Gita Nel Bosco
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I suoi effetti anomali diventano sempre più rari. Ormai ha 15 anni ed è un adolescente quasi normale. Ovviamente, la sua psiche si dimostrava essere ancora troppo fragile, ma il programma iniziato quando aveva dieci anni si è rivelato molto efficace: adesso, le sue crisi sono facilmente gestibili e tutto il Sito Iride ne è contento. Anche io ed Elia ne siamo lieti. È da cinque anni che seguiamo attentamente la sua evoluzione, grazie alle interviste fatte ogni settimana. Interviste che si sono rivelate benefiche sia per lui che per noi. Di solito, tranne che per i Mascherati, una volta contenute, non ci preoccupiamo troppo delle entità che recuperiamo. Ma quei piccoletti non facevano casini: avevano bisogno d’aiuto e questo ragazzino ancora di più. Ancora oggi, cinque anni dopo, mi ricordo le sue grida di terrore mentre bruciava, spaventato dallo scontro che io, Elia e la nostra squadra abbiamo avuto con i suoi rapitori. E lui se ne ricorda ancora, di tutti quegli anni che ha passato rinchiuso in una miniera, usato e abusato come uno schiavo a causa della sua capacità anomala. Nutrito ogni due giorni, sdraiato nudo sul suolo ciottoloso, annegato nel lago sotterraneo quando non riusciva a “lavorare”, senza cura, senza istruzione, senza l’affetto che un bambino di dieci anni necessita. E nonostante non dovessimo creare legami con le entità, Elia e io ci siamo affezionati a lui. È successo perché è un essere umano, come noi, e perché la nostra presenza lo rassicurava. E alla fine, abbiamo stretto un legame speciale con lui. Elia meno di me, ha già delle figlie di cui occuparsi ed è concentrato a seguirle nella crescita; io, invece, ho delle difficoltà a non legarmi a questo bambino. Il problema è che noi agenti non dobbiamo creare legami con le entità. Ma non ci sono mai riuscito, soprattutto con quelle senzienti. I Mascherati avevano bisogno di me per proteggersi e questo ragazzino doveva essere salvato. Non ho preso un proiettile nella spalla per niente, non mi sono sacrificato per poi abbandonarlo.

Ma ora ha 15 anni e sa controllarsi. Dopo alcuni test che consistevano in delle passeggiate intorno al Sito Iride, sotto stretto controllo dalle guardie, il direttore Santandrea gli ha concesso una passeggiata eccezionale, più lontano, in un luogo che gli piace, e gli ha dato la possibilità di scegliere di essere accompagnato da un agente di cui si fida particolarmente. Ovviamente, la sua risposta è stata “Elia o Arturo”. Elia è a Genova, quindi la scelta è caduta su di me. Lo porterò nella foresta, che a me piace così tanto, e lui mi accompagnerà, vestito da capo a piedi con una tuta ignifuga. Meglio evitare eventuali danni.

— Sarete sorvegliati a distanza nel caso in cui un incidente dovesse accadere. Non esiti a rendere la passeggiata più corta se qualcosa non va.
— Certo.

Mi sono vestito da civile, non serve indossare l’uniforme, non è una missione. Non posso scartare il rischio che si attizzi un fuoco, ma il rischio è debole, si è sempre sentito in sicurezza con me.

— E si ricordi, tenente Santilli: anche se gli effetti anomali dell'entità scompaiono a poco a poco, non è completamente stabilizzata. I suoi effetti potrebbero ripresentarsi.
— Ne sono perfettamente cosciente.

Ecco che tre guardie conducono a me l'entità, eccitata perché sa cosa sta per succedere. Sono accompagnati dalla dottoressa Callassi, che mi dà delle cuffie per rimanere in contatto con la squadra che ci sorveglierà e dovrà intervenire se dovesse esserci necessità.

— Buongiorno, dottoressa Callassi.
— Buongiorno, tenente Santilli. Le abbiamo portato Tommaso.

Lui guarda dappertutto, con un po’ d’ansia ma senza paura. Vedendomi, si precipita tra le mie braccia. Lo abbraccio senza vergogna. La dottoressa Callassi mi mette un piccolo pacchetto in mano.

