Pancetta Quadrupla
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Il cursore del programma di scrittura lampeggiava con fare accusatorio davanti a Tilda; la incitava a finire il rapporto. Era sempre la stessa storia noiosa, con la carica di direttrice: in cima ci si sentiva soli, perché il trono era una montagna di burocrazia. Le cose si facevano molto più gravose, quando le vite di tutto il personale del Sito-19, nonché quelle di altre persone senza volto e senza nome che stavano altrove, dipendevano dal tocco di una penna. La sua penna.

Eppure fare la direttrice era noioso. Monotono e incolore. Era facile dimenticare cosa significava, cosa stava facendo. Era di vitale importanza ricordarlo sempre. C'erano delle volte in cui non voleva parlarne con nessuno. Anzi, non è che non voleva: non poteva. A un certo punto, l'isolamento sfiancava tutti, persino quelli abituati ad avere pochi amici. Eppure non importava cosa voleva Tilda, c'erano cose che solo i precedenti direttori del Sito-19 potevano capire o sapere. Proprio in quel momento, una di quelle poche persone venne a bussare alla sua porta. Prima la direttrice Moose sentì l'odore delle sigarette, poi alzò lo sguardo e vide un cinquantenne dai capelli brizzolati sulla soglia dell'ufficio.

«Buon pomeriggio, Dimitri»

L'agente Strelnikov si guardò l'orologio da polso:

«Ma quale pomeriggio, direttrice? Sono le sei!»

Tilda controllò l'ora sullo schermo del suo computer e rimase interdetta:

«Caspita. Comunque, la sigaretta, Dimitri»

L'agente Strelnikov annuì per scusarsi e, senza tante cerimonie, buttò la sua sigaretta nel corridoio. Non era la prima volta che lo faceva.

«Scusi, fumare in questa stanza è una vecchia abitudine. Ehi, dovrebbe provare: potrebbe farle bene»

Non era la prima volta che lo diceva. Dimitri si accomodò su una poltroncina e diede un'occhiata all'ufficio. Sia la poltroncina sia la stanza erano appartenute a lui.

«Dovrebbe anche cambiare l'arredamento: l'era di Brežnev non fa tanto per lei, direttrice»

Tilda gli rivolse un sorriso stanco:

«Che posso fare per te, Dimitri? E per favore, dammi del tu»

Quando era lui il direttore del sito, insisteva a chiederle la stessa cosa. Voleva farsi dare del tu. L'agente Strelnikov fece un sorriso a trentadue denti:

«Oggi abbiamo avuto una sessione più corta e ho pensato di venire qui a vedere come stavi. Mi sono detto che forse ti serviva una sigaretta e io ero l'unico che ne aveva di scorta»

Peccato che Tilda non avesse mai fumato. Una sessione più corta? Si chiese cosa avessero fatto fare a Dimitri. Di recente, l'avevano fatto tornare dal suo esilio volontario chiamato "pensione" e l'avevano reso un ufficiale di addestramento per la SSM Alfa-9. O era l'unico? La direttrice Moose avrebbe potuto chiederlo, ma ciò avrebbe richiesto altra burocrazia, se nel suo ufficio fossero capitate le persone sbagliate. In teoria, la direttrice Moose era autorizzata a sapere tutto, ma ci voleva tanto prima che le scartoffie arrivassero nel suo ufficio e ci voleva ancora di più per leggere tutta la risma. Doveva delegare di più, ma la delegazione stessa era una montagna di burocrazia a sé stante. Dimitri stava aspettando una risposta sulla sigaretta; Tilda indicò il computer e i mucchi di fogli sulla scrivania:

«È molto gentile da parte tua. Sono ancora in tempo per farci l'abitudine. Però sai quanto sono impegnata»

L'agente Strelnikov scoprì i suoi luccicanti denti d'acciaio inossidabile. Era un ex fuciliere russo che saltava dagli aerei: aveva perso alcuni denti in qualche atterraggio mal riuscito e un mediocre dentista sovietico gli aveva sostituito quelli mancanti con delle copie in acciaio. Dimitri fece un cenno rilassato:

«Sai una cosa? Lascia perdere le scartoffie: ti porterò a cena. Conosco un bel posticino. È tranquillo, il cibo è buono e non fanno domande. Servono anche la Coca Cola»

A qualcun altro, sarebbe potuto sembrare uno scherzo, ma Tilda lo trovò allettante. Il cursore sembrò lampeggiare con più aggressività. Le sembrava quasi che le parlasse: le diceva di non osare, perché il lavoro era più importante del cibo. Il suo lavoro salvava delle vite; ne toglieva altrettante. L'agente Strelnikov stava aspettando. La direttrice Moose lo guardò ancora e annuì. Non appena uscirono dall'ufficio, Dimitri si accese un'altra sigaretta.


