Una Libbra di Carne, Un Boccone di Arrosto

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Carter emise un urlo mentre veniva scaraventato oltre la porta dell'antico ascensore, attraverso una Via, e infine nell'atrio del santuario di Darke. Alzò le mani per attutire la caduta sul marmo, e mentre era ancora a terra, l'orlo di un mantello nero emerse dalle ombre; alzò lo sguardo e lì, chino sopra di lui in una spettrale luce color seppia, c'era Darke.

“Ah… desolato per il disturbo. Pensavo fosse il Bagno degli Uomini… se potesse indicarmi la direzione per la reception-”

“'Buongiorno, Ruprecht” disse Darke alzando gli occhi.

“Maledizione, speravo che non mi riconoscessi in questo corpo” disse Carter, rialzandosi e spolverandosi i vestiti (anche se il pavimento del Santuario era immacolato). “Non che non sia lieto di rivederti. Quanto è passato, dall'ultima volta che ci siamo visti dal vivo? È stato subito dopo il tentato assassinio di Marshall, dico bene? Erano quattro anni fa?”

“Giorno più, giorno meno; e non è stato un tentativo. Marshall è stato assassinato a causa della tua negligenza.”

“Oh, non essere melodrammatico. Nulla a cui non si sia rimediato con un succhia-anime sperimentale, una trasfusione di EVE da un immortale mai nato e una gita in stile Orfeo sul piano tartareo.” rispose Carter con una cenno della mano. “Lo sai che mi guardi storto proprio come Iris? Non credevo che guardare in cagnesco fosse ereditario.”

“Carter, ti ho convocato qui per un motivo.”

“Convocato? Lo chiami così, quando il tuo Ogre mi afferra per la collottola come un gattino e mi scaraventa su per una Via?”

“Si tratta di una cosa urgente, e tu non sei mai sollecito nel rispondere” replicò Darke.

“E a che ti servo? Non puoi usare quella piccola proxy bacchettona che ti ritrovi?”

“Siamo diretti al Mercato della Carne” disse Darke. L'atteggiamento di Carter si fece rapidamente impaurito alla menzione dell'orribile bazar. “Non è un posto per una giovane fanciulla, nemmeno per una abile come Iris. Quegli uomini - anche più degli altri - apprezzerebbero più il suo corpo fertile che la sua mente brillante.”

“Sì, sì, ho capito. Ma cosa mai ti può servire, da quel posto?”

“C'é un mercante, laggiù, che vende i resti degli dei che si sono fatti carne. Mi ha indotto a ritenere che possieda anche della carne conservata di Yaldabaoth Incarnato, recisa dalla Sua Ondeggiante Vastità da Ion in persona.”

“È per il progetto su cui state lavorando?”

“Esatto, ed è l'ultimo componente di cui ho bisogno. Devo recarmi lì di persona, per confermare che il prodotto sia autentico: se lo è, non sarà economico, il che ci porta al perché ho bisogno di te. Lo convincerai ad abbassare il prezzo il più possibile, mentre gli fai credere che ci sta raggirando.”

“Be', è il mio campo, indubbiamente…” disse Carter con un sorriso spocchioso. “Ma dobbiamo andare subito? Sarebbe d'aiuto un dossier sul venditore e sul Mercato della Carne, in modo da poter -”

“Non c'è tempo. Se la carne è autentica non ha prezzo, e non posso rischiare che qualcuno la compri prima di noi” lo interruppe Darke fermamente.

“Molto bene” cedette Carter. “Come ci arriviamo? Attraverso la Libreria?”

“Non esattamente.”

Darke fece un cenno verso il piccolo albero di Ravelwood al centro dell'atrio, dove aveva incastonato il box dell'Ondacorvo. Prendendo la mano di Carter nella sua e collocandole entrambe sull'albero scuro, iniziò a recitare l'incantesimo.

“Immagina che siamo in un mercato, dove i macellai sono mercanti, e i mercanti macellai. Immagina una libbra di carne, un boccone di arrosto, entrambi di un penny soltanto troppo cari. Immagina cuori spezzati, letteralmente e metaforicamente; immagina stomaci pieni non solo di farfalle, ma di insetti assai più disgustosi. Immagina gole traboccanti di rane, come nella piaga biblica. Immagina te stesso là, e vendi loro il tuo sacrificio.”

“Io, Percival Darke, richiedo di visitare il Mercato della Carne. Io scolpisco il destino a me proprio, e riterrò chiunque altro responsabile per i tentati danni alla mia persona e alla mia proprietà, poiché essi non hanno il potere di negarmi l'accesso. Ho con me il vostro sacrificio, e desidero la Carne di un Dio Perito.”

