Il giorno più bello della vita di Sara Yarkoni fu il giorno in cui finalmente si fece un po' di spina dorsale e si impiccò da un ventilatore.

- Traccia 1: Sull'Orlo Dell'Equilibrio
- Traccia 2: Le Amiche Che Non Dovresti Tenerti Sono Le Più Difficili Di Cui Sbarazzarsi
- Traccia 3: دوستت دارم
- Traccia 4: Alla Mia Psichiatra
- Traccia 5: La Famiglia È Un Costrutto Sociale (Feat. Miss Perfettina e la Banda dei Voti Massimi)
- Traccia 6: Intervista Omonima, Redux, Parte 2, In Tempo 11/8
Ora, il giorno peggiore della vita di Sara deve essere stato il primo (e l'ultimo) in cui ha lavorato per la WhiteLice. Era una cosetta da stagista per buttare via l'estate tra il suo primo ed il suo secondo anno alla Yale. I suoi erano tanto felici quando avevano sentito che era stata presa. Forse la cosa più proattiva che avesse fatto in vita sua. Almeno masticava un po' di web design e non che dagli stagisti si aspettino dell'ingegneria informatica vera e propria.
Attese nell'ascensore assieme ad altri tre stagisti (da quel che presumeva). Erano tutti vestiti di tutto punto. Il solito abbigliamento casual di Manhattan. Nessuno disse parola nel mentre che aspettavano che la porta si aprisse al 23o piano. I muri dell'ufficio erano tutti lastre di vetro. Sara riusciva a vedere il cantiere ci ciò che sarebbe diventato il nuovo Edificio Uno del World Trade Center. Sara aveva abbastanza anni da ricordarsi dell'11 settembre e tutto ciò che ne seguì. Erano successe un mucchio di cose orribili, ma le si accendeva una scintilla di orgoglio al pensare del come tutte queste persone si siano rimesse su due piedi e hanno pensato "avanti ricostruiamolo".
Il gruppetto di stagisti fuoriuscì confusamente dall'ascensore come dei neonati che vengono al mondo.
"Piacere! Siete tutti qui per l'orientamento?" disse una donna alla loro sinistra, "Venite qua! Occorre fare qualche presentazioni prima di addentrarsi nel quanto."
Aveva quella cadenza da "presentatrice" che si univa ad un tono da "maestra di terza che richiama gli studenti dopo l'intervallo", rendendola subito antipatica a Sara. Ma Sara allora era troppo timida per farlo vedere, dato che ancora cercava di fare il ruolo della brava ragazza che vive alla giornata.
La donna mostrò agli stagisti il posto dove avrebbero lavorato per quattro spicci nei prossimi mesi. Gli impiegati erano nascosti in file file di cubicoli, testa bassa e sindrome da tunnel carpale imminente. Questo sì che era il Sogno Americano. A quanto questo è ciò che i genitori di Sara volevano per lei e per Ana. Qualcosa di stabile. Qualcosa di blando.
Ma hey, non puoi che dire che non ti piace se non l'hai mai provato, giusto?
Sara si sedette nel mezzo della sala conferenze che stava usando per l'orientamento. Sedersi troppo indietro avrebbe fatto sembrare che si volesse nascondere e mettersi troppo in avanti la avrebbe fatta sembrare una presuntuosa. Nel mezzo si stava bene. Era molto più facile ambientarsi.
Passati dieci minuti, la sala si era riempita di stagisti e la donna che li aveva accompagnati si mise sul podio.
"Salve a tutti! E benvenuti al vostro primo giorno alla WhiteLice! Come sapete, siamo una compagnia di gestione debitoria che si concentra sul finanziare gli acquirenti di case. Lavoriamo in questo piano ed in quello sopra di noi…"
Il resto del discorso si offuscò in un rumorino di sottofondo alle orecchie di Sara. Il ritmo con cui la donna parlava era troppo regolare. Era come la voce di supporto più noiosa che Sara avesse mai ascoltato. Ma il ritmo c'era comunque e lei non poteva fare a meno di battere il piede a tempo. Volle tornare a casa e fare qualche riff con la chitarra. O qualunque altra cosa. Quasi quasi pregò che qualcosa interrompesse l'incontro.
Nei giorni a venire, di volta in volta si sarebbe soffermata a sentirsi in colpa per ciò che è successo dopo.
CRASH
L'intera sala vide frammenti di vetro piovere dal piano superiore. Ed in mezzo a tutte le schegge, vi era un uomo, la cui spalla era piuttosto conficcata da molte di queste. Come fosse un puntaspilli di carne. Cadde lentamente. Sara giurò d'averlo visto negli occhi. Quelli di lei erano spalancati dalla sorpresa, i suoi erano spalancati e folli. E dalla sua espressione, Sara poté capire, che l'uomo l'avesse fatto di sua volontà.
