Diavoleria
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C’è un altro conglomerato di dita mozzate nell’ultima stanza, che riveste l’interno della camera come come le interiora di un elefante esploso. Alcune parti della larga massa si muovono con calma, come muffa, all’interno di un armadietto medico e le altre sono distese su una barella in una forma fetale. La massa reagisce bruscamente al cambio di luce quando Wheeler apre la porta, impennandosi e puntando parti di sé verso l’uomo. Wheeler indietreggia barcollando e chiude la porta giusto in tempo; si sente un thump pesante e polposo quando la massa colpisce la porta dall’altro lato, ma regge.

Wheeler inciampa sui sé stesso e cade contro il muro dall’altro lato. Sulla barella c’è la figura di un uomo avvolto in qualcosa. Non un cadavere, ma un umano vivo con un occhio spalancato il cui intero corpo stava venendo lentamente consumato e processato in altre dita. Stavano crescendo nella sua gola. Wheeler non l’ha visto. Crede di averlo visto, ma sa che non è possibile.

Tutto qui. Wheeler gira per il corridoio. Ogni altra porta che prova ad aprire è chiusa o bloccata. Il luogo è sottoterra, quindi non ci sono finestre. Nessun condotto di ventilazione agibile.

Si sentono altri due spari in fondo al corridoio, nello spazio chiuso spaccano i timpani e rimbombano per molti secondi. Hutchinson, affannata, volta l’angolo, pistola in mano, e lo raggiunge velocemente. "Trovato un’uscita?" chiede, inutilmente. Riesce a leggere l’espressione di Wheeler. Non ha trovato nulla di buono.

"Questo posto è infestato," dice Wheeler. "Ogni stanza, ogni scala… È assurdo."

In fondo al corridoio, la massa principale si trascina intorno all’angolo. Da questa distanza, sembra una pila di otto tonnellate di purea di patate e grasso ammuffiti, con vermi striscianti. Ci sono dita di mani e piedi, e anche piccoli denti e pezzi di ossa. Ha venti fori di proiettile, e da tutti sgorga sangue, ma se ha degli organi vitali devono essere da qualche altra parte nell’edificio perché nessuna delle ferite l’ha rallentato o ha alterato il suo schema di movimento lento e sistematico. Ha un odore forte e creativamente disgustoso, come scarto medico concentrato.

Avanza vacillando a intermittenza, ricoprendo i muri e il pavimento con della melma scarlatta ad ogni movimento. Li avrà raggiunti in circa mezzo minuto, schiacciandoli contro il muro del corridoio, trascinandoli poi in quello schifo per essere rimodellati.

"Credo che sia finita," dice Wheeler con voce tremante. "Grazie per averci provato."

Hutchinson, dal canto suo, resta ferma, con la pistola bassa, osservando la cosa avvicinarsi. Si muove lentamente, come uno schiacciasassi. Riempie il corridoio quasi fino al soffitto.

Le restano due proiettili e sta ragionando su come usarli. Sparare alla massa è come sparare a un budino. Ucciderebbe per una granata. Persino un’ascia antincendio sarebbe meglio. Potrebbe non riuscire a fermare la cosa, ma quantomeno con un’ascia potrebbe lasciarle il segno. Potrebbe farlo pentire un po’.

"Ci sono destini peggiori, suppongo," continua Wheeler, incapace di smettere di parlare "piuttosto che venir digitalizzato da quella roba, ma non così tanti."

Hutchinson guarda verso di lui, apparentemente dandogli attenzione diretta per la prima volta da quando si sono incontrati, sessanta minuti prima. "Pannello di controllo," dice.

"Che?"

Spinge indietro Wheeler. Alle sue spalle c’è un muro tinteggiato di bianco. Dentro c’è un lucchetto, e una lunga linea divisoria verticale. Impiega qualche secondo per decidere dove sparare, e fa fuoco. Dietro il largo pannello che si apre c’è uno spazio polveroso, poco profondo e rivestito di metallo, come uno spazio per ascensori senza ascensore, che permette a dei cavi e cavetti sporchi di attraversare verticalmente i piani dell’edificio. Guarda in alto. C’è a malapena spazio per una persona.

"Sai arrampicarti?" chiede a Wheeler. Senza aspettare risposte, getta la giacca del suo completo, si mette una torcia tra i denti e si tira su al buio. Dopo pochi secondi di scalpiccii, si sente un altro sparo. L'altra porta del pannello di controllo.

"No," riesce finalmente a dire Wheeler. "No, non so arrampicarmi!" La massa l’ha quasi raggiunto, è pietrificato dai suoi movimenti, il suo modo di attaccarsi alle cose, fin troppo familiare.

