Gli occhi di un padre, gli occhi di una madre
voto: +10+x

Vennero fuori dalla casa urlando, lei con le mani tremanti a coprirle il viso, lui farfugliando parole incomprensibili, come in delirio. Il paese era piccolo e i rumori si propagavano in fretta, più dei pettegolezzi; passarono pochi secondi prima che gli abitanti del vicinato cominciassero ad affacciarsi alle finestre e dalle porte socchiuse a spiraglio, gli sguardi fin troppo curiosi fissi su quanto accadeva. Le due figure barcollavano da un lato all’altro della stradina acciottolata e lanciavano lamenti rauchi, che riecheggiavano tra le pareti muscose delle case in pietra. Dalle labbra secche dell’uomo colava una schiuma bianca, appiccicosa a vedersi, che discendeva a raggrumarglisi tra i ricci della folta barba nera. La donna non faceva che graffiarsi la faccia con le unghie sporche, aprendosi ferite sottili sull’epidermide olivastra.

Per un po’, la scena seguitò a ripetersi, identica a se stessa. La coppia che vagava per la strada. La gente che guardava, senza dire o fare nulla. Poi, all’improvviso, entrambi caddero riversi a terra, contorcendosi e urlando. La donna si conficcò le dita nelle orbite, affondandole fino all’ultima falange, finché i bulbi oculari non furono ridotti in poltiglia; e seguitò ad agitarsi, colta da spasmi convulsi che la spingevano a inarcare la schiena, a torcere i piedi in pose innaturali e a urlare sempre più forte.
L’uomo, invece, gli occhi li teneva bene aperti; e pareva, dall’orripilata fissità con cui li rivolgeva attorno a sé, che stesse vedendo qualcosa di terribile. Qualcosa da cui continuava a voler scappare, voltando la testa a destra e a sinistra mentre i suoi arti si agitavano incontrollabilmente.

Dopo diversi, lunghi minuti, i due furono colti da un ultimo spasmo e le loro membra agitate ricaddero mollemente sulle pietre. Fu solo allora che la ragazza venne fuori dal vicolo ombroso ove era rimasta nascosta fino a quel momento. I curiosi, evidentemente terrorizzati dall’accaduto, s’erano da tempo ritratti nel gelo familiare delle loro dimore, così nessuno vide la sua ombra flessuosa allungarsi fino ai cadaveri, scura ed enorme nella controluce del tardo pomeriggio.
Si fermò accanto all’uomo. Non ricordava un momento della sua vita in cui non l’avesse odiato con tutta se stessa; in cui non avesse odiato i suoi occhi, il modo in cui la fissavano.
E poi, c’erano gli occhi dell’altra. Gli occhi che avevano guardato, ma non avevano voluto vedere. Rimase a lungo a guardarli, ridotti in una poltiglia sanguinolenta che colava in rivoli dalle orbite macilente. Poi, scuotendo appena il capo, si voltò e rientrò nello stesso vicolo dal quale era uscita.

**


Ci mise qualche tempo a ritrovare la strada per il torrente. I vestiti le si impigliavano in continuazione tra i cespugli e la terra le crocchiava sotto le scarpe da ginnastica consunte. Tutt’attorno aleggiava l’odore del bosco, un misto di foglie umide, escrementi animali, legno marcio. Il paese era ormai scomparso alle sue spalle, come cancellato dal biancore dei pioppi che s’accalcavano sulla piana.
Passò altri minuti a vagabondare in quel silenzio immobile, a tratti interrotto da richiami di animali che non conosceva. Quando udì il fragore lontano del torrente, da qualche parte alla sua destra, lasciò andare un sospiro di sollievo e accelerò il passo in quella direzione. In capo a pochi istanti si ritrovò in uno spazio aperto, al centro del quale una vena d’acqua scrosciava entro un solco sassoso.

Scorse la donna nello stesso punto in cui l’aveva lasciata l’ultima volta. Seduta in riva al torrente, a disegnare nel fango con un rametto. Indossava una t-shirt verde, troppo larga per il suo corpo minuto, e teneva i capelli biondi raccolti in una crocchia disordinata, da cui pendeva qualche ciocca ribelle. Anche la salamandra era rimasta lì, a fissare il bosco con gli occhi scuri. Quando si accorse della ragazza, la raggiunse ancheggiando nel terriccio, le disegnò velocemente un otto tra i piedi e poi scomparve dietro un sasso. Lei rimase a guardare in quella direzione per qualche istante, ma la salamandra non tornò indietro. Allora si avvicinò alla donna e le sedette accanto.

All’inizio, nessuno parlò. La ragazza si sentiva un po’ stordita e ogni sensazione le arrivava ovattata, come se la sua testa fosse colma d’acqua. Forse era per via di ciò che era successo, pensò. Non aveva mai fatto del male a una mosca, prima di quel pomeriggio. Però, non provava rimorso. Non provava niente.
La donna gettò il ramo nell’acqua e la guardò. «Non credevo ci saresti riuscita» disse. La sua voce era ruvida, piatta.

«Mi hai visto.»

«Da lontano. Sono sempre stata lì. Se ti fosse mancato il coraggio di agire, sarei intervenuta a completare il lavoro.»

«Perché?»

«Perché è quello che facciamo. Portare a termine il lavoro. Sempre, qualunque esso sia. Non importano le conseguenze.»