L'incontro d'orientamento venne chiuso prematuramente e gli stagisti vennero mandati a casa. Tra la tempesta di cause legali e la crisi economica rampante (yay 2007!), WhiteLice fece la scelta di interrompere il loro programma di stage per quell'anno.
La salute mentale di Sara fino a quel momento non era mai stata in buone condizioni, ma vedere qualcuno che si butta dal 24o piano accese qualcosa in lei. Una sorta di epifania per cui la vita dura soltanto fino a che lo vuoi tu. Il tipo di roba che è ovvia quando la dici a voce alta, ma quel giorno cristallizzò questo concetto nella sua testa. Quando il ondo era silenzioso e si ritrovava sola con i suoi brutti pensieri, ogni tanto la voce di quell'uomo (al meno presumeva fosse la sua), le bisbigliava da dietro:
"Se lo volessi, potresti saltare e basta."
Possiamo anche prendere in considerazione una delle tante notti in cui il suo gruppo si è fatto una bevuta per il titolo di "peggior giorno di sempre":
Il capanno che Bradley aveva preso come studio fai da te per la band non era affatto male d'autunno. Certo, non c'era il riscaldamento o l'aria condizionata, ma le sue pareti reggevano abbastanza da bloccare il vento, e questo è il 90% di quanto rende il meteo a BackDoor SoHo una schifezza. Il vento ed il modo in cui il cielo è sempre nuvoloso. Sara poteva alzare lo sguardo e vedere gli edifici addentrarsi così tanto in quella coltre grigia e rendersi conto quanto fosse bassa a confronto. Quanto mondo ci fosse là fuori e quanto in alto avrebbe potuto scalare chiunque altro. E poi sarebbe piovuto e lei avrebbe desiderato d'essersi portata un ombrello.
La House of Spades di pomeriggio non faceva poco più che gironzolare per il capanno come se fosse loro e saccheggiare il mini frigo che avevano installato ogni volta che qualcuno portava delle birre. Purtroppo per Sara, di rado le piaceva la scelta di birre e si era dimenticata di portarne di sue, per ciò fu costretta ad intrattenere la conversazione da sobria (il che le dava più grazia ma le toglieva metà delle giustificazioni per le cagate che diceva).
"Cosa cazzo vuol dire che guardi i miei show?" strillò Sara. Il modo in cui Veronica l'aveva detto era così sciolto che Sara per poco non l'aveva notato. Ma poi i suoi neuroni si misero a lavoro come si deve e poté capire a pieno quelle parole e non gle l'avrebbe fatta passare liscia. Lo sfogo improvviso fece quasi sputare la bibita ad Izzy (il che sarebbe stato un bello spreco di tre dollari) e stranì pure Jack.
"Che c'è? Sei sexy. Non è qualcosa di cui vergognarsi," rispose Veronica. Una risposta simile non se l'aspettava. Ma, per dare credito a Sara, lei non era imbarazzata. Tutti i presenti l'avevano già vista nuda e spesso nel mezzo di un coito in più occasioni. A shockarla era l'idea che dietro allo schermo, immischiata con tutti gli zotici che presumeva fossero il suo pubblico, ci fosse una sua conoscente.
"La signorina esibizionista vuole tenersi i vestiti addosso per la band?" la punzecchiò Izzy. Lei più fra tutti sapeva che le cose non stessero così. Jack fece una smorfia ma poi tornò alla sua postura di prima.
"È che…" Sara balbettò in cerca delle parole giuste, "se volete vedermi in topless dovreste chiedere." Risposta azzeccata.
Veronica incrociò le braccia e sorrise sinistramente a Sara, "Sicura di non volercelo provare?"
"Eh, che importa poi? Già mi scopo una piovra. Non è che da qui si possa andare più in basso."
Sara rise della sua stessa battuta, ma smettendo di rese conto di essere la sola a ridere. Jack era crollato. Veronica sorrideva come se sapesse qualcosa, ma nient'altro. E poi c'era Izzy, probabilmente la recipiente più importante per questa battuta, attonita.
Non che a Izzy fosse mai dispiaciuto troppo della sua condizione. Cazzo, anche lei faceva di queste battute quando era sola con Sara. Mica che si fosse infranto qualche tabù. È che, ci sono battute che è meglio non usare in mezzo ad amici e senza aver bevuto. Poiché significa che la si ha pensata parola per parola e si è deciso "sì ora la dirò". Implica un "sì grosso modo dico sul serio". È il tipo di cosa più vera che si possa dire, dato che la si è creduta tanto normale da non esitarci nemmeno.
