1001 Notti Buie e Tempestose
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IL RACCONTO DEL RICERCATORE E DEL MINOTAURO

SCP-1893 era riuscito a liberarsi. Che li avesse trascinati tutti nella sua narrazione o che fosse fuggito in qualche modo per conto suo, il Minotauro si muoveva in mezzo a loro. Il Dottor Sharra Hassad si rannicchiò nell'oscurità con altri cinque membri del personale, tutti ricercatori junior e impiegati di basso livello, e tutti terrorizzati. I colpi della mazza da baseball del minotauro si facevano sempre più vicini.

“Sarà qui fra pochi secondi. Non possiamo combattere quella cosa: avete visto cos'ha fatto ad Eric." disse in fretta il Ricercatore L1 Wendell, con gli occhi sbarrati e il sudore che gli imperlava la fronte. “Dobbiamo fare qualcosa.”

“Ho un'idea” replicò Sharra. “Ci penso io. Chiudete la porta dietro di me, e aspettate i rinforzi.”

“Ti ucciderà,” protestò Wendell.

“Meglio che muoia solo io, piuttosto che tutti noi" ribatté Sharra, e i suoi occhi ebbero un lampo d'astuzia. “Ma non preoccupatevi. Moriremo tutti un giorno - ma intendo fare in modo che il mio sia solo fra molto tempo.”

Il corridoio era buio. Le luci erano state fracassate, e nubi di tempesta oscuravano la luce della luna; le ombre rendevano i corpi sparsi e martoriati ancora più informi di quanto non avesse già fatto il Minotauro.

SCP-1893 aveva preso la forma di un uomo alto, a petto nudo, con folte sopracciglia e fasci di muscoli. Un paio di corna elaborate fuoriuscivano dalla sua fronte - Sharra non riusciva a stabilire se fossero reali, o un tatuaggio che creava un'illusione ottica. La mazza al suo fianco era incrostata di sangue e materia grigia.

Sharra fece un passo verso il Dottor Carlson - il suo amico, steso a terra con il cranio sfondato - e lo attese a pié fermo. "Ascoltami" disse "perché ho qualcosa che desideri."

Il Minotauro fece un passo avanti, ringhiando. Poteva sentire il suo calore, e vedere il vapore del suo fiato. I suoi occhi erano due fessure mentre piegava la testa ed appoggiava la mazza sulla spalla.

“Posso offrirti altro materiale - altri personaggi da incontrare. Se uccidi semplicemente tutti qui dentro, è la fine della storia. Se mi ascolti, invece, ce ne saranno altre… e altre, e altre, e altre ancora.”

Il Minotauro la fissò, impassibile, poi accarezzò il lato della sua testa con la mazza, la punta legnosa che sfregava sui capelli. Ma era ancora viva, quindi continuò a parlare. "Ascolta: c'erano altri membri dello staff della Fondazione, durante un'altra breccia, proprio come adesso. Scommetto che non hai mai sentito…

IL RACCONTO DEL DOTTOR BENSON E DEI SARKITI

La pistola di Bensen fece clic a vuoto. L'artigiano della carne gorgogliò, ridendo, e gli trapassò la spalla con un tentacolo. Un volto tronfio emerse dal nodo di muscoli esposti che formava il suo petto.

“È finita, Dottore. Il sito è nostro.”

“Fanculo. Uccidimi.”

“Ogni cosa a suo tempo,” rise quello. Un'ampia fauce ghignante comparve dove ci sarebbe dovuto essere lo stomaco, parlando all'unisono con l'altra. Sei un prigioniero adesso.Ti guadagnerai la morte servendo.”

Il ricercatore senior strinse i denti, sopportando il dolore in silenzio. Non aveva senso dichiarare che non li avrebbe mai aiutati: non aveva dubbi che potessero procurargli abbastanza dolore da fargli fare qualunque cosa. Tentò di rimettersi in piedi per un'ultima resistenza, per costringerli ad ucciderlo, così non avrebbe dovuto vivere qualunque cosa stavano pianificando; un lampo di agonia alla spalla lo convinse ad accantonare l'idea.