"L’avevo intuito," grida Hutchinson dall’alto. Da lì spunta una mano, una mano umana con il numero classico di dita. "Qui su è sicuro. Andiamo, ho l’imbracatura. Guarda questo bordo qua, è in metallo. Forza!"

Wheeler si tiene la giacca ben abbottonata; è la sola parte della situazione di cui ha ancora vero controllo. Deve saltare per afferrare la mano di Hutchinson, e come salta, la massa si scaglia su di lui, attraversando di corsa gli ultimi metri e afferrandogli un piede.

Si vede morire.

La sua mano sudata inizia immediatamente a scivolare via da quella di Hutchinson. Lei si tiene l’altro braccio e lo tira su con un verso furioso, poi lascia la mano per un nano secondo e si allunga tempestivamente per afferare in maniera più salda il suo polso, poi continua a tirare. La massa si avvinghia al piede di Wheeler come delle sabbie mobili aggressive e feroci. Lui strilla e la prende a calci con l’altro piede finché finalmente non gli si slaccia la scarpa. La massa si fa indietro per un attimo, perdendo momenti cruciali nel realizare che la sua preda non è carne viva, ma per allora Hutchinson ha già tirato su Wheeler di un altro mezzo metro e questo ha iniziato a tirarsi su per il condotto con i suoi piedi. La massa scatta di nuovo, ma non raggiunge l’obiettivo e sembra troppo poco intelligente per arrampicarsi e seguirli. Si scuote un po’, sondando i dintorni, perplessa dalla scarpa.

Hutchinson tira Wheeler su per il ciglio dentro un altro corridoio. Striscia malamente le costole e arriva lì strisciando, con gli occhi lacrimanti. Non muore, ma può ancora sentirsi morire. Rimane acquattato per un lungo tempo, processando quanto accaduto.

"Cazzo!"

Hutchinson è già in piedi, e apparentemente non è neanche particolarmente impressionata. "Dobbiamo arrivare sul tetto. Da lì potrei riuscire a trovare segnale."

"Vai spesso in palestra?" ansima Wheeler, risedendosi. "Ti alleni per diavolerie simili?"

"Già."

"Fantastico," dice Wheeler "perché io suono il violino. Non richiede chissà che sforzo fisico. Come carriera, intendo. Quando hai detto di essere un’ispettore sanitario regionale, era un’enorme bugia, vero?"

Hutchinson ignora la domanda, la forza dell’abitudine, e aspetta impassibilmente che l’uomo si tranquillizzi.

"È stupido," afferma Wheeler. "Questi sono danni cerebrali." Gli si è accapponata la pelle, e visioni grottesche hanno pervaso il suo cervello. Alla fine riprende a respirare correttamente e si tira in piedi. È sbilanciato, quindi si toglie l’altra scarpa e la butta giù dal condotto per simmetria.

"Dobbiamo raggiungere il tetto," dice di nuovo Hutchinson.

Wheeler sbatte le palpebre per un lungo momento, poi si concentra su qualcosa sull’angolo, qualcosa sul muro che Hutchinson, da dove si trova, non può vedere. "Sì. Un attimo." Ci si avvicina — è un pannello rosso — e abbassa qualcosa. "Ecco, non hai avuto fortuna con la pistola. Prova questa."

È un’ascia antincendio.

*

Dopo lo spettacolo aveva pestato un chiodo arrugginito del camerino ed era andato al pronto soccorso per un’antitetanica. Mentre aspettava, si era lentamente accorto che più della metà delle persone in attesa assieme a lui avevano dita parzialmente o interamente mozzate. Incidenti con le motoseghe; mani chiuse nella portiera della macchina; mani bloccate nei cardini della porta; mani schiacciate da macchinari; nessuno di loro era correlato. C’era stata un’epidemia di ferite, che sarebbe dovuta essere impossibile, e quando aveva provato a discuterne con il personale medico non sembravano capire cosa stesse dicendo.

E a quel punto ha visto fuggire una delle dita. L’ha seguita mentre strisciava per il lungo corridoio fino a un angolo lontano dell’ospedale, fino a una porta socchiusa che nessuno nell’ospedale sembrava capace di percepire a parte lui, e dentro un altro edificio in cui non c’era alcuna persona, vi erano migliaia e migliaia di dita striscianti, che esploravano e si riproducevano e allungavano lentamente.

Aveva sbattuto la porta e provato, fallendo, a far vedere a qualcuno, chiunque, impiegato o paziente, quel che lui stava vedendo. Aveva trovato un telefono pubblico, composto il numero per le emergenze e fatto la sua ordinazione, richiedendo una disinfestazione industriale o un contenimento d’emergenza o supporto psicologico o qualcosa.

