Cucina è Cultura: Fiumerosso, vermiglio sapore

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Fiumerosso: vermiglio sapore

Se anche voi siete cresciuti in una comunità oltremondana annidata tra le province calabre, allora non vi è affatto nuova l'espressione: Va'vattindi a Fiumirussu ca'nci mangia'bbonu. Per tutti gli altri che, invece, non rientrano in questa demografica altamente specifica e ancor più localizzata, vi devo una lunga e dettagliata spiegazione oltre che una traduzione.

La frase in questione ha preso piede nell'ambiente culturale del mezzogiorno occulto, in particolare nelle famiglie estese dei Congiunti di Acqua-Luna. Molto semplicemente si traduce in: "Vattene a Fiumerosso, dato che lì si mangia bene". Per quanto possa sembrare un cordiale suggerimento gastronomico da riservare a un amico o da ritrovare nel validissimo Cantuccio di Nanduccio, si tratta in realtà di un nefasto augurio (uno dei tanti, celati nella dialettica e nel dialetto regionale), riservato alle persone che non mostrano apprezzamento per la cucina di qualcuno o rifiutano un pasto in maniera scortese.

Per capire dove giace il significato e l'origine di questa espressione colorita, seppur anacronistica nell'epoca moderna, ho deciso di investigare di persona, ricercando le mie risposte direttamente alla fonte di queste dicerie. Recandomi a Fiumerosso e trascorrendo un anno intero nella sua affascinante comunità montana, ho realizzato la necessità di fare svariati passi indietro per comprendere così la storia antica e celata della punta del nostro stivale.


Esuli, ma salvi

La storia di Fiumerosso (o Fiumerosso Silano), fin dalla sua antichissima fondazione, è una di conflitti, di perdita e, sopra ad ogni cosa, di resilienza. Il suo inizio precede di ben più di un secolo i primi coloni greci giunti nella regione, con l'approdo involontario, ma provvidenziale, della tribù anatolica dei Sejttaŋke ("che scaglia il giavellotto/la freccia" dal tardo Aditita).

I Sejttaŋke, appartenenti alla cultura Nälkä e fieri combattenti della Prima Guerra Occulta, erano stati a lungo avversari dei cosiddetti "Popoli del mare". Trovandosi a lungo separati dai loro alleati al nord e vittime di incessanti e spietati assalti costieri da parte degli Shardana, persero, infine, la loro ultima roccaforte attorno al X secolo a.C. Quasi tutti i combattenti persero la vita, mentre le donne e i bambini furono presi come ostaggi e schiavi.

La sventura dei Sejttaŋke non era, però, destinata a durare; la leggenda narra, infatti, che le navi che li avrebbero condotti a una vita di infelicità e schiavitù vennero attaccate dalla flotta di un leggendario navigatore di nome Qod'yss, dando l'occasione alle valorose prigioniere di insorgere contro i loro rapitori. Riconquistarono così la loro libertà e condussero le navi-prigione fino alle coste italiche (si suppone dove oggi sorge Cirò Marina).

Pur essendo esausti dal viaggio, non erano ancora al sicuro. Si permisero di festeggiare una notte soltanto, dando alle fiamme le navi Shardana: maledissero il mare, che quasi aveva estinto la loro gente, ma in egual misura resero grazie alla pena che li aveva resi più forti. Si fecero poi strada nell'entroterra e seguendo un fiumiciattolo tra le montagne della Sila trovarono un luogo sicuro. Dopo aver compiuto le prime cacce della stagione primaverile, ammantati di pellicce di daino e attorno a un caldo fuoco, festeggiarono e battezzarono la loro nuova casa: Küorokraŋa1.

I Giorni del Movimento

Per una curiosa coincidenza che certamente causerà grande ilarità nei nostri innumerevoli lettori appassionati di filologia, nell'antica lingua della popolazione Nälkä, la parola che sta a significare l'essere in movimento, lo spostarsi ed il viaggiare (*kulke-) è a solo un fonema di distanza dalla parola che indica il terminare di qualcosa, il finire, il suo arrestarsi (*kulɜ-). L'ironia di ciò di certo non è stata ignorata dai Seitti (etnonimo dei discendenti moderni dei Sejttaŋke).

È per questo motivo che è quasi un rito di passaggio, per chi è estraneo a Fiumerosso, quello di confondere il nome di due fondamentali celebrazioni della comunità: la Kulke'kertà (o "il tempo di stare in movimento/in viaggio") e la Kule'kertà (o "il tempo di stare fermi").

La prima delle due festività dura per tutta l'ultima settimana di gennaio e, oltre che un periodo di festa, è anche un momento di profonda contemplazione per la comunità. I Seitti, infatti, non celebrano soltanto l'inizio dei mesi più freddi, l'arrivo dei loro antenati sulla costa ionica o il loro arrivo nella Sila Greca: sopra ad ogni cosa, onorano i sacrifici compiuti ed il dolore sopportato dal loro popolo in esilio.

Nel primo giorno di Kulke'kertà ci si accorge di volti che solitamente non si vedono prima dell'ora di pranzo e la ragion di ciò viene da un'importante pratica seitta, testardamente custodita attraverso i secoli: dall'inizio della settimana, la pratica venatoria è completamente vietata per due mesi consecutivi, così come lo è il consumo di quasi tutta la carne di origine animale.

In mattinata, ogni famiglia si mette ad addobbare le strade del borgo a festa: su ogni porta vengono piazzati palchi di daino e di cervo e sopra le viottole distendono nastri rossi, con appese pigne, statuette e magnifiche lanterne ossee.

