Guten tag kinder!
Vi metto qui un piccolo racconto fatto mentre ero sonnambulo. Sarebbe una storia triste sulla morte di un soldato olandese durante la seconda guerra mondiale
Allora Dr Pistos, visto che mi hai detto che posso lasciare pareri anche qui, ti accontento: il racconto, anche se molto breve, lo trovo molto carino e, sì, mette un po' di tristezza. Ci sarebbero un paio di frasi da riformulare e il problema delle TROPPE virgole, ma io l'ho trovato molto carino… Complimenti.
P. S.: Scrivi di più di notte XD
Oh no
This is too sad
T.T
Breve, bello e intenso… mi è piaciuto.
In generale, evita le ripetizioni; per esempio in
Una nebbia li catturò, una nebbia fitta, tanto fitta da far perdere le tracce dei suoi compagni a Johan…
farei "una fitta nebbia li catturò, opprimente, densa, così tanto da fargli perdere le tracce dei suoi compagni"
Per il resto, nice work.
Danke schön ad entrambi. Nel mentre che aspetto recensioni per il mio articolo sto continuando a fare piccoli racconti simili, anche collegati alla Fondazione. Se ne creo uno carino lo metto qui
Eccomi qua di nuovo, ho fatto un altro piccolo racconto. Questo mi piace un po' meno rispetto a quello precedente, però tant'è.
È un piccolo racconto di un archeologo che trova le antiche rovine che ha cercato per 50 anni. Spero vi piaccia
Tutto mi crolla addosso
Halbert ha passato 40 anni della sua vita a cercare quel tempio, antichissimo, leggendario e dalle origini ignote. Era stata la sua ragione di vita per anni, ogni cosa che faceva era dedicata a questo, e a questo soltanto. Halbert se lo ricorda ancora; il suo assistente, quel giovane sgarbato di Dresda chiamato Franz, entrò nel suo ufficio con una violenza inaudita, rosso come un peperone e affannato, come se avesse fatto una maratona; entrando urlò che c'era un rapporto, il rapporto di una spedizione di soldati messicani che avevano trovato delle rovine.
Halbert rimase stupefatto, erano quelle della leggenda, quelle di cui suo nonno raccontava nelle sere d'inverno, quando la sua famiglia andava a casa dei suoi nonni in Brünswick.
Mentre il pavimento sotto i suoi piedi trema, Halbert ricorda velocemente la sua felicità, gli sguardi perplessi ma fieri di sua moglie, ormai vecchia ma bella come il loro primo incontro, dei suoi nipoti che lo guardavano con aria sognante.
Quando il vice in comando alla spedizione dà l'ordine di scappare via dalle rovine, lui rimane a guardare la loro bellezza, la loro maestosità, la loro grandezza; questo è quello per cui ha lavorato per anni, è il suo momento. Gli scavi sono stati difficili, molteplici sono state le difficoltà, con momenti in cui voleva arrendersi, e lasciarsi tutto alle spalle; eppure eccolo lì, a toccare queste incredibili opere.
Mentre un masso si stacca e precipita nella sua direzione, Halbert sente le risa dei professori, che lo credevano pazzo, e sente l'odore del caffè del bar vicino all'università, dove si recava insieme a Otto, tutte le mattine a parlare dei loro sogni e delle loro aspirazioni.
Halbert sente il caldo del sangue, che lo avvolge e protegge dalle gelide mattonelle umide, e nel frattempo, in un misto di dolore e lacrime, sorride per l'ultima volta, a vedere il frutto delle sue ricerche e dei suoi sforzi, e pensa a quello che potranno lasciare al mondo e ai suoi nipoti, che lui tanto ama, queste splendide rovine.
Ok… La notte è ispirativa, ma diavolo… Sensazioni agli antipodi: a me piacciono entrambi i tuoi miniracconti (ma questo mi piace un po' di più rispetto a quello del soldato Johan. Avrei due correzioni:
Tutto mi crolla addosso
Il punto di fine frase, marrano (in più, visto che l'hai impostato come se fosse un pensiero, suggerirei di metterla in corsivo questa frase).
sente i risi dei professori
i risi —> le risa
Bien… Concludo con: ben fatto, mein comrade.
P.s.: Dai un titolo ai tuoi racconti.