L'artigiano della carne fletté il tentacolo, trascinando Bensen in piedi. "Sappiamo che il Motore di Miglioramento è sotto la vostra supervisione. Ce lo mostrerai." Una lingua fuoriuscì dalla seconda bocca ed iniziò a strisciare verso la sua orbita oculare.

“Nove-quattordici non funziona sul tessuto vivente" annaspò Bensen. "Per voi è inutile.”

“Mi credi uno sciocco?” La sua mano libera mutò in un'altra frusta, e colpì Bensen sul viso. Del sangue gocciolò sulla sua guancia - il sarkita aveva provvisto l'arto di denti extra prima di schiaffeggiarlo. "Ciò che è inutile per noi è di valore per i nostri nemici. Lo distruggeremo. Ci ringrazieresti, se solo comprendessi per cosa loro lo utilizzerebbero. Ora portaci dov'è custodito.”

C'erano dozzine di altri sarkiti nella hall, in vari stadi di disumanità. Uomini, donne, e vie di mezzo, che modellavano la loro carne come argilla. Speroni d'ossa erompevano e si ritraevano, e venivano usati per macellare il personale che avevano ucciso; si scambiavano grumi di carne delle loro vittime, provando gli arti e gli occhi prima di assorbirli, o sbranarli, o gettarli via.

I resti scartati dei ricercatori e delle guardie furono raccolti in pile. I cultisti perquisirono gli uffici, trasportando altri morti. Bensen udì una supplica disperata che divenne uno strillo prima di venire troncata. Dei sacerdoti con elaborate strutture di ossa che erompevano dalla pelle frugarono fra i corpi, strappando le carni e dividendole.

“Ammira la nostra gloria. Ora sei l'ultimo della tua gente qui. Portaci dal motore, o presto invidierai ciò che abbiamo fatto agli altri.”

Una dozzina di cultisti, con i corpi deformati e la minaccia negli occhi, uscirono dalla folla e li seguirono. Di tanto in tanto il tentacolo all'interno di Benson si rigirava e pungeva sotto la sua pelle. Sono morto, ma non tutto è perduto.

“Siamo qui” disse con fatica. Il dolore e lo sfinimento gli resero facile nascondere la speranza nella sua voce. Li condusse ad una vasta camera blindata, occupata da un'imponente cisterna. Videro un'immensa costruzione squadrata, un impossibile groviglio meccanico più intricato di qualunque cosa avessero mai visto, così grande che tutti trovarono spazio nella sua ombra.

“Perché è sott'acqua?”

“Lo teniamo in una soluzione salina per proteggere i meccanismi.”

L'artigiano della carne non ebbe nulal da ribattere. Bensen si chinò sul pannello di controllo, grugnendo dal dolore a causa del tentacolo che si trascinava dietro di lui. Iniziò a compiere un'elaborata sequenza di operazioni per sbloccare manualmente la stanza - i suoi occhi, le mani, la voce furono scansionati, e gli venne chiesto di recitare una serie di password sibilline; la console trillò e rispose con una luce verde.

In quel momento le sirene ulularono disperatamente, e la luce nella stanza si tinse di rosso.

“Perché fa così?” ruggirono le bocche del sarkita all'unisono. Il tentacolo pugnalò il fianco di Bensen a fondo, e lui ricadde a terra in agonia.

“La cisterna non dovrebbe… non dovrebbe mai venire prosciugata." Bensen si girò di schiena. "Ecco perché solo un L4 può sbloccarla.”