«No, intendo…» s’interruppe. Nella sua testa, aveva sentito come qualcosa che gocciolava. Che rintoccava sul cervello. Un’immagine indistinguibile le dardeggiò tra un pensiero e l’altro. Una donna, forse? No, era più un corso d’acqua circolare, che rincorreva se stesso in uno scrosciare infinito. O forse era la luna, accecante e immobile in un cielo notturno. Forse era tutte quelle cose e niente.
Con uno sforzo, riuscì a scrollarsi di dosso la strana sensazione e a completare la frase che aveva lasciato appesa.

«… perché io?»

«Perché hai seguito la salamandra» replicò la donna, dopo un attimo di silenzio.
È vero, pensò la ragazza. L’ho fatto. E ricordò quanto era accaduto la notte precedente. Suo padre aveva dato di matto un’altra volta e un’altra volta s’era sfogato su di lei. Lei, come sempre, aveva chiuso gli occhi, stretto i pugni e s’era sforzata di pensare a qualcosa di bello. Una giornata di primavera. Sua madre che le raccontava le storie della buonanotte, quando era una bambina. Anche quella volta, era riuscita a distrarsi quel tanto che bastava da non pensare all’uomo disgustoso che le alitava addosso, fissandola con gli occhi svuotati dal desiderio.

Dopo un po', era finita. Lui era crollato a dormire sullo stesso divano ove l’aveva presa e lei, con l’ormai familiare senso di indolenzimento tra le gambe e un moto di umiliazione ad agitarle lo stomaco, era uscita a prendere un po’ d’aria. Fuori la strada era vuota e il vento sussurrava pigro tra i tetti, passandole attraverso il pigiama celeste e accarezzandole la pelle, come se anche lui avesse voluto violarla, prendersi qualcosa che non gli apparteneva.

La salamandra se ne stava ferma in mezzo alla stradina dissestata, la testa nera e gialla rivolta verso di lei. Incuriosita, la ragazza aveva mosso un passo cauto, perché voleva vederla più da vicino, e allora la salamandra s’era come contorta su se stessa e il suo corpo luccicante era schizzato via lungo la strada. Lei aveva sospirato: l’aveva già persa. Subito dopo, però, s’era accorta di come la creatura si fosse fermata qualche decina di metri più in là; di come, di nuovo, insistesse nel guardare verso di lei.

«Vuoi che ti segua?» aveva sussurrato e per un attimo era rimasta ad ascoltare il silenzio che le pesava addosso, quasi aspettandosi una risposta. Ma la salamandra era rimasta ferma e zitta. Di nuovo, la ragazza aveva provato ad avvicinarsi; di nuovo, il rettile era schizzato via, stavolta fermandosi ai margini di un vicolo.

Avevano seguitato a muoversi in quel modo fino al bosco. Fino al corso d’acqua. E là, nello stesso punto in cui sedeva in quel momento, aveva trovato la donna.

«Però sei stata tu, a mandarla da me» disse la ragazza.

La donna sorrise.

«Avevi bisogno di noi. E noi ti abbiamo aiutata.»

«Chi siete?»

«La tua nuova vita, se lo vorrai.»

Si guardarono. Negli occhi verdi della donna, nella sua espressione serena e apatica a un tempo, era impressa una verità che la ragazza non avrebbe saputo sondare.

«Vedo… delle cose, nella mia testa. Siete stati voi? Che cosa mi avete fatto?»

Si accorse che le tremavano le mani. Le strinse l’una all’altra, cercando di soffocare quella sua fragilità, ma il tremore si accentuò, invece di scemare. Altre mani si posarono allora sulle sue. Gelide, ma dal tocco gentile. Le strinse forte. Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di lasciarle.
Alzò lo sguardo. Il viso della donna era a pochi centimetri dal suo.

«Noi non abbiamo fatto niente. Sei tu ad aver costruito il feticcio, seguendo le mie indicazioni, ieri notte. Sei tu ad averlo nascosto in casa dei tuoi genitori. Ciò che ora vedi è una conseguenza delle tue scelte. Del tuo desiderio di dire basta. Accoglila. La luna. L’acqua. Sarà tua madre e noi i tuoi fratelli e sorelle.»

«Mi stai chiedendo di unirmi a voi?»

La ragazza scosse la testa e si allontanò un poco. «Non so nemmeno chi siete. E poi… la mia casa…»

«La tua casa l’hai persa il giorno in cui tuo padre ti ha fatto del male per la prima volta e tua madre è rimasta a guardare. Sei orfana da allora.»

Ebbe un tonfo allo stomaco. Non aveva mai visto la cosa sotto quella prospettiva.

«Da noi starai bene. E potrai aiutare altre persone. Quelle come te. Dimenticate. Oppresse.»

Rivolse lo sguardo al fiume. L’acqua, come correva. Nessuno poteva fermarla. Una nuova immagine le lampeggiò nella testa, l’ultima. Un volto femminile che sorrideva, a malapena visibile nella luce accecante di cui riluceva. Ma ebbe la sensazione che fosse bellissima.

Sorrise. «Va bene» disse e, per la prima volta da anni, si sentì felice. «Verrò.»

Salvo diversa indicazione, il contenuto di questa pagina è sotto licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 License