Nuovo racconto tragico incoming
Questo è abbastanza personale ma non è uscito male, quindi lo posto qui per chi abbia voglia e pazienza di leggerlo
Fratello mio, Gustav
Non ho altro modo per iniziare questa lettera se non dicendo che…
Le bombe piovono
Piovono come non avevo mai visto prima
Mi sono fermato e ho guardato l'orizzonte; altri aerei stanno arrivando
Io non riesco ad andare avanti, noi della compagnia non possiamo fare più nulla oltre a difenderci.
Ogni mattina mi sveglio e inizio a sparare con la torretta antiaerea contro quei maledettissimi diavoli alati che ci attaccano e, nonostante le perdite, loro continuano ad arrivare, uno dopo l'altro, ancora e ancora.
Te lo devo dire Gustav, non riesco più a dormire la notte, i colpi e le esplosioni continuano anche dentro la mia testa; sto per esplodere.
Pensa che solo ieri ho visto Arthur morirmi davanti agli occhi; il nostro vicino e amico d'infanzia è morto davanti ai miei occhi.
Non puoi capire quello che ho provato, ti auguro di non doverlo mai provare, vedere un amico che conosci da sempre, quel volto che così tante volte ti ha regalato un sorriso, scomparso nella neve come se non fosse mai esistito.
Nel frattempo, fra una pausa e l'altra: penso a casa mia, ai tempi passati e ai pasti caldi in tavola, preparati dalla nostra carissima madre…. ma nulla pare più tirarmi su il morale, anzi, mi fa perdere la speranza sempre di più.
La neve è gelida qui fratello mio; io non so come state voi in Francia, ma qui è l'inferno in terra.
Ricordo ancora quello che ci diceva nostro padre ogni sera: "piangere è normale, Achille ha pianto anche più di una volta nell'Iliade", ma io non posso farlo, non ho nemmeno voglia di farlo.
Ci penso sai? Penso a questo fatto del non piangere; non so dirti il perché, ma semplicemente non riesco, so perfettamente chi sarà il prossimo.
Lo so che ti parrà tragico, idiotico ed esagerato, ma questa è l'ultima lettera che ti scriverò caro fratello; se non mi ammazzano i russi, allora sarà il freddo o i miei stessi compagni d'arme.
Se riceverai intatta questa lettera malandata, sappi che ti voglio bene; e ricordati di non perdere mai la speranza come ho fatto io.
Nel caso altamente improbabile in cui io dovessi sopravvivere, beh offrimi un gran boccale di birra e
la frase non continua, ma si vede perfettamente un solco calcato con la penna
Insomma, hai capito fratello mio
Addio
Il tuo caro fratello
David
Avendo già ampiamente commentato… seulement deux mots: j'apprecie et j'approuve
Beh, ve lo avevo promesso qualcosa di un po' più felice.
Spero vi piaccia, io mi sono divertito molto a scrivere questo piccolo racconto.
(non uccidetemi, lo so che non so usare la punteggiatura XD)
Alessandro camminava per il grande deserto di quella che era un’antica città del passato.
Era partito da quella che era chiamata “Roma” un villaggio nato su una delle centinaia di rovine che costellano la zona di casa sua.
Lui aveva sempre vissuto lì, era triste e lugubre; i suoi genitori continuavano a servire il nobile locale, che li sfruttava e massacrava con turni di lavoro terribili.
Alessandro lasciò casa sua da giovane, insieme a quella che definiva la sua compagna di viaggio, Elda.
I due si erano trovati in una giornata d’inverno, mentre portavano il grano nella grande magione del signore; parlarono molto, per ore, che divennero giorni, che divennero mesi, che divennero anni.
quando entrambi avevano raggiunto la maturità e l'esperienza necessaria, partirono, abbandonando il mondo intorno a loro.
Si accamparono, rischiarono di essere mangiati dai lupi del deserto, Elda rischiò di essere ammazzata da un colpo di pistola nella gamba, sparato da uno di quei razziatori che pattugliano e cacciavano nelle strade più pericolose dei sentieri fuori dai villaggi.
Videro miseria, miseria e miseria; null’altro passò davanti ai loro occhi.
Camminarono per giorni e giorni, l’unica cosa che li portava avanti era quella antica parola sepolta nelle loro menti e usata raramente per schernire le persone più deboli, “speranza”.