— Copertura ignifuga. Non si sa mai.

Continua, abbassando la voce.

— È molto contento di uscire ma anche molto ansioso, è da cinque anni che non esce da qui. Ha chiesto lui stesso una medicina da prendere nel caso accadesse un problema che non potrebbe essere risolto da lei o dagli esercizi di rilassamento che ha l’abitudine di fare. Vuole davvero che tutto vada bene, sia per lei che per sé stesso.

Mi consegna anche un altra piccola scatolina. Dentro ci sono delle pillole. La metto nella mia tasca. Sono dei sedativi.

— Non portatelo vicino a fiumi o laghi, ha paura dell’acqua profonda. Brutti ricordi.
— Non è infatti mia intenzione. Voglio portarlo in una foresta che conosco perfettamente.
— In Abruzzo, giusto?

Annuisco.

— Esatto. I miei genitori erano agricoltori in Abruzzo, ci sono nato, cresciuto e ho lavorato per 18 anni come guardacaccia nel Parco Nazionale del Gran Sasso prima di essere reclutato, conosco molto bene le foreste della regione. Inoltre, è vicino al Sito Cerere, e da quel che so il dottor Santandrea ha avvertito il dottor Passini della passeggiata che stiamo per fare.

La dottoressa Callassi annuisce.

— Ha ragione. Il direttore Passini è stato avvertito e ha avvisato le guardie del suo sito.

Passo una mano tra i capelli di Tommaso, sempre stretto contro di me. Ripenso al gruppo di Mascherati che ho incontrato in questa foresta otto anni fa. Se solo potessi, porterei Tommaso al Cerere per fargli vedere quegli adorabili folletti cinesi e il loro appassionante modo di vivere. Gliene avevo parlato all’inizio del suo contenimento, quando era convinto di essere la prima creatura anomala che incontrassi. In realtà no, non lo era: tre anni prima ero stato infatti trovato da quelle piccole creature, che mi hanno salvato dall'attacco di un lupo. Mi portarono nel loro villaggio e ci passai la notte. Tutto ciò che possedevano, comprese le case in cui abitavano, era troppo piccolo per me; nonostante ciò, si presero cura di me.

— Andiamo, Tommaso?

Annuisce con gioia. Mi afferra la mano come farebbe un bambino con suo padre e si lascia portare in macchina. All'entrata, vedo una ventina di soldati palesemente armati e dei veicoli. Tommaso capisce subito.

— Mi sorvegliano.
— Si, è necessario; non sei ancora stabilizzato. Ma non hanno il diritto di sparare se non accade niente di male. E non sono qui per ucciderti, Tommaso, sono qui per aiutarci.

Seguiti da un camion di guardie, usciamo del Sito. Tommaso è tutto eccitato e cinguetta come un uccellino contento.

— Sei felice?
— Si! Molto felice, voglio vedere la tua foresta. Così dopo potrò disegnarla. Ho delle nuove matite colorate.

Mi fa vedere la sua borsa.

— Maureen ha detto che potevo portare fogli e matite.
— Certo! Ti lascerò tempo per disegnare.

È tutto contento e mi fa piacere. È ancora magro e piccolo, ma non è più lo stesso ragazzino distrutto che abbiamo recuperato in quella miniera. Le uniche cose che rimangono di quel periodo oscuro sono le cicatrici delle catene sui suoi polsi e il braccio sinistro ancora un poco atrofizzato.

— Sai, Arturo, sono stato io a chiedere a Maureen di darmi la medicina che mi fa stare calmo. Non voglio che accada qualcosa di brutto. Ti ho già bruciato una caviglia e i pantaloni.
— Hai fatto bene a chiedere, non si sa mai.

Abbassa la testa.

— Mi dispiace ancora per aver bruciato la tua uniforme, Arturo.
— È stato cinque anni fa, Tommaso, non ti scusare per una cosa accaduta tanto tempo fa. Avevi dieci anni, eri spaventato, stavi soffrendo, eri ferito, hai avuto paura e quindi hai iniziato a bruciare.