Dopo aver disposto gli addobbi si avvia il rito chiamato "la raccolta". Non è né più e né meno di quanto ci si aspetterebbe dal nome: le famiglie si addentrano nei boschi circostanti e raccolgono un po' di tutto! I bambini, felicemente coinvolti nel rito, sono incaricati di raccogliere rami caduti, pigne, foglie e aghiformi. Agli adolescenti del borgo viene richiesto di raccogliere quanto più muschio possibile, con l'aiuto di strumenti appositi. Agli adulti, armati di palette e asce, spetta l'incarico di raccogliere terra, arbusti e alberelli secchi. Šonea, matrona della famiglia che mi ha generosamente dato ospitalità, è stata così gentile da invitarmi a partecipare.

Quando la raccolta termina e i sacchi di pelle sono tutti ricolmi, si ritorna sulla strada per il borgo, dove i bambini sfoggiano i loro trofei più belli ai loro genitori2. Si raggiunge la piazza di Fiumerosso e si converge verso il centro, dove due cerchi ricolmi di simboli cremisi sono dipinti.

Il cerchio più vicino alla chiesa contiene tessuti scuri e del colore del sangue. L'altro ospita una canoa lignea e delle tele dai colori sgargianti. In entrambi i cerchi si riversa quanto raccolto durante la mattinata. Presto diverrà intrattenimento, rievocazione e pasto per la gioia di tutto il borgo.

La Danza dei Giganti

Attraverso l'uso magistrale della Ars vitae et carnis della Carchista di Fiumerosso e delle sue Voluttà3, la materia organica si trasmuta in due immense entità di carne e di ossa. La prima entità, coperta di rosso, sfoggia grande agilità. La seconda, al contrario, si agita e ondeggia con movimenti goffi e violenti, brandendo la sua barca e mimando l'agitarsi delle onde.

Incomincia, così, la Danza dei Giganti! A ritmo di tamburi di pelle, le entità carnee volteggiano l'una contro l'altra, ferendosi, soverchiandosi, respingendosi. Mosse come meravigliose e macabre marionette dagli straordinari carnomanti di Fiumerosso, realizzano uno spettacolo mozzafiato, sempre più incalzante! Seduti alle tavole apparecchiate che costeggiano la piazza, i fiumerossesi tambureggiano a loro volta, intonando forti canti e ululati che fondono il tardo Aditita e il dialetto locale in un canto collettivo.

Infine, quando il ritmo non potrebbe essere più incalzante, il gigante che brandisce la barca si innalza sul suo avversario allo stremo delle forze. Gli dà le spalle, arrogante, pronto a sferrare il colpo finale. Il suo errore è fatale. Il gigante ammantato di cremisi sorge dal suolo con slancio, avventandosi sulla sua carne con un arpione osseo. I due cadono assieme al suolo e in un attimo ogni suono si interrompe; per minuti interi il silenzio permea la piazza e, per esteso, la Sila intera.

Il borgo esplode, infine, in un tripudio di urla, applausi e riecheggiante entusiasmo. Come ho menzionato in precedenza, da simbolo e rappresentazione qual erano, i giganti divengono pasto e sostentamento per la comunità. Le consigliere spirituali si adoperano, quindi, alla macellazione rituale di entrambe le entità cadute. Il resto della cittadinanza, dai più giovani ai più anziani, si adopera nella preparazione di caratteristici ingredienti silani, oltre che alla distruzione della barca del gigante prepotente; i ciocchi che la componevano saranno alimento per i forni a legna che punteggiano gli angoli della piazza, fondamentali per riscaldare l'ambiente e realizzare "il pasto d'onore" e re del banchetto: l'arrosto di gigante.

Ricetta dell'arrosto di gigante

Ingredienti (dosi per 10 persone):

  • 1.5 kg di carne di gigante4
  • 2.5 kg di patate
  • 1 kg di funghi5
  • Due spicchi di aglio selvatico (o Allium ursinum)
  • 300 ml di olio d'oliva
  • Rosmarino
  • Salvia
  • Foglie di mirto
  • Sale quanto basta

  1. Iniziate lavando le patate per poi tagliarle a tocchetti.
  2. Lasciatele nell'acqua fredda per mezz'ora, dopodiché scolatele e fatele sbollentare per un minuto in una pentola d'acqua a bollore. Tenetele da parte fino al momento della cottura.
  3. Pulite i funghi con una pezza umida (senza lavarli), tagliateli a pezzi grossolani, non piccoli, e teneteli da parte.
  4. Nel frattempo, scaldate il forno fino a una temperatura di 200 gradi centigradi.
  5. Mettete la carne in una teglia con olio quanto basta e poi posatela sul fuoco vivace. Rosolatela per bene per sigillarla. Unite, poi, la salvia, un po' di rosmarino e le foglie di mirto.
  6. Aggiungete i funghi a tocchetti, uno spicchio d'aglio ed il sale. A questo punto, infornate per 45 minuti.
  7. Attenzione! Ricordate di bagnare la carne, ogni tanto, con il sugo che si è formato sul fondo della teglia.
  8. Nel frattempo, mettete le patate in una teglia che le possa contenere comodamente e aggiungete l'olio, il sale, gli aghi di rosmarino e uno spicchio d'aglio.
  9. Mischiate il tutto e infornate a 190° per 30-35 minuti. Ogni tanto mescolate le patate con delicatezza, così da non romperle.
  10. Sfornate l'arrosto e le patate, impiattate e assaporate il tutto in compagnia dei vostri cari.

Le sensazioni che si provano a far parte della Danza dei Giganti sono difficili da descrivere senza devolvere in una confusionaria accozzaglia di impressioni. È per questa ragione che mi trovo costretta a consigliare caldamente ai nostri gentili lettori di vederla di persona. Con una partecipazione attiva e rispettosa alla raccolta, vi guadagnerete un posto a tavola ed un'esperienza sensoriale ed emotiva indimenticabile.