C’era stata una lunga pausa, ed era stato messo in collegamento con quel che poteva essere o un umano privo di emozioni o un operatore robot incredibilmente articolato. Gli aveva detto di restare in attesa; un associato sarebbe stato lì entro breve. Era arrivata Marion Hutchinson in persona, poco meno di quindici minuti dopo.

Le aveva mostrato la porta. Avevano fatto qualche passo al suo interno, mentre Hutchinson si abbassava prendendo la mira con una sorta di torcia/scanner sui vermi di dita. Dietro di loro, qualcosa si era avvicinato e aveva delicatamente spinto la porta, che si era chiusa con un click. Si erano voltati, avevano visto cos’era, e avevano iniziato a correre.

*

Hutchinson si fa strada attraverso l’ultima scalinata bloccata dalla carne. Sono quasi arrivati sul tetto. Questa parte dell’infestazione diffusa non sembra essere mobile, però è incredibilmente appiccicosa.

Wheeler è a tre passi da lei, in parte per evitare i contraccolpi, ma principalmente perché così non è costretto a guardare. È macelleria, ed è raccapricciante, e Hutchinson sembra a malapena turbata da ciò; li affetta metodicamente finché non resta che un fiume di membra e sangue che vien giù dalle scale e bagna le loro scarpe e calze, e lo fa allo stesso modo di qualcuno che pota una siepe.

Whunch. Krunlch.

Wheeler ha i brividi e sta iniziando a crollare. Se non resta fermo proprio al centro della scalinata, il resto delle dita si aggrappa ai suoi capelli e le sue maniche. Tra qualche altro minuto potrebbe capire che sta accadendo davvero. "Questa cosa è assurda, è una boiata," si ripete ancora e ancora.

"Qual era la parola che hai usato lì?" chiede Hutchinson all’improvviso.

"Mmm?"

Whunch. "Non distrarti. Quando la massa stava attraversando la sala. Hai detto 'digitalizzato'?"

"…Um." Wheeler sembra cambiare ritmo e svegliarsi. "Sì. Uh, ma, nel vecchio senso della parola—"

"'Digitus' significa 'dito', quindi 'digitalizzato' significa 'trasformato in dita'. L’ho appena capito." Sta sorridendo, lo capisce per come suonano le sue parole. Chlunk. "È fantastico."

"Davvero?"

"Che tipo di musica da violino?"

"Uh. Che tipo vorresti sentire? Stanotte— l’ultima notte— Cristo, il concerto di ieri era il Concerto per Violino di Prokofiev No. 1. E qualche altro brano, ovviamente, ma quello era la mia portata principale. È lì che ho affondato i denti."

Hutchinson smette di farsi strada e si gira. In realtà lo sta guardando negli occhi. "Quel brano è un incubo."

"È una sfida," ammette Wheeler, vivacemente.

"No, intendo che è caotico. È inascoltabile."

"Posso suonare qualunque cosa ti piaccia," afferma Wheeler.

Hutchinson sembra fermarsi un attimo a considerare la possibilità. "Bach. Puoi suonare qualcosa di Bach?"

"Basta che mi porti un violino."

Hutchinson pensa ancora un momento. Sorride e fa un cenno col capo, poi torna a farsi strada.

*

E appena arrivano sul tetto la radio di Hutchinson riprende finalmente a funzionare, e lei chiama di tutto. Parla con parole chiave rapide che Wheeler non riesce affatto a seguire, tuttavia riesce a recepire il suo nome e "hazmat" e una parola ripetuta che gli suona come una marca di videocassette: "Memetica".

È quasi l’alba. Quest’ala dell’ospedale è qualche piano più bassa della sezione principale, mentre il tetto dà su due ampi parcheggi e vegetazione e strade e un rosso tenue e spento nella direzione da dovrebbe venire il Sole. Hutchinson verifica velocemente che non ci sia nessun’uscita di emergenza da lì; l’uscita antincendio prevista è quella da cui sono appena arrivati, quindi dovranno aspettare un elicottero. O, più probabilmente e meno romanticamente, una lunga scala.

"I soccorsi stanno arrivando," conclude Hutchinson. "Devono venire da oltre la città vicina, quindi potrebbero metterci qualche ora. Avranno dispositivi di decontaminazione, antibiotici, coperte, noiosi moduli per interrogatori, di tutto. Ma soprattutto, caffè."