L'albero e il mondo attorno ad esso iniziarono a girare rapidamente, proiettando Carter all'indietro, contro una pila di ceste di vimini piene di teste essiccate e impilate come frutta. Stordito e senza fiato, Carter tentò di capire come entrando non avesse notato le ceste, o il venditore privo di testa che stava ora gesticolando furiosamente nel Linguaggio dei Gesti Americano.

“Le mie scuse per la goffaggine del mio associato” disse Darke mentre appoggiava la mano sulle spalle dell'uomo senza testa; tirò fuori una piccola moneta di bronzo berillio, benedetta per consentire ai vivi e ai morti il passaggio nei vari piani di dell'aldilà. “Un Penny del Traghettatore dovrebbe essere più che sufficiente a compensarla per i danni.”

Il venditore prese la moneta, esaminandola con sospetto, prima di fare un cenno torvo con il collo monco.

“In piedi, Ruprecht” disse Darke, allungando una mano per aiutarlo.

“Dovrei essere abituato a questo genere di cose ormai” brontolò l'altro, osservando il gigantesco bazar che aveva rimpiazzato il Santuario di Darke. Non c'erano sole né cielo, ma solo un soffitto indefinitamente alto, privo di muri a sostenerlo. Ogni mercante in vista sembrava spietato e depravato, e ogni compratore disperato e distrutto. “Potevi darmi almeno il tempo di mettermi qualcosa di un po' meno appariscente!”

I pantaloni e la giacca di Carter erano fatti di lana Vicuna, e la sua camicia e l'ascot di seta Mulberry. Fabbricati su ordinazione dai sarti personali di MC&D, una piccola percentuale delle fibre era rivestita in oro a 24 carati, dando al completo un pretenzioso scintillio metallico che luccicava in modo fastidiosamente intenso nell'oscurità damascata del Mercato della Carne.

“Tu non possiedi nulla che non sia appariscente” puntualizzò Darke.

“Ho dei vestiti da golf!” ribatté Carter. “E guarda le mie scarpe! Le mie scarpe! Rovinate! Come possono essersi rovinate? Non ho fatto nemmeno due passi!”

“Carter, le tue lamentele stanno attirando più attenzione del tuo completo” disse Darke. “Vieni, siamo attesi. Cerca solo di starmi vicino, e nessuno oserà farti del male; attento alle tasche, però.”

Nonostante la sua testardaggine, Carter decise che era nel suo interesse fare come gli veniva detto. Stringendosi a Darke come un bambino alla mamma, i due si fecero strada fra i sentieri di ciottoli del Mercato della Carne. Carter non poté trattenere una smorfia di disgusto alla vista delle merci grottesche esposte: uno stand vendeva occhi di cieco, un altro lingue di eretico; c'erano denti da latte sottratti da sotto i cuscini di bimbi addormentati, polmoni anneriti dal fumo e capelli color nebbia, ma la cosa più disturbante in assoluto fu la raccolta di peni all'interno di bottiglie di vetro in cui si sarebbe detto impossibile infilarli, spingendo i passanti a chiedersi come c'erano finiti.

Carter ad un certo punto notò come stessero procedendo spediti, nonostante il Mercato fosse affollato. Alzò lo sguardo e vide che tutti si ritraevano da Darke quando si avvicinava: mentre passavano loro accanto, sentì i loro sussurri.

“È lui!”

“È lei!”

“È quella cosa!”

“È Dark!”

“… Sono qui anch'io, sapete…” mormorò Carter. Darke li condusse sul retro di un magazzino e bussò alla porta del sotterraneo. Uno sportello si aprì di scatto, rivelando un paio di occhi infossati in un volto pallido.

“Ulula la Luna Nera?” chiese l'essere in tono impaurito.

“Che?” disse Carter.

“Mi assicuro che non siete la Fondazione” replicò la cosa aprendo la porta.

“Ohi, chi è, Thymus?” gridò una voce dall'interno del negozio sotterraneo.

“È Darke!” rispose il primo essere.

“Certo che è buio coglione, non c'è lo stramaledetto sole qui. Ti ho chiesto chi è.”

“E io ti ho detto che è Darke, di Marshall, Carter & Dark!”

“Be' come caspio facevo a capirlo senza un po' di dannato contesto”

“Mi hai chiesto chi era. Non era contesto abbastanza per te?”

“Fila via merda goblin, ci penso io. Non hai abbastanza classe per intrattenere uno del calibro di Darke.”

Il tipo chiamato Thymus fu spinto via da un uomo calvo ed obeso, che si sosteneva con un grosso bastone di legno. La parte superiore sinistra del suo volto era stata tramutata in pietra nel corso di chissà quale incontro anomalo, e portava una benda sull'occhio con impresso un sigillo di chiaroveggenza, così da poter vedere anche da quel lato.

