Clef e Dimitri Vanno in Ferie
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«Un periodo sabbatico?»

Mentre tastava con fare nervoso il pulsante antipanico sotto la sua cartelletta, il dottor Glass affermò:

«Almeno un mese. La vostra valutazione psichiatrica indica che non fate una pausa da anni: avete bisogno di sfogarvi»

L'individuo seduto alla sedia davanti a lui batté le palpebre, mentre lo fissava coi suoi occhi colorati; il dottor Glass si maledisse per non riuscire mai a capire di che colore fossero davvero. Il dottor Clef lesse il foglietto rosa nella sua mano e, in tono piatto, ribatté:

«Una pausa l'ho fatta: una bellissima gita in Toscana»

«Io sono andato al bar. Mi sono divertito: ho fatto nuove amicizie» insisté l'agente Strelnikov.

Il dottor Glass sospirò:

«Una missione sotto copertura con una squadra speciale mobile per uccidere gli agenti Andrews e Maddox non è una vacanza, e neanche cinque settimane di ricovero in ospedale per riprendersi da quella brutta ferita alla pancia. Ascoltate, concedetevi una vacanza vera. Non mi importa dove andrete, né cosa farete, basta che passiate almeno una settimana senza preoccuparvi della sorte del mondo»

Alto piegò il foglietto in tre parti uguali e ammise:

«Sarebbe difficile. Faresti prima a chiedermi di smettere di respirare»

Dimitri lesse la sua copia del foglietto rosa e protestò:

«È stupido! I Ceceni non smetteranno di fare i Ceceni solo perché sono stanco. La guerra non è un lavoro che inizi alle nove e finisci alle cinque»

Il dottor Glass fece un altro sospiro:

«Allora rendete il salvataggio del mondo una priorità secondaria, perlomeno. Consideratela una "manutenzione" periodica. Si porta la macchina dal meccanico per il tagliando ogni diecimila chilometri: per voi è il momento per fare il tagliando»

«Non posso fare il tagliando nell'officina? Magari potrei passare del tempo nella struttura di addestramento, invece, o sul campo» borbottò Alto.

«Potrei passare il tempo bevendo vodka. Questa è una vacanza russa come si deve» scherzò Dimitri.

«No. Niente operazioni sul campo, niente addestramento, niente burocrazia, nulla. Riposatevi e basta. Di certo, ve lo meritate. Godetevi le ferie, signori»

La porta si chiuse con una sorta di finalismo epico e lasciò due degli uomini più pericolosi nella Fondazione a stare nel corridoio, coi foglietti rosa stretti in mano come se fossero una coppia di adolescenti delinquenti mandati nell'ufficio del preside. Tutti i membri del personale di supporto del dipartimento delle Risorse Umane e della divisione di Addestramento stavano ai loro posti e fissavano i loro schermi con aria studiosa. Una di loro, una signorina che indossava un bel tailleur pantalone, stava digitando con fare disperato il Padre Nostro sul blocco note. Un altro stava sussurando un sutra buddista. Infine, la tensione fu smorzata da un sospiro del dottor Clef, che si strofinò il collo col foglietto e disse:

«Dunque, ho sentito che il Brasile è bello, in questo periodo dell'anno»


Il bar dell'aeroporto era affollato, pieno di passeggeri stanchi che si fermavano per mangiare un boccone e bere un paio di sorsi, prima di ammucchiarsi sui grossi aerei di linea della Airbus e della Boeing. L'agente Strelnikov e il dottor Clef entrarono con calma e occuparono gli unici due posti liberi al lungo bancone; fecero un cenno al barista e agli avventori seduti accanto a loro, prima di sistemarsi per l'attesa di due ore. I loro abbigliamenti erano appariscenti e attiravano occhiate perplesse da parte degli altri clienti: Dimitri indossava una scialba uniforme verde oliva e un berretto a visiera, mentre Alto sfoggiava una camicia hawaiiana con l'osceno ritratto di una coppia che aveva un orgasmo, stampato a colori sgargianti. Il barista, che aveva i capelli in disordine dopo una lunga giornata, indicò il dottor Clef e lo fissò in silenzio, in attesa dell'ordinazione. Alto ordinò in tono secco, come se il barista dovesse già saperlo:

«Un Sapphire Martini; agitato, non mescolato; solo due cubetti di ghiaccio, sei parti di gin e una di vermut, due olive, una cipolla. Se diluisci il vermut, di' le tue preghiere»

L'espressione del barista diventò vacua per un istante, prima che annuisse e si rivolgesse a Dimitri:

«E per lei, signore?»

«Vodka»

«Con cosa?»

L'agente Strelnikov gli rivolse la più sconcia delle occhiate, prima di rispondere:

«Ghiaccio»

«Preferisce una marca in particolare?»

Dimitri lo fulminò con lo sguardo e strinse i pugni sul bancone:

«Vodka. Con ghiaccio»

L'alcol arrivò in fretta; alleggerì il loro umore e sciolse le loro lingue, man mano che bevevano. Dopo i primi giri, iniziarono una discussione vivace e appropriata:

«Vedi, Dimitri, un alcolico buono è vellutato: un piccolo sorso e il sapore e gli aromi si combinano, tanto che bastano per mozzarti il fiato. È come il tocco di una bella donna: qualcosa di squisito e raro, qualcosa che tieni in mano e mostri alle persone, così vedono quanto sei raffinato»

«Alcol? L'alcol non è un simbolo di successo, doktor Clef. L'alcol è alcol. Lo bevi. E ti ubriachi. Poi ne bevi ancora, finché non sei così brillo da tornare sobrio»

«Eh? Credo di non aver capito»

