errore mio," disse il Professore. "E come ti senti, Ragno? Sei un giocattolo degli Dei, abusato e maltrattato? O sei invece il figlio ribelle ed altezzoso che rifiuta di riconoscere i propri doni?"
"… penso," disse Ara, sorridendo nervosamente, "che sono una giovane donna che sta per sottoporsi ad un enorme cambiamento nella sua vita, che proprio ora si sente maledettamente spaventata e vuole solo che sia tutto finito."
"Una buona risposta," disse il Professore. "Vieni."
Aprì l'altra porta e la guidò nella stanza successiva: un grande antro, freddo ed umido, con un pavimento ampio e largo di pietra levigata. Un piccolo esercito di massoni aveva passato molti giorni ad incidere una forma precisa al pavimento di granito: le fece male agli occhi guardarlo, dato che consisteva di cerchi dentro cerchi dentro cicli ed angoli. Doveva essere di quasi venti metri di diametro.
Guggeneheim si trovava sul bordo del cerchio, tenendo una piccola incudine sotto un braccio come se fosse un pallone da basket. Indossava la sua cinta di arnesi attorno ai fianchi, incluso il grosso martello che Ara ricordava così bene. Lydia era affianco a lui, teneva il calice di argento e vetro tra le sue mani: era bellissimo, le viti e l'edera di puro argento, realizzati con perizia, si avvolgevano intorno fino ad abbracciare il vetro economico. C'era anche una piccola parata di altri assistenti qui, portante una caraffa d'acqua, una piccola bacinella, un vassoio di piccoli coltelli ed altri strumenti.
Tutti indossavano abiti neri con corte rosse legate attorno alla cinta. Mentre Ara guardava, due assistenti si fecero avanti con un insieme di vestiti anche per il Professore. Lui stese le braccia, mentre lo aiutarono ad indossare le pesanti vesti nere e gli legarono la rossa cintura attorno ai fianchi. Uno di loro gli consegnò un bastone: sembrava insolito, intagliato in una strana forma, ed Ara realizzò che era stato realizzato dal manico di un vecchio fucile, rimodellato per formare la metà superiore di un bastone riccamente decorato.
Il Professore si voltò verso l'altra parte della stanza, dove un certo numero di persone stava attorno ad un insieme di equipaggiamento complicato. Un altro gruppo sedeva su sedie pieghevoli nelle ombre. "La Lavorazione," disse, "si svolgerà in tre fasi. La prima è medica. Il soggetto sarà esaminato clinicamente e gli ultimi preparativi saranno effettuati. La seconda è simbolica. Una serie di rituali simbolici del cambiamento saranno eseguiti in modo da delineare i confini della lavorazione nelle menti dei partecipanti. L'ultima fase della Lavorazione è l'applicazione precisa di diversi impulsi di Radiazione d'Aspetto, attentamente mirata. Per la sicurezza di tutti gli osservatori e dei partecipanti, richiediamo che restiate dietro la linea gialla segnata sul pavimento. Qualsiasi tentativo di attraversare la linea gialla risulterà nell'immediata immobilizzazione fisica."
Il Professore si voltò verso un paio di dottori vestiti di bianco ed annuì. Ara fu portata dietro una tenda, dove un paio di medici eseguire un ultimo controllo fisico, presero un ultimo campione di sangue, le diedero una pacca sulla spalla e le augurarono buona fortuna.
Dopo, qualcuno le diede la spada, avvolta in un panno di seta, e la fece mettere in fila, proprio di fronte al Professore, e l'intera processione entrò molto lentamente, con passo misurato.
Ara non sarebbe mai stata in grado di ricordare esattamente cos'era accaduto. Era tutto registrato, ovviamente, e sarebbe stata in grado di guardare da una prospettiva esterna come tutto fosse avvenuto. Ma da un punto di vista personale… non ricordava molto.
C'era stata una lenta processione attorno al cerchio completo, per sette volte, in senso orario. Dell'acqua era stata versata in una bacinella e poi versata sopra la sua testa. La spada era stata fatta ondulare sopra il suo corpo in una serie precisa di movimenti. Le era stata ridata la spada, dicendole di premerla sulla fronte e sul petto, mentre il Professore diceva molte cose in Latino. Il bastone era stato premuto sulla sua schiena e qualcuno diceva qualcosa con voce molto forte in Greco prima di colpirla una volta, in modo netto, lungo le spalle.
C'era un gatto nero, il famiglio del Professore, che camminò tra i suoi piedi per sette volte, fermandosi al suo piede sinistro. La spada le fu tolta e Guggenheim la ruppe sull'incudine con un potente colpo del suo martello. Portarono fuori il modello in silicone del suo futuro sé e lo fu fatto abbracciare per sette volte. Le fecero un piccolo taglio nella parte superiore della coscia. Una goccia di sangue fu mischiata all'acqua nel calice e gliela fecero bere. Due altre gocce furono cosparse sul suo volto e su quello della bambola.