“Ehilà spendaccioni. Una gioia per gli occhi siete, o no?” chiese ironicamente, aspirando boccate da un sigaro. “La gente mi chiama Gups. Sono il proprietario di questo stabilimento proprio qui: la Dispensa di Nietzsche. ‘Dio è morto, perciò ficca il bastardo in frigo - che non diventi verde prima di poter raccogliere la roba buona.”

“Questo slogan è terrificante” disse Carter.

“Be', questa robaccia si vende da sola, quindi perché spaccarsi la testa col marketing, neh?” ribatté Gups. “Ma venite dentro, ambedue. Non posso lasciare la porta aperta, o entrano gli avvoltoi. Occhio alla testa, Darke.”

Carter e Darke si infilarono oltre la piccola soglia, che Gups chiuse dietro di loro. L'interno del negozio era misero, e in pessime condizioni: una moltitudine di sarcofagi, vasi canopi e altri contenitori simili ingombravano il pavimento, in completo disordine.

“Le mie scuse: siam presi con le bombe, sia con gli acquisti, sia con la manutenzione e la sicurezza. Non c'è gran tempo per i capricci; ma non dobbiamo per forza passare subito agli affari! Chi vuole qualcosa da bere? Thymus, porta qua della roba buona per i nostri ospiti!”

“Troppo tardi! Mi sono già seduto e sto guardando Wolf Blitzer!” gridò Thymus dall'altro lato del negozio.

“E che è, non puoi stoppare la TV in live al giorno d'oggi?”

“Sai benissimo che non abbiamo il recorder digitale, razza di spilorcio!”

“Ok, niente bibite. Io non posso prenderle, con questo piede. Però qua ho dei sigari, anche se i fiammiferi sono in anticamera…”

“Mr. Gups, se per lei è lo stesso, vorrei procedere direttamente alla verifica dell'autenticità del prodotto.” disse Darke. Il suo tono era cordiale, ma Gups sapeva che non c'era margine per un rifiuto.

“Bene, bene. Il cliente ha sempre ragione. È qui dietro.”

Gups barcollò fino a un alto scaffale e prese un piccolo scrigno di legno con incisa l'Icona del Divoratore. Passò il mignolo (l'unico dito abbastanza piccolo per eseguire l'azione) lungo l'icona seguendo uno schema particolare, e lo scrigno si aprì.

“Rifatevi gli occhi gente” disse mentre alzava il coperchio, rivelando un teratoma lungo nove pollici. Aveva una forma irregolare e un colore rosso scuro, con venature di un porpora ancora più scuro che percorrevano la superficie a zig zag. Setole, denti e frammenti d'osso sporgevano qua e là, e sul lato destro era presente un singolo occhio chiuso.

“È più piccolo di quel che speravo.” mormorò Darke.

“È cancro. Crescerà come l'inferno con l'hocus pocus giusto.” lo rassicurò Gups.

“Posso esaminarlo?”

“Prego.”

Darke prese lo scrigno fra le sue dita affusolate, e lo soppesò con cautela.

“Avverto una forte aura sarkica, non c'è dubbio. Nulla disturba l'etere come la modellazione della Carne. Le emissioni EVE sono ripugnanti e caotiche, anche se perlopiù sullo spettro del rosso scuro; le Akiva sono curiosamente lievi -”

“Allora non è di origine divina?” domandò Carter.

“Non necessariamente. Ricorda, i Sarkici non adorano Yaldabaoth: traggono soltanto potere da Lui, come le sanguisughe succhiano il sangue dell'ospite.”

Darke appoggiò lo scrigno sul tavolo e infilò una protezione per le dita a forma di artiglio sull'indice destro: iniziò a punzecchiare la creatura, finché non uscì del sangue.

L'occhio si spalancò: era una cosa color giallo malato, con una pupilla verticale. Carter sobbalzò all'improvviso segno di vitalità, ma Darke rimase impassibile. Alzò il dito all'altezza del volt, con una singola goccia di sangue rimasta sul metallo mekhanita. Lo studiò pensieroso per diversi secondi prima di annusarla, e quando la cosa si rivelò insufficiente, la lasciò cadere sulla lingua.

Un istante dopo si piegò in due dal dolore, gridando e stringendosi lo stomaco: la cosa più curiosa fu che per un attimo sembrò diventare trasparente, prima di tornare alla normalità.

“Darke! Percival, stai bene?” chiese Carter. Darke ridacchiò, in assenso.

“Questo è Icore di Sua Ondeggiante Vastità, una manifestazione fisica della fame insaziabile che lo guida in tutto ciò che fa. Questa creatura è stata senza dubbio escissa da un'Incarnazione di Yaldabaoth.”

Darke chiuse il coperchio e lo sigillò nuovamente.