“Questo-“

”Questo non è Nove-quattordici,” ghignò Bensen, con il sangue fra le labbra. L'oggetto iniziò a gemere e vibrare, mentre gli ingranaggi si liberavano dalla ruggine e tornavano alla vita sferragliando. "Ci ho chiusi tutti qua dentro, figlio di puttana. Vuole che lo nutriate con del metallo, ma non ne avete, perciò… lo vedrete. Vi-“

L'artigiano della carne allungò uno spuntone d'ossa e lo pugnalò al voltò, furioso. Lasciò andare il corpo e si girò verso i comandi, tentando freneticamente di sbloccare la camera blindata mentre lo stridio metallico si intensificava. L'allarme ululava incessantemente, ma i pannelli si erano oscurati: erano in trappola.
Ore più tardi, il rumore degli ingranaggi era ormai più alto dell'allarme. Avevano tutti fatto crescere dei lembi di pelle sulle orecchie, naturalmente, ma il suono penetrava loro nelle ossa.

“Devo farlo” disse alla fine il Cultista Gniles. “Deve essere nutrito. Ha bisogno di essere nutrito. Dobbiamo usare quello che abbiamo." Continuò a gridare, con tono neutrale, la necessità di nutrire gli ingranaggi mentre camminava fino alla cisterna e si arrampicava lungo il suo fianco, continuando a ripetersi finché gli ingranaggi non gli presero la faccia e lo trascinarono all'interno. Dagli ingranaggi colò giù del sangue, ma non simsero di girare.

“Accadrà a tutti noi?” chiese il Cultista Grek.

“Alla fine. Se continuiamo a sentire il suono.” All'artigiano della carne venne un'idea: era improbabile che funzionasse, ma era lui il capo, e doveva sfruttare qualunque chance avesse il suo popolo. “Possiamo provare a distrarci. Forse, se siamo distratti, possiamo escludere questa orrenda macchina. Forse riusciremo a resistere finché i Carcerieri non mandano una squadra per catturarci.”

“Non ho idee migliori” disse Grek, dubbioso. “Comincia tu.”

“Bene, anche i potenti possono ritrovarsi in situazioni critiche." iniziò. “Persino i grandi Marshall, Carter e Dark possono essere umiliati dall'errore…

IL RACCONTO DI RUPRECHT ED IRIS

“Sai che sono una donna impegnata, vero?” sbuffò Iris Dark, mentre seguiva Ruprecht Carter fuori dal suo ufficio e verso l'ascensore. Era tardi, e il tempo era pessimo.

“Lo so.”

“Volevo solo esserne sicura. Perché venire qui senza invito, e chiedermi di scendere per vedere cos'hai in magazzino - sembra proprio qualcosa che chiederesti a chi ha bisogno di ammazzare il tempo.”

“È importante” si lamentò Carter. “Si tratta di - ricordi la sfera di Mida?”

“Certo. Ricordo di averti detto che era una perdita di tempo. A che ci serve una maledizione che trasforma le persone in oro quando facciamo già vaòanghe di soldi con le azioni?”

“Andiamo, lo sai che è una preziosa componente taumatologica.”

“E tu sai che ti avevo già detto che era una perdita di tempo. Quindi. Cos'è andato storto?”

“È venuto fuori che la maledizione era contagiosa. E incompleta. Ecco, trasferisce il tocco di Mida, ma trasforma anche i Mida in oro, in parte… e chiunque tocchino diventa oro, in parte, ma guadagna anche lui stesso il tocco di Mida.”

Iris sospirò. “In altre parole, una perdita di tempo. Manda indietro la sfera e fattela rimborsare, e la prossima volta ascoltami fin da subito.”

L'ascensore si aprì al piano magazzino. Avanzarono rapidamente per un labirinto di casse verso la zona spedizioni.

“Ecco… c'è stata un'altra complicazione. L'hanno spedita all'indirizzo sbagliato. La sfera è finita in…”

Salirono su una balconata che dava sull'area di allestimento in cemento. Dozzine di bambini parzialmente trasformati in metallo gemevano al di sotto, piangendo e sferragliando. Alcuni si aggiravano ciechi, con gioielli al posto degli occhi; altri mostravano delle ernie dove gli organi interni erano diventati improvvisamente metallici e stavano facendo infezione.