Inizia a piangere.

— Sono brutti ricordi, sai.
— Lo so, Tommaso. Lo so. Non ci pensare più, ti prego. Rilassati, ormai sono in prigione e non ti faranno più del male. E non ti ho mai biasimato per avermi bruciato un'uniforme qualsiasi.

Chiude gli occhi e respira profondamente. Esercizio di rilassamento imparato dagli psicologi dell’Iride. Concentrarsi sulla sua respirazione lo aiuta a non pensare ad altro. Anche Aurora lo fa e la fa stare bene.

— Hanno detto che oggi è un test. Non brucio più Arturo. Non brucio eppure mi hanno fatto fare dei test terribili, dei tizi con una tuta arancione mi hanno insultato, hanno provato a pestarmi, hanno fatto casino nella mia stanza. All’inizio ho provato a fare gli esercizi di respirazione che ho imparato e ho chiesto loro con calma di uscire e di lasciarmi tranquillo, ma mi hanno pestato.

Come cazzo fa la SRE-M ad autorizzare questi test? A cosa servono 'sti scaldasedie? Il Settimo Sovrintendente l'ha resa tanto potente per nulla, se continuano a fare test del genere? È forse troppo occupato a controllare le cazzate del dipartimento di memetica?

— Non ho bruciato. Avevo paura, avevo male ovunque, urlavo e pregavo ma non bruciavo.

Non riesco nemmeno ad essere fiero di lui, posso solo immaginare il dolore e il terrore che ha provato.

— E quanto sono durati questi test?

Inizia a tremare. Evita di rispondere direttamente alla domanda.

— Sì… Ma alla fine un tizio alto con capelli biondi e occhiali e una grossa cicatrice sul mento è arrivato e ha voluto vedere tutto. Urlava e ha detto che dovevano smetterla subito se non volevano essere cacciati dalla Fondazione a calci nel sedere.

Settimo. Durante l’addestramento all'ULIS, mi ero legato a un tizio che voleva entrare nella SRE-M. All’epoca Settimo era un semplice agente della SIR-II, ma secondo quest’amico, una volta divenuto Sovrintendente, ha reso la SRE-M molto potente e non esita a spostarsi lui stesso presso i differenti siti quando succede qualche pasticcio. E allora fa sentire la sua voce.

— E poi hanno smesso di farti soffrire?

Tommaso annuisce.

— E poi il tizio con i capelli biondi mi ha fatto delle domande. Mi ha chiesto il mio nome e cosa facessi qui. Quando ho risposto, mi ha detto che anche suo figlio si chiama Tommaso ma ha 12 anni. Mi ha detto che avrebbe fatto di tutto per far smettere questi test, perché è un direttore molto potente.

Ha un sorriso timido.

— E io ne ero sicuro perché aveva un costume con la cravatta al lavoro, e la gente che ha il costume con la cravatta al lavoro è potente e importante.

Non gli spiegherò l’organizzazione interna perché sarebbe troppo complicato, anche se avesse il livello cognitivo di un ragazzo di 15 anni.

— Si, è un signore molto importante, è un direttore che si occupa del benessere dei tizi con la tuta arancione ma anche delle persone dell’orfanotrofio in cui vivi e anche degli altri bambini.

Tommaso crede di vivere in un orfanotrofio per bambini “strani”, come dice lui stesso. Non gli dirò il contrario.

— Cosa faremo nella foresta, Arturo?
— Potremo fare una passeggiata, ti mostrerò animali, ti insegnerò a riconoscere gli alberi, potrai sederti a terra per disegnare…

Devo andare al Cerere e ritrovare Aurora. Il piano è quasi riuscito e mi pentirei che tutto fallisca all’ultimo momento.

