Crediti
Autore: Ardi0177 does not match any existing user name
Il Primo Sovrintendente spense lo schermo del trasmettitore video posto di fronte a lui nella sala riunioni del Sito Virtus. Il filmato che aveva appena visto in tempo reale dopo la segnalazione di una delle tante cimici di sicurezza, lo aveva sia turbato che sconfortato. Seduto alla propria poltrona, rimase come stordito a fissare ora il pavimento, ora il vuoto dello schermo spento. La sua giornata era stata a dir poco disastrosa. Aveva dato ordine a tutti gli altri dieci Sovrintendenti suoi pari di farsi vivi quanto prima per una riunione straordinaria di emergenza. Non se ne vedevano di questo tipo da anni, ed era convinto in cuor suo sarebbe stato il modo più rapido ed efficace per gestire la situazione.
Ma non era stato altro che fiato sprecato.
Il comando O5 della Fondazione lo aveva infatti contattato, poco dopo ch’ebbe dato disposizione agli altri. Non riceveva chiamate simili dai tempi di Aquila Imperiale. La sua pelle si era raggrinzita come carta essiccata al sole al sapere chi fossero i suoi interlocutori. Rispondeva alla chiamata quasi tremando: il suo inglese era quasi scomparso a causa dell’emozione. Costoro, che si facevano vivi rarissime volte, venivano ora ad esprimere rammarico circa una situazione così incresciosa e a portar notizia che, con un atto eccezionale, per altro avallato da tutte le altre branche dell’organizzazione in maniera ancora informale, sia lui che tutti gli altri Sovrintendenti della divisione italiana della Fondazione SCP venivano esautorati dalle loro mansioni; questo, almeno, fino a nuovo avviso. Avviso che, dentro di sé, sapeva benissimo non sarebbe mai arrivato, o che non sarebbe arrivato in tempi utili.
«È finita Napoleone, è finita.» ripeteva come assorto in trance.
Povero ragazzo, pensava. Chissà che cosa gli avrebbero fatto Lenzi e i suoi sgherri, ora che lo avevano scoperto. Non che gli importasse veramente di lui: era stato un incidente che non faceva altro che accrescere il suo senso di smarrimento e impotenza. No, non era davvero il suo reale interesse, ma quanto più quello del tradimento appena inferto alla Branca dall’Accademia, alleandosi con la Mano del Serpente. Un alleato ritenuto sempre fidato, specie se guidato da quello che aveva, fino ad allora, reputato un vero amico. Quei farabutti se la sarebbero cavata, forse. Ma non lui. Continuava a pensare, come in preda a un demone che, martellante, gli faceva ripetere la stessa frase, la stessa parola, all’infinito.
Fallimento. Avevano fallito. Lui aveva fallito.
Il Velo, quell’essenza incorporea eppure palpabile per chi vi investiva le proprie forze, che tutti loro avevano giurato solennemente di proteggere e di tutelare per il bene dell’umanità, si era squarciato all’improvviso come fosse stato fatto di carta velina. Improvviso, fulmineo, quell’evento a Napoli era diventato la pietra tombale non solo della città, ma della sua più amata creatura, la Branca Italiana, e potenzialmente, di tutta la Fondazione.
Il prestigio, l’onore, la correttezza: nulla di tutto questo sembrava contare più niente.
Momenti come Aquila Imperiale lo avevano posto di fronte a difficoltà enormi da gestire, difficoltà che comunque non lo avevano scoraggiato: il lavoro, quando andava fatto, sapeva come farlo bene e sapeva anche come portarlo a termine senza grossi guai; un lavoro è onesto quando viene eseguito in maniera pulita, gli aveva detto una volta un diplomatico sovietico. Ma questa volta tutto era diverso.
Si sentiva come impotente. Che sarebbe accaduto? Gli alti papaveri del concilio non avevano specificato nulla riguardo al suo destino, né a quello di tutti gli altri suoi compari. Licenziamento? Processo di fronte a una corte marziale? Amnesticizzazione e reintegro nella società civile? Erano davvero troppe variabili da tenere in conto, e tutte gli scivolavano via dalle mani come non fossero nient’altro che aria. Provava, anche fisicamente, ad afferrarle, mentre fissava il suolo; tutto era vano.