L'animato dibattito continuò e iniziò ad attirare l'attenzione degli altri clienti. A poco a poco, i loro occhi si fissavano sui due signori dai vestiti strani che discutevano e si punzecchiavano sui rispettivi gusti. Man mano che i bicchieri svuotati aumentavano, il litigio si mitigò e diventò uno stravagante scambio di aneddoti sul lavoro. Il dottor Clef, mentre gesticolava per descrivere le sue azioni, raccontò:

«Volevo guardarlo in faccia mentre lo uccidevo, Dimitri. Per questo ho detto ai cecchini di non sparare. Vedi, mi sono avvicinato alle sue spalle di soppiatto, poi l'ho pestato in faccia con la pistola. Dopo lui mi ha pugnalato, sono successe cose e bla bla bla, sono finito in ospedale per qualche settimana. Bei tempi»

L'agente Strelnikov annuì con approvazione. Agitò un dito e lo puntò contro Alto:

«In Cecenia, le nostre scorte scarseggiavano sempre. Così ero costretto a sparare poco e ricorrere alla baionetta. Ho infilzato molti Ceceni in gola e nel collo, doktor Clef. Parecchi. Tanto sangue»

«Hai mai investito trenta persone con un carro armato?»

«Un veicolo blindato conta? E che mi dici del combattimento disarmato, spezzi i colli?»

«Di solito, per me è più facile la spina dorsale. Molte persone preferiscono la tradizionale torsione del collo, ma di solito li afferro per i capelli e pesto i lombi col piede più forte che posso. È giusto una preferenza personale»

L'agente Strelnikov non ebbe niente da ridire. Tossicchiò e disse:

«Una volta, in missione notturna, abbiamo trovato un accampamento dei ribelli in un magazzino bombardato. Ho mandato due squadre, una per entrata, e sono entrato da solo dalla finestra. I ribelli dormivano, le guardie dormivano, tutti dormivano. Siamo entrati e li abbiamo sgozzati nel sonno, poi li abbiamo lasciati ai corvi. Qualche ora dopo, ho scoperto che entrambi gli eserciti avevano ordinato di cessare il fuoco»

Il dottor Clef annuì e fece spallucce:

«Eh, cazzarola, ti capisco. Una volta, stavo provando una motosega sperimentale, perché c'era il sospetto che fosse anomala. All'improvviso è scoppiata una rivolta del personale di classe D, io avevo già la motosega in mano e una cosa ha tirato l'altra. Pochi minuti dopo, ero circondato da cadaveri di classe D, mi tenevo la motosega sopra la testa e urlavo come un pazzo. Poi è arrivato qualcuno e mi ha detto che era solo la festa in costume annuale: avevo ucciso metà del mio personale di ricerca. Alla fine, è saltato fuori che la motosega era normalissima»

Dimitri sentì la delusione di Alto e annuì. Tacque per un attimo, prima di chiarire:

«Stavo scherzando sul cessate il fuoco, doktor Clef»

«Oh! Io no. Era davvero una festa in costume»

Dimitri sospirò, alzò lo sguardo e chiese un altro bicchiere, ma non gli rispose nessuno. L'agente Strelnikov si sporse oltre il bancone e vide il barista, pallido come un fantasma, che tremava sul pavimento con un telefono in mano, intento a comporre un numero. Dimitri fece spallucce e sgraffignò la bottiglia, si riempì un bicchiere e guardò il dottor Clef. Poi diede un'occhiata alle sue spalle: il bar si era svuotato del tutto.


Sull'aereo, il dottor Clef si lamentò:

«Considerando per chi lavoriamo, potrebbero anche darci i posti di prima classe. Sul serio: farci pagare cinque dollari per un tramezzino al prosciutto crudo e una lattina piccola di soda? È un furto bello e buono»

Dimitri fece l'occhiolino all'attraente signorina che attraversava il corridoio col carrello delle bevande, poi rimarcò:

«È meglio dei voli dell'Aeroflot negli anni Ottanta: il cibo è riconoscibile, la cabina è davvero pressurizzata, le hostess ti sorridono invece di urlare e sono molto più belle. Quelle dell'Aeroflot erano tutte vecchie troie grasse con la faccia da cavallo»

Alto tastò il suo tramezzino col dito e borbottò:

«Non saprei, secondo me una barbabietola bollita e carne di cavallo sarebbero un passo avanti rispetto a questa robaccia. Che diavolo sono queste macchioline verdi, comunque? Pezzetti di lucertola?»

L'agente Strelnikov mimò il gesto di farsi una sega con la mano sinistra e scherzò:

«Magari è sperma di SCP-682. Forse il lucertolone si è bagnato l'arnese sul tuo tramezzino»

«Magari! Migliorerebbe il sapore. Mi scusi? Signorina?»

Il dottor Clef si sporse oltre Dimitri dal suo sedile accanto al finestrino e toccò il gomito della hostess, per lamentarsi:

«Mi scusi, signorina, ma sembra che abbiate fatto confusione col mio ordine: ho chiesto un tramezzino con prosciutto e formaggio, non con pus e plastica. Dal sapore, mi sembra che li abbiate scambiati»

La hostess sospirò:

«Ho capito, signore. Mi spiace che il suo tramezzino non le piaccia. Se vuole un rimborso…»

Alto la interruppe:

«Non voglio un rimborso, voglio un tramezzino commestibile. Sono certo che hai qualcosa di edibile da qualche parte in quel carrello, sotto i mucchi di sborra umana seccata e spugne di polistirolo, quindi che ne dici di abbassare quel culetto e cercare più a fondo, bambolina?»

La hostess lo guardò negli occhi e fece un ampio ghigno acido:

«Aaaaah, ho capito, quello che intendi davvero è che sei tu lo stronzo, qui!»