Il vero inverno

Durante i mesi che seguono la Kulke'kertà, i Seitti cominciano a fare uso delle scorte custodite nella loro ghiacciaia comune. Quest'ultima è gestita da una figura che era fondamentale in Calabria, prima dell'avvento della refrigerazione: il cosiddetto nevaiolo. Tale ruolo ha un valore esteso a Fiumerosso, nonché un compito più complesso. Il nevaiolo, infatti, si occupa non solo del mantenimento della temperatura e della manutenzione della ghiacciaia, ma anche della catalogazione e distribuzione dei suoi contenuti.

La regola secondo cui la carne di origine animale non sia ammessa nella dieta tardo-invernale seitta presenta due peculiari eccezioni. La prima, abbastanza mondana, è il pesce. Con l'ampia rete idrografica che avvolge la Sila, ai Seitti non manca la scelta tra persici reali, carpe e, soprattutto, trote, i quali arricchiscono la dieta fiumerossese e complementano la provvisoria riduzione delle proteine.

La seconda è decisamente più insolita. Le Carchiste di Fiumerosso Silano, presumibilmente a causa della loro ascendenza Sejttaŋke, presentano una peculiare caratteristica: col trascorrere degli anni nel loro ruolo e con la pratica continua della biomanzia, esse raggiungono dimensioni prodigiose6, il che richiede loro cibo in quantità maggiori.

Per tale ragione, durante il periodo in cui ci si astiene dalla caccia, la Carchista si sottopone volontariamente ad un rituale, officiato dalle sue Voluttà. Non ho avuto modo di assistervi, ma penso sia lecito riassumerlo in una "macellazione rituale parziale". Le Voluttà prendono frammenti di carne dal corpo della Carchista (in particolare dalle cosce, dai glutei e dalla pancia) e, successivamente, li trattano con sale, ginepro e rosmarino. Quelli che non vengono consumati quest'anno, vengono lasciati a frollare o, più comunemente, vengono trattati con grasso e pepe nero, prima di essere insaccati.

Poiché il consumo di questo tipo di carne è rappresentativo di un sacrificio per la comunità, il suo consumo è riservato solo a coloro che vi appartengono a tutti gli effetti, posizione che, ahimè, non ho avuto modo di raggiungere. In base a quanto dichiarato dai fiumerossesi, la carne viene descritta come tenera, un po' dolce, simile per sapore al vitello.


Estranei in terra estranea

Per quanto fosse inclemente il clima, aspro il paesaggio e pericolosa la fauna, le madri seitte sopravvissero e i loro figli crebbero, portando allo stabilimento di un insediamento permanente nell'odierna Sila Greca, vicino alla sorgente del torrente oggi noto come Cerasia7.

Ad ergersi al ruolo di guida spirituale e secolare di Küorokraŋa fu la vedova Koska An'kusa8. Prima moglie del defunto Karcist, si fece carico della complessa gestione della nuova casa dei Seitti, nonché della necessaria diplomazia con gli esterni. La sua figura, vissuta laddove il mito e la storia si mescolano, è la protagonista di innumerevoli storie tramandate da genitori in figli, le quali le hanno guadagnato un luogo centrale nella cultura di Fiumerosso.

Poiché la loro posizione isolata era stata la causa della loro tragedia, fu premura di An'kusa quella di mantenere rapporti positivi o neutrali coi vicini. Tese la mano, prima di tutto, ai nativi, gli Itali. Leggenda narra che An'kusa, armata soltanto di un giavellotto d'osso ornato di tendini, scomparve nei boschi della Sila per una settimana intera, intenta nella caccia di una mostruosa creatura9 che aveva terrorizzato i cuori dei loro vicini. La trascinò al cospetto degli Itali, abbattuta in un solo colpo. Un valoroso gesto che guadagnò ai Seitti la loro prima alleanza.

Quasi tre secoli di pace seguirono e la loro posizione era divenuta nuovamente stabile e prospera. Tuttavia, le storie degli esuli sugli spietati "uomini del mare" erano ancora ben fresche nella loro memoria. È per questa ragione che l'arrivo di imbarcazioni sulle coste ioniche non fu visto con ottimismo dai Seitti inizialmente. La politica di Koska An'kusa10 era, però, rimasta invariata.

Questa volta si diresse alla colonia di Kroton, accompagnata dalle sue Voluttà e dai suoi migliori cacciatori. Aveva saputo degli atleti Achei, della loro forza, della grandezza della loro città. Per tale motivo, portò in dono, oltre alla cacciagione, meravigliose lance e giavellotti d'osso finemente intarsiati, solidi scudi di pelle e una collezione di piccole sculture rappresentanti antichi eroi. I Seitti raccontano ancora oggi con grande piacere dell'accoglienza che i loro antenati ricevettero dagli Achei, coi quali condivisero le storie della loro gente11 e con i quali scambiarono doni d'ospitalità.

Il successo di quest'iniziativa fu di grandioso auspicio per i Seitti, i quali sembravano pronti ad aprirsi un po' di più alla terra che li aveva ospitati e a nuovi potenziali legami con popoli culturalmente distinti.

I Giorni di Calma

Mentre la Kulke'kertà è di certo la settimana più tranquilla e contemplativa nel calendario di Fiumerosso, la sua contrapposizione è senza dubbio la più attiva. L'ironicamente nominato "tempo di stare fermi", Kule'kertà, dura per tutta la prima settimana di aprile e, in esso, i Seitti non celebrano soltanto la rinascita della natura che li circonda: celebrano il rinnovamento della loro antica gente.