Si alzò allora, appoggiandosi allo schienale della poltrona, per andarsene dalla sala. Forse sarebbe stata l’ultima volta che la vedeva. Nell’attraversare i corridoi, illuminati da una luce al neon a dir poco aggressiva, gli sembrava che nel resto del Sito non volasse una mosca; si erano tutti o congedati o riunitisi ai piani di assembramento, per discutere cosa sarebbe successo adesso. Aveva preso con sé la propria ventiquattrore, e con passo mesto si avviò verso l’uscita. Guardò la stanza da lontano, in silenzio. Sospirò. Chiamò l’ascensore, per raggiungere il proprio ufficio.
Anche quel posto, in cui aveva passato le sue lunghe giornate da amministratore, non sapeva se lo avrebbe più rivisto. Raccolse alcuni effetti personali, i pochi che aveva portato lì al di fuori della cancelleria. Li ripose nella ventiquattrore, da cui estrasse un foglietto. Su di esso c’era scritto qualcosa, scritto con calligrafia quasi del tutto perfetta. Lo lasciava davanti alla propria poltrona, rivolto verso di essa. Non si fermò a vedere se aveva preso con sé quello che aveva di suo, tanto era sicuro di cosa avesse. La porta dell’ascensore si aprì di nuovo. Pigiò il tasto per scendere ai garage, e una volta lì, uscì come se ne era arrivato, in silenzio.
«Allora, avete guardato in giro? Sapete dove si trova Primo?»
«Non lo abbiamo visto, Sovrintendente.»
«Come non lo avete visto? Era qui stamattina, e so che è rimasto tutto il giorno nel suo ufficio.»
«Certo, ma ad un punto è come scomparso. Forse se ne è andato da qualche parte?»
«Che motivo avrebbe di andarsene a spasso per il sito?»
La porta dell’ufficio di Italo Mondelli si apre, ed entra un dipendente.
«Signor Sovrintendente?»
«Che succede adesso? Lo avete trovato?»
«La vettura di Bernini non è più presente al suo posto. Deve essersene andato.»
«Non capisco, prima ci chiama per una riunione di emergenza per il casino che sta succedendo a Napoli, e poi scompare così? Ma che gli passa per la testa?»
«Forse dovrebbe leggere questo…»
«Che cos’è?»
«Era sulla scrivania del Primo Sovrintendente. Credo la situazione sia più grave di quanto pensassimo.»
Italo prese il foglio per leggerlo.
Cari amici,
temo di avervi delusi come non mai prima d’ora. Mi assumo piena responsabilità degli atti che ho compiuto e che sto per intraprendere. Voglio solo che sappiate che siete stati una fidata risorsa per questa istituzione, quanto lo siete stati per me. Ho ricevuto notizia da parte della direzione centrale della Fondazione, nessuno di noi è ormai più autorizzato ad esercitare le sue funzioni. Questa deposizione, auspicabilmente temporanea, mi hanno comunicato di dirvi essere immediata. Ho fallito, e di questo mi dispiaccio enormemente, e ho fallito anche voi. Spero possiate perdonarmi per ciò che è accaduto, mentre leggerete questo biglietto. Con ogni mio migliore augurio, vi dico addio.
Napoleone Bernini
«Signor Sovrintendente? Va tutto bene?»
Nessuna risposta. Entrò dentro all’ufficio la segretaria di Undicesimo. Appoggiò un comunicato sulla scrivania, e se ne andò subito, intuendo l’aria che tirava. Undicesimo diede un’occhiata ad esso.
«Che dice?»
«…stronzate.»
«Come prego?»
Lo appallottolò furiosamente, e lo lanciò contro i propri interlocutori, sbraitando qualche insulto nel suo dialetto. Questi uscirono più veloci di quanto ne fossero entrati. La sua rabbia si spense come un fuoco di paglia. Rimase solo la tristezza. Nemmeno lui sapeva più che fare. Decise di straviarsi un po’, e accese la radio per ascoltarsi un po’ di musica. Con la testa tra le mani, appoggiò i gomiti sulla scrivania, e si mise come a meditare, mentre ascoltava passivamente la musica, anche se gli venne a noia dopo poco tempo. Provò a cambiare canale, sulle notizie, assediate come si aspettava dai fatti di Napoli.
Arrivò invece questa notizia, più tagliente di una spada:
Informiamo gli ascoltatori di possibili rallentamenti al traffico tra il grande raccordo anulare e la Tuscolana a causa di un recente incidente avvenuto questa notte tra un’autovettura e un camion con rimorchio. Unica vittima del sinistro il guidatore dell’auto; stando alle prime ricostruzioni il guidatore, un uomo sulla settantina, probabilmente in stato di ebbrezza, avrebbe improvvisamente sterzato contro il tir, causando lo sbandamento di quest’ultimo e la completa distruzione della vettura.
Sì. Ora era davvero finita.