Era una cosa da niente. Sara ed Izzy avevano avuto centinaia di crisi emotive anche peggiori negl'anni. Ma anche passato tutto quel tempo dal loro fidanzamento, questa giornata aveva continuato a tornare in mente a Sara per darle l'impulso di chiedere di nuovo scusa alla sua fidanzata.
Oh oh oh! Ci sono anche tutte le volte in cui Sara ha visto Bijhan dopo che si sono lasciati! Sì, anche quelle sono buone opzioni.
C'è stata la prima volta, proprio davanti all'ambasciata. È stato tipo, a meno di una settimana dalla rottura e Sara stava facendo la cosa dove lasciava che i piedi la portassero dove volessero loro. Purtroppo, nemmeno i suoi piedi si erano fatti passare Bijhan, così l'hanno portata di fronte al peggior errore architettonico che avesse mai graziato BackDoor SoHo. Per l'ora che si rese conto in che situazione si fosse messa, era troppo tardi e vide Bijhan andarsene dall'ambasciata.
A differenza del loro primo incontro, Sara era abbastanza lontana da non sbattere contro di lui, ma per sicurezza, si nascose in un vicolo.
"Cazzo cazzo cazzo," disse a se stessa, incollata al muro. Il cuore le batteva tanto forte da far male.
La seconda volta è stata nel mezzo di un'esibizione. La band era rimasta a secco di ingaggi per mesi fino a che non è riuscita ad arraffarne uno a Brooklyn. Tutti pressati nell'auto di Veronica, Jack e Izzy hanno dovuto far uscire i tentacoli dai finestrini per non far cadere la batteria dritta sul traffico, ma sono comunque riusciti ad arrivare intatti.
Sara si era abituata alle folle ricolme di maghi e catboy cibernetici, quindi finire in quel buco privo di ogni segno di magia le diede una specie di senso di spaesamento. Tipo, sapeva che là fuori c'era la normalissima New York, era solo che si era scordata che lì volessero sentire la sua musica.
Sara riuscì a distrarsi dalla spettrale normalità del pubblico grazie alla coltre formatasi dal fumo di svapi e bong e la band non poté vedere altro che sagome nella nebbia. Tempo che lo spettacolo era in corso, il pubblico o aveva finito da fumare o era così preso dalla musica che si era dimenticato di riaccendere. Nella stanza scorreva un certa elettricità. Sara pensò che quella sera stessero andando davvero alla grande. Uno spettacolo che sarebbe stato ricordato nei secoli. Anche se parte di lei tutt'ora non è del tutto convinta che Izzy non avesse lanciato un incantesimo sul pubblico. A Soho è molto difficile fare un tiro simile senza farsi scoprire.
Ma tutta quella concentrazione significava che non c'era più nulla ad ostruire la vista. La normalità di quei volti divenne sempre più apparente di minuto in minuto. Sara un tempo suonava per gente simile non-stop. Aveva fatto qualche recita quando era piccola e poi quei due concerti in croce che aveva fatto al college…
La differenza stava nel fatto che lui non era stato in nessuno di quei pubblici. Quel volto la riportò di forza al presente. Poiché non era più la bambina con la testa piena di sogni. E nemmeno era la studente universitaria che poteva fare quanto le pareva con la scusante di essere alle prime armi. Aveva quasi trent'anni. Trenta. Quanti cazzo sono.
La parte del suo cervello che era ancora una ragazzina andò in cortocircuito.
"Beh, cosa pensi di fare?"
"Siamo ancora sulla ventina."
"Facciamo qualcosa di stupido."
E allora appoggiò la chitarra in mezzo allo spettacolo e corse via dal palco. Non vide come il resto della band la prese. In seguito le avrebbero detto, tra un singhiozzo e l'altro, che se la fossero giocata bene. Era una bugia. Grosso modo hanno finito la canzone bislaccamente e sono passati ad uno in cui Jack avrebbe potuto sostituirla.
Ma nulla di tutto questo importava. L'unica cosa che importava era trovare l'uomo che si era fatto tutto il viaggio fino a Brooklyn per vederla suonare. Sgattaiolò ai lati della folla cercando di non attirare troppo l'attenzione. Ovviamente provarci era inutile. Non fece altro che scendere dal palco. Ma almeno ci aveva provato.
Si tuffò nella marea di persone, ne analizzò i volti in cerca di quello di Bijhan. Ma se n'era andato. O forse non c'era mai stato. Era difficile a dirsi.
La porta sul retro si spalancò. Un soffio di vento freddo prese in pieno la folla. Sara si sentì tanto sobria da avere la nausea.