Si chinò oltre Dimitri e apostrofò lo sconcertato dottor Clef in un tono grave e severo che risuonò nel silenzio dell'aereo:

«Stammi a sentire, buffone: non faccio io questo cibo di merda, lo servo e basta. Se hai un problema, puoi scrivere una lettera di reclamo alle persone che lo preparano. Ma aspetta finché non atterriamo. Mancano ancora sei ore per arrivare a San Paolo e non ho alcuna intenzione di passarle facendomi rompere i coglioni da te. Quindi tappati la bocca, mangia il tuo tramezzino e smetti di lamentarti, o ti imbavaglio col nastro adesivo e ti incollo al sedile. E non mi chiamo "bambolina", testa di cazzo, mi chiamo Lucy»

Dopo che raddrizzò la schiena, ci fu un attimo di silenzio stupito, interrotto da un applauso di gruppo; dopodiché, la hostess proseguì lungo il corridoio per servire caffè e soda agli altri passeggeri, più riconoscenti. Il dottor Clef si stravaccò sul sedile, sorrise e ammise:

«Mi sta simpatica: quella ragazza è tosta»

«Mi fa piacere» sospirò Dimitri.

L'agente Strelnikov si slacciò la cintura e si alzò con calma.

«Dove vai? Sta per iniziare il film sull'aereo» chiese Alto.

«Vado a pisciare. Fingerò di non conoscerti»

Il dottor Clef fece spallucce, spinse il sedile più indietro che poté e ignorò l'occhiata furiosa della donna grassa seduta dietro di lui. Stava giusto per addormentarsi, quando un improvviso rumore di zuffa e un grido attirò la sua attenzione:

«Che nessuno si muova!»

A urlare era stato un uomo barbuto, che teneva un coltello alla gola di Lucy, l'assistente di volo. C'erano altri due uomini, con armi simili: uno teneva una granata sopra la sua testa, con l'anello rimosso. Tutti e tre indossavano delle kefiah e magliette mimetiche. Il primo esclamò:

«Adesso questo aereo appartiene all'Esercito Santo della Repubblica Indipendente della Cecenia!»

«Allahu akbar! Lunga vita alla Cecenia!» esultò un altro.

«Dev'essere un fottuto scherzo» mormorò Alto.


A causa dell'ondeggiamento dell'aereo nelle turbolenze in cielo, l'agente Strelnikov faticava a svuotare la vescica. Lo trovava sempre strano: non aveva alcun problema a saltare da un aereo per paracadutarsi sul campo di battaglia, ma qualcosa di semplice come evacuare su un aereo era un'impresa erculea per lui. La complessità e le sfumature della psiche umana gli sfuggivano e si rimproverava per essere un "pisciasotto". Finalmente, trovò il controllo di sé e stava per farla, quando all'improvviso qualcuno sfondò la porta con un calcio, lo afferrò per le spalle e lo trascinò nel corridoio. L'agente Strelnikov si sbrigò ad abbottonarsi i pantaloni e barcollò, troppo sorpreso per opporre resistenza. Il terrorista osservò la sua uniforme e notò lo stemma russo sul cappello, quindi iniziò a trascinarlo verso la parte frontale dell'aereo.

«Ti hanno colto con le braghe calate, Dimitri?» borbottò il dottor Clef.

L'ironia di quella freddura fu sprecata, mentre l'agente Strelnikov veniva trascinato tra le file di posti a sedere. Alto agì in fretta: tese la gamba in mezzo al passaggio appena in tempo per fare lo sgambetto al terrorista. Lo fece crollare di faccia sul tappeto e Dimitri cadde con lui. Gli altri due accorsero subito per sopraffare il dottor Clef; uno si teneva ancora la granata sopra la testa e sbraitava furioso ai suoi compagni. L'agente Strelnikov riconobbe subito quella lingua: erano dei Ceceni. L'aereo su cui stava volando era stato dirottato da tre Ceceni.

«Sono tre di troppo!» esclamò.

Il dottor Clef gli rivolse uno sguardo sbigottito, quando Dimitri morse il naso dell'uomo inciampato, sfoderò un coltello corto dall'interno del suo stivale e pugnalò il terrorista nei reni. Alto non perse tempo: scavalcò i passeggeri terrorizzati davanti a lui e si scagliò sugli aggressori. Prese di mira quello col pugnale e lo placcò. Il dottor Clef si mise seduto e sbatté il palmo della mano in faccia al Ceceno: gli frantumò il setto nasale. Il terrorista mugolò, si alzò e traballò all'indietro, mentre si teneva premuto il naso sanguinante. Senza il minimo sforzo, Alto gli bloccò il polso con una mossa di aikido e lo disarmò. Dopodiché, gli affondò il pugnale nel cuore; nel frattempo, Dimitri finì di macellare il suo avversario, ormai agonizzante e zuppo di sangue. Ne mancava solo uno, che teneva ancora la sua granata e sembrava incerto sul da farsi, ora che il loro piano era andato in fumo.

«Non muovetevi! Ho una bomba!» minacciò.

Sincronizzati alla perfezione, Alto e Dimitri alzarono il capo e si alzarono dai cadaveri insanguinati. Sembrava la scena di uno scadente filmetto dell'orrore ma, al posto della colonna sonora drammatica, l'unico rumore di sottofondo era il gemito delle turbine dell'aereo: il pilota stava accelerando.

«Non mi interessa» affermò il dottor Clef.