Con le prime fioriture della stagione, le strade e le case vengono addobbate col viola degli zafferani e l'azzurro delicato dei nontiscordardime, mentre gli abiti e i capelli delle fiumerossesi si adornano con rosseggianti ciclamini. Inoltre, con l'arrivo di temperature più miti, i vasi che solitamente vengono custoditi dentro casa si espongono all'aperto davanti alle finestre, inondando le strade con i loro profumi.

È in questo periodo che i contadini incominciano la semina di eccellenti patate della Sila (IGP), carote, grano, legumi e ortaggi a foglia, oltre che ad adoperarsi per la messa a dimora delle tre peculiari "P" di Fiumerosso: pomodori, peperoncini e pepe. Al contempo, inizia il pascolo di meravigliose specie autoctone della regione: le sciare, le vacche podoliche e l'arcinoto e mai troppo osannato suino nero.

Ars vitae, o la biomanzia nälkäista

Per quanto la Sila possa, a prima vista, sembrare florida e verdeggiante, il suo clima e il suo paesaggio presentano notevoli sfide per coloro che intendono prosperare, oltre che sopravvivere. Gli inverni silani sono molto rigidi, le estati sono sempre fresche e ciò è certamente impattante per una comunità semi-isolata come quella di Fiumerosso. Tuttavia, oltre alle comuni competenze bucoliche, i fiumerossesi posseggono un notevole asso nella manica nella forma di una millenaria arte biomantica, gelosamente custodita, generazionalmente tramandata e generosamente praticata.

Al di là delle pratiche ordinarie (consociazione, rotazione, etc.), i Seitti si adoperano nell'Ars vitae, ad esempio, per non rinunciare a determinate coltivazioni che richiederebbero dei climi ben più miti. Vegetali molto amati quali il peperoncino, il pomodoro ed il pepe nero prosperano nelle temperature calde e temono il freddo Silano; per ovviare a questa problematica, i Seitti trasferiscono alcune delle proprietà delle patate nelle piante solitamente più vulnerabili al freddo.

Si tratta di un uso alquanto ingegnoso della taumaturgia vitale e viene applicato persino sugli animali di Fiumerosso. Alcuni esempi interessanti di questo approccio sono:

  • Le capre cosiddette "moscie", le quali sono caratterizzate da corna più prominenti rispetto ai loro simili;
  • I suini neri fiumerossesi, allevati allo stato brado e dotati di zanne simili a quelle dei cinghiali;
  • I cani impiegati dai pastori Seitti, più grandi e dal pelo più folto, per camuffarsi meglio in mezzo ai capi di bestiame;
  • Le api "rosse", con pelurie più dense e scure, più grandi e più longeve.

L'Ars vitae nälkäista è una vera e propria eredità culturale immateriale, praticata attivamente da ogni seitto fin dalla tenera età. Da ciò non si deve desumere che la comunità ne faccia uso su ogni capo di bestiame o su ogni singolo ortaggio.

Le Vagliate

Col sopraggiungere della primavera, incomincia il periodo delle cosiddette Vagliate (dal tardo Aditita waje-, "scambiare"). Per quanto Fiumerosso Silano sia a tutti gli effetti autonoma dal punto di vista alimentare e non abbia necessità materiali particolari, i Seitti mantengono viva l'antica tradizione degli scambi iniziata da Koska An'kusa.

Gruppi di giovani Seitti si equipaggiano quindi per lunghe camminate, riempiendo gli zaini di rifornimenti per il viaggio, nonché di ortaggi da scambiare. Durante il cammino, si dedicano alla raccolta di funghi e bacche, ma anche alla caccia di lepri, daini e, se le distanze lo permettono, anche di cinghiali: la cacciagione diventa il principale bottino per lo scambio nel momento in cui raggiungono i centri abitati più vicini.

I "Vagliatori", a quanto ho potuto osservare, sono molto apprezzati dagli abitanti dei borghi e delle piccole città vicine: in cambio di prede ben cacciate e conservate e ortaggi di qualità, ricevono grandi quantità di frutta (limoni, arance e, in particolare, carrube), pacchi di sale e di zucchero, olio e anche olive. I lunghi viaggi a piedi, dopotutto, necessitano di energia e di una varietà alimentare non indifferente. La ricetta più amata dai Vagliatori è in grado di fornire entrambe!

Ricetta della lepre del cammino

Ingredienti per la marinatura:

  • 1 lepre (debitamente spellata e dissanguata)
  • Carote qb
  • Sedano qb
  • Cipolla qb
  • Olio qb
  • 2 foglie di alloro
  • 1 litro di sidro di mele
  • 5 bacche di rosa canina

Ingredienti per la cottura:

  • Lardo di maiale
  • Olio
  • 1 litro di sidro
  • 2 carote
  • 2 cipolle
  • 2 foglie di alloro
  • Rosmarino
  • Sedano
  • Sale qb
  • Pepe qb

  1. Tagliate a pezzi la lepre e mettetela in un contenitore con tutti gli ingredienti della marinatura.
  2. Mescolateli per bene e lasciate riposare il tutto almeno una notte.
  3. Il giorno dopo, togliete i pezzi di lepre dalla marinatura e fateli asciugare.
  4. Nel frattempo, in un tegame, fate rosolare il lardo tritato molto bene con il rosmarino e l'olio.
  5. Unite le carote, le cipolle, il sedano tagliuzzati ed i pezzi di lepre. Dopodiché, fate rosolare anche questi ingredienti.
  6. Aggiungete il sidro e fate evaporare l'alcool. Poi mettete sale e un po' di pepe.
  7. Chiudete la pentola col coperchio e fate cuocere per almeno 2 ore, mescolando ogni tanto. Se il sughetto si restringe troppo unite un po' di acqua calda.
  8. Servite la lepre con patate lessate e cosparse del sughetto.