Il che ci porta alla terza volta. Come fa il detto? La terza è la volta buona? Le cose buone sono in terzetti? Beh, nulla di tutto questo conta.
Era all'aeroporto JFK per prendere Ana. Lei era partita per andare a far visita ad alcuni parenti in Iran, e anche se Sara non sapeva guidare, pensò che ad Ana avrebbe fatto piacere vedere un volto familiare di ritorno negli Stati Uniti.
Sara era davvero contenta che sua sorella avesse fatto quel viaggio. Ana si era fatta proprio un bel giro del mondo. Oltre al volo per l'Iran si era fatta un giro in treno per l'Europa, un viaggio per i parchi nazionali nell'ovest degli USA ed una escursione in Perù. Tipo per tutta la sua lunghezza. E poi Sara era… lì. Nella Grande Mela. Come Sempre.
Sara si era messa a pizzicare la sua chitarra di fianco al ritiro bagagli. Era il meglio che poteva fare per rimanere sveglia (Ana aveva preso un volo della red-eye e Sara la notte prima aveva dormito a malapena). Ogni manciata di minuti un nuovo gruppo di viaggiatori fuoriusciva dall'ascensore e si ammassava attorno al nastro trasportatore. Sara osservava i loro volti in cerca di somiglianze e quando nessuno attirava la sua attenzione, tornava alla sua chitarra.
Arrivarono altri passeggieri, questa volta erano chiaramente persiani. Sara scattò in piedi e cominciò a sondarli. Non è Ana. Non è Ana. Non è Ana. Non è Ana… aspe'.
Quello era Bijhan?
Già, tipo era proprio lui.
Sara si girò la chitarra sulla schiena. Non si nascondeva più come all'ambasciata né esitava come al concerto. Andò diritta verso di lui, ma non corse così da non attirare l'attenzione. Non sarebbe svignato sta volta. Voleva solo parlargli. Forse anche pranzare assieme. Rimettersi anche in contatto, il giusto.
Si sentì quasi come un ninja, camminava di soppiatto tra un passeggiero e l'altro, si nascondeva come poteva, e si avvicinava, sempre di più. Fino ad essere a pochi passi da Bijhan. Gli toccò la schiena. Lui si voltò, ma prima che Bijhan potesse reagire, Sara gli aveva dato un forte abbraccio.
"Da quanto tempo," disse. Stava forse strafacendo? Sì. Senza dubbio. Ma si può dire che strafare fosse il suo marchio. "Già è passato un minuto buono. Ti va di pranzare?"
"Io non…"
"Non sai? Oh avanti, non ti sto mica chiedendo di scopare. È solo un pranzo."
"Aspetta… scopare? Di cosa parli?"
Bijhan la allontanò.
"Cosa ho fatto?" Sara era arrabbiata.
"Non ti conosco!"
"Guarda, lo so che non abbiamo rotto nel migliore dei modi ma di certo ti ricordi di me."
Sara si sentì le palpebre pesanti. Allora le lasciò serrarsi, ma poi le riaprì. Ma quel battito di ciglia era quanto bastava perché quella non fosse più la faccia di Bijhan. Sbatté di nuovo gli occhi. E di nuovo. E con qualche altro battito Bijhan non c'era più.
"I— cosa? Perché sei… fa niente. Non seguirmi."
Sara non sapeva decidere se quello sguardo fosse di paura o di ribrezzo, ma sentì il forte bisogno di gettarsi da un tetto. Che illusa. Questa è meglio non raccontarla mai alla psichiatra.
Ed in qualche modo andò pure peggio.
"Sara? Stai bene?"
Ana le si mise di fronte e le ondeggiò la mano in faccia.
"Tutto apposto?"
"Sì… sì. Ho fatto uno sbaglio. Gemelli o qualcosa."
"A me sembra che ci sia dell'altro oltre ad uno scambio di persone."
"Non sei la mia psichiatra."
"Ohh, scusa. Volevo solo aiutare."
"Sai come mi potresti aiutare? Potresti riportarmi al mio appartamento."
Ana rise ma Sara era seria.
Questo ricordo è un po' annebbiato. È dura vedere oltre al fumo.
"Quattro mesi."
"Aspe' sul serio?"
Non era spesso che Veronica e Sara passavano del tempo da sole. Se c'era Veronica, allora di norma c'era anche Jack. E se era per questioni riguardanti la band, se c'era Sara, allora c'era anche Izzy.
"Costa così tanto! Standard di vita newyorkese sto gran cazzo."
"Già, ma tipo, pensavo che le sedute aiutassero?"