La direttrice Moose era indecisa tra il numero sette e il numero otto sul menù di Wendy. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che aveva mangiato fuori, anche solo in un locale di fast food, che non riusciva proprio a decidersi. Magari qualcosa di leggero? Non c'era niente di peggio che lavorare con lo stomaco che sembrava pieno di mattoni. Magari un'insalata? L'agente Strelnikov si avvicinò alla cassiera, una ragazza molto giovane dallo sguardo insicuro. Tilda si domandò se andasse all'università. Per qualche motivo, quel pensiero le suscitò un'empatia che rasentava la compassione. La cassiera li accolse:

«Benvenuti da Wendy. Volete provare il Figlio del Baconator?»

Dimitri scosse la testa e alzò quattro dita:

«No, non voglio il tarocco. Voglio il Baconator anziano, con la pancetta quadrupla»

«Signore, non so se possiamo…»

L'agente Strelnikov la fulminò con lo sguardo e la interruppe:

«Non è l'America? Sono ancora nell'Unione Sovietica? Perché me ne sono andato, se devo accontentarmi del panino tarocco?»

«Sì, siamo in America, ma…»

«Vuoi una mazzetta? Devo corromperti?»

La cassiera fece per protestare, ma Dimitri si portò l'indice alle labbra:

«Shhhhh, no no. Ecco. Guarda qua»

Mise una banconota da cinquanta dollari sul bancone, la fece scorrere verso la ragazza e le ammiccò:

«Per te, per te. Pancetta quadrupla. Voglio il vero Baconator, il padre. Magari addirittura il Baconator nonno»

Confusa e con gli occhi sbarrati, la cassiera prese la banconota e registrò l'ordinazione. Soddisfatto, Dimitri fece un passo indietro. La cassiera guardò Tilda, come per chiedersi cosa sarebbe successo dopo.

«Prendo quello che ha ordinato lui»


Era malsano, ma delizioso. Rimasero entrambi in silenzio per un bel pezzo, mentre il sapore del cibo scadente e la consapevolezza di quanto faceva male alla loro salute li portava a una forma unica di catarsi. Mentre Tilda si puliva le mani unte, si rese conto di sentirsi molto meglio a tutti gli effetti. Le venne voglia di conversare:

«Allora, Dimitri, come procede l'addestramento? Possiamo pure discutere un po' del lavoro, mentre siamo fuori»

L'agente Strelnikov stava per accendersi una sigaretta, ma un'occhiata spiacente della cassiera lo fermò.

«Ci stiamo dando da fare. Sto provando a insegnare all'Ultima Speranza il rilevamento e la reazione rapida alle minacce»

«Come funziona?»

«Devono imparare che le condizioni possono, come dire, "cagare nel letto" in un attimo. A volte ci sono pochi secondi per reagire a una situazione che cambia e ciò stabilisce chi vive e chi muore»

La direttrice Moose annuì. Dimitri indicò con la sigaretta spenta un uomo che era appena entrato. Indossava un maglione troppo largo per la sua taglia e che sembrava un po' pesante per il clima attuale; il suo linguaggio del corpo faceva presagire che fosse nervoso o agitato. L'agente Strelnikov spiegò:

«Ti faccio un esempio. Quell'uomo laggiù, lo chiameremo "signor Maglione"»

Gli sguardi di Dimitri e del signor Maglione si incrociarono per una frazione di secondo. L'agente Strelnikov proseguì:

«Cosa faresti se, per dirne una, il signor Maglione decidesse all'improvviso di sparare qui dentro?»

Tilda si accigliò:

«Cosa? Chiamerei la polizia, se potessi, e aspetterei. A parte questo, forse non farei niente»

Dimitri sembrava contrariato:

«Niente?»