Ospitalità tradita

Per quanto i Seitti non cercassero il conflitto, lo stesso non si poteva dire dei loro amici Achei, la cui rivalità coi Sibariti era nota in tutta la regione. Koska An'kusa non aveva intenzione di coinvolgere la sua gente nel conflitto che stava fermentando; quando i Sibariti estesero un invito, allo scopo di discutere un patto di neutralità, decise di accettare. Accompagnata da alcune Voluttà e una piccola truppa di cacciatori, An'kusa raggiunse il luogo dell'incontro. I Seitti portarono cacciagione, funghi e frutti di bosco, così da poter discutere dinnanzi a un pasto rifocillante; i Sibariti, di contro, portarono otri di vino e miele.

Dai racconti tramandati, gli uomini e le donne di Σύβαρις ammaliarono e stregarono i cacciatori, coadiuvati dal vino rosso non diluito e, secondo alcuni, drogato. Approfittando dello stato inebriato dei Seitti, i Sibariti assassinarono i cacciatori e violarono e uccisero tre delle quattro consigliere che avevano accompagnato la Carchista. Infine, Koska An'kusa stessa perse la vita per mano di una piccola truppa di soldati Sibariti. La notizia fu portata fino a Küorokraŋa, dove ci fu grande sgomento e indignazione per l'affronto subito. I Crotoniati giustiziarono cinquanta prigionieri di guerra Sibariti, punendo l'oltraggio alle sacre leggi della ξενία (l'ospitalità).

A succedere ad An'kusa fu la Voluttà che più di tutte la amava e che l'aveva vista morire: la nuova Carchista prese il nome di Kur'kilmä12. Mentre il conflitto si inaspriva e le schermaglie divenivano sempre più frequenti, i Seitti attaccavano i loro convogli, tendendo agguati e dandosi a una brutale guerriglia. Dai corpi dei caduti, la Carchista e le sue consigliere plasmarono un branco di terrificanti creature simili a lupi e li avvolsero nelle armature distorte che indossavano in vita: questo branco, sotto il completo controllo di Kur'kilmä, prese il nome Vaskaptä, o "bronzo latrante".

Venne, infine, il momento di fare giustizia. Durante la battaglia di Nika, i Seitti sferrarono un brutale attacco sulla città di Sibari, sguinzagliando il loro halkost13 avvolto nel bronzo. Razziarono, saccheggiarono e appiccarono incendi senza sosta. Infine, lasciandosi la città alle spalle, si fermarono alle prospere fattorie sibarite: diedero alle fiamme i vigneti per primi, sfondarono i recinti e, peculiarmente, rubarono arnie e miele.

La Sagra del Miele

Nella seconda settimana di maggio, periodo in cui si pensa sia avvenuto il tradimento della prima Carchista di Fiumerosso, la comunità si riunisce per celebrare la sua lunga vita, il suo inconquistabile amore materno e la sua eredità senza tempo. Un'imponente statua di Koska An'kusa, custodita all'interno della chiesa, viene portata al centro della piazza e innalzata su di un podio. Sul suo capo reca un cerchio tinto di rosso, reminiscente delle aureole agiografiche. Come una crasi della sabina Flora con la greca Artemide, ella è patrona di primavera e caccia, e il suo arrivo in piazza segna l'inizio della "Sagra del Miele".

La piazza, coperta da angolo ad angolo in addobbi floreali, si riempie di tavoli, pronti ad ospitare delizie fiumerossesi come un grande buffet. Mentre i bambini raccolgono fiori, disegnano e scolpiscono piccole statuette assistiti dai genitori, gli adulti si dedicano alla caccia al cinghiale prima dell'arrivo dell'ora di pranzo. Oltre alla carne e alle ossa, queste fiere creature hanno in loro un ingrediente fondamentale per iniziare la celebrazione: il loro sangue.

Ricetta del sangue dolce alla fiumerossese

Ingredienti (dosi per 20 persone)

  • 2 litri di sangue di cinghiale freschissimo14
  • 1 kg di miele millefiori
  • 1 litro di latte di pecora intero15
  • 4 tuorli d'uovo freschissimi
  • 200 g di polvere di carrubi
  • Bucce di due limoni (senza la parte bianca)

  1. In una pentola capace, trasferite il sangue e mescolatelo affinché torni completamente liquido.
  2. Unire in sequenza, mescolando ad ogni aggiunta, il latte, il miele, i tuorli, la polvere di carrube e le bucce di limoni.
  3. Prendete una pentola un po' più grande, aggiungetevi dell'acqua e poi inseriteci dentro la pentola contenente gli ingredienti.
  4. Ponetela sul fuoco e cuocete a bagnomaria fino a che il composto non avrà un aspetto fine e vellutato. Quindi, eliminate le bucce di limone.
  5. Togliete dal fuoco e versate il composto finale in delle terrine monoporzione.
  6. Attendete che il composto si raffreddi e rassodi ulteriormente.
  7. Servite dopo esservi sbizzarriti con le guarnizioni.

Con l'arrivo del caldo estivo, sarebbe un peccato privarsi di uno snack fresco e dolce. Per questo motivo, oltre alle coppette di granita ai frutti di bosco, i Seitti si concedono un delizioso e cremoso gelato in buona compagnia.

Durante i discorsi e i brindisi degli adulti, i canti intonati dai bambini e le danze che imperversavano fino a tarda notte, una realizzazione è sopraggiunta: la completa assenza del concetto stesso di morte. Mai una volta si è menzionata la perdita o la scomparsa, mai una volta ho pensato di star assistendo a quella che era, né più e né meno, una commemorazione di una donna che era stata così tanto per così tanti e che ormai non c'era più.

Invece, si respirava la medesima aria di un mattino di Pasqua e un calore degno della più raggiante sagra di paese. Se durante il mese di maggio vi troverete in Calabria per una vacanza o se non avete mai esplorato questo lato nascosto della vostra regione natale, preparatevi per una scampagnata nella Sila e date una chance alla Sagra del Miele.