"Non quanto pagare l'affitto."
Ovviamente, a Sara e a Veronica piaceva stare assieme. Probabilmente una faceva il nome dell'altra quando si passavano il bong. È che, tipo, a volte è difficile mettere da parte del tempo per vedersi faccia a faccia con chi ti sta a cuore.
"Credo che non aiuti…"
"Poi, se ci tornassi ora dovrei pagare per le altre due sedute che avevo detto… avrei pagato più tardi."
"Gesù Cristo Sara."
"Lei è troppo gentile per mandarmi dietro degli esattori."
Veronica aspirò una botta, "Beh, se hai ancora bisogno di sfogarti, sono qui."
"Sì, però sei fatta."
"Ciò non mi rende meno qualificata." Veronica ripassò il bong a Sara.
"Non so. Non voglio scaricarti addosso tutti i miei problemi."
"Pensi che non possa gestirli?"
"No, no. Tipo—" Sara inalò, lasciò che il fumo le riempisse la bocca e poi esalo diritto nel filtro, "Aaaaa."
"Va bene, va bene. Che ne dici se ci scarichiamo i problemi addosso a vicenda? Funzionerebbe?"
"Va bene," Sara prese un altra botta, "Penso che Izzy esca con me per pena."
"Cosa?"
"Tipo, guardami! A malapena riesco ad allacciarmi le scarpe e ho l'autocontrollo di un neonato. Mi sorprendo ogni volta che un barista non mi chiede i documenti."
"Sia io che te lo sappiamo che Izzy non fa niente per pena."
"Ma se lo facesse tipo, apposta per me?"
"Hai provato a parlarne con lei?"
"Cazzo no. Come addolcisco questa pillola?"
"Hai provato con 'Isabella Kawajiri, voglio che non tu non mi abbandoni mai. Vuoi essere mia moglie?'"
Sara ridacchiò "Oooh che classe. Riesci sempre ad essere messa peggio di me!"
"Eh, ne valeva la pena."
"Forse forse. Tocca a te."
"Ok, um, penso che Jack abbia un clone della mia anima da qualche parte."
A Sara per poco non le andò il fumo di traverso.
"Cosa?"
"Magia calamaresca o qualcosa del genere, Non so. A volte dopo il sesso vedo che tipo, prende alcuni dei miei capelli o parla di come non abbia trovato altri partner 'compatibili'."
Sara ridacchiò a crepa pelle.
"Oh, pensi che faccia ridere?"
"Soooooorella, mi hai appena detto che qualcuno tiene troppo a te. È molto ironico o triste o qualcosa."
"Non pensi che avere un ricambio pronto sia strano? Non voglio essere tenuta in vita contro la mia volontà. Sarebbe così… non so."
"Vorrei che Izzy si facesse un ricambio per me. Che metta la mia anima in modalità riposo. Apprezzi ogni cosa che faccio per lei. Sarebbe un cazzo di tocca-sana per la mia autostima. Ma no, tu stai qui a lamentartene."
"Mi stavo solo sfogando…"
"Geh sfogati di qualcos'altro."
"Cribbio," Veronica per poco non cadette dalla sedia, ma riuscì a stabilizzarsi, "Vuoi essere la sola a sentirsi di merda?"
"Speravo che ti saresti lamentata piuttosto che lagnarti!"
"Beh speravo di ricevere un po' di simpatia!"
"Già. Non contarci V. Tocca," tossì, "pagare per riceverla."
E poi, come dimenticarsi, è proprio un classico, l'esibizione del 2003.
Il fine settimana precedente Ana era riuscita a far finire uno dei suoi dipinti in una piccola galleria vicina al Museo d'Arte Westmoreland. Certo, era una galleria per studenti liceali, ma era comunque un riconoscimento semiufficiale del suo talento artistico. Qualcosa che è difficile da ottenere ad ogni passo di una carriera artistica.
Sara era in grado di dare il suo meglio per Ana e di essere una sorellona orgogliosa o roba del genere, in quanto sapeva di avere uno spettacolo a breve. Era pura uno spettacolo grosso. A quanto pare qualcuno della Wick Records voleva presentarsi per vedere se riusciva ad arraffare qualche giovane cantante ingenuo a cui offrire un contratto.
"Sicura di volerci andare con questo vestito?" chiese la madre di Sara mentre la aiutava a metterselo, "Abbiamo ancora l'abito verde dell'ultima volta."
"Mi va bene. Credo che questo sia già abbastanza appariscente di suo," rispose Sara.
"Beh, non ti lascerò salire sul palco in t-shirt e jeans. Inoltre, è meglio tanto che poco."