L'agente Strelnikov sorrise e basta; i suoi denti d'acciaio scintillavano. Lo sguardo agitato del terrorista guizzava di continuo fra loro due. Il Ceceno fece un passo indietro, che fu il suo ultimo. Lucy gli tirò un calcio sul retro del ginocchio e lo fece barcollare in avanti. Appena fu alla portata del suo coltello, Dimitri lo pugnalò. Il dottor Clef, con un gesto fulmineo, gli sfilò la granata di mano, stando molto attento a fare pressione sulla spoletta. I denti d'acciaio insanguinati di Dimitri luccicavano sotto le lampade della cabina: il Ceceno vide uno spettacolo inquietante, prima di morire. L'agente Strelnikov sfilò il coltello con la stessa violenza con cui l'aveva affondato e uno schizzo di sangue sporcò i passeggeri più vicini a lui, mentre lasciava che il cadavere cadesse supino sul pavimento. I passeggeri fissavano la scena sconvolti e meravigliati. Nessuno applaudì, quando il dottor Clef tornò al suo posto, con la granata in mano. L'agente Strelnikov si allontanò:

«Devo ancora pisciare»


Quando Dimitri uscì dal bagno e si abbottonò i pantaloni, Alto gli disse:

«Abbiamo un problema»

In confronto al Russo, che era imbrattato di sangue da capo a piedi, l'arrogante misogino era riuscito in qualche modo a restare pulito, nonostante la violenza degli ultimi minuti.

«Non c'è nessun problema: i Ceceni sono morti» rimarcò l'agente Strelnikov.

«È questo il problema. Tre terroristi morti su un aereo, una comitiva di passeggeri grati, notiziari, eroismo, una parata, le nostre facce in prima pagina? Capisci dove sto andando a parare?»

Dimitri ragionò su cosa comportavano i fatti appena descritti dal dottor Clef e mormorò:

«È scomodo. Il doktor Glass ci farà la predica sulla definizione di "rilassarsi" e "basso profilo"»

«Come minimo. Aspetta qui, poi raggiungimi quando hai un minuto»

Il ricercatore senior allampanato dal naso grosso fece un respiro profondo, poi guardò dietro di sé e raggiunse il fondo del corridoio, dove stava seduta la sconvolta hostess, con una tazza di caffè tra le mani. L'agente Strelnikov non poteva sentire cosa diceva, col rumore dei motori, ma vide come cambiava il loro linguaggio del corpo mentre si parlavano. Il dottor Clef disse qualcosa, mentre stava dietro la prima fila. Lucy gli rispose, sempre con la tazza in entrambe le mani. Alto disse qualcos'altro, si chinò e sorrise. Lucy ricambiò il sorriso, alzò gli occhi al cielo e si pulì delle macchie di caffè dalle guance. Il dottor Clef annuì e rise; si appoggiò al muro accanto a lei, la guardò e gesticolò. Lucy iniziò a giocherellare coi suoi capelli. Alto si strofinò il mento. Lucy si grattò dietro l'orecchio. Il dottor Clef ammiccò. Lucy si strofinò la gola e la clavicola. Alto attraversò tutto il corridoio nella direzione opposta, superò il bagno ed entrò nella cambusa.

La hostess si morse il labbro inferiore, poi seguì Alto in cucina. Dimitri sentì una serratura che si apriva e il cigolio di una porta. L'agente Strelnikov contò fino a venti, poi decise di indagare e sbirciò nella cambusa. La scala a pioli che scendeva nello scomparto dei bagagli era calata. Il Russo la scese ed entrò nello scomparto buio. La prima cosa che vide fu il dottor Clef che adagiava il corpo svenuto di Lucy in un vano di carico. C'era del rossetto sul suo colletto e la sua camicia hawaiiana era sbottonata. Alto gettò un anello di chiavi a Dimitri e gli disse:

«Vedi se riesci a trovare le nostre borse. Forse sono in uno di quei vani di carico chiusi a chiave»

L'agente Strelnikov fece appello alla sua pazienza e chiese:

«Doktor, dimmi solo una cosa. Che senso ha trovare le borse ora?»

«Non voglio lasciarle indietro quando salteremo»


L'agente Strelnikov aprì gli armadietti e frugò in giro, afferrò il bagaglio e fece cenno al dottor Clef di seguirlo.

«Non salterò senza un paracadute. L'ho fatto una volta e non è stato divertente: mi sono rotto molte ossa. Ho un'idea migliore»

Si addentrarono nelle profondità dell'aereo: gattonarono attraverso sportelli e corridoi di manutenzione in cui, di solito, solo i pulitori più miseri dovevano strisciare. La superficie di alluminio dell'aereo vibrava per le raffiche di vento e il rumore era assordante. Infine, si fermarono sul fondo più basso dell'aereo.

«Adesso aspettiamo»


Il pilota aveva cambiato la rotta: in apparenza, era diretto dove i Ceceni l'avevano obbligato a svoltare, ma in realtà stava virando verso una pista di volo militare abbandonata. Il cemento della pista era cosparso di crepe da cui spuntavano delle erbacce. I terminali erano stati demoliti molto tempo prima; tutto ciò che rimaneva erano delle aviorimesse arrugginite e una torre di controllo fatiscente in disuso. Strinse la presa sulla cloche, con le nocche sbiancate e gli occhi all'erta, ancora scosso dagli eventi di poco prima. Anche se non aveva assistito al massacro, Lucy gliel'aveva descritto nei minimi dettagli. A proposito, dov'era finita? Voleva bere qualcosa di forte, per sopportare tutto.


Gli ipersostentatori furono estesi di qualche grado, poi di più, per aumentare la portanza e l'attrito dell'aereo, che rallentava e sollevava il muso con dolcezza. Il gemito dei motori si smorzò, mentre l'aereo si avvicinava alla pista di atterraggio. Alto e Dimitri percepirono il tremore della fusoliera col diminuire dell'altitudine, poi sentirono i sibili idraulici che indicavano la fuoriuscita delle ruote.