“…in una scuola elementare.”

“Ruprecht! Come hai messo a tacere la cosa?”

“Abbiamo dovuto assoldare dei mercenari per radere al suolo l'intero posto, sfortunatamente: l'abbiamo fatta passare per una fuga di gas. Tragico, davvero.”

“E costoso. Come pensi di risolvere la cosa?”

“Be', potrtemmo smontarli e vendere l'oro –“

“Pensa, Rupert. Tutte quelle operazioni ci costerebbero più di quanto faremmo con i pezzi.”

“Forse possiamo trasformarli in armi?”

Iris guardò un bambino sbattere le mani dorate a terra, disperato. “Non mi sembrano armi efficienti.”

Restarono in silenzio per un minuto, osservando la confusione al di sotto mentre guardie vestite con tute protettive separavano i bambini con dei manganelli stordenti. Le tute e i manganelli erano custoditi negli armadietti dei magazzini, proprio per quel tipo di situazione; Iris era felice di constatare che erano in grado di usarli come da esercitazione.

“Dobbiamo chiamare la Fond-“

“No,” tagliò corto Iris. “Assolutamente no.”

“Ragiona, Iris. La Fondazione paga per le anomalie. Non è, come dici sempre, più efficiente scaricare su di loro il problema piuttosto che inventarsi qualche piano folle per guadagnarci?”

“Non in questo caso, Ruprecht, perché sono famosi per non comprare mai quel che possono confiscare.” Batté ripetutamente il piede, fissando i bimbi trasmutati. " E anche perché preferirei trangugiare veleno e crepare piuttosto che chiedere aiuto ad Essie P.”

“Andiamo. Sono tipi con cui si può ragionare, possono risolvere qualunque cosa.”

“Non cambiare discorso, Ruprecht.”

“Anche i semplici ricercatori possono gestire da soli orrori soprannaturali.”

“Puoi tentare di distrarmi tutto il giorno con i tuoi racconti, Ruprecht. Questa storia non finisce qui.”

“No, no, non è per distrarti” Carter si allentò il colletto. “Onestamente, questo mi fa tornare alla mente il totalmente rilevante…

RACCONTO DEL RICERCATORE TALLORAN

Talloran si trovava in un campo sul fondo di un pozzo, e sapeva che i cani lo avrebbero sbranato e divorato vivo.

Recentemente il suo carceriere aveva smesso di manifestare mostri esotici ed impossibili; le mascelle familiari di un labrador o di un golden retriever potevano amministrare altrettanto dolore e altrettanta paura. SCP-3999 attraversava dei cicli: alla fine, appena Talloran si abituava ai normali animali, iniziava a lanciargli contro di nuovo orrori soprannaturali.

Stavolta erano ratti - e Talloran aveva imparato da tempo a non combattere, prolungava soltanto il dolore.

Era impossibile non urlare, comunque, mentre i loro denti affilati gli laceravano il petto e le loro unghie appuntite si facevano strada all'interno. Gridò il suo ultimo respiro e chiuse gli occhi-

E li riaprì nella cucina della sua casa d'infanzia. Suo fratello giaceva sul pavimento, in una pozza di sangue. Il tuono rombava all'esterno.

Talloran reggeva un coltello. Il sangue incrostava l'elsa e scorreva lungo il suo polso, le gocce che cadevano sulla piastrella, senza sosta.

“James, no! Cos'hai fatto?” singhiozzò la loro madre, gettandosi ad abbracciare il figlio a terra. Non ho fatto questo. Perché ho fatto questo? “Lo hai ucciso!”

Il coltello gli sfuggì dalle dita e cadde a terra. Inspiegabilmente, il sangue continuò a gocciolare.