"Voi siete pronte?" disse il papà da sotto le scale, "Il traffico non fa che peggiorare!"
"Avremmo finito prima se non avessi dovuto fare cambio di vestiti," borbottò Sara tra sé e sé.
La mamma finì di abbottonare i polsini e poi mise le mani attorno al volto di Sara. Erano tiepide.
"Sei uno favola, tesoro."
La famiglia Yarkoni al completo salì in macchina e partì per il centro. Era dicembre ed il sole stava già tramontando. Il teatro era a Manhattan, il che significava che Sara avrebbe avuto una veduta sia del classico skyline di New York che dello spettacolo di luci che è Times Square. Sia Sara che Ana rimasero coi volti incollati al finestrino. Nonostante le molte luci, la città sembrava sempre essere immersa nel buio. Tutta quella luce non faceva vedere le stelle rendendo il cielo nient'altro che una distesa di nero. Come se la Grande Mela fosse la sola cosa al mondo. E poco importa quanto tu corra, non ci si può scappare.
Grazie a qualche miracolo festivo, il papà di Sara riuscì a trovare parcheggio vicino al teatro. Un altro assaggio di fortuna per il giorno.
Una volta nell'auditorium, Sara salutò la famiglia e corse dietro le quinte. Lì trovò il resto della compagnia. Con loro non aveva nulla di comune eccetto che si presentavano alle stesse esibizioni. All'epoca era molto più taciturna, quindi non ci aveva mai parlato molto. Tutte le conversazioni tanto erano una palla. Parlavano del traffico e del meteo. Grosso modo quello che succede a radunare assieme una manica di semisconosciuti.
Poi cominciò lo spettacolo. La stanza venne avvolta in un silenzio rispettoso. I ragazzi apparvero sul palco uno ad uno, cantarono la loro canzone e poi tornarono dietro le quinte. Niente applausi per quando si usciva di scena, niente congratulazioni. Giusto qualche cenno di approvazione o pollice in su, in quanto il prossimo avrebbe già cominciato a cantare e se non ha interrotto te allora fai meglio a tapparti il buco..
Un attrezzista si affacciò per indicare a Sara di salire sul palco. Lei prese un respiro profondo.
"E ora, con la canzone dei Moldy Peaches 'Anyone But You', Sara Yarkoni!"
Una parte di Sara odiò aver preso uno dei loro pezzi più banali, ma si preoccupò anche che prendendo uno dei brani più esoterici, l'agente o il talent scout nascosto nel pubblico avrebbe pensato che lei non sarebbe calzata con il gusto comune. Al meno, nella canzone ci aveva messo un po' del suo. Si era fatta registrare da alcuni amici un sottofondo che andasse meglio con lo stile. Ci aveva inserito più cambi di ritmo. Giusto per dare un po' di rilievi a quella musica piatta.
La musica partì ed il pubblico svanì. Il piede di Sara cominciò a battere a ritmo. Il punto in cui cominciava la parte vocale le si approcciò come un treno che arriva in stazione: in modo lento ma inarrestabile. Cominciò a cantare e—
Non azzeccò una nota.
Le mani in fretta le coprirono la bocca, ma poi si ricordò dove si trovava e tentò di riprendere la canzone. Tre strofe giuste e poi ripiombò.
La voce le venne meno. Ancora e ancora. Le corde vocali si rifiutavano di fare le note giuste. Tutta la gola le si ribellò in mezzo al palco.
Ora le mancava il respiro. Il teatro sembrò riempirsi del suono delle sue inalazioni piuttosto che di musica. E poi la vista le si fece sfocata. Lacrime. Era una crollo in bella vista di fronte ad un centinaio o più di persone, inclusi un talent scout e la sua famiglia. Sara non seppe se avesse dovuto salvare il poco di dignità che le era rimasta ed andarsene di scena, o continuare a insistere. Alla fine, non prese neanche la scelta. Il momento della canzone accompagnò la sua indecisione fino alla fine del brano.
Non fece nessun inchino. Non tornò dietro le quinte (visto che il suo pianto si sarebbe sentito da dietro le tende). Piuttosto, corse verso l'uscita sul retro.
Fuori faceva freddo. Nevicava pure. Sara non aveva vestiti adatti e così si sedette accanto all'edificio e si strinse le ginocchia al petto. Di tutto pur di sentirsi più piccola. Di tutto per farla sparire. Di tutto per farle dimenticare di essere una delusione.
Sara non si rese conto di quanto tempo passò. Non si sa nemmeno quand'è che la sua famiglia cominciò a cercarla, ma per l'ora che la mamma di Sara era arrivata, su sua figlia si era accumulato uno strato di neve.