«Reggiti! Aspetta finché non rallentiamo!» gridò l'agente Strelnikov.

Ma la sua voce si perse nel fracasso. Il dottor Clef lo guardò con un'espressione confusa, ma ne sapeva abbastanza sulla gravità per capire che era meglio tenersi aggrappato agli ingranaggi. L'aereo rallentò, scese fino a trenta metri da terra e si inclinò ancora, pronto all'atterraggio. I tambucci si aprirono e le ruote si dispiegarono; i due furono esposti a una violenta raffica di vento che, per poco, non li spazzò via, mentre il terreno si avvicinava sotto di loro. Il cemento era una distesa grigia che scorreva a velocità terrificante. Alla fine, l'aereo atterrò: le ruote fecero contatto con la pista e striderono, contrariate a sorreggere quel peso tremendo.

Il pilota frenò e l'aereo rallentò, diretto a una fermata in fondo alla pista. Il dottor Clef e l'agente Strelnikov saltarono giù dagli sportelli delle ruote e corsero a perdifiato sull'asfalto, verso un boschetto vicino. Si voltarono indietro in tempo per vedere il ridicolo scivolo giallo di gomma che si gonfiava per offrire un'uscita molto meno dignitosa agli altri passeggeri. Alto e Dimitri si inginocchiarono in mezzo alla boscaglia e osservarono la scena, per accertarsi che nessuno li stesse seguendo.


A bordo dell'aereo, Lucy sollevò la testa e rantolò. Quel figlio di troia! E pensare che le era quasi piaciuto, nonostante la gente per cui lavorava. Sospirò e si strofinò le tempie, si sfilò un cellulare dall'uniforme e chiamò una linea protetta. Il telefono trillò e le chiese dei codici d'accesso, che Lucy digitò con diligenza, stupita di averli indovinati anche con la mente offuscata.

«Qui è la tenente Parks, a rapporto. Ho due membri sospettati della Fondazione, rintracciate le mie coordinate e schierate subito una squadra di supporto»


«Devo ammetterlo: la tua idea è stata molto migliore» disse Alto.

Il dottore e l'agente rimasero appostati nel boschetto per qualche minuto, intenti a osservare i soldati delle Forze Speciali abbordare l'aereo e tirare fuori i passeggeri dagli scivoli gonfiabili. Un uomo in giacca e cravatta nere li interrogava uno alla volta: sembrava infastidito per non ricevere le risposte che voleva. In cima, un ragazzo in tuta mimetica si sporse dallo sportello laterale di sinistra e vomitò sull'asfalto. Infine, numerosi uomini con gli abiti del pronto soccorso calarono dallo scivolo tre cadaveri legati a lettighe.

«Vuoi restare e guardare oltre?»

«No, ho visto abbastanza. Andiamo via»

Si mossero in silenzio nel sottobosco e attraversarono il recinto elettrificato con l'aiuto di cesoie e un sacco a pelo, poi uscirono nel deserto. C'era un'autostrada a due corsie crepata sotto il sole cocente, che si perdeva all'orizzonte. Il dottor Clef ghignò:

«Be', non è il Brasile, ma di certo è abbastanza lontano dal lavoro per Simon. Scrocchiamo un passaggio»

«Prima dobbiamo capire dove siamo. Se siamo finiti nella Valle della Morte, non va bene. Non c'è anima viva per chilometri!»

«Nessun problema, controllo il mio GPS»

Il dottor Clef si sfilò il cellulare di tasca, lo riaccese e controllò l'applicazione del navigatore.

«Cazzo! Siamo nella merda» ringhiò.

«Dove siamo? In Bolivia? Nella Valle della Morte?»

Alto scosse la testa, con un'espressione cupa:

«Peggio: in Texas»

Con un tempismo perfetto, il silenzio fu subito interrotto dal rumore di un camioncino della Ford ammaccato che si avvicinava. Due uomini con cappelli da mandriano bianchi accostarono davanti a loro. Il loro vecchio furgoncino arrugginito era decorato con una bandiera sudista sul parabrezza posteriore, un paio di fucili a pompa sul tettuccio e un cervo morto legato al cofano. Gli sconosciuti abbassarono il finestrino appena si fermarono. L'uomo sul sedile del passeggero, un mandriano di mezza età con un occhio solo e capelli spettinati, neri e un po' brizzolati, sputò succo di tabacco sugli stivali dell'agente Strelnikov e sghignazzò:

«Vi spiace dirmi che ci fa una coppia di froci messicani ebrei dalle nostre parti?»

Alto e Dimitri si scambiarono un'occhiata sconcertata.

«Questi ci prendono per il culo» borbottò il Russo.


Il sangue ribolliva nelle vene dell'agente Strelnikov. Li squadrò da capo a piedi e fu pervaso dalla nausea: com'era possibile vestirsi così? Ebbe l'improvviso impulso di aggiustarsi il cappello, nel vano tentativo di contrastare il loro aspetto atroce. Il dottor Clef rise e basta. Il mandriano orbo si sporse fuori dal finestrino, mentre l'autista abbassava il volume della radio, che fino a quel momento aveva trasmesso Toby Keith a un volume insopportabile. Il passeggero sputò ancora:

«Che cazzo guardi? Sei stupido o cosa? Oh, fammi indovinare: sei un comunista, vero? Facevo fuori voi stronzi in Vietnam»

L'autista annuì:

«Faceva fuori voi stronzi in Vietnam!»