Poi il Professore prese un piccolo vasetto di vernice argentata ed un pennino e disegnò una serie di simboli lungo tutta la sua pelle e su quella della bambola. Tutti gli altri furono fatti uscire dal cerchio, mentre una piccola pompa riempì i canali di un liquido che la fece lacrimare.
E dopo Ara giacque all'interno del cerchio, la sua mano destra teneva la mano, fredda e umidiccia, della bambola in silicone che avevano fatto, mentre il gatto nero saltellò tra le due, fissando senza sbattere le palpebre gli occhi del Professore.
Vi fu un rumore ovattato e la benzina che aveva riempito i canali del cerchio fu accesa. Delle fiamme si sollevarono attorno a lei in uno schema preciso, illuminando la camera con una fosca luce rossa.
Elettricità viola saettò tra le punte delle stalattiti in alto ed Ara si sentì precipitare nel cuore del mondo.
Ara riaprì nuovamente gli occhi e guardò in faccia il Professore. Lui le sorrise.
"Come ti senti?" chiese.
"… mi fa male," piagnucolò Ara. E lo fece. Sentiva il suo intero corpo terribilmente dolorante. I suoi occhi erano secchi, la sua gola era secca, era disperatamente affamata. Lasciò andare la presa che la sua mano sinistra aveva sulla bambola in silicone e si stropicciò gli occhi.
Mancò e si toccò invece il suo naso. Era… strano. Bizzarro.
Si voltò alla sua sinistra… e vide qualcosa sgretolarsi in cenere e polvere. Qualcosa che sembrava molto simile al corpo dell'uomo che lei era solita vedere nello specchio.
Poi arrivarono i dottori e la circondarono ed uno di loro le mise un respiratore in gomma sulla sua faccia e lei chiuse gli occhi e perse i sensi.
Ara si risvegliò, ritrovandosi stesa su morbide lenzuola, indossava una sottile vestaglia d'ospedale, in una buia stanza che suonava.
Doveva andare a pisciare.
Strisciò fuori dal letto, ma restò frenata da qualcosa agganciato al suo braccio. Trascinò l'IV con lei fino al bagno, si alzò la vestaglia e si sedette.
Era strano… come se stesse uscendo dai punti sbagliati, e quel muscolo lo sentiva sbagliato, quel punto era fuori posto, e questa intera cosa…
La realizzazione di ciò le stava accadendo la colpì, e sentì le lacrime arrivarle agli occhi. Allungò cautamente la mano verso la carta igienica per asciugarsi, e sentì la punta delle sue dita premere contro il suo corpo.
Passò un'ora prima che potesse finire di singhiozzare, e quando finì, si alzò su piedi malfermi, tirò lo sciacquone ed accese la luce. Si voltò verso lo specchio del bagno e vide se stessa guardarla di rimando.
Allungò la mano e sentì la punta delle sue dita premere contro il vetro argentato, e sorrise.
"Bene, Ragno," disse il Professore, richiudendo la cartelletta. "Secondo quanto dice qui, sei una giovane donna in perfetta salute."
"Questo già lo sapevo. Avrei potuto dirtelo fin dalla prima notte."
"Sì," disse il Professore. "Ma questo era un referto medico di un dottore estraneo ai fatti. Quindi credo che ciò significhi che il nostro esperimento sia stato un successo." Si allungò sulla sua sedia, dandole un sorriso sardonico. "Ti è piaciuto il tuo primo ciclo?"
"È stata una merda," Ara rise mestamente. "Ammetto che c'è stato un attimo, tra i crampi e il gonfiore e quello che sembrava metà del mio utero nell'atto di fuoriuscire da me, che mi sono sentita come una fottuta idiota per aver accettato tutto questo."
"E per il resto?"
"… ecco, sembra funzionale, se è ciò che sta chiedendo," disse Ara, arrossendo. "Ma non l'ho provato ancora con nessuno. Non ho esattamente avuto una bella esperienza la prima volta che ho perso la mia verginità. Penso che utilizzerò il peso di quell'esperienza per la mia seconda volta."
"Buon per te, allora." Il Professore richiuse la sua cartelletta e si alzò in piedi. "Bene, allora, Ragno. Ci vediamo in giro."
Si alzò e l'aiutò ad infilarsi il cappollo, per poi chiudere a chiave la porta del suo ufficio alle sue spalle. "Oh, prima che mi dimentichi," disse, porgendole una borsa regalo. "Questo è un ricordino. Per due nuovi amici."
Ragno aspettò di rientrare nella sua stanza del dormitorio prima di aprire la borsa regalo e tirare fuori gli oggetti contenuti. Uno di loro era un calice di vetro con un supporto d'argento. L'altro era una spada spezzata montata su una placca in legno.
Appoggiò la placca contro il muro, dietro la sua scrivania, e ripose il calice sul suo comodino. Decise che avrebbe dovuto trovare una teca, appena avesse avuto un po' di tempo.
Poi si infilò il pigiama e si stese sul suo letto, guardando le stelle attraverso il lucernario. Rimase lì per lungo, lungo tempo, fino a quando l'oscurità non si trasformò nella penombra del crepuscolo, ed infine nell'azzurro mattutino.