"Sara! O mio Dio eccoti!" gridò la mamma. La raggiunse e cominciò a toglierle la neve di dosso.
"Non ci lasciavano entrare nel backstage quindi ti abbiamo aspettata all'uscita!"
"Ho rovinato tutto," mormorò Sara . Lo rivolgeva per lo più a sé stessa, ma lo sentì anche sua madre.
"Non è vero. Accade a tutti prima o poi."
"Ma ho pianto e mi è salito il panico e sarei dovuta andarmene e non—"
Sara sentì un caldo abbraccio. Era sua madre.
"Tesoro, lo so che è difficile. Ci sono molte cose difficili nella vita," disse la mamma, "Ma sai cosa? Tutte quelle cose, ti fanno apprezzare molto di più tutto il resto una volta che sono passate. Quando senti di star annegando, adorerai il primo respiro d'aria. Quando sembra tutto buio, allora la la prima luce sarà ancor più splendente."
Eccetto che, Sara non vide alcuna luce. Nessun respiro. Era impiccata al ventilatore mentre allo svanire del suo battito riviveva i giorni peggiori della sua vita. Calza a pennello. Che ad un fallimento come lei venisse rinfrescata la memoria sui motivi per cui era odiata giusto prima di morire. Ma ora lo spettacolo era finito. Tutto stava svanendo.
Forse era questa la luce di cui sua madre parlava. Forse la sua vita era il galleria e questa era l'uscita.
Sara fece un passo in avanti.
Cazzo, queste luci abbagliano.
Sara Yarkoni siede su di una sedia. Le mani sono legate dietro la schiena ma non ne sembra essere preoccupata. Piuttosto, dal suo sguardo si evince un senso di sconfitta. Dietro alla sedia è completamente buio, rendendo impossibile vederci ogni cosa.
Intervistatore: Va bene, partiamo dal tuo nome e dalla tua posizione.
Yarkoni: Cosa cazzo importa? Nessuno che non sa già chi siamo lo guarderà.
Intervistatore: Fallo e basta.
Yarkoni: Va beeeene. Sara Yarkoni. Canto e suono la chitarra.
Intervistatore: È tutto quello che fai?
Yarkoni: No. Mi occupo anche di sviluppo di siti web, mi spoglio per soldi su internet e deludo chiunque mi circondi. È questo che mi chiedi?
Intervistatore: Eh, grosso modo. Perché ti sei unita alla House of Spades?
Yarkoni: Credo che fossi annoiata.
Intervistatore: Riprova.
Yarkoni: Cosa? Risposta troppo diretta?
Intervistatore: Nope. Riprova.
Yarkoni: Perché suonare la chitarra da sola in camera mia fa schifo?
Intervistatore: Come dicono i sondaggi? Nope. Riprova ancora.
Yarkoni: … volevo spassarmela.
Intervistatore: Bingo.
Yarkoni: Non che abbia funzionato. Non faccio altro che cercare di divertirmi nei modi più autodistruttivi che poi mi portano a discendere in appuntamenti di merda, post-sbornie e brutte giornate.
Intervistatore: Cos'è una brutta giornata?
Yarkoni: È proprio quello che sembra. È un giorno che è brutto. Sai, come il più dei giorni.
Intervistatore: Mi sembra un po' riduttivo.
Yarkoni: Oh, perché tu hai una risposta migliore.
Intervistatore: L'intervista non è per me, ma ti darò un indizio. Cosa rende una giornata 'brutta'?
Yarkoni: Qualcosa di brutto che mi succede.
Intervistatore: Ma nei giorni no accadono anche cose belle, vero?
Yarkoni: Di norma non sono molto memorabili.
Intervistatore: Allora che mi dici delle giornate belle? Cosa rende una giornata 'bella'?
Yarkoni: Un giorno dove non succede nulla di brutto?
Intervistatore: Troppo semplice.
Yarkoni: Va bene! È una giornata dove non mi sfascio!
Intervistatore: Ah, ora ci siamo. Una cazzo di risposta vera.
Yarkoni: Me è per questo che non ci sono giornate belle. Continuo a sfasciarmi. Non faccio che andare in giro tenendomi a fuoco perché il momento che lo spengo mi rendo conto di quanto faccia freddo e voglio riaccendermi.
Intervistatore: E siamo di nuovo alle brutte conseguenze.
Yarkoni: Cosa? Vuoi farmi sentire in colpa del fatto che sto male?
Intervistatore: Sto cercando di farti sentire in colpa del fatto che vedi tutto come compartimenti stagni. È molto facile darsi la colpa se si continua a seguire regole nette.