Il sorriso del dottor Clef si allargò fino a raggiungere proporzioni oscene. Incapace di lasciare indiscusso un affronto del genere, l'agente Strelnikov digrignò i denti e puntò il dito alla faccia dell'uomo:

«Non sai niente sulla guerra! Ho combattuto in Cecenia entrambe le volte, ho incontrato bambini piccoli sul campo di battaglia che erano molto più onorevoli di te, vigliacco! Mio nonno era nell'Armata Rossa quando ha preso Berlino, mentre i tuoi antenati si grattavano le palle, bevevano liquore e speravano di non dover combattere come noi! La tua intera nazione è un asilo nido! Siete tutti mocciosi!»

Dimitri fremeva in preda all'ira, mentre il dottor Clef soffocava una risata. Il buzzurro lo fissò, confuso:

«Cosa?»

L'agente Strelnikov gli tirò un pugno sulla mandibola. Il buzzurro fu sbalzato indietro e spinse il suo compatriota giù dal suo sedile: l'autista cadde dal finestrino e si accasciò sull'asfalto. Alto gli fu addosso in un lampo: lo sovrastò e gli bloccò le mani dietro la schiena, facendogli scricchiolare le articolazioni. L'orbo recuperò la postura con una prontezza ammirevole, scese dal camioncino e si parò davanti a Dimitri.

«Stupido comunista di merda! Mi hai quasi spaccato la mandibola! Cosa c'è, ti rode il culo perché avete perso la guerra?»

Questo era troppo: un tale insulto alla Russia non si poteva tollerare. Con una mano, l'agente Strelnikov lo afferrò per il collo e lo sbatté contro uno spinoso albero morto. Il buzzurro si dimenava all'impazzata, nel tentativo di colpirlo o spingerlo via, ma Dimitri era molto più grosso di lui. Per un attimo, ebbe voglia di impiccarlo, ma gli mancava la corda, quindi decise di legare l'orbo all'albero con la sua stessa cintura. Il dottor Clef fece altrettanto all'autista. Due fibbie di cintura troppo grosse luccicavano sotto il rovente sole texano, mentre Alto e Dimitri salivano sul furgoncino. I due buzzurri furono lasciati a rosolare per ore. Il dottor Clef si accomodò sul sedile del guidatore e scherzò:

«E adesso chi ha vinto la guerra, somaro?»

Guidarono per ore lungo l'autostrada del Texas e non trovarono altro che polvere e mucchi di rocce. Dimitri guardava il deserto attraverso il finestrino: la vastità di quel paesaggio gli ricordava un po' la Russia, era solo molto più arido.


I due buzzurri furono contentissimi di vedere un fuoristrada nero accostare. Degli uomini in uniforme scesero dal veicolo e si avvicinarono di corsa.

«Era ora che arrivaste!» esclamò l'orbo.

«Hanno preso il furgone?»

Entrambi annuirono.

«Eccellente. Ora li abbiamo in pugno»


«Stupida carretta di merda!» imprecò Alto.

Chiuse con violenza il cofano sul motore fumante e tirò un calcio frustrato al paraurti.

«Rottame del cazzo! Altro che Ford, semmai FROD: "falla riparare ogni domenica"!»

«Dovremmo guidare una bella macchina russa, come una Lada. È un buon veicolo resistente. Non si rompe come queste ferraglie merdose» suggerì Dimitri.

Il dottor Clef rispose per le rime:

«Non ti stanchi mai di rompere i coglioni sulla Russia? Proprio mai? Sul serio, sembra quasi che te lo faccia venire duro, porca troia!»

«E tu non ti stanchi mai di essere un grandissimo stronzo? Sul serio, se avessi un rublo per ogni volta che ho voluto strozzarti, sarei un miliardario!»

A quel punto, per poco, Alto non cadde nell'istrionismo:

«Vaffanculo, Dimitri! Fanculo a te, fanculo alla Russia e fanculo a questa vacanza di merda! Volevo solo sdraiarmi su una spiaggia in Brasile, così mi sarei finalmente abbronzato e magari, dico magari, avrei fatto sesso a palate, con quintali di burro di cacao e una frusta di cuoio. Invece mi trovo in mezzo al deserto nel cazzo di Texas, la popolazione locale siamo io e te e forse tra poco moriremo per un fottuto colpo di calore!»

L'agente Strelnikov sbatté i pugni sul cofano del furgoncino in panne e sbraitò:

«E io che colpa ne ho?!»

«E io che cazzo ne so?!»

Fu allora che sentirono un clacson alle loro spalle. Si voltarono e videro una Camaro decapottabile rosso ciliegia scoperchiata, accostata non molto lontano. La macchina scintillava come un gioiello, assieme alle tre gnocche a bordo. L'autista aveva i capelli castani; i suoi lunghi riccioli scendevano oltre le sue spalle scoperte, la sua pelle mielata luccicava di sudore per il caldo torrido. Le sue labbra rosse erano serrate, con fare provocante, mentre si calava gli occhiali da sole per lanciare un'occhiata divertita ai due sventurati. La sua amica sul sedile del passeggero, una bionda abbronzata dalla pelle perfetta e gli occhi verdi, si sporse di lato e li salutò con la mano, mentre la rossa sul sedile posteriore fece scoppiare la sua gomma da masticare e ammiccò.

«Ehi, stalloni, sembra che abbiate un problema col motore. Vi serve un passaggio?» chiese la castana.

«Sì. Ci serve» rispose l'agente Strelnikov.

«Be', si sta un po' stretti, ma salite! Vi accompagneremo in città!»