“Esattamente quel che avevo promesso” disse Gups. “E non ha prezzo.”

“…. se non ha prezzo, vuol dire soltanto che vale quanto la gente è disposta a pagarlo” disse Carter. “A parte Darke, chi pensi sia disposto a spendere una fortuna per un piccolo, orrendo tumore come questo? I Karcisti ne avrebbero i mezzi e la volontà, certo, ma potrebbero produrne uno da soli praticamente a costo zero. Ora che ci penso… forse potremmo rivolgerci a loro? Potrebbero procurarci una libbra di carne di Demiurgo su ordinazione.”

“Tu sarai anche uno sciocco, ma Darke non lo è. Non è così ingenuo da indebitarsi con qualche Sarkico schizzato, o da lasciare che un'occasione d'oro gli sfugga fra le dita” sogghignò Gups. “Voialtri non ve ne andrete senza questo affare, e questo vuol dire che il prezzo lo faccio io.”

“Per favore! Ho visto quanto terrorizzata era quella tua piccola ranocchia quando ha aperto la porta. Questo affare è un magnete per qualunque fanatico dell'occulto, e voi non siete attrezzati per respingerli." ribatté Carter. “Siete alla ricerca disperata di qualcuno che ve lo levi dalle mani: per il giusto prezzo, quel qualcuno potremmo essere noi, e poi voi potreste dormire sonni tranquilli.”

“Basta con le chiacchiere. Dicci il tuo prezzo, Gups!” ordinò Darke.

Gups esitò per un attimo, ma alla fine trovò il coraggio.

“Un'anima, più volte reincarnata, ma mai tornata in vita” disse, lanciando un'occhiata avida a Carter.

“… Cosa?”

“È tua” rispose Darke, senza ombra di riluttanza.

“Adesso aspetta un secondo, io non sono -” protestò Carter, solo per venire intrappolato dal tappeto che aveva sotto i piedi, che gli si avvolse intorno come una pianta carnivora; la sua spessa, ondeggiante moquette bloccava la luce e soffocava la crudele risata di Gups.

“Be', guarda un po' se non è giustizia poetica?” ghignò quello, pungolando Carter con il bastone. “Hai trascorso la tua intera vita ad assicurarti di essere sempre una manciata di sterline davanti agli altri, e ora vali così tanto che sarebbe un delitto non spenderti! Ruppy, Ruppy, Ruppy, hai idea di quante rupie vale un'anima come la tua? Centinaia e passa d'anni a saltare da un corpo all'altro, mai meno alto di un metro e ottanta e mai meno lungo di diciotto centimetri, o così mi dicono. I Tartarei mi venderanno pezzi dell'Inferno stesso per mettere i loro zoccoli su di te. Avrò finalmente una fornitura regolare di carne di demone e di tutto il resto, e tutto grazie a te. Quasi mi dispiace.”

"Ma che pila di merda fumante. Il tuo cuore è nero come la fuliggine e freddo come i geloni.” gridò Thymus dalla stanza con la TV.

"Ah, colpito e affondato!" convenne Gups mentre gettava la testa all'indietro ed ululava dalle risate; la sua gioia si interruppe bruscamente, tuttavia, quando la mano incorporea di Darke gli trapassò la schiena, afferrandogli il cuore: con un solo, fluido movimento glielo strappò dal corpo, senza danneggiarlo né spargere una goccia di sangue. Gups cadde al suolo, privato della vita in un istante.

“Parlava in modo letterale? Curioso” osservò Darke mentre esaminava il cuore nero ricoperto da uno strato di brina. “Thymus! Ho terminato!”

Thymus fece capolino dalla stanza sul retro, gli occhi fissi sul cadavere come se potesse tornare in vita da un momento all'altro.

“È morto?” domandò con un sussurro.

“Lo è, e ti sono grato per avermi rivelato il suo prezzo in anticipo” rispose Darke. “L'attività è tua ora, e in cambio dei servizi resi mi prenderò la Carne di Yaldabaoth e questo piccolo souvenir qui, oltre alla promessa di avere la prima scelta su qualunque futuro articolo avrai per le mani con uno sconto del 20 per cento.”

“Sono impaziente di fare affari con voi.” annuì Thymus, ancora incredulo per la morte del suo padrone. Afferrò il corpo per le caviglie e lo trascinò sul retro, per scopi che Darke preferiva non immaginare.

Rivolse invece la sua attenzione alle urla soffocate di Carter: afferrando un filo che sporgeva dal tappeto, diede uno strattone e lo disfece, liberando un indignatissimo Ruprecht.

“Qui abbiamo finito.” disse Darke con noncuranza.

“Avresti potuto dirmelo prima, che era un inganno!” ruggì Carter.

“… ma in tal caso non sarebbe stato divertente.”

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