Il nemico del nostro nemico

La storia di Fiumerosso, dalla caduta di Sibari, non presenta una grande varietà di eventi, a causa della sua posizione isolata e i suoi contatti molto limitati con il mondo esterno. Il tradimento di Koska An'kusa spinse i Seitti a chiudere maggiormente la loro comunità, redigendo una legge dell'ospitalità molto più stringente. Nel rispetto della tradizione iniziata dalla precedente Carchista, i commerci con gli Achei, gli Itali e i Bruzi continuarono, ma furono ridotti ad eventi annuali.

A differenza delle aree confinanti, divenute parte dell'agro pubblico nel 270 a.C., Cerasia Brutia (così i Romani l'avevano rinominata, fraintendendo l'etnia degli abitanti) era utile solo per coloro che si erano ritrovati privi di casa o di un luogo sicuro in cui vivere. Ai Romani seguirono i Bizantini e poi Normanni-Svevi. Fu allora che conobbero la cristianità, per la quale mostrarono anche un certo apprezzamento16, pur non accettando la conversione.

In seguito, l'autorità della Santa Inquisizione aveva esteso le sue ricerche anche in Calabria, mediante l'autorità del Vicario di Napoli. Sulle liste nere del Sant'Offizio comparvero comunità protestanti come i Valdesi di Guardia Piemontese, e comunità anomale come i Nälkä di Cerasia Brutia e i Mekhaniti di Santa Sofia (oggi Santa Sofia di Bovesia).

La donna che era alla guida di Küorokraŋa in quell'epoca era una discendente diretta della primissima Carchista: il suo nome era Aja'kuge17 e prese ispirazione (almeno in parte) dalla sua antenata. Conscia della loro inferiorità numerica, la Carchista decise di tendere la mano ai suoi vicini, coalizzandoli contro un nemico comune. Dai Valdesi ricevettero un secco rifiuto, venendo additati come seguaci del demonio. Con grande sorpresa dei Seitti, i loro antichissimi avversari, i Mekhaniti, accettarono la proposta, loro stessi consapevoli della minaccia che incombeva su di loro.

Nel 1561, gli spagnoli, accompagnati dalla Confraternita dei Cavalieri di San Giorgio, attaccarono Cerasia Brutia e Santa Sofia, dando inizio alla "Battaglia di Fiumerosso". La superiorità numerica degli spagnoli si sfaldò dopo poche settimane, smontata dall'armamentario magnetico dei Mekhaniti e dalla combinazione di guerriglia, terrorismo e Ars carnis dei Seitti.

Le perdite nella coalizione furono molte, ma i loro numeri impallidivano al confronto con quelli dell'esercito di Napoli. Fu chiaro che sconfiggere due comunità il cui interesse nel proselitismo era nullo e i cui legami con la cristianità erano pressoché inesistenti non valeva la vita di altri valorosi cristiani. Sotto consiglio dell'abate del Monastero Roccaforte di San Michele Arcangelo, gli spagnoli si ritirarono dopo un mese di conflitto18.

L'Affronto di Fiumerosso

Come è ormai chiaro, i Seitti non perdono mai l'occasione di celebrare eventi storici, mantenendoli freschi nella loro memoria collettiva. È questo il caso dell'evento noto come l'Affronto. In parte una celebrazione religiosa e in parte una rievocazione storica, rappresenta la vittoria contro l'esercito di Napoli e i Cavalieri di San Giorgio.

Presenta un nome e un modus operandi molto simile alla tradizione cattolica meridionale dell'Affruntata. Quest'ultima, solitamente la domenica di Pasqua, rappresenta l'incontro tra Cristo risorto, Maria sua madre e l'apostolo Giovanni, mediante l'uso di statue trasportate per le strade.

Le similitudini sono volte a prendersi gioco dei loro avversari, per l'appunto trasformando un "incontro" in un "affronto". Le statue che corrono per le vie di Fiumerosso, trasportate a spalla dai Seitti più forti e inseguite da musicisti che le incalzano, rappresentano gli eroi della battaglia del Fiumerosso e le loro impressionanti e spaventose strategie.

L'Affronto si conclude quando tutte le statue dei Seitti raggiungono la piazza, sotto gli scroscianti applausi e le esultanze della cittadinanza del borgo. Questa celebrazione, tuttavia, non vede un banchetto in piazza come abbiamo visto in altre occasioni, ma un pranzo con la famiglia ristretta.

In questa occasione, con l'arrivo del freddo autunnale e, forse, per ulteriore offesa ai nemici sconfitti, comincia l'abbattimento e la macellazione del bestiame, in particolare dei suini neri.

Ricetta delle costine glassate di suino nero

Ingredienti (dosi per 4 persone)

  • 500 g di costine di suino nero
  • 1 limone
  • 2 cucchiai di miele
  • 8 cucchiai di olio extravergine
  • 4 patate della sila
  • 2 pomodori maturi
  • 1 cipolla rossa
  • 1 cucchiaio di succo di limone
  • 2 cucchiai di rosmarino tritato
  • 2 cucchiaini di pepe nero
  • Sale qb

  1. Iniziate spremendo un limone e grattugiando la buccia. Aggiungete entrambe in una piccola ciotola e unite poi l'olio e il miele.
  2. Mescolate con una forchetta e fate riposare la glassa al freddo.
  3. Tagliate le patate in quarti, la cipolla a fettine sottili, poi unite entrambe in una teglia.
  4. Pelate i pomodori e rimuovete i semi all'interno. Dopodiché, tagliateli a filetti e aggiungeteli alla teglia.
  5. Aggiungete il rosmarino tritato, il succo di limone e l'olio. Infine, amalgamate il tutto con il sale e il pepe.
  6. Cuocete il tutto a calore medio alto per 30 minuti.
  7. Nel frattempo, ricoprite le costine con un velo di glassa al limone.
  8. Mettetele a grigliare fino a che non si sarà formata una crosta croccante.
  9. Dopodiché, spostate sul lato freddo della griglia e posate dei ciochetti di castagno inumiditi sulle braci, affumicando per circa mezz'ora.
  10. Versate un po' d'acqua in una teglia separata e posate le costine. Quindi copritele con un coperchio e cuocete indirettamente per 30 minuti.
  11. Rimettete, infine, le costine sulla griglia per pochi minuti.
  12. Spennellate nuovamente con la glassa e servite con le patate.