La castana si alzò e aprì la portiera della Camaro. Alto e Dimitri videro che tutte e tre le ragazze indossavano jeans cortissimi, sandali e quasi nient'altro. Avevano fisici a clessidra che avrebbero fatto diventare verdi di indivia le modelle migliori; i loro seni abbondanti minacciavano di liberarsi dai reggiseni strettissimi da un momento all'altro. Il dottor Clef e l'agente Strelnikov si scambiarono un'occhiata sconvolta e dimenticarono subito il litigio di qualche secondo prima. Alto sussurrò:

«Non è qualcosa che succede. Questo non succede mai. Nessuno viene mai preso per strada da un trio di fighe a caso nel mezzo del nulla, soprattutto se sono una castana, una bionda e una rossa»

«Non farti domande, sorridi e sali in macchina» bisbigliò Dimitri.

Il dottor Clef scosse la testa, mentre l'agente Strelnikov saliva dietro, tra la bionda e la rossa. Dimitri sghignazzò, quando entrambe si strusciarono su di lui. Alto alzò gli occhi al cielo, con fare implorante:

«Qui ce la stanno mettendo nel culo»

Ma salì in macchina lo stesso.


Ovattato dal rombo del motore della Camaro, il dottor Clef chiese:

«A proposito, quanto è lontano questo locale per spogliarelliste in cui lavorate?»

La castana, accanto a lui, si limitò a sorridere e scuotere la testa. Stavano guidando da ore. Alto e Dimitri non avevano idea di dove fossero, ma non era davvero un problema: erano più che contenti di lasciare che le ragazze facessero loro le feste a volontà. Il dottor Clef era seduto davanti e la bionda era seduta sulle sue gambe; teneva una mano avvolta intorno alla vita di lei e un aperitivo nell'altra. Le sussurrava complimenti sconci all'orecchio come un soave amante sudamericano, il che la faceva ridacchiare. La ragazza sorrise e si voltò per controllare Dimitri e la rossa; la sua chioma dorata sbatté in faccia ad Alto mentre lei si voltava. Toccò la spalla del dottor Clef e gli chiese:

«Ehi, che sta facendo il tuo amico?»

Alto sentì un rumore simile a qualcuno che si soffiava il naso, ma molto più sconcio.

«Oh, sembra che stia facendo il motoscafo su di lei»

La bionda lo fissò, confusa, e l'agente Strelnikov sollevò la faccia dal petto della rossa per spiegare, con calma:

«È un rapido movimento della bocca sul seno»

La ragazza rise e gli porse un altro aperitivo, che Dimitri allungò ad Alto e brindò; i sorrisi delle ragazze si allargarono. Iniziarono ad avere il capogiro e notarono che i pali telefonici ai margini della strada ondeggiavano; si accorsero anche che la strada stava diventado un miscuglio di grigio e bianco, a partire dalla riga di vernice bianca. ll cielo vorticava come una trottola. Entrambi si addormentarono in pochi secondi.

«Bene, sono stesi» disse la bionda.

Le altre due ragazze tirarono un sospiro di sollievo:

«Sembrava che non crollassero mai. Sul serio, quanto flunitrazepam gli abbiamo dato?» chiese la castana.

La rossa sbuffò, spinse via Dimitri e si abbottonò la camicia.

«Il triplo della dose normale. Questo tizio mi ha pure fatto il motoscafo fino all'ultimo»

«Be', abbiamo finito. Ora sta ai ragazzi fare il loro dovere» concluse la bionda.

La decapottabile rossa svoltò in una strada laterale che non appariva su nessuna cartina. Il fuoristrada nero la raggiunse poco dopo.


Dovunque fossero, era gelido. Si svegliarono intontiti ed erano consapevoli solo delle bende sugli occhi e i lacci stretti attorno alle loro mani e piedi. I rumori che facevano mentre si dimenavano facevano eco in una stanza di cemento vuota. Una porta si aprì e si richiuse dietro di loro e sentirono i passi di tre paia di stivali avvicinarsi a loro. Una luce intensa li abbagliò senza preavviso, quando le bende sugli occhi furono rimosse di colpo. Davanti a loro, c'erano tre uomini dallo sguardo serio. Indossavano uniformi militari su misura stirate a meraviglia. Dietro di loro, era appesa una lampadina spoglia e incandescente. Appena i loro occhi si abituarono alla nuova illuminazione, notarono l'insegna della Coalizione Globale dell'Occulto sui loro taschini. Dimitri strizzò gli occhi e chiese:

«Dove diavolo siamo?»

«Diciamo che i dati sono "redatti", come piace a voi della Fondazione» rispose uno dei tre.

«Mi prendi per il culo?» sbuffò Alto, esasperato.

L'uomo in uniforme prese una sedia e un tavolo, lo frappose tra sé e i prigionieri e si sedé davanti a loro. L'insegna di un'aquila dorata sul suo colletto luccicò nella luce pallida.

«No, non vi prendiamo per il culo. Abbiamo finito di prendervi per il culo. A partire da questo momento, facciamo sul serio»

Tirò fuori un accendino Zippo d'argento con la scritta "COMUNISMO MERDA" su un lato e si accese un grosso sigaro nero. Nuvole di fumo acre iniziarono a riempire la stanza con fitti vapori bianchi. Il colonnello disse:

«Adesso voglio che mi diciate perché voi, due membri del personale della Fondazione, vi stavate dirigendo verso un'operazione della Coalizione in corso. A che gioco state giocando? Cosa sperate di ottenere qui?»

Il dottor Clef e l'agente Strelnikov si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi tornarono a guardare il colonnello e Alto borbottò:

«Non vogliamo fare altro che… come posso dirlo?»

«Vogliamo rilassarci, ubriacarci e fare sesso» intervenne Dimitri.

«Non per forza in quest'ordine» precisò Alto.

«Vorrei anche abbronzarmi» aggiunse l'agente Strelnikov.