“Lo hai ucciso, James.” Sua madre si drizzò, fissandolo. “Ci hai uccisi tutti. Tutti, tutti noi, andati. Mai torneremo da te.” Raccolse il coltello.

“E se fossimo vissuti, ci avresti comunque deluso.” Si conficcò la lama sotto il mento, a fondo, senza smettere di parlare mentre la punta grattava sul suo palato.

“Tutto quel che hai fatto ha solo peggiorato le cose.” La lingua le fuoriuscì dalla gola, contorcendosi mentre parlava. “Se sei fortunato, la storia sarà generosa e la tua intera, patetica esistenza finirà nel dimenticatoio. Tu, piagnucolante Mary Sue.”

“Ti dirò io qual è la mia storia" sibilò Talloran, impassibile- "C'era una volta un bambino che passava troppo tempo da solo, e crebbe per diventare una persona che era sola tutto il tempo. Sapeva che ci dovevano essere altre persone che vedevano il mondo come lo vedeva lui - sapeva di non essere speciale- ma aveva abbandonato la speranza di trovarle, figuriamoci essere uno di loro. Ma alla fine furono loro a trovare lui. QUelle persone erano state là fuori per tutto il tempo, e avevano trovato - avevano costruito il posto che serviva loro. E loro, noi,, abbiamo affrontato l'ignoto, e l'abbiamo studiato ed abbiamo imparato quel che potevamo su di esso. Assieme. Questa è la mia storia, e tu non hai ancora vinto, perché la stiamo ancora fottutamente raccontando.

La lingua smise di contorcersi. Il rumore delle gocce si fermò; il corpo di suo fratello era svanito, e l'apparizione di sua madre si ritirò, silenziosamente. Talloran fu nuovamente solo.

E quelli sapevano come sfruttare la cosa.

Poteva sempre andare peggio. Posso pensare almeno ad una situazione peggiore. Quelli iniziarono a muoversi. La situazione di Sam Michaels è ancora più brutta. Mi chiedo cosa stia facendo ora quel poveretto…

IL RACCONTO DEL POVERO SAM MICHAELS

Sam camminava senza sosta nella sua cella, senza sapere dove sbattere la testa.

“Le parole sfuggono via. Devo tenerle ferme. Farle tornare.”

I camici bianchi lo tenevano lontano dai libri - da qualunque scritto - ma questo non fermava l'emorragia. Nulla la fermava. Per quanto pulita tenessero la stanza, Sam sanguinava ancora ovunque. Dentro ogni cosa.

“Le parole sono me. Sono tutti noi. Devo riportarle in dietro. Trattenerle in qualche modo.”

La settimana scorsa, il giorno prima che gli tagliassero le unghie, Sam ne aveva strappata una coi denti fino alla carne viva e l'aveva conservata. Quella particella di sé stesso era piccola e lacera, ma abbastanza affilata per scrivere. Una macchia di sporco attorno al bordo dei sanitari era scura a sufficienza per fare da inchiostro, una volta mischiata ad un po' di saliva.

“Devo fare quel che devo fare. Dio, fa male. Devo farlo per loro, però. Dolore.”

Aveva bisogno di far tornare da lui le parole; risucchiare l'emorragia, in qualche modo. Richiamare i frammenti e i pezzi da qualunque posto in cui fossero andati. Ma non riusciva a ricordare come loro, come lui stesso avesse rimesso i pezzi assieme, la prima volta.

“Andiamo, devo solo continuare a provare. Devo farlo. Fa male, ma ne hanno bisogno. Ferma l'emorragia.”

Piegò la gamba contro il fianco, si tirò su l'orlo del pantalone ed iniziò a scrivere.

SCP-1893 era riuscito a liberarsi. scribacchiò. Che li avesse trascinati tutti nella sua narrazione o che fosse fuggito in qualche modo per conto suo, il Minotauro si muoveva in mezzo a loro. Il Dottor Sharra Hassad si rannicchiò nell'oscurità con altri cinque membri del personale…

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