«Sì»

La direttrice Moose osservò il signor Maglione che fissava il bancone e si contorceva nel suo maglione troppo largo. Ripensò alle montagne di burocrazia. Salvava vite o toglieva vite, dipendeva da quale foglio firmava e quale non firmava. Azione o inazione. Non importava cosa faceva, molte cose erano uguali. Dimitri si sporse in avanti; era chiaro che stava elaborando un'argomentazione. Ma qualunque cosa stesse per dire andò perduta, non appena il signor Maglione si sollevò l'indumento, tirò fuori una pistola e sparò un colpo al soffitto. Ci fu uno stridio di sedie, mentre bambini e genitori altrettanto spaventati si gettavano al riparo sotto i tavoli di legno dell'Ikea. Un neonato scoppiò a piangere. Qualcuno rovesciò una bevanda sulla schiena dell'agente Strelnikov. Tilda lo guardò negli occhi; la sua espressione era più sospettosa che allarmata. Che diavolo aveva fatto?

«D'accordo, che nessuno si muova e finirà molto presto»

Il signor Maglione puntò la pistola contro la cassiera e le ordinò di riempire un sacchetto con tutte le banconote nel registro. Dimitri rilassò le mani, fece pendere con noncuranza il braccio destro lungo il suo fianco e aspettò. Quando il signor Maglione si rivolse alla cassiera, annuì alla direttrice Moose e si alzò. Con un movimento fluido e allenato, l'agente Strelnikov sfoderò la sua fidata pistola da sotto la maglietta. Sollevò l'arma in fretta e la puntò contro il bersaglio, ma poi scivolò su un frullato rovesciato. In netto contrasto con la grazia con cui si era alzato, cascò sul pavimento. La sua pistola atterrò sul tavolo, davanti a Tilda.

La direttrice Moose ebbe solo due secondi per reagire, ma il suo cervello riuscì comunque a superare l'esitazione. Non era una scelta che voleva fare. Idealmente, non voleva fare nessuna scelta nelle situazioni del genere, ma ormai il dado era tratto. Tilda afferrò il calcio di bachelite della pistola, si alzò e puntò l'arma contro il signor Maglione. Il rapinatore si voltò e i loro sguardi si incrociarono. La direttrice Moose vide gli occhi dell'uomo spalancarsi per la sorpresa. Premé il grilletto.

Percepì il rinculo dello sparo più di quanto sentì il botto. Le si offuscò la vista. Avvertì la sua mano assorbire il contraccolpo, mentre il carrello scattava all'indietro e inseriva un nuovo proiettile nella canna. Con la coda dell'occhio, Tilda intravide il bossolo d'acciaio che sfrecciava oltre la sua testa. Si frantumò del vetro e i bambini urlarono, ma ogni rumore fu cancellato da un penetrante fischio acutissimo nelle sue orecchie. Quando i suoi occhi misero a fuoco, il signor Maglione non c'era più. Il bossolo cadde sul pavimento e, a quel punto, le tornò l'udito. L'agente Strelnikov rimase sdraiato sul pavimento e accese la sua sigaretta.

«Capisci cosa intendo, vero?»

La direttrice Moose espirò.


Mentre accompagnava uno zoppicante Dimitri lungo il corridoio, Tilda gli suggerì:

«Dovresti far controllare quel livido a Everett»

La scarica di adrenalina si stava facendo sentire; la direttrice Moose non voleva fare altro che accasciarsi sulla sedia del suo ufficio e tornare ad alienarsi nella burocrazia. Magari era questa la vera lezione che doveva imparare: apprezzare la stabilità e la relativa sicurezza. Dimitri fece un empatico cenno con la mano:

«No, perché proverà di nuovo a rimpiazzarmi i polmoni. Gli ho detto di non farlo mai più, dopo l'ultima volta»

Finalmente, raggiunsero l'ufficio di Tilda. La direttrice Moose lo invitò a entrare e bere qualcosa per cortesia, ma l'agente Strelnikov rifiutò e le ricordò che non aveva ancora finito di lavorare. Una domanda echeggiava nella mente dei Tilda, che era tormentata dalla tentazione di porla. Decise che doveva saperlo.

«Dimitri, hai orchestrato tutto tu?»

L'agente Strelnikov ridacchiò:

«Magari avessi potuto pianificarlo. Così perfetto! È stata tutta una co-insidia»

«Coincidenza»

«Sì, ecco la parola»

Dimitri le diede una pacca sulla spalla e si complimentò, raggiante:

«Sappi che sei stata brava, anche se l'hai mancato. Sono certo che la polizia l'ha trovato»

Nonostante la stanchezza, la direttrice Moose riuscì a rivolgergli un sorriso cupo:

«Grazie. Ma niente più lezioni pratiche, per favore»

«Proverò ad accontentarla, direttrice»

Tilda si stravaccò sulla sedia. Fu accolta dal cursore. Era rimasto proprio dove l'aveva lasciato.

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