«Magari visitare qualche bel museo o assaggiare vini»

«Incontrare gente simpatica»

«In altre parole, siamo in ferie» concluse il dottor Clef.

Il colonnello tirò fuori un coltello da stivale dalla sacca accanto a lui e lo conficcò nel tavolo.

«Siete piuttosto armati, per essere in ferie» commentò.

Tirò fuori una manciata di coltelli e piccoli esplosivi dalla sacca e li depositò sul tavolo. Il dottor Clef rimarcò:

«No, a dire il vero. Tanto per cominciare, non abbiamo pistole»

«Sì, e solo un coltello. Niente accette. Ho lasciato la mia mitragliatrice Dragunov a casa» aggiunse Dimitri.

«Davvero, cos'è un po' di C-4 fra amici? Qui in Texas, è quasi come avere una macchina»

«Il detonatore non è neanche innescato. Non sono stupido, non voglio far esplodere un aereo»

Il colonnello della Coalizione alzò le sopracciglia:

«Davvero? Quindi non siete in missione? Non siete i rinforzi chiamati da un agente operativo della Fondazione sei giorni fa, in risposta a un aumento dell'attività di un'Entità Minaccia Nota?»

Alto scosse la testa:

«Niente affatto»

«Non dovremmo neanche essere in Texas: volevamo andare in Brasile» insisté l'agente Strelnikov.

«Ah, sì?» sibilò il colonnello.

Indicò uno schermo dietro di lui. Apparve la ripresa dal vivo di un giovane uomo con un occhio nero, che indossava una camicia hawaiiana dai colori sgargianti, affiancato da soldati armati. Il colonnello spiegò:

«È un prigioniero nel nostro ufficio di Rio de Janeiro. Ha un'aria familiare per voi?»

Il ragazzo in camicia hawaiiana alzò il capo, intontito, e fissò l'obiettivo: era l'agente Yoric. I suoi occhi si illuminarono:

«Dottor Clef! Dimitri! Siete qui per soccorrermi?»

I due ostaggi fissarono l'agente Yoric per un secondo, poi si scambiarono un'occhiata d'intesa e guardarono il colonnello.

«Non ho mai visto né incontrato quest'uomo in vita mia» mentì Alto.

«È un perfetto sconosciuto» annuì Dimitri.

«State scherzando?!» trasalì l'agente Yoric.


«E cos'è successo dopo?» chiese il dottor Glass.

Lo psichiatra della Fondazione si teneva il mento poggiato sulla mano, mentre osservava i tre uomini seduti nel suo ufficio con un'espressione ammaliata.

«Be', non potevamo lasciare indietro il povero Yoric» rispose il dottor Clef.

«Così ci siamo liberati e abbiamo fucilato i rapitori» concluse l'agente Strelnikov.

«Poi abbiamo dirottato un aereo della Coalizione…»

«Barca» lo corresse Dimitri.

«Era una barca? Pensavo che fosse un aereo» chiese Alto.

«Nel mio rapporto c'era scritto che era una barca» spiegò il Russo.

Il dottor Clef batté le palpebre con molta calma, poi sorrise:

«Era un idrovolante»

L'agente Strelnikov tirò un sospiro di sollievo:

«Sì! Un idrovolante. Si spiega la confusione»

«Sì. E così, dopo aver dirottato un idrovolante della Coalizione, siamo volati a Rio de Janeiro, abbiamo trovato il povero Yoric e l'abbiamo soccorso»

Il dottor Glass sospirò:

«Capisco. Ed è per questo che siete tornati dalle ferie in ritardo?»

«Ecco, non potevamo certo tornare subito»

«La Coalizione ci stava cercando: era molto pericoloso»

«Non volevo tornare nella loro stanza delle torture» mugolò l'agente Yoric.

«Dunque ci siamo travestiti da turisti e abbiamo aspettato che rinunciassero a cercarci»

«Vi siete travestiti da turisti» ripeté Simon.

«Sì, da ricchi amministratori delegati in ferie»

Il dottor Glass lesse la pagina del documento davanti a sé:

«Capisco. Il che spiega le sei notti in un albergo di lusso a quattro stelle, la spesa di oltre cinquemila dollari in ristoranti e liquori e… per la miseria, quanti preservativi avete comprato? E perché sei bikini?»

Alto si guardò in giro, imbarazzato:

«Perché… ehm… le signorine avevano dimenticato i loro e non volevano entrare nell'idromassaggio nude»

Simon sbuffò, irritato:

«Dottor Clef, miei cari agenti, non sono nato ieri. Il Fondo di Spesa della Fondazione serve per gli esborsi d'emergenza in servizio. Non si usa per finanziare una settimana di libertinaggio con le tasse pagate dai civili. Questa storia ridicola è un insulto alla mia intelligenza e…»

All'unisono, come se si fossero preparati per quella seduta, i tre uomini infilarono le mani nei taschini delle loro camicie hawaiiane, tirarono fuori dei ritagli di giornale e li misero sulla scrivania, davanti al dottor Glass.

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Il dottor Glass lesse i ritagli di giornale uno alla volta, poi fissò i tre uomini. Vide l'agente Yoric indicarsi l'escoriazione da corda sui suoi polsi. Notò il dottor Clef accendersi una sigaretta con un accendino Zippo ammaccato e sporco di sangue, con la scritta "COMUNISMO MERDA" incisa su di esso. Intravide l'agente Strelnikov sogghignare, con la bocca piena di denti d'acciaio: la sua larga faccia slava era il ritratto dell'innocenza angelica. Lo psichiatra fece un respiro profondo e si coprì la faccia con entrambe le mani:

«Ma che cazzo ho fatto di male?» mugolò.

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