La strada fa vedere chilometri di asfalto. Tommaso parla liberamente, senza temere che io gli dica qualcosa. Non ha mai parlato così francamente, così apertamente, con così tanta gioia. Non l’aveva mai fatto fino ad oggi, come se avesse paura del giudizio della squadra di psicologi del sito, come se si fidasse più di me che di loro. E io ne provo piacere, non me lo sarei mai immaginato. Non ho molto avuto a che fare con i bambini, tranne che con i miei nipoti. Io e Aurora non abbiamo mai potuto avere figli. Il dramma della vita di mia moglie. Abbiamo provato molte volte, ma invano, e dati i nostri lavori, non possiamo adottare. Mi accontento dei miei nipoti, ma Aurora non ha mai superato la cosa e all'inizio la sentivo spesso piangere quando andavo da mio fratello. Ora, non lo fa più ma mi strappava il cuore, perché avevo l'impressione di essere la causa della sua tristezza.
Forse è la ragione per la quale voglio tanto bene a Tommaso. Forse lo prendo per il figlio che non abbiamo mai potuto avere. In quanto agente della Fondazione, devo essere obbiettivo e imparziale, ma, di fronte a lui, non ci riesco.

— Adoro gli scoiattoli e gli uccelli e le tartarughe e… Oh, Arturo, vedremo degli scoiattoli e delle tartarughe nella foresta?

Ha lo stesso accento veneziano che ha Elia; come diamine ci è arrivato in Molise?

— Tommaso, sei di Venezia?
— Sì, ma mi hanno portato molto lontano con la macchina. Non so dov’era, era molto lontano. Mi hanno detto che ero su un'isola, ma non abbiamo mai preso una nave, quindi non era vero e mi hanno mentito.

Non ha mai confessato questo. Non è mai stato scritto nel rapporto che lo riguarda. Ha aspettato cinque anni per dirmelo e non capisco perché, né se dice la verità.

— Non eri su un'isola, te lo assicuro.

La foresta si fa vedere, assieme all’alta struttura del Sito Cerere. Parcheggio la macchina al margine e faccio uscire Tommaso, che è molto contento.

— Cos’è quella struttura là?
— Un centro di sorveglianza della foresta.

Anche se vorrei tanto andarci, non posso. Anche se so che SCP-076-IT mi vedrà e vorrà salutarmi. Sorvegliano tutto in cima agli alberi della loro zona di contenimento e vedono tutto.

— È per evitare che dei cattivi accendano fuochi?
— Si, o che la gente cacci senza autorizzazione. Ci sono tanti animali in questa foresta.
— Dei maiali e dei lupi?
— Cinghiali, non maiali. E lupi, sì. Ma si nascondono, hanno paura degli umani e cacciano solo di notte.

Entriamo nella foresta. Tommaso non lascia la mia mano. È estasiato e osserva tutto. Gli alberi, la terra, i sassolini. Il suo materiale da disegno è nello zaino, disegnare lo rilassa e lo aiuta a esprimersi quando non trova le parole. Il suo vocabolario è ancora scarso.

— Arturo, potrò sedermi un po’ per disegnare e riposarmi? Adoro il rumore della foresta e il vento.
— Certo che potrai.
— E andremo alla struttura?
— Non potremo entrarci ma devo recuperare mia moglie.

In questo momento sento parole in quello che presumo sia cinese. Alzando la testa, vedo piccole creature dalla pelliccia grigia, con un volto di placca ossea bianca, mentre mi salutano in cima agli alberi che stanno al di là del muro del Sito. Agito la mano in cenno di saluto e vedo delle giovani istanze che saltano di gioia. Tommasso si eccita.

— Dei folletti pelosi! Sembrano avere maschere che fanno paura come per Halloween.
— Si, hai ragione. Ma loro non sono cattivi, sono solo timidi.

In questo momento mi viene una musica in mente, una musica di Mario, e inizio a fischiare incoscientemente. Le istanze agitano le braccia e Tommaso è stupito.

— Arturo, posso entrare nella foresta dei folletti? Voglio giocare con loro.

Scuoto la testa.

— Non puoi, Tommaso, sono troppo timidi, andranno a nascondersi.

Ci sono solo due persone che non temono per nulla: Luigi Foriani e quello stronzo di Domenico Iriarte. Non so perché, ma penso sia legato al fatto che con loro riescano a comunicare meglio che con chiunque altro, il primo perché è cinese, il secondo perché è specialista della Cina medievale. Mi temono un po’, ma posso capirli, non mi vedono spesso.