Wheeler produce un suono inarticolato, il suono di chi potrebbe bere del caffè e, dopo, un drink. "Dio, ho un altro concerto oggi," dice. Si siete sul grande parapetto, si stropiccia gli occhi, si massaggia i piedi doloranti e comincia a collassare.

"Ci sarai," dice Hutchinson. "La parte brutta è finita. Sei stato bravo per essere un civile. Ho visto di molto peggio."

"Peggio di così?"

Hutchinson non dice nulla.

"Scusa." Wheeler riapre gli occhi. Indica il caos da cui sono appena fuggiti, la porta antincendio e tutto ciò a cui porta. È tutto ancora lì. "Hai visto di peggio di questo?"

Hutchinson, di nuovo, non dice nulla.

"Cos’è questo? Cos’è successo qui?"

All’inizio Hutchinson non risponde neanche a questo. Passeggia per il tetto e passa un intero minuto ad osservare il Sole in procinto di nascere.

Poi, sorprendendo Wheeler e persino sé stessa, torna da lui e dice:

"SCP-4051, che è il numero che abbiamo appena assegnato a quest’infestazione, ha una proprietà intrinseca che rende quasi impossibile percepirlo per gli organismi sapienti. È una forma di mimetismo. Non è invisibile, è un effetto che blocca la mente. Le informazioni a riguardo non portano a nulla, viene soppresso. Le persone passano vicino a questo edificio ogni giorno della settimana. Non vedono cosa blocca le finestre. Camminano vicino a quella porta e non realizzano che è aperta. Potrebbe esser stato qui per decenni. Alla fine i ricercatori ne ricostruiranno la storia completa."

Wheeler ritrova qualcosa che capisce in parte nella spiegazione. "Quindi… fnord viventi?"

Questo di fatto blocca Hutchinson per un secondo. Coglie il riferimento. Ha letto quei libri quando era più giovane, anni fa, prima di entrare nella Fondazione. Ma non aveva mai fatto il collegamento tra fnord e il suo lavoro. Per tutto il tempo che ha lavorato lì, non ci ha neanche pensato. L’ironia è abbastanza intensa da scottare.

"Sì," dice.

"Tranne che puoi vederli," dice Wheeler.

"Io ho un addestramento specialistico," dice Hutchinson, rifiutando di menzionare il suo regime farmacologico.

"E pure io posso vederli."

"Pare che tu abbia una lieve immunità ai fenomeni di offuscamento mentale," spiega Hutchinson. "È raro, ma capita. A un ospedale così affollato, era inevitabile che qualcuno come te capitasse in questo posto, prima o poi." E fuggisse vivo, aggiunge per sé. "Ma il punto è… questa infestazione, SCP-4051, è come un fiocco di neve. Non nel senso che è unica e speciale, ma nel senso che è parte di un tempesta.

"Lavoro per un’istituzione indipendente di ricerca scientifica concentrata sul contenimento di fenomeni anomali rischiosi. Abbiamo un mandato internazionale e risorse formidabili e… responsabilità inimmaginabili. Noi… noi osserviamo la tempesta. E difendiamo il fuocherello. Ci chiamiamo Fondazione."

Ora ha tutta l’attenzione di Wheeler. Lì si sente teso ed esposto, vulnerabile a forze naturali straordinarie da cui in teoria dovrebbe fuggire. Ma è anche affascinato. Hutchinson ha un atteggiamento vagamente etereo. È come se non si trovasse sullo stesso pianeta di chiunque altro.

"Quindi non sei dell’ FBI," dice. "Insomma, o uno o l’altro. Quella era l’altra ipotesi."

Hutchinson arriccia il naso. "Odio quel programma."

"Non credo di aver menzionato un programma," si azzarda a dire, Wheeler.

tutto sbagliato," dice Hutchinson. Ha toccato un tasto dolente. Si scuote con rabbia. "Non hanno abbastanza gente; non si fidano l’un l’altro. Non spendono neanche lontanamente abbastanza tempo sulle scartoffie. Le scartoffie salvano vite. Il peggio? Odio quel 'Ce la faranno o no?' Per quanto, cinque anni? È forzato, ridicolo." Dà un’occhiata a Wheeler. "Non ci vuole così tanto a capirlo. Ce la farai, o non ce la farai. E poi lo fai."

Wheeler legge con cautela la sua espressione. "Davvero?"

"Sì," dice Hutchinson, sorridendo di nuovo. "Sì, penso che sia così."

Lentamente si intensifica un rumore sordo e rapido. Hutchinson vede per prima la fonde del suono e la indica. "I soccorsi sono qui. E pare che abbiamo recuperato un elicottero, dopotutto."

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