Yarkoni: Mi stai facendo la morale per il mio voler dare ordine alle cose… sento una certa ironia. Il più delle scelte che faccio le ho fatte tipo, perché facevo la pessimista.
Intervistatore: Ma tu l'ordine o qualche sorta di coerenza la vuoi. Vuoi così tanto che tutto abbia senso che rifiuti attivamente quella parte di te e crei scompigli.
Yarkoni: Vuoi che dica questo in risposta alla domanda?
Intervistatore: Giornate belle, giornate brutte, è tutta roba che la nostra mente si inventa per farci credere che il mondo abbia senso. Ma ormai lo sai bene che il mondo non segue delle regole. Non gle ne frega della coerenza. C'è la magia e i cyborg e i portali per altre dimensioni. L'universo è molto più difficile da controllare di quanto chiunque voglia ammettere.
Yarkoni: Ma questo non significa che avrei potuto fare scelte migliori.
Intervistatore: La pianti con sto giochino della colpa?
Yarkoni: Sono nata a Staten Island e non ho mai lasciato la costa est! Ho passato il più della mia vita in questa città del cazzo, e chiunque ci vive o mi odia o si rifiuta di vedermi. Com'è che non avrei potuto fare di meglio?
Intervistatore: Non dico che avresti potuto fare di meglio, dico che anche il solo pensiero di darti la colpa è un cazzo di veleno che ti sei scolata.
Yarkoni: Per cosa? Per essere uscita con i miei amico? Per l'aver a che fare con la magia? Per la vita a SoHo? Avrei potuto fare scelte migliori per evitarmi tutta questa merda e rimanere sana di mente!
Intervistatore: Non è per la magia. Non è per BackDoor. È per tutto quello che New York City rappresenta. "Se ce la fai qui, puoi farcela da ogni parte". Tu tu tu. Agli occhi della città, sta tutto a te. Se ce l'hai fatta, è tutto merito tuo e se fallisci è perché non hai dato abbastanza. Questo posto è tossico. Non è permesso inciampare su di una crepa nel marciapiede o farsi dare una spinta. Perché il più delle volte, la gente non cade per conto suo. Ma nella Grande Mela, non importa, perché a quanto pare, tutto è colpa tua.
Yarkoni si schiarisce il naso.
Yarkoni: Allora?
Intervistatore: Allora… hai fatto bene. Ci hai provato, qualche volta sei inciampata, hai fatto qualche errore stupido, ma hai fatto bene.
Yarkoni: Ok… credo. Non so perché me lo stai dicendo. Ho tipo buttato via la mia ultima occasione per non incolparmi.
Intervistatore: È giusto un consiglio. Così che tu la prenda più alla leggera la prossima volta.
Yarkoni: La prossima volta?
Intervistatore: Non l'hai notato? Il tuo pubblico vuole il bis. Vogliono dell'altro dalla House of Spades. Vogliono dell'altro da te.
La corda cade dalle mani di Yarkoni. Lei porta le mani di fronte alla sedia mostrando di star tenendo la sua chitarra. Guarda verso la telecamera. I suoi occhi sono rossi e le lacrime le si sono asciugate sul collo.
Yarkoni: Dell'altro?
Intervistatore: Cazzo sì sorella. Quante volte te lo devo dire? Hai un corpo da supermodella, la voce di un angelo e lo smarrimento di un bambino. La gente adora queste cose.
Yarkoni: Non penso di starti credendo.
Intervistatore: Ovvio. Ma forse crederai a loro.
Yarkoni si alza in piedi. Fa due passi in avanti e la telecamera allarga la visuale rivelando un microfono ed un pubblico in visibilio. Il più dei volti è troppo in ombra per essere distinto, però Bijhan █████████, Jack di Picche ed Isabella Kawajiri appaiono tutti in prima fila. Yarkoni apre la bocca per dire qualcosa, ma poi guarda verso la telecamera.
Yarkoni: Un po' crudele…
Intervistatore: Già. Lo è.
Yarkoni: Perché poi?
Intervistatore: Nuh-uh-uh, le faccio io le domande. Ora, un'ultima. Perché tu l'hai fatto?
Yarkoni: Perché mi odiavo?
Intervistatore: Nope, nope. Avanti, mi ascoltavi al meno? Riprova.
Yarkoni deglutisce.
Yarkoni: Perché voler bene è terrificante?
Intervistatore: Ecco qua.
Yarkoni: Vogliono che vada bene. Vero?Intervistatore: Sei già andata bene. Ora vogliono solo sentirti cantare.
Yarkoni si morde il labbro.
Yarkoni: Potresti uh, dare tu il via?
Intervistatore: Con piacere. E uno. E due. E un due tre quattro cinque!
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