Dovere
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Alzo lo sguardo e l'orologio a muro segna l'una del mattino, sono passati esattamente due minuti e quattro secondi dall'ultima volta che l'ho controllato, dalla penultima sono passati tre minuti e trentasette secondi, alla fine del turno manca ancora un po' di tempo.

In questi due minuti e quattro secondi ho guardato fuori dalla vetrina del negozio; ho visto passare una decina fra ragazzi e ragazze che andavano a divertirsi, fino a poco più di un'ora fa era sabato, d'altronde. Io ho qualche anno in più di loro, non li conosco, eppure preferirei di gran lunga lasciare tutto quello che sto facendo ora e unirmi a uno dei gruppetti, ma non posso. In questi due minuti e quattro secondi io sono rimasto in piedi; chiuso nelle quattro mura di questo gigantesco negozio di elettronica, appesantito dalla pistola che porto nella fondina che, a dirla tutta, da quando ricopro questo incarico, non ho mai usato.

Questo è ciò che faccio da quasi un anno ormai: stare in piedi, per ore, a controllare che quella palla luminosa che appare e scompare non causi danni, e ad assicurarmi che nessun civile la veda mai. Quando ho lasciato l'Esercito per unirmi alla SPeV-I, nessuno mi aveva detto che avrei fatto questo.

A svolgere questo compito ingrato assieme a me ci sono anche Dario e Caterina.

Dario è una persona tremendamente noiosa, ho provato a legarci, ma per lui questo è solo lavoro; di tutta la squadra SPeV-I-003-IT lui è quello più anziano. Non si affeziona mai ai colleghi, perché sa benissimo che presto o tardi chiederanno di essere trasferiti.

Caterina è una bellissima ragazza della mia età; come me anche lei è stata portata qui con l'inganno. All'inizio ci parlavamo molto, sembrava che ci fosse una buona intesa, tuttavia abbiamo finito gli argomenti di cui conversare esattamente settantatre giorni fa.

Da quel momento, in mezzo a tutti questi computer, telefoni, lavatrici, stampanti e ogni possibile macchinario elettronico, c'è quasi sempre silenzio; interrotto ogni tanto da qualche commento nostro, o dal rumore delle auto che sfrecciano fuori.

Questo silenzio non fa altro che dilatare il tempo. Un minuto sembra lunghissimo, una giornata pare infinita. È una sensazione che mi strizza lo stomaco, che non mi lascia mai, nemmeno quando corro la mattina, quando sono in palestra o quando faccio la spesa. La noia sta rendendo la mia vita sempre più grottesca.

A forza di rimanere sempre bloccato in questa monotonia, capita sempre più spesso che la mia mente inizi saltare di palo in frasca.

I miei pensieri diventano velocissimi, in un ciclo infinito: prima ricordo con nostalgia un evento dell'infanzia, poi inizio a filosofeggiare, poi penso a un trauma vissuto, e poi continuo, senza mai fermarmi.

Quattro giorni fa ho ripensato a tutte le volte che sono caduto dagli sci, dalla bici e dal motorino. Poi mi sono ricordato di quella volta che mio padre mi picchiò.

L'altro ieri ho immaginato che la mia pistola si aprisse, mostrandomi tutti i componenti. Ho sognato anche di navigare per l'Oceano Atlantico assieme a un gruppo di pirati.

Ieri Dario ha urtato la scatola di un rasoio elettrico, facendola cadere. Il tonfo ha rimbombato in tutto il negozio. Ho immaginato la traiettoria della scatola, tracciandone il grafico col pensiero e pensando a tutte le leggi della dinamica che hanno reso possibile l'evento.

All'inizio del turno ho immaginato di salvare Caterina da un gruppo di ladri armati che irrompevano nel negozio sfondando la vetrina.

Prima che passassero quei ragazzi fuori pensavo a quando alle elementari la maestra…

Dario mi riporta sulla Terra con una spallata.

-Il turno è finito- mi dice.

Guardo ancora l'orologio a muro: sono le due del mattino, sono rimasto imbambolato per un'ora. Velocemente entro nel magazzino per cambiarmi, saluto le tre guardie che ci danno il cambio. Esco dal negozio assieme ai due colleghi; nessuno parla, ci congediamo con un semplice "Buonanotte".

Mentre cammino verso casa con l'aria fredda di gennaio che mi entra fin nelle ossa mi fermo in un parco, a quell'ora completamente deserto. Mi sdraio su una panchina a fissare le poche stelle che riescono a fendere le nuvole, e ricomincio a pensare. Penso a fuggire, ad abbandonare il mio lavoro al più presto, di prendere la macchina e non tornare mai più. Accantono subito l'idea: se scappassi sarei braccato dalla Fondazione in eterno.

Mi alzo dalla panchina e torno verso casa, con un unico pensiero che mi assilla: "Domani sarà esattamente come oggi".

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