— Oh… Posso disegnarli, almeno?
— Certo che puoi.

Emette un grido di gioia. Si siede per terra e inizia a disegnare. Allertati, altri mascherati salgono in cima all’albero. Alcuni di loro mi riconoscono e sento molti “buongiorno” in cinese.

— Ma non parlano italiano? Parlano il follettese?

Rido. È una mancanza di vocabolario e un lieve disturbo mentale, ma è comunque carino.

— Parlano cinese, Tommaso.

Il vento inizia a soffiare. Un vento fresco, che fa bene in questa calda giornata di agosto. Osservo un bambino anomalo che osserva dei Mascherati che mi osservano. Tommaso è tutto felice mentre disegna e non so cosa dire. Ho voglia di dargli un abbraccio ma non oso. Mi siedo per terra, vicino a lui, e guardo il suo disegno. Ha fatto tanti progressi sin dal suo recupero nel 2015. So che quando la dottoressa Callassi lo interrogava, all’inizio, Tommaso aveva una seria mancanza di vocabolario ed esprimeva tramite disegni le cose che non sapeva descrivere. Disegnava male, come qualsiasi bambino di cinque anni. Vedo che è migliorato, ma tantissimo.
Non l’ho mai interrogato, non sono un ricercatore, sono un soldato, il mio lavoro è quello di recuperare le entità, nient'altro. Sono i ricercatori a studiare le anomalie e a interrogarle. Nulla che mi compete. Tommaso mi parlava spontaneamente, sono suo amico, tutto qua.

— Arturo?

Una voce femminile. Mi alzo, è arrivata.

— Chi è? Mi chiede Tommaso.
— È mia moglie. Ti avevo parlato di lei, si chiama Aurora.

La abbraccio, accarezzando i suoi capelli rossi, una cosa che adoro fare.

— Stavo studiando 076 e ho visto che si agitavano, dicendo che era arrivato “il visitatore”, ho capito che fossi arrivato con il ragazzino. Si chiama Tommaso, giusto?

Annuisco. Aurora si avvicina di lui.

— Buongiorno, Tommaso, sono Aurora, la moglie di Arturo.
— Buongiorno Aurora, Arturo mi ha parlato di te. Hai dei bei capelli.
— Grazie mille. Cosa disegni?

Tommaso la lascia guardare. Aurora lo congratula in modo un po’ eccessivo, ma adatto a un adolescente che soffre di un ritardo mentale. Al contrario di me, ci sa fare con i bambini. Mi ricorda Callassi, mi chiedo come mai abbia preferito diventare veterinaria e non psicologa.

— Arturo, posso parlarti?

Ci allontaniamo un po’. Tommaso non ci nota, troppo occupato a disegnare i Mascherati, che si mettono in gioco e danno spettacolo. Quando sono distanti, sono molto amichevoli e ballano spesso per divertire i giardinieri e il personale. Di tutto quel Sito, è l'entità senziente più pacifica che Tommaso potesse incontrare.

— Quindi questo ragazzino è un’entità?
— Sì. È il bambino che abbiamo ritrovato in una caverna, quello che si fida di me e che mi vuole tanto bene. E devo ammettere che gli voglio molto bene. Brucia quando prova emozioni negative, ma è diventato molto più calmo, grazie ad una lunga terapia, e riesce a calmarsi nell'80% delle situazioni.
— Ne avevi parlato. Gli effetti anomali iniziano a scomparire.

Annuisco.

— Non so se scompariranno definitivamente, ma siamo sulla strada giusta.
— E vorresti adottarlo. È di lui che mi parlavi.

Annuisco ancora.

— Sai che mi sono sempre pentita di non aver mai potuto darti figli, Arturo.
— Lo so, amore, e sai che non è colpa tua.

Guarda Tommaso che si gode il vento.

— È vero che è molto carino e sembra simpatico. È vero che se avessimo un figlio, sarei molto contenta. Ma sai quanto sarebbe complicato, Arturo?

Mi abbraccia.

— Dovremo parlarne molto seriamente.

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