La parola va ai locali

È per me, ormai, una consuetudine concludere i report con una speciale intervista a uno o più nativi dei luoghi che visito. Un anno intero può sembrare abbastanza per scoprire quanto c'è di importante su di un borgo piccolo come Fiumerosso. Tuttavia, ci sono sempre esperienze che non si vivono, storie che non si scoprono, tradizioni che non si è in grado di esperire se non si chiama quel piccolo borgo "casa".

Per questo motivo, l'ultima parola spetta ai locali… e qual è la migliore se non colei che si è posta alla guida della comunità di Fiumerosso per quasi duecento anni? Sono orgogliosa, quindi, di presentarvi un'intervista esclusiva alla Carchista Rec'majda19 di Fiumerosso!

L'intervista

D: O' Carchista, per me è davvero un piacere potervi intervistare. Prima di iniziare con le domande più serie, però, vorrei rompere il ghiaccio con una facile: qual è il piatto che considera il suo preferito?

R: Se questa domanda è facile, siamo preoccupate per quelle che seguiranno. Forse manchiamo di preparazione. Se dovessimo scegliere un pasto che saremmo disposte a mangiare ogni giorno senza mai stancarcene potremmo scegliere la lepre del cammino. Riporta alla mente ricordi piacevoli di quando viaggiavamo per i borghi vicini. È da tanto che non lo facciamo.

D: Immagino che con la sua nuova statura, sia metaforica che letterale, non sia più possibile. A tal proposito, lo scorso febbraio, in seguito alla Kulke'kertà, sono venuta a conoscenza di quel peculiare rituale in cui le persone nel suo ruolo offrono la propria carne come un alimento. Potrebbe dirmi di più riguardo ad esso?

R: Tralasceremo i dettagli più "scabrosi", consapevoli che non siano di vostro interesse. Quando cediamo parte di noi alla nostra gente, riecheggiamo un gesto antico. Le madri Sejttaŋke, mediante la Lihakut'ak, prendevano pezzi delle loro carni, sfamando con esse i loro figli, così che crescessero forti e sani. Così che apprendessero il valore del sacrificio e la forza che vi è in esso.

D: La pratica della Lihakut'ak, o biomanzia per come è nota ai più, è uno straordinario strumento impiegato dalla vostra comunità. Come mai non è impiegata di più? È di sicuro il sogno di molti allevatori quello di avere bestiame più grande, ma non è l'uso che ne fanno i Seitti. Ci sono delle restrizioni?

R: La guida della carne, della vita, è più di uno strumento… ma volendola vedere come tale, potremmo rispondere con una domanda. Se tu avessi delle cesoie per potare le piante del tuo giardino, poteresti in ogni stagione o attenderesti la più opportuna? Poteresti ogni pianta o solo quelle che più ne hanno bisogno? La restrizione è il buon senso, la necessità.

D: Allora la domanda sorge spontanea: per quale ragione avete scelto alimenti come il pepe nero, il peperoncino e i pomodori come soggetti della vostra biomanzia? Perché non applicare lo stesso trattamento alla frutta, ad esempio?

R: Ci piacerebbe avere una risposta più complessa, ma la verità è più semplice di quanto si voglia credere. Dei viandanti in difficoltà ce li hanno portati in dono, in cambio di accoglienza e di salute. Quando abbiamo scoperto di queste piante da terre calde e lontane, abbiamo avuto modo di assaggiarle e, molto semplicemente, le abbiamo davvero amate. Quindi abbiamo dato loro la persistenza dei tuberi. Avremmo potuto farlo con gli agrumi, ma ciò sarebbe stato una mancanza di rispetto a Koska.

D: Koska An'kusa, intendete. Mi piacerebbe parlare di lei. Ritengo che il momento che maggiormente mi ha colpito nella mia permanenza a Fiumerosso è stato durante la sagra in suo onore. Nonostante commemori un evento infausto, ho visto soltanto colori brillanti, sorrisi e dolcezza condivisa da tutti, come in una celebrazione pasquale. Come mai viene celebrata così?

R: Noi stesse vediamo le analogie. I seguaci del Nazareno festeggiano similmente a noi il martirio e il dolore con dolci e banchetti. Tuttavia, non vi è nessun evento infausto per noi. La carne di Koska An'kusa, tramandata nelle sue figlie, nei suoi nipoti, cammina oggi per le strade di Fiumerosso come te e me, festeggiando ogni anno il suo stesso sacrificio. Non possiamo piangere la sua morte; non è mai avvenuta.

D: Devo dirvi che l'anno trascorso con voi è stato a dir poco illuminante, ma c'è una cosa che mi piacerebbe chiarire. Per i Nälkäisti, sia tradizionali che moderni, ogni pasto è qualcosa che trascende il semplice nutrirsi. Qual è il rapporto che voi e la vostra comunità avete con il mangiare?