I due crearono un legame indissolubile, un legame molto forte, qualcosa che andava oltre il semplice essere compagni d’avventura e lo sentivano forte dentro di loro.
Continuarono a camminare e a marciare, non trovarono nulla che facesse riaffiorare nelle loro teste quella parola tanto fantasiosa, “speranza”, pareva qualcosa di stupido da dire.
Videro comunità dove le persone erano egoiste, dove nessuno li voleva, fecero la fame insieme, videro il peggio che l’uomo potesse dare di sé, tra stupri, torture e ingiustizie.
Un giorno, incapparono in uno dei milionesimi villaggi, aveva delle mura simili a “Roma”, molto vecchie e degradate.
Andarono da un venditore locale per il cibo e non poterono credere ai loro occhi
Il vecchio parlava in maniera strana, in una lingua mai sentita, qualcosa che non somigliava neanche lontanamente alle lingue che si parlavano comunemente.
Fu una festa, mai nessuno aveva mai visto persone arrivate da tanto lontano. Elda e Alessandro parevano inizialmente dubbiosi, ma gli abitanti gli offrirono cibo, acqua, un letto e dei vecchi fogli su cui provare a scrivere quella loro strana lingua; rimasero tutti basiti nel vedere che avevano il medesimo metodo di scrittura; venne anche il signore del luogo, vestito in maniera un po’ più povera rispetto a quello che avevano visto indossare da alcuni dei capi degli insediamenti con le mura antiche.
Lui li squadrò, e pianse nel sentirli parlare, pianse nel sapere che c’era altro, che non erano i soli a soffrire in mezzo alle rovine.
La festa continuò tutta la notte; il giorno dopo, tutti erano sazi, videro i due compagni di viaggio partire di nuovo per il loro sentiero, ma portarono con loro, oltre ad una bella coperta con su scritto il nome del villaggio “Lubjana”, la gioia di essere stati felici con altri oltre che loro due, la gioia di aver portato speranza a persone perse nel degrado e nel deserto.
Il loro viaggio continuò, non sentirono mai più la loro lingua madre, ma videro e sentirono linguaggi diversi, tra i più disparati.
Incontrarono amici, famiglie, assassini, mostri, ladri e strane altre figure, ma ne uscirono sempre indenni.
Mentre attraversavano delle terre desolate e fredde, dove videro per la prima volta acqua ghiacciata scendere e posarsi su quelle orribili rovine di cemento e ferro, Elda, ormai vecchia e stanca, si poggiò sul suo altrettanto vecchio compagno, in un caldo e dolce abbraccio e gli diede un ultimo bacio, per poi addormentarsi per sempre.
Alessandro prese le sue spoglie e fece una pira, come si usava fare a Roma, poi raccolse parte parte delle ceneri della sua bella compagna e le portò con sé.
Alessandro voleva portarla con lui verso la speranza; quella parola ormai non era più un semplice concetto oscuro nella loro mente, l’avevano vissuta ai tempi, mentre erano insieme, e l’avrebbe continuata a cercare fino alla fine.
Il vecchio “romano” come si chiamavano i cittadini di quel lugubre posto che per anni aveva chiamato casa, si forzò a camminare, a cercare, non poteva trovare solo miseria.
Un giorno però arrivò ad una collina, e quando la attraversò, vide quello che non avrebbe mai pensato di vedere.
Alessandro non camminava più per il grande deserto di quella che era un’antica città del passato, ma camminava in quella che era una città con il terreno pieno zeppo di strani ciuffi verdi, di edifici coperti dal verde. Alessandro vide un cartello in legno, aveva visto già questo strano alfabeto, “Добро пожаловать в Санкт-Петербург” vi era scritto.
Alessandro, corse estasiato e vide da fuori il bel villaggio, vivo e pieno di vita, con case non di cemento ma di quello strano materiale di cui erano composti quei pali vivi che si muovevano col vento.
Alessandro la vide, vide la speranza.
Quindi si sdraiò fuori dalla città e prese le ceneri di Elda, le strinse forte e chiuse gli occhi, concludendo il suo viaggio, non sul freddo cemento delle rovine, ma su un letto morbido di vita, baciato da un pacato e timido sole.
Allora, una notizia buona e una cattiva:
Almeno la punteggiatura è migliorata
VIVA LA PALESTINA, PERCHè SI!
Per il resto (a parte una frase di cui non capisco il senso), mi piace.