R: C'è un fraintendimento nella tua domanda: che "nutrirsi" sia qualcosa di semplice. Può essere facile, forse. Si può staccare la testa a una gallina con un morso, strapparle la carne di dosso, ingoiarla cruda. Ciò è facile, ma non è affatto semplice. Nutrirsi è un atto di comunione. Ci ricorda che il confine tra la carne che siamo e la carne che mangiamo è illusorio.

D: Mi è noto che in alcune comunità di cultura Nälkä, esporre la carne al fuoco non è accettabile. I Seitti, da quanto ho potuto osservare, non hanno questa credenza. Estendendo la domanda precedente, qual è il vostro rapporto con l'atto culinario?

R: Noi siamo ben consci che la carne non soffre il trattamento del fuoco. Sappiamo che certi vedrebbero un affronto in questo atto, ma noi, in esso, vediamo un onore. Come gli stranieri nei loro funerali abbelliscono e profumano i loro cari prima di seppellirli, noi facciamo lo stesso con ogni frammento che strappiamo a questo mondo, prima di mangiarlo.

D: Ci avviamo alla conclusione dell'intervista, non temete. Ogni città, villaggio o borgo ha un piatto che definisce come tipico, rappresentativo della sua cultura e della sua gente. Potreste dire ai miei lettori qual è secondo voi il più emblematico? Napoli ha la pizza, Fiumerosso ha…?

R: Credo che il pasto che meglio incapsula la nostra comunità sia, invero, l'arrosto di gigante. Più di ogni cosa rappresenta l'eredità imperitura dei Sejttaŋke, unita indissolubilmente alla terra che ci ha accolto e che chiamiamo la nostra vera casa. La guerra, il mare, le circostanze non ci hanno risparmiato e ora siamo più forti di quanto eravamo. Tuttavia, abbiamo anche noi una domanda da porti: che cos'è la pizza?

D: A dimostrazione del fatto che c'è sempre qualcosa da imparare, sia per l'intervistato che per l'intervistatore! Vi pongo un'ultima domanda, o' Carchista. Cosa vorreste dire a coloro che leggeranno il report che ho redatto riguardo allo splendido borgo di Fiumerosso Silano? Che magari, grazie ad esso penseranno di venire a visitarlo?

R: Una parola di monito e una di accoglienza. Qualora vogliate entrare per le porte di Küorokraŋa per poi lasciarle indenni, non dimenticate mai la somma legge dell'ospitalità. I Seitti riconoscono chi è generoso e ricambiano con altrettanta generosità. I Seitti riconoscono chi è avido e compenseranno per quell'avidità.


Le conseguenze delle loro azioni

Durante la mia permanenza di durata annuale, con mio grande sollievo, ho solo incontrato turisti e viaggiatori ammodo e cortesi, con i quali ho condiviso le esperienze uniche che questo luogo ha da offrire, nel rispetto della cultura seitta. Tuttavia, sento che sia importante mostrare anche l'altro lato della medaglia. Un esempio di ciò che avviene a coloro che tradiscono il patto implicito che si sigla mettendo piede nel borgo.

Attorno al 1930, una squadra di camice nere giunse a Fiumerosso, parcheggiando il suo camion davanti alla chiesa e ordinando agli abitanti di radunarsi in piazza. Il loro intento era quello di "catalogare" i fiumerossesi, ponendo loro una sola domanda: chi evviva? Completamente ignari dell'instaurazione del regime fascista, nessuno diede la risposta "corretta". Quando le camice nere tentarono di arrestare una delle Voluttà di Fiumerosso, i cittadini radunati si avventarono su di loro. Le camice nere aprirono il fuoco in risposta, ma senza fare vittime e venendo sopraffatti.

I Seitti scoprirono che un podestà locale, a cui avevano offerto ospitalità mesi prima, ma a cui avevano rifiutato uno scambio, aveva denunciato la loro posizione al cosiddetto fascio di combattimento più vicino, causando l'arrivo degli uomini in camicia nera. La risposta di Fiumerosso fu rapida e spietata. Dopo aver imprigionato gli squadristi, catturarono il podestà durante la notte, per poi prodigarsi in una tradizione seitta tanto rara quanto temuta: il "banchetto del maligno" o "del traditore".

Officiabile soltanto col benestare della Carchista, consiste nella macellazione e successiva consumazione dell'entità identificata come "il maligno". Lo scopo, tuttavia, non è quello di punire chi ha fatto un torto. Nelle parole di Eka20 Läoluka, padre di Šonea e centenario cantastorie, è per "dare un valore a chi lo ha perso", rendendo qualcosa di inutile o dannoso, utile e benefico alla comunità.


Conclusioni

Qualora il mio report vi abbia intrigati o interessati e quest'ultimo paragrafo non vi abbia troppo intimoriti, permane saldo il mio consiglio di dare un'opportunità a Fiumerosso. La resilienza dei Seitti penso sia ormai lampante, ma non è nulla se messa a confronto con la loro cordialità e con il calore che mi hanno dimostrato.

Era mia intenzione, originariamente, stabilirmi con una tenda poco fuori dal borgo. Con mia somma sorpresa, una dolce e curiosa famiglia mi ha accolto in casa propria, coinvolgendomi in ogni sorta di attività, facendomi sentire parte attiva della loro comunità, aiutandomi a riscoprire un lato della mia regione natale che è ormai quasi svanito.

Ciò che avete letto finora non sono altro che piccoli scorci su questo magnifico angolino d'Italia. Un angolino che vi accoglierà con calore se lo avvicinerete con rispetto. In conclusione posso dirvi, senza alcun malcelato augurio nefasto o macabro sotto testo, jati'vindi a Fiumirussu ca'nci mangia'bbonu!


DRAGONETTI, Grazia, "Cucina è Cultura - Fiumerosso: vermiglio sapore", Antico Forno Vesuviano. Lo Straordinario Lunario Culinario, n. 